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Autore Discussione: PAUL SAMUELSON Saremo fuori dalla crisi nel 2011, forse  (Letto 1892 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2009, 11:41:08 am »

12/9/2009
 
Saremo fuori dalla crisi nel 2011, forse
 

PAUL SAMUELSON
 
L’ultima notizia che ci viene dalla Federal Reserve è che l’economia americana sta già, o presto lo farà, cessando di cadere. Si stabilizzerà. Ma questo che cosa significa? Non dice nulla su quanto velocemente l’America ritornerà verso i livelli del 2008, prima del disastro della recessione. La stessa Fed, e la maggioranza delle previsioni degli economisti, si aspettano una ripresa debole, in grado di far poco per ridurre la disoccupazione in Main Street. E ciò implica anche che nel futuro i consumi privati e gli investimenti delle imprese potrebbero essere anemici. Vorrebbe dire a livello globale che non ci sarà la replica della vecchia sceneggiatura in cui la locomotiva americana arrivava a salvare le economie depresse di tutto il mondo.

In quei bei tempi, quando l’America realizzava da sola quasi metà della produzione mondiale, era appropriato concentrarsi soprattutto sul ruolo dell’America nei confronti del resto del mondo. Quei giorni sono finiti per sempre. Oggi l’Unione Europea possiede una frazione del Pil mondiale uguale a quella degli Stati Uniti. E, naturalmente, bisogna fare i conti anche con le potenze emergenti, Cina e India.

Il prodotto lordo della Cina, a parità di potere d’acquisto, eccede già quello del Giappone. E se Pechino continuerà a crescere a velocità doppia rispetto alla media non passerà molto tempo prima che la Cina raggiunga la parità con l’America. Certo, anche quando ciò accadrà, il Pil pro capite dei cinesi resterà solo un quarto di quello degli americani, e probabilmente un terzo di quello dei giapponesi.

La mancanza di previsioni certe nella storia dell’economia è intrigante per uno studioso come me. Ecco solo un esempio folgorante. Sia la Francia che la Germania hanno fatto meglio durante l’attuale crisi che il resto dell’Unione Europea. Chi se lo sarebbe aspettato da due società in cui si lavora così pochi giorni all’anno, che devono confrontarsi con potenti sindacati? Ma quando una relativamente buona performance dell’economia si registra in Francia e Germania, l’euro si rafforza. E ciò fa soffrire l’Italia, la Spagna e i Paesi baltici (che hanno valute ancorate all’euro).

Uno sarebbe tentato di pensare che le locomotive francese e tedesca potrebbero tirare il resto dell’Ue fuori dalla crisi. Ma le statistiche ci dicono che sono stati i tagli all’import francese e tedesco a far finire la recessione nei due Paesi. L’economia è un’arte complessa.

Lasciatemi fare una previsione per il 2010 e il 2011, a livello globale e negli Usa. Primo, molto probabilmente, la ripresa negli Usa e all’estero, potrebbe essere forte, esattamente come è sempre stata normalmente, e particolarmente alla fine della stagflazione degli Anni Settanta. Un rimbalzo così forte renderebbe giustizia agli stimoli poco ortodossi usati dalle banche centrali e dalle casse statali contro il vecchio consiglio di «non interferire» del presidente Herbert Hoover (1929-1933), recentemente rispolverato da esperti liberisti come Milton Friedman.

La lunga indipendenza delle banche centrali, rivendicata dal presidente della Fed Ben Bernanke prima della crisi mondiale, è stata permanentemente indebolita dai piani di salvataggio. I tempi cambiano e noi dobbiamo cambiare con loro. Ma guardiamo piuttosto alla possibilità di una lunga stagnazione in cui persiste un ripiegamento cronico. Un buon esempio è il «decennio perduto» in Giappone, dopo l’esplosione all’inizio degli Anni Novanta della bolla immobiliare e di quella azionaria, una dopo l’altra. La squadra economica del presidente Obama non potrebbe tollerare uno scenario così fosco. E ricorrerebbe di nuovo a fondi pubblici per nuovi piani di salvataggio.

Ma questi gesti di disperazione sono esenti da rischi di future pressioni inflazionistiche? Naturalmente no. A un qualche livello la catena dei prezzi dell’energia potrebbe balzare verso l’alto. E, tra il 2010 e il 2015, la Cina e gli detentori di asset in dollari perderanno fiducia nel biglietto verde come valuta di riserva. La Cina, ma anche il Giappone, potrebbero essere indotti ad abbandonare i bassi tassi di interesse pagati dai titoli del Tesoro americano per diversificare i lori investimenti in portafogli globali. E i prezzi al consumo e alla produzione negli Usa sarebbero costretti a salire da questa corsa contro il dollaro.

Quale sarebbe il verdetto di una giuria di esperti scelti tra i votanti e tra i funzionari del governo? Il realismo mi costringe a dire che non ci sono via di uscita sicure. Ora, come sempre, sono inevitabili cambi dolorosi. Come cittadino e patriota sono solo grato che gli errori tragici del 1929-1933 sono stati evitati in questi tempi di reale sofferenza.

Copyright Paul Samuelson, distribuited by Tribune Media Service Inc.

da lastampa.it
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