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Autore Discussione: Un'assaggiatrice per il governatore Le "fissazioni" di Lombardo  (Letto 3331 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2009, 11:28:31 pm »

Sicilia: vetri blindati, superscorte, tic e manie.

Ossessionato da qualcuno che vuole fargli del male. E la fedele segretaria prova per lui il cibo

Un'assaggiatrice per il governatore Le "fissazioni" di Lombardo


di ATTILIO BOLZONI

 
PALERMO - Dicono che adesso la fedele Maria non sia più solo una preziosissima segretaria. Adesso fa qualcosa di davvero impagabile per il suo governatore: per lui, fa anche l'assaggiatrice. O è caffè o è pasta, è acqua o un involtino di pesce spada, lei prima sorseggia o mastica e poi abbandona ai piaceri della tavola un Raffaele Lombardo rassicurato e finalmente sereno.

Dicono che sia ossessionato da qualcuno che voglia fargli del male. Dicono che abbia paura di tutto. Oramai, anche del cibo. E' l'ultima mania del governatore della Sicilia, l'uomo politico più potente dell'isola, il più protetto, il più assillato dalla sicurezza sua, il più diffidente e irritabile ospite mai entrato nelle splendide sale di Palazzo d'Orleans, la sede della Presidenza della Regione. E a Palazzo d'Orleans, di queste cose parlano anche i muri.

Tutti raccontano da mesi e mesi delle "fissazioni" dell'ex democristiano che vuole fare la Lega del Sud mettendosi contro Alfano e Schifani, delle fobie, i tic, le nevrosi che accompagnano le sue giornate da quando è sbarcato da Catania a Palermo. E tutti sussurrano di quest'ultima sua angoscia del mangiare, sempre preparato dalle sicure mani della segretaria Maria Bonanno e - stando alle tantissime voci che circolano nel suo entourage - sempre assaporato dalla devota collaboratrice prima di finire in bocca al sospettosissimo governatore, una laurea in Medicina con tesi in psichiatria forense sul "nesso fra tradizioni popolari e costruzioni deliranti".

Una dieta controllata a vista dalla segretaria che è la sua ombra da quindici anni o una psicosi da avvelenamento, come pensa qualcuno? C'è un gran "curtigghiu", un grande chiacchiericcio a Palermo su questa e su tutte le altre paure del governatore. Anche perché Palazzo d'Orleans, negli ultimi tempi, è diventato un fortino.

Gli piace sentirsi al sicuro Raffaele Lombardo. E così ha fatto costruire un appartamento super corazzato nella foresteria del palazzo di governo. Poi ha trasformato la sua scorta in un piccolo esercito in movimento per le strade della Sicilia. Quattro Audi 6 blindate (due per turno) e due ammiraglie della Peugeot utilizzate per la "bonifica" dei luoghi dove ogni giorno è atteso. Il suo predecessore Totò Cuffaro, aveva solo due auto e 3 uomini a turno più un autista. E senza mai "bonifiche" del territorio. La rete di protezione intorno al nuovo governatore conta oggi 18 poliziotti impiegati ogni giorno, due turni anche per loro. Poi Lombardo ha cambiato all'improvviso il capo della sicurezza che era lì da molto prima dell'arrivo di Cuffaro ("Temeva che riferisse tutto a Totò", malignano in giro) e gran parte dei vecchi agenti.

Uno sconvolgimento. Mai un presidente della Regione aveva avuto tanta protezione. E mai un presidente aveva speso tanto per la sua sicurezza, nonostante la campagna sbandierata sui "tagli" dopo le follie dell'era cuffariana. Tagli annunciati e decisi dappertutto ma poco nella sua Catania e nelle province siciliane di sua influenza, una vistosa incoerenza che ha scatenato la rabbia di tanti alleati - nemici del Pdl. Qualcuno - per l'accanimento nell'accaparrarsi poltrone di sottogoverno e postazioni di potere in ogni angolo dell'isola - già lo chiama "Arraffaele".

La vita blindata del governatore non è la paura che gli provoca solo l'infida Palermo. Anche a Catania ha fatto ristrutturare e "rinforzare" l'ex palazzo dell'Ente sviluppo agricolo, che è il posto dove lui riceve come governatore quando è dall'altra parte della Sicilia. E' un edificio tutto vetri nel centro della città, vicino piazza Stesicoro. Proprio i vetri ha fatto sostituire Lombardo: li ha voluti tutti "anti sfondamento".
Un'ossessione per la sua sicurezza e un'altra ossessione per ogni riferimento diretta o indiretta alla morte. La vicenda risale a qualche mese fa, quando alcuni del Pdl presentarono in Senato un disegno di legge che prevedeva la continuazione della legislatura regionale anche in caso del decesso del governatore.

La reazione di Lombardo fu collerica: "Spieghino, i miei amici, quali rischi corro. Altrimenti la considero una minaccia di cattivo gusto". Ma l'elenco dei suoi tormenti non finisce con cibo e scorte e bunker. Più di una volta si è mostrato infastidito per il ticchettìo dei tacchi di una signora, più di una volta ha fatto una scenata a qualcuno che batteva ritmicamente una penna sul tavolo. "Raffaele non sopporta i rumori seriali", spiegano i suoi.

Testimoni riferiscono della "carta che si divora, interi fogli di formato A 4" durante le riunioni nel suo ufficio, dell'aria condizionata che non vuole neanche nei bollori estivi palermitani, dell'ascensore che deve prendere sempre da solo, della poltrona numero 1 lato corridoio che pretende per ogni volo, del caffè che deve preparare sempre una commessa e soltanto lei. Sennò il governatore non beve il caffè e va su tutte le furie.

(12 settembre 2009)
da repubblica.it
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Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Settembre 12, 2009, 11:30:21 pm »

12/9/2009
 
La verità non va in prescrizione
 

FRANCESCO LA LICATA
 
Puntuale come una bomba ad orologeria, è il tema caldo della mafia a far alzare la temperatura politica, ancor più del tormentone estivo degli scandali sessuali del premier. E’ bastata qualche indiscrezione giornalistica (anche incompleta e confusa) sulle nuove rivelazioni di due nuovi testi - il pentito Gaspare Spatuzza e il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino - per provocare la solita reazione furibonda di Silvio Berlusconi contro i magistrati «che mi vogliono incastrare». Il riferimento del presidente del Consiglio è rivolto ancora alle indagini sulle stragi mafiose del ’92 e del ’93 che lo hanno coinvolto (inchieste aperte e archiviate più volte), anche a traino delle vicende giudiziarie del senatore Marcello Dell’Utri, la più «compromessa» delle quali sembra proprio quella che lo vede condannato per mafia, in primo grado, a una pena di nove anni e mezzo.

Sembra, questo, un nervo scoperto destinato a provocare forti scosse ogni volta che l’argomento delle stragi torna alla ribalta. Lo dimostra il vasto schieramento, il vero e proprio fuoco di sbarramento, politico e mediatico, sceso in campo sulla scia delle forti dichiarazioni di Berlusconi. Una reazione a volte irrazionale, come quella di alcuni giornali che sono arrivati a ipotizzare una improbabilissima connection tra Milano e Palermo tutta nelle mani di due pubblici ministeri - Ilda Boccassini e Antonio Ingroia - che neppure la più fervida fantasia riuscirebbe a immaginare alleati su qualsivoglia progetto.

Eppure questa volta c’è qualcosa di diverso nel battage delle reazioni. Mentre la «guerra delle escort» ha offerto il quadro di una maggioranza compatta nella difesa del premier dagli attacchi dell’opposizione, il «ritorno della mafia» sembra aver provocato più di qualche sfilacciamento nel centrodestra. Ha cominciato il presidente Gianfranco Fini, criticato da «fuoco amico» per aver sottolineato, in contrasto con Berlusconi, la necessità di «ricercare sempre la verità». E una sorprendente copertura al lavoro della magistratura è arrivata ieri dal Guardasigilli: «Se vi saranno elementi per riaprire i processi sulle stragi - ha detto a Gubbio Angelino Alfano - i magistrati lo faranno con zelo e coscienza e siamo convinti che nessuno abbia intenzione di inseguire disegni politici, ma solo il disegno di verità».

Inguaribili scettici hanno già individuato nell’intervento del ministro il duplice obiettivo di «smarcarsi» dal premier in vista dell’incerto esito della prossima sentenza dell’Alta Corte sul cosiddetto «Lodo Alfano» e di mettere distanza tra la propria posizione e quella del senatore Dell’Utri (forse anche per via delle cosiddette «incomprensioni siciliane», rispetto all’alleanza locale tra Forza Italia e il governatore Lombardo).

Al di là dei cattivi pensieri, resta l’evidente solitudine di Berlusconi e Dell’Utri, appena alleggerita dalla solidarietà giunta dal presidente del Senato Renato Schifani, che così rompe un lunghissimo silenzio. Solidarietà che non sembra volersi spingere fino ad appoggiare la richiesta di istituire una Commissione parlamentare sulle stragi mafiose, avanzata da Marcello Dell’Utri. È comprensibile, nella logica del senatore (preoccupato che nuove accuse possano confluire nel processo d’appello «messo bene» e in via di conclusione), il tentativo di strappare una materia così incandescente alla gestione della magistratura per consegnarla a un Parlamento a maggioranza di centrodestra. Tuttavia non sembra un progetto semplice: in passato le Commissioni parlamentari sui fatti di mafia non hanno prodotto grandi risultati, e anche quando si è arrivati a importanti valutazioni le relazioni finali sono rimaste quasi sempre lettera morta. E, ancora, non è detto che all’interno della maggioranza esista un fronte favorevole a istituire una Commissione: non sono pochi i politici da non molto usciti indenni dal tunnel giudiziario che certamente non gradirebbero la graticola mediatica provocata da eventuali lavori parlamentari.

E allora? Forse sarebbe davvero il caso, come consigliano parecchi esponenti delle istituzioni, di «lasciar lavorare i magistrati». L’esigenza di una revisione delle vecchie inchieste non è nata per fini politici: gli stessi pm hanno tradito qualche remora prima di ubbidire al dovere che deriva dall’obbligatorietà dell’azione penale. I nuovi testi hanno descritto situazioni in cui imputati innocenti stanno in carcere e colpevoli sono in libertà. Il bene del garantismo, se non è interessato e di parte, impone uno sforzo per porre rimedio a errori del passato, se ve ne sono stati. Verità e giustizia non vanno in prescrizione, neppure in ossequio alla «ragion di Stato».

da lastampa.it
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