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Autore Discussione: Gigi Riva Il fuggiasco Carlotto torna a Padova  (Letto 2504 volte)
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« inserito:: Settembre 17, 2009, 10:36:03 pm »

Il fuggiasco Carlotto torna a Padova

di Gigi Riva


Trent'anni fa fu al centro di un caso giudiziario. Poi è diventato un autore cult di noir. Lo abbiamo incontrato. Alla vigilia dell'uscita del suo nuovo libro
 

L'appuntamento è al caffè Pedrocchi, simbolo di Padova, un posto dove si mangia e si ascolta anche buona musica. Il luogo lo ha scelto lui, Massimo Carlotto, ed è il più scenografico per dire "sono tornato a vivere stabilmente qui". A Padova ci è tornato, senza sbandierarlo, da un anno, dopo il buen retiro di Cagliari. "In realtà non l'ho mai lasciata", si affretta ad aggiungere. Col cuore sicuramente no. Il corpo ha girovagato.

Qualcuno lo riconosce, gli stringe la mano. Sono lettori, o amanti del blues, altra sua passione. Nessuno allude alla sua vicenda, l'imputazione di omicidio, la controversa e infinita storia giudiziaria (vedi box nella pagina accanto): "Appartiene a un'altra epoca, la città se n'è dimenticata sono passati molti anni". E anche lui, da tempo, non si sente più il 'caso Carlotto'. È solo uno scrittore di noir in cerca di storie. E allora oltre alle radici, gli affetti (qui abitano ancora i genitori novantenni), c'è l'occasione professionale, il campo fertile dove raccogliere la messe di spunti per il suo personaggio, Marco Buratti, l'Alligatore, detective privato senza licenza e con un codice morale inconsueto, ma coerente. Perché, sostiene, "il Nordest è diventato mafiopoli, ci sono i clan venuti da fuori che dominano, fanno affari, nell'assoluto silenzio generale".

Il tema fa da sfondo al nuovo lavoro L'amore del bandito, in libreria dal 25 settembre, primo volume di una trilogia già chiara in testa. È l'ideale prosecuzione di Nessuna cortesia all'uscita (1999) dove c'era la mafia del Brenta, Felicetto Maniero, malavita arcaica e sorpassata. Non potendo competere sul piano militare coi nuovi arrivati dalle frontiere aperte dopo il crollo del Muro, Felicetto vendette la banda "come se fosse una fabbrica". Denunciò luogotenenti e manovalanza. Tutti in galera e fine del crimine nostrano. Si apre una nuova pagina, all'inizio più cruenta perché i "barbari" non hanno nessun interesse ad avere col territorio un rapporto di non belligeranza, ora più quieta perché i clan hanno fatto cartello, hanno imposto la loro pace per fare affari in tranquillità. Kosovari anzitutto, rumeni, ungheresi e colombiani. Si sono spartiti le aree di influenza: "Hanno deciso di farla finita con le rapine in villa, quelle che provocano allarme sociale e sollecitano l'intervento dello Stato". Così prosperano indisturbati.

Carlotto cita un rapporto dei carabinieri: "Dal passante di Mestre e dalla vecchia tangenziale transita quotidianamente la grossa fetta della merce illegale che invade la Penisola". Poco o nulla viene fermato. Un flusso ininterrotto che "qui trova un sistema economico che ha accettato e incorporato l'illegalità, che commercializza tutto il possibile". Se il Nordest ha resistito meglio alla crisi economica, è convinto, "è perché c'è stato un enorme investimento mafioso nel riciclaggio semplice e nel riciclaggio in attività pulite". Una denuncia forte. Ma le prove? Carlotto allarga le braccia e risponde come Pasolini: "Tutti lo sanno, è talmente evidente. Io lo so, ma non ho le prove". C'è un lavoro preparatorio, per i suoi romanzi, che ha molto a che spartire col giornalismo. E infatti chiama quella "fase dell'inchiesta ". Lo aiutano alcuni amici, semplici conoscenti gli segnalano per e-mail dei casi: "Solo che poi non ci sono indagini della magistratura, nessuno che dia l'allarme: guardate che viviamo in una terra mafiosa. Allora bisogna usare un altro mezzo, dirlo col romanzo altrimenti ti prendono come un visionario o come un pazzo".

La letteratura del vero può fare da supplenza, ma fino a un certo punto "questo è un gioco che i miei lettori hanno capito benissimo, ma non può continuare all'infinito". Ne L'amore del bandito c'è il magrebino che sta all'ultimo anello della banda, al servizio dei kosovari. C'è il capoclan che dai Balcani è andato all'estero, si è aggiornato, e ha il pragmatismo del manager. C'è il serbo che il business lo fa coi medicinali scaduti e sarà la nuova frontiera, dato che i clandestini avranno bisogno di curarsi in strutture coperte. Ci sono i poliziotti corrotti e contigui a quel sottobosco del malaffare che dovrebbero combattere. E c'è una donna boss misteriosa e crudele, Greta, come tante se ne leggono ormai nelle cronache: "Soprattutto nel mondo della prostituzione stanno ai vertici, hanno un ruolo da kapò". E allora è chiaro come i personaggi siano "strumenti per raccontare altro". Trovano (e troveranno) spazio nella trilogia temi come il mercato "della falsificazione e della certificazione" di cui gli immigrati hanno bisogno per poter entrare e vivere in Italia. Già funzionano a pieno ritmo laboratori sofisticati che forniscono qualsiasi documento con tanto di tariffario a seconda del grado di difficoltà: la malavita è da sempre la più flessibile quando si tratta di cogliere le opportunità che arrivano dalle leggi. E c'è spazio, naturalmente, per una diffusa sfiducia nei meccanismi ufficiali della legalità.

l'Alligatore Marco Buratti è uno che è stato in carcere ingiustamente e sa come vanno certe cose, sa come raggiungere un risultato scavalcando l'ortodossia del giudiziariamente corretto. Una concessione all'autobiografia? Carlotto né conferma né smentisce: "Non so. Non è esattamente così. Io vivo una dimensione generazionale, pesco dall'esperienza collettiva di un gruppo dove tutto è più ampio". E sembra una dichiarazione politica completata dall'affermazione orgogliosa: "Io continuo a essere quel ragazzo di Lotta continua". Funziona più o meno così. Da qualche parte arriva la suggestione per la trama. Lui comincia a pensarci, ne discute con gli amici dello Spazio Gershwin, luogo di Padova dove si ascolta musica e si lavora. Quando ha ancora una vaghissima idea del plot ne parla con Edoardo ?Catfish? Fassio, "il più grande conoscitore di blues in questo Paese". Questo gli prepara quattro cd da 20 brani che Massimo Carlotto sente mentre sta scrivendo. Per ?L'amore del bandito? l'ideale colonna sonora è ?I drink? di Mary Gauthier: "Se sono bravo, talvolta dal ritmo della scrittura quelli più avvertiti riconoscono il pezzo che stavo ascoltando in determinate pagine". Collettiva la preparazione ma individuale, ovviamente, la stesura. E accanto alla dimensione della denuncia civile c'è anche lo studio del mondo criminale. Il manifesto d'intenti, stavolta, è chiaro fin dal titolo: "Mi ha mosso l'idea, che volevo esplicita, che nel mondo della malavita i sentimenti contano, talvolta anche più degli interessi. Buoni e cattivi, tutti amano. I cattivi lo fanno cosi intensamente da ricorrere alla vendetta, anche feroce se sono stati colpiti negli affetti".

Tiene anche, Carlotto, a ribaltare un cliché proprio degli autori di noir: "Danno quasi tutti per scontato, nei polizieschi, l'inevitabilità del mondo criminale. È così, non ci possiamo fare niente. Anche se si fanno finali consolatori, dove il bene vince sul male, si accetta fatalisticamente che il male ci sarà sempre e comunque. Io voglio invece costruire all'interno del romanzo un meccanismo narrativo che porti alla rivolta, alla non accettazione delle regole imposte dalla criminalità. Come fanno il mio Alligatore coi suoi amici Rossini e Max la Memoria". Una ribellione che, nell'interfaccia perenne tra la sua fiction e la sua realtà, non sembra appartenere, però, a quella gente del Nordest che descrive assopita se non addirittura connivente con i clan. C'è da chiedersi allora perché il malaffare non provoca riprovazione sociale in Veneto, perché le coscienze si siano adagiate sull'ineluttabile accettazione di essere terra di mafia. Carlotto ha una risposta che suona almeno parziale: "Perché nessuno ne parla". E sarebbero gli effetti perversi, secondo lui, di un arricchimento arrivato troppo in fretta e non metabolizzato che ha prodotto, oltre alle vertigini, la paura di tornare a un passato di miseria: "Prendiamo gli imprenditori. Cosa hanno fatto? Hanno disseminato il territorio di capannoni e poi, dalla sera alla mattina, quando non gli serviva più, hanno traslocato in Romania. Adesso che nemmeno la Romania è più conveniente si spostano altrove".

Qualcuno potrebbe obiettare che quel sistema basato sull'individualismo ha portato il Nordest, in pochi anni, dalla povertà alla ricchezza. "Ma a scapito di troppe cose. Vedo della gente più ricca, non la vedo più felice. E si tratta di una ricchezza nata dalla fusione tra l'economia legale e quella illegale, dal lavoro nero". Definisce il Veneto "Galania", dal nome del governatore e avverte: "Attenzione la Regione sta varando un piano regolatore che prevede una strada ogni cinque metri. Un altro sacco del territorio che sarebbe insopportabile, metterebbe una pietra tombale sul nostro futuro. Solo che, ecco la novità, un po' dappertutto sono nati dei comitati, qui contro la camionabile, là contro uno svincolo. Questi comitati hanno prodotto 20 mila osservazioni che obbligano la Regione a rispondere ". In questa fibrillazione creativa e dal basso Carlotto intravede "l'inizio di una rivolta morale seria". Non proprio una protesta generazionale come negli anni Settanta basata sull'ideologia, ma una ribellione concreta, basata sulla prassi: "E del resto anche a quei tempi dicevamo che bisogna parlare con la lingua dello schiavo. Da qualcosa bisogna pur partire". Si scopre allora che lo scrittore di noir conserva in fondo al cuore la luce dell'ottimismo. La sinistra, in Veneto, sarà anche morta, come afferma ("e il centrosinistra pure"), molti di quelli che conosce non vanno più a votare per disillusione profonda, le mafie si sono radicate "e non hanno nessuna intenzione di andarsene". Però circola qualche idea, allo Spazio Gershwin si crea la musica, il teatro, la letteratura. Lo chiamano ovunque per parlare, non tanto e non solo dei suoi libri, ma di criminalità. Ci sono le opposizioni al piano regolatore. Crede di aver molte cosa da fare Massimo Carlotto, "altrimenti perché sarei tornato nella mia amata Padova?". Il suo contributo potrebbe essere, al solito, un libro. Ipotesi di titolo: ?Gli intoccabili?. Cioè il profilo di quelli, italiani e stranieri, che hanno stretto un patto scellerato per fare una vittima: il Veneto.

(17 settembre 2009)
da espresso.repubblica.it
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