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Autore Discussione: FRANCESCO DE GREGORI Viva l'Italia che onora i suoi padri  (Letto 2503 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2009, 11:40:03 am »

11/9/2009 - FRANCESCO DE GREGORI
 
Viva l'Italia che onora i suoi padri
 
Il cantautore riceve domani a Pieve Santo Stefano il premio «Città del diario» che festeggia i 25 anni prendendo in prestito «La storia siamo noi» 
 
 
GABRIELE FERRARIS
 
Signor De Gregori, penso che il premio che riceve domani a Pieve Santo Stefano sia un premio all’autore di canzoni della e sulla memoria; per dirne due, Bufalo Bill è la memoria di una vita, Rimmel la memoria di un attimo, di un amore, di una fotografia. E La Storia, Scacchi e tarocchi, brandelli della nostra memoria collettiva...

«Quando parliamo di memoria, parliamo in realtà di infinite memorie; c'è la memoria che ci consente di affrontare in scioltezza la Settimana Enigmistica, quella che ci mette ogni mattina in condizione di riconoscere la nostra faccia allo specchio, e quella che sta alla base di ogni forma d'arte, di ogni narrazione, eccettuate forse - e ripeto forse - la fantascienza e la fiaba. Certo, è facile dire che Bufalo Bill, o Rimmel, sono canzoni nate in qualche modo dalla memoria; ma mi chiedo se possa veramente esserci qualcosa di totalmente indipendente dalla memoria e dall'autobiografia nelle creazioni di qualsiasi artista».

Questo è evidente per la memoria personale. Ma non è autobiografia d’ogni individuo pure la Storia? La Storia siamo noi, no?
«Si dice comunemente che l’artista lavora sulla memoria, che se ne nutre. E’ senz’altro vero, e in realtà accade a tutti. Però la nostra memoria non si limita a fotografare i fatti, ma li rielabora in continuazione; ci accorgiamo di questo ogni volta che la memoria personale s'interseca con la memoria del mondo, con la Storia. La nostra generazione ormai ne ha vista tanta, di Storia. Woodstock e la caduta del Muro, l'uomo sulla Luna e il sequestro Moro, piazza Fontana e le Twin Towers e il Vietnam e la morte di Pasolini. Eppure i miei ricordi - e immagino pure i suoi - non coincidono mai del tutto con le ricostruzioni “ufficiali”. Esse a volte possono sembrarci addirittura fuorvianti proprio per un eccesso di “storicizzazione”: lo storico inserisce il fatto in un “contesto”, e lo legge con la coscienza del dopo; noi abbiamo invece vissuto quello stesso fatto senza tanti collegamenti, semplicemente c'eravamo; e dunque la nostra è una memoria individuale, un po' sconnessa: magari ricordiamo noi stessi in quel momento storico, più che il momento in sé».

Una memoria orgogliosamente non condivisa né condivisibile.
«La memoria soggettiva - e quella dei diari, di cui si occupa il premio che ricevo, è la più soggettiva fra le memorie - è interessante proprio perché scompagina ogni oggettivizzazione del passato: nel diario un individuo scrive un pezzo della sua storia, e della Storia attorno a sé, col suo linguaggio, dall'alto o dal basso della sua cultura, con dichiarata parzialità, implicitamente affermando e rivendicando la non oggettività dell’operazione. Il contrario di ciò che si pretende dalla storiografia, che giustamente diffida dell'attendibilità delle testimonianze personali».

Lo storico dovrebbe, dicono, dare garanzie di oggettività...
«Lo storico ha certamente dei doveri di obiettività, ma il mondo è sempre oggetto di interpretazione, mica lo scopriamo noi oggi pomeriggio! E credo che questo debba valere anche per gli storici, in una certa misura. E ogni interpretazione, in quanto soggettiva, può essere sgradita a qualcuno. Prenda un esempio “leggero”, Woodstock. Se si prova a uscire da tutta quella retorica sul potere dei fiori e dei tre giorni di pace amore e musica e dire, che so, che Woodstock fu anche un formidabile spot pubblicitario per il consumo di droghe, ecco che già lì qualcuno si potrebbe offendere e si rischia di essere etichettati come “di destra”».

Ho presente... E mi vengono in mente idee che non condivido...
«E questo accade con qualcosa di lieve. Ma sostituiamo a “Woodstock” altre parole. Ad esempio “resistenza”. O “fascismo”...».

Ed eccoci al revisionismo. Ho idea che ci stiamo cacciando in un ginepraio...
«La parola revisionismo è in effetti rischiosa. Ma è davvero negativa? Mi sembra ovvio che la Storia sia “revisionabile”.  Secondo lei sarebbe possibile, ad esempio, scrivere oggi un libro sulla Rivoluzione francese basandosi soltanto sui materiali - documentari e ideologici - di cui si disponeva ad inizio secolo? Lo storico deve sentire in sé la necessità di rinnovare il proprio archivio, anche intellettuale. E quanto all'oggettività assoluta, o è una pura chimera oppure è qualcosa di più pericoloso, è il tentativo di inventare una Storia paradigmatica, ispirata alle esigenze dei gruppi dominanti. Che cosa c'è di più “oggettivo” delle fotografie dell'epoca stalinista “epurate” con un fotomontaggio dei personaggi caduti in disgrazia?».

La Storia la scrivono i vincitori, o quelli che sanno scrivere: la brutta fama di Nerone dipende da Tacito e Svetonio, che stavano all'opposizione e sapevano scrivere. Però oggi possiamo dire che Nerone non era così fetente, e non urtiamo nervi scoperti; ma se ci occupiamo di fatti e persone più vicini a noi...
«Certo, la revisione della Storia può spiazzare, disturbare: sono convinto che perfino una rivalutazione eccessiva di Nerone ancora oggi potrebbe dispiacere a qualcuno. E c'è chi si è irritato per Il cuoco di Salò, probabilmente senza ascoltare la canzone, solo perché vi si narra del periodo repubblichino con un linguaggio non troppo allineato alla lettura tradizionale della Resistenza, a quella che De Felice chiamava “la vulgata resistenziale”... Ma di fatto, quanto più ci avviciniamo all'oggi, tanto più è difficile una storiografia oggettiva: i dati in nostro possesso cambiano velocemente, non sono ancora stabilizzati e sono diciamo così, “inquinati” dalle polemiche contemporanee».

Il pensiero corre a «Si atteggia a Mitterrand ma è peggio di Nerone», celebre ritratto di Craxi in una sua canzone del ’93.
«Ho già detto anni fa che oggi non riscriverei quei versi su Bettino Craxi, perché mi sono reso conto che è stato comunque un politico intellettualmente superiore a molti di quelli di oggi, uno che almeno una visione ed un progetto di rinnovamento ce l'aveva... Ma un conto è ripensare il passato alla luce dell'oggi, altro è abbellire i propri ricordi fino a cancellare, magari in buona fede, tutto quello che non ci piace più... Chissà però se davvero è sempre negativo tutto ciò. C'è una mia vecchia canzone, Gesù Bambino e la guerra, dove un bambino dice “quando questa guerra sarà finita, fa’ che non la ricordi nessuno”. A volte non ricordare tutto può essere un bene. La nostra memoria biologica funziona così, del resto: è capace di rimuovere i traumi e in generale di minimizzare le cose sgradevoli».

E' giusto dimenticare, allora? Ho sempre pensato che la memoria storica è l'anima di un popolo... Invece, oggi ci sono pure quelli che si innervosiscono al solo pensiero di commemorare l'Unità d'Italia. Stiamo diventando per davvero un paese «senza più padri da ricordare», e quindi senza neppure figli da rispettare.
«Sarebbe bello se si potessero dimenticare le guerre, o le stragi. No, in realtà la memoria collettiva è qualcosa da cui una società non può prescindere. Come la memoria personale di ciascuno di noi, del resto: quando per età o malattia perdiamo la memoria se ne va anche ogni nostra sicurezza, ogni capacità di orientamento nel futuro. Proprio per questo l'Italia è un Paese che ha bisogno di ogni briciola della sua memoria. A patto che questa memoria non diventi rituale, che non si svuoti di significato, che non diventi materiale inerte. A patto che si celebri il 25 Aprile in quanto lo si riconosce come momento fondante - e unificante - della nostra democrazia, e non come semplice occasione di scontro politico dove ancora una volta il problema si riduce a essere pro o contro Berlusconi. Ma veramente gli italiani sono morti per questo? Non mi piace la memoria storica brandita come una clava contro l’avversario politico. I fischi e le contestazioni ai rappresentanti del governo (di qualunque governo, si badi bene) che si ripetono a Bologna ogni 2 di agosto non mi sembra che aiutino una riflessione collettiva, né che valgano a consolare il lutto di una città e di un Paese».

In Italia manca una memoria storica condivisa.
«Mi domando - ma non lo so - se sia lo stesso altrove, se - per dire - in Francia sia ancora così feroce il dibattito su Vichy, se in Spagna si usi l'aggettivo franchista con la stessa prodigalità con cui nel nostro dibattito politico si usa quello di fascista. Molte vecchie categorie resistono ancora oggi nel nostro bagaglio culturale, e ciò non contribuisce né a rasserenare gli animi né ad alimentare una discussione seria sulle prospettive di questo Paese. Però avere una memoria condivisa non vuol dire che si debba anche accettare come una fatalità il mistero che avvolge fatti come la strage di Bologna, appunto, o Piazza Fontana, quando a distanza di decenni non è emersa ancora nessuna credibile verità giudiziaria. Ma questo ha poco a che vedere con i diari e la memoria dei singoli, e anche con la memoria degli artisti, quella che trasfigura la realtà eppure forse la racconta meglio della cronaca».

Le cose più definitive sulla Resistenza le ha scritte Fenoglio...
«Appunto: l’artista può “narrare” meglio di altri la verità storica, proprio perché la può, in qualche misura, inventare. A questo servono un quadro come Guernica o un libro come La storia di Elsa Morante, questo è il patto che un artista sottoscrive col pubblico, e tanto più rispetta questo patto quanto più riesce a emanciparsi dal ruolo di notaio della memoria prevalente... O di grillo parlante. Un artista dovrebbe avere ali, o almeno trampoli, che gli permettano una visione diversa da quella scientifica, ma non per questo meno essenziale».

Però questo assolve l'artista da ogni responsabilità: viene facile dire le peggiori cose, con il pretesto dell'arte. Passi il revisionismo, ma non vorrei arrivare a giustificare il negazionismo... Magari Ahmadinejad si considera un artista...
«Gli artisti non hanno la pretesa di scrivere i manuali di storia, e anche chi, come me, considera Céline un grande scrittore si guarda bene dal condividerne automaticamente le idee. Ma credo che anche uno studioso serio debba in qualche misura diffidare dal concetto di verità storica assoluta. Quanto al negazionismo, ci è odioso come la Donazione di Costantino o i Protocolli dei savi di Sion. E’ un falso storico che alimenta altre falsità: e tanto basti alle persone mediamente colte, per bene e di buon senso. Ma è anche vero che nella ricerca storiografica recente non devono esistere zone intoccabili, il politicamente corretto non deve mai prevalere sul rigore scientifico e sull'onestà intellettuale. Tornando, se permette, a cose più futili, penso a Bob Dylan che per scrivere la sua autobiografia è andato in giro a chiedere agli altri cosa si ricordavano di lui. Non so se poi ha scritto proprio tutto quello che gli hanno raccontato ma trovo che il suo sia stato un approccio fra i più onesti a una rivisitazione di se stesso. Ecco un’altra cosa straordinaria della memoria: della tua memoria non sempre ti puoi fidare, e allora diventa preziosa quella degli altri».

Ancora la memoria selettiva...
«La memoria selettiva è un grande dono per gli uomini: un computer lavora per accumulo, ciecamente, finché è pieno, mentre l'uomo continua all'infinito a selezionare i ricordi e ad organizzarli secondo criteri suoi, profondi e misteriosi. E’ una cosa straordinaria. E' questo che rende la vita una cosa poetica, è questo che ci consente di raccontarla. Nemmeno il più grande degli scienziati avrebbe potuto inventare un meccanismo così perfetto».

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 12 settembre)
da lastampa.it
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