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Autore Discussione: MIKE  (Letto 5670 volte)
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« inserito:: Settembre 09, 2009, 11:40:11 am »

9/9/2009


Così finisce la vecchia televisione
   
ALESSANDRA COMAZZI


Mike c’era quando la tv arrivò in Italia, e «Lascia o raddoppia?», il quiz che fermava il Paese, lo presentava lui. C’era quando la tv voleva educare l’Italia e uno dei programmi-simbolo di questa fase orgogliosamente didattica, «Il Rischiatutto», lo presentava lui. C’era quando la tv diventò commerciale e nessuno come lui era bravo a vendere prosciutti, grappe o gestori telefonici. C’era quando la tv generalista cominciava a trascolorare nella nebbia della crisi. Dimostrava, con i fatti, con l’idea del «RiSKYtutto» di credere nella rivoluzione tematica. Ora la sua morte è altamente simbolica, la pietra tombale della tv generalista.

Mike, alla faccia di Umberto Eco, era intelligente, preparatissimo, quasi geniale nel capire l’aria dei tempi e gli umori del pubblico. Era anche un gentiluomo che sopportava, sia pure impazientemente, le persone moleste: come me, che nel periodo del passaggio a Sky sì o no, gli telefonavo quasi tutti i giorni, una «fissa», come diciamo noi in redazione. Per chiedergli se era vero che Piersilvio non lo voleva più, che Silvio invece lo voleva ancora ma non comandava più e se davvero avevano fatto pace davanti a una minestrina. «Vede, signora...», rispondeva educatamente, ma negava sempre tutto. Che tempra.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 09, 2009, 11:40:55 am »

Tormentoni e figuracce hanno caratterizzato la carriera di Bongiorno

Alcune vere, altre inventate, come quella famosa "caduta sull'uccello"

Dalla Longari al sub-normale il mito delle gaffe di Mike


di ALESSANDRA VITALI


LA prima fu, probabilmente, un caso. Poi lui, intrattenitore di razza, seppe tradurre quel vizio in cifra stilistica. I suo detrattori le usarono come pezze d'appoggio per dimostrare la sua presunta ignoranza. Il pubblico le amò, per sempre. Le gaffe di Mike Bongiorno, scomparso oggi a 85 anni, sono diventate tormentoni. Che si aggiungono ad altre frasi, battute, slogan intramontabili da decenni. A cominciare dalla formula di rito con cui Mike apriva i suoi programmi, quell'"Allegria!" che tanto piaceva al pubblico italiano di metà anni Cinquanta, chiamato a scoprire una televisione diversa, i milioni in bianco e nero, la guerra alle spalle, una vita nuova di lì a pochi anni.

Tormentone divenne anche lo slogan che Mike pronunciava in un celebre spot di una grappa, "Sempre più in alto", arrampicato sul Cervino in assetto da scalata, altra sua grande passione che lo portò, a 77 anni, a partecipare a una spedizione al Polo Nord. Ma quel che più s'è fissato nell'immaginario popolare sono le gaffe. Costanti, ripetute, una certezza. Alcune sono leggende, altre vere e documentate.

Ad esempio, nasce probabilmente dalla parodia di Rischiatutto, che Renzo Arbore fece in L'altra domenica, la storica battuta (in realtà mai pronunciata) sulla signora Longari, la concorrente che sbagliò la risposta a una domanda e - si narra - fu rimbrottata con un "ahi ahi ahi signora Longari, mi è caduta sull'uccello".

E se la tv di Stato meno perdonava gli scivoloni, fu con l'approdo all'allora Fininvest che Mike poté scatenarsi. Tant'è che le gaffe più frequenti sono quelle che contengono allusioni sessuali, talvolta grossolane, da avanspettacolo, ma di sicura presa sul pubblico. "Cos'è quella cosa lì che ti pende in mezzo alle gambe", disse una volta a un concorrente che indossava una vistosa cintura. "Abbiamo Romina Power che ce la fa vedere", disse introducendo un filmato. E in questo modo, a La ruota della fortuna, una volta rimproverò il giudice Tortorella (alludendo al gioco di carte, ma con tutt'altro esito): "Lo so che sei dietro a quel bancone a farti i solitari".

Fra le gag più buffe, quando gli capitava di leggere anche la risposta alla fine della domanda. O quando chiedeva - e capitò più volte - a una concorrente notizie del marito e si sentiva rispondere "veramente sono vedova". O gli errori di lettura. "Ma chi sarà questo signor Paoli Vi del quale non ho mai sentito parlare?", si chiese leggendo una domanda in cui si citava in realtà Papa Paolo VI. E non ebbe alcun dubbio a pronunciare "Pio ics", leggendo il nome di Papa Pio X. E ancora: "Un signore anziano sulla cinquantina" ("non mi chiami anziano", replicò indispettito il concorrente a Rischiatutto); "abbiamo qui Sharon Rampin... sei inglese?" "No, sono veneta, Rampìn".

Ed è lo stesso Mike a ricordare con gusto, nella sua autobiografia La versione di Mike, un altro episodio, a Rischiatutto: Enzo Bottesini, in gara, cameraman specializzato in riprese subacquee, gli disse: "Mike, so che lei è un sub eccezionale". E lui replicò: "No, sono un sub normale". Anche in questo, come scriveva Eco nella sua Fenomenologia di Mike Bongiorno, sta il grande successo di SuperMike: "Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo. E il pubblico lo ripaga, grato, amandolo".

(8 settembre 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 09, 2009, 11:41:50 am »

La grandezza della mediocrita.

Così avrà l'eternità televisiva

di Luigi Manconi


Sarebbe interessante chiedere a Umberto Eco quali fossero le sue intenzioni quando, nel 1961, scrisse quella Fenomenologia di Mike Bongiorno, tanto citata quanto poco letta. Di quel testo si ricorda il succo essenziale: Mike Bongiorno come trionfo della mediocrità nazionale e destinatario di un transfert collettivo tale da rassicurare gli italiani, che si rispecchiavano nel suo inarrivabile pressapochismo e nella sua straordinaria propensione alla gaffe e all’insipienza (nel senso letterale del termine).

Si può escludere che l’intento di Eco fosse derisorio e tanto meno snob: oggi, sì sarebbe sgangheratamente snob scrivere la Fenomenologia di Carlo Conti (non c’è trippa per gatti), ma quel saggio, all’epoca, costituiva un acuto tentativo di decifrare gli orientamenti e i consumi di massa. Dunque, il suo scopo era proprio quello di individuare le radici di un successo popolare e di un processo di identificazione collettiva in una delle prime star mediatiche della storia nazionale. Eco lo faceva con crudele acume, ma non poteva immaginare di contribuire, con ciò, a costruire un mito e a consegnarlo all’Eternità, sia pure quella - alla resa dei conti - effimera delle teche televisive.

Bongiorno, interpellato su quel saggio, inizialmente tradì una certa irritazione, ma ben presto lo assimilò come una parte nobile di sé, come contributo prestigioso alla sua Grandezza Nonostante, come riconoscimento che il nemico in rotta (la cultura accademica) tributava al vincitore (la sottocultura televisiva). Di più: pochi conoscono (e ancor meno hanno letto) il Trattato di semiotica generale di Eco, moltissimi hanno sentito parlare di quella Fenomenologia. E qui sta il paradosso: il consumo televisivo analizzato da Eco si ribella al suo analista, lo avviluppa e lo inghiotte, per restituirlo un po’ «bongiornizzato». Per molti, Eco diventa, così, «quello di Mike Bongiorno», quasi una sua creatura, se non una sua bizzarra invenzione: una delle domande di un suo quiz, anch’essa formulata con qualche termine errato e mostrando candidamente di non aver la minima idea di cosa si tratti.

Si tenga conto del periodo: dal 1954 alla fine degli anni ’60. È fin troppo facile dirlo ora,ma davvero la tv funzionò come agenzia di unificazione del «carattere nazionale», nei suoi molti vizi e nelle sue poche virtù, come poche altre (la scuola dell’obbligo, la leva militare, la chiesa cattolica): e di unificazione del suo linguaggi . Lo fece attraverso, sì, i suoi programmi formativi (si pensi a Non è mai troppo tardi) e la sua grande narrazione, (gli sceneggiati e la trasposizione di opere letterarie): ma lo fece anche attraverso quel flusso linguistico omogeneo, che si diffondeva nelle case degli italiani, superando isole dialettali e barriere comunicative. Certo, si formò una neo-lingua, spesso slabbrata e quasi sempre sciamannata, ma all’interno di quella nuova oralità si uniformarono e si raffinarono le competenze linguistiche degli italiani.

In quel processo di trasformazione della comunicazione nazionale, ebbero un ruolo tutto particolare i programmi a quiz, la grande innovazione importata dagli Stati Uniti. I quiz galvanizzarono la platea popolare, crearono personaggi e miti (alcuni ritiratesi dignitosamente, altri diventati semplicemente pazzi, altri ancora ridotti a macchietta), suscitarono un clima di interesse intorno a un’idea di cultura ridotta a fac-simile della settimana enigmistica, a bignami dell’erudizione istantanea e tascabile, a sfoggio di memoria da manuale. Per Mike Bongiorno, la successione di risposte esatte costituiva una sorta di Ascesi verso la Perfezione e, insieme, la prova provata che quell’itinerario virtuoso era accessibile a tanti («E lei, cosa fa nella vita? Ah, fa il postino, e come mai conosce tante cose difficili?»): qualcosa come un rito di democratizzazione della cultura, celebrata davanti a un popolo che si voleva incolto e ammirato, officiato da un cerimoniere altrettanto stupefatto, pronto tuttavia a mortificare, fino al dileggio, chi risultasse sconfitto («ma lei non ne azzecca una! Eppure era una domanda facile facile»). Questo era il Bongiorno della Rai Radio Televisione Italiana. Poi arrivò il Biscione e Bongiorno ne fu simbolo, testimonial, ideologo suo malgrado. Ma era già un’altra storia. Era Bongiorno che interpretava la maschera di Bongiorno. Come tutti i grandi comici, ha dato il meglio di sé quando recitava senza copione, quasi senza regia. Come molti grandi comici, è diventato poi maniera di se stesso.

09 September 2009
da unita.it
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 09, 2009, 11:43:09 am »

Intervista a Fabio Fazio: «Lo stupore della televisione, questo è stato per gli italiani»



Pareva immortale, Mike. Anche Fabio Fazio, l’uomo che ha cambiato il nostro sguardo sulla televisione del passato - addolcendolo, e «postmodernizzandolo», ironicamente - sembra incredulo.

«Mi manca una persona che mi voleva molto bene e a cui volevo molto bene».

Fazio, cos’è che rendeva Mike diverso da tutti gli altri?

«È lui ad aver aperto le trasmissioni in Rai, nel ‘54.È stato il primo a dare il via alla televisione pubblica, il primo ad aver dato il suo volto alla tv commerciale, il primo dei grandi ad andare a Sky.Una serie di record imprendibili: lui era la televisione, lo è stato nel momento stesso in cui l’Italia scopriva la televisione. Lui è tutt’uno con la scoperta della tv».

Un po’ come fosse stato il primo uomo sulla Luna...

«Quella carica di significato non può tornare più: in effetti, Mike ha rappresentato fisicamente lo stupore che il paese provò per l’arrivo della tv. È un livello per il quale non stiamo più parlando di televisione, ma di costume. Di tutto ciò lui era l’archetipo, l’originale di un’opera d’arte, il primo dagherrotipo».

Bongiorno ne sembrava in qualche modo conscio: si è reinterpreato», per esempio negli spot con Fiorello, un po’ alla maniera di Andy Warhol...

«Esatto. Ha rappresentato un’opera d’arte pop più di chiunque altro in Italia. Un gusto che ha importato in Italia dall’America: non
so dire quanto consapevolmente, ma lui lo impersonava alla perfezione. C’è però anche un’altra cosa che mi preme dire...».

Prego.

«Mike Bongiorno ha svolto tutta la sua attività all’insegna di una grande onestà intellettuale e umiltà: quelle cose per cui talvolta faceva ridere, quell’ingenuità, quel candore, quella è una forma autentica di onestà. Una qualità rara: quasi mai ho conosciuto una persona così generosa nei confronti degli altri, dei colleghi e degli amici. E poi l’umiltà. “Ricordati che noi dipendiamo dai direttori” diceva di continuo, e ripeteva che non bisogna mai montarsi la testa: non ha mai dimenticato le sue origini, e non ha mai dismesso la meraviglia di essere diventato Mike Bongiorno».

09 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 09, 2009, 11:44:10 am »

Inventò Berlusconi e ne fu risucchiato

di Oreste Pivetta


Per il più grande presentatore televisivo italiano non sarà un azzardo citare il più grande intellettuale italiano del dopoguerra, Pasolini, il quale aveva capito dove avrebbe potuto condurci il bravo Mike, magari in assoluta buona fede, con l’idea di aiutarci, lui che veniva dall’America e che aveva conosciuto il progresso. Pasolini l’aveva scritto: il Vaticano avrebbe fatto meglio a censurare "Carosello", cioè la pubblicità ai tempi d’oro di Mike Bongiorno, perché «è in Carosello, onnipotente, che esplode in tutto il suo nitore, la sua assolutezza, la sua perentorietà, il nuovo tipo di vita che gli italiani devono vivere». E sottolineava per bene «devono». Cioè, mentre infuriava, forse, la lotta di classe, Mike e Pier Paolo, il primo con verve pragmatica, il secondo con tensione critica, avevano intuito che l’orizzonte si stava schiudendo al nuovo idolo: il consumismo. Mike aveva capito che i soldi fanno la felicità, i soldi come «luogo» di rapido scambio, come vuole una società moderna, i soldi per la macchina, per il vestito, per tutto il superfluo venuto dopo. Alla maniera di ogni self made man vi dimostrava che con il lavoro assiduo (lo studio degli insetti non chiede un lavoro assiduo?) ci sareste potuti arrivare anche voi.

Bongiorno predicava non le virtù dell’azzardo, ma una sorta di etica collettiva del sapere. Era un popolo di virtuosi, per quanto «mediocri», quello che coltivava, ma la contraddizione era appena dietro l’angolo: il consumismo che appena s’allarga, come s’è visto, cancella le virtù. Con ben altra retorica Pasolini riassumeva: appunto perché perfettamente pragmatica, la propaganda televisiva rappresenta il momento qualunquistico della nuova ideologia edonistica del consumo... ti imponeva il modello con insuperabile efficacia. «Se al livello della volontà e della consapevolezza la televisione in tutti questi anni è stata al servizio della dc e del Vaticano, al livello involontario e inconsapevole essa è stata al servizio di un nuovo potere, che non coincide più ideologicamente con la dc e non sa più che farsene del Vaticano»: Pasolini sapeva vedere lontano. Mike Bongiorno si ferma: coglie la via, firma il successo, ma resta un uomo di famiglia. Una volta, per dar prova della sua onestà, svelò che lui assaggiava tutti i prosciutti che reclamizzava. È sempre stato un utilizzatore primario: inventore della televisione, inventore dei quiz, della pubblicità, alla fine inventore di una televisione che diventava solo uno spazio pubblicitario per vendere prodotti, una cornice allo shampoo o allo yogurt fluidificante. La verità è che Mike Bongiorno s’era inventato pure Berlusconi, ma non ne aveva colpa. Berlusconi, essendo per natura un utilizzatore finale, cioè quello che fa il furbo con le idee degli altri, lo accolse tra le sue reti e tirò le somme.

L’ultimo grande Mike è stato quello dei duetti con Fiorello: aveva capito che non si può barare con gli anni (al contrario del suo presidente). Sempre per la pubblicità. Chiudeva la sua parabola, credendo d’aver vinto: ma il suo consumismo bonario, quasi paterno nella convinzione che in fondo tra un quiz e un siparietto si potessero educare gli italiani, persino un poco austero, era alle spalle. Davanti se n’era materializzato un altro, vorace, onnivoro: dal fiordilatte alla politica, mescolando, usando, al servizio del consumista capo che vuol sempre prendersi tutto...

08 September 2009
da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 09, 2009, 11:44:56 am »

Mike spinse gli italiani verso la cultura

di Angelo Guglielmi


Quella di Mike Bongiorno è stata la Rai per bene, prima in radio con il Motivo in maschera e poi in televisione con Lascia e raddoppia: Mike Bongiorno ha sfidato gli italiani a chi sapeva di più (a chi era il più bravo), sfida che andava al di là della semplice gara giacché nell’Italia che usciva della guerra tornare a celebrare l’importanza del sapere (anche quello mnemonico) era cosa degna di rispetto. Significava tornare a conquistare la normalità e per una strada non indegna che era la cultura pur nella sua specie essenzialmente nozionistica.

I suoi quiz servirono a scoprire le virtù della provincia italiana così ricca di personaggi non comuni che lontani dalle suggestioni metropolitane coltivavano passatempi nobili collezionando senza dimenticarne uno i nomi dei personaggi femminili della Commedia di Balzac (e sono migliaia!) e quelli dei giocatori di un campionato di trenta o quaranta anni fa. E non basta; quanti italiani per potere partecipare alle sfide di Mike avevano ripreso in mano vecchie enciclopedie (o comprate di nuove) passando notti su notti a studiare nomi e struttura dei cerchi del Purgatorio di Dante o gli ingredienti presenti nei minerali più rari! E così per tutta la vita Mike non rinunciò a questa sorta di missione se pur trapassando e appassionandosi alle tematiche più diverse.

Mike è stato per tutta la vita il suo quiz. Tanta perseveranza da dove gli veniva? Certo dal successo che la sua trasmissione incontrava ma il suo attaccamento e la sua passione non diminuì anche quando dopo decenni quel successo cominciò a perder colpi. La cosa poteva dispiacergli ma non distoglierlo. Mike era un americano, pragmatico e minimalista come sono gli americani se pur all’interno di un orizzonte di ambizioni alte e di preteste ingenue ma umanamente apprezzabili. Era un uomo onesto se pur nella sua elegante fatuità e troppo sicura coscienza di sé.

Lo abbiamo visto piangere di fronte alle disgrazie private e inferocirsi sinceramente quando i concorrenti tentavano di ingannarlo. La sua normalità era quella di un uomo non comune che trova in se stesso la forza di riconoscere i suoi limiti. Ora che è morto gli spettatori italiani (che lo hanno abbandonato e non da oggi) si accorgeranno di doverlo rimpiangere e non per le sue
trasmissioni che da anni hanno abbandonato ma per la sua rettitudine, per la sua figura nobile e insieme ridicola, per la sua autenticità antiquata e sincera.

09 September 2009
da unita.it
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« Risposta #6 inserito:: Settembre 12, 2009, 11:41:33 pm »

Da: Umberto Eco, “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, in Diario Minimo, 1961.


Il caso più vistoso di riduzione del superman all’everyman lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna.

Idolatrato da milioni di persone, quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.

Per capire questo straordinario potere di Mike Bongiorno occorrerà procedere a una analisi dei suoi comportamenti, ad una vera e propria “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, dove, si intende, con questo nome è indicato non l’uomo, ma il personaggio.

Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all’ambiente. L’amore isterico tributatogli dalle teen ager va attribuito in parte al complesso materno che egli è capace di risvegliare in una giovinetta, in parte alla prospettiva che egli lascia intravvedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese.

Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla.

In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo. In tal senso (occorrendo, per essere colto, aver letto per molti anni molti libri) è naturale che l’uomo non predestinato rinunci a ogni tentativo.

Mike Bongiorno professa una stima e una fiducia illimitata verso l’esperto; un professore è un dotto; rappresenta la cultura autorizzata. È il tecnico del ramo. Gli si demanda la questione, per competenza.

L’ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L’uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio.

Mike Bongiorno ha una nozione piccolo borghese del denaro e del suo valore («Pensi, ha guadagnato già centomila lire: è una bella sommetta!»).

Mike Bongiorno anticipa quindi, sul concorrente, le impietose riflessioni che lo spettatore sarà portato a fare: «Chissà come sarà contento di tutti quei soldi, lei che è sempre vissuto con uno stipendio modesto! Ha mai avuto tanti soldi così tra le mani?».

Mike Bongiorno, come i bambini, conosce le persone per categorie e le appella con comica deferenza (il bambino dice: «Scusi, signora guardia…») usando tuttavia sempre la qualifica più volgare e corrente, spesso dispregiativa: «Signor spazzino, signor contadino».

Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d’Aramengo bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa (sic).

Oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate.

Elargendo denaro, è istintivamente portato a pensare, senza esprimerlo chiaramente, più in termini di elemosina che di guadagno. Mostra di credere che, nella dialettica delle classi, l’unico mezzo di ascesa sia rappresentato dalla provvidenza (che può occasionalmente assumere il volto della Televisione).

Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a tendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi o parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale e farebbe la gioia di un neopositivista. Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui.

Non accetta l’idea che a una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti. Nabucco e Nabuccodonosor non sono la stessa cosa; egli reagisce di fronte ai dati come un cervello elettronico, perché è fermamente convinto che A è uguale ad A e che tertium non datur. Aristotelico per difetto, la sua pedagogia è di conseguenza conservatrice, paternalistica, immobilistica.

Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l’interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione.

Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulle stranezze dello scibile (una nuova corrente di pittura, una disciplina astrusa… «Mi dica un po’, si fa tanto parlare oggi di questo futurismo. Ma cos’è di preciso questo futurismo?»). Ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire anzi il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse.

Di tutte le domande possibili su di un argomento sceglie quella che verrebbe per prima in mente a chiunque e che una metà degli spettatori scarterebbe subito perché troppo banale: «Cosa vuol rappresentare quel quadro?». «Come mai si è scelto un hobby così diverso dal suo lavoro?». «Com’è che viene in mente di occuparsi di filosofia?».

Porta i clichés alle estreme conseguenze. Una ragazza educata dalle suore è virtuosa, una ragazza con le calze colorate e la coda di cavallo è “bruciata”. Chiede alla prima se lei, che è una ragazza così per bene, desidererebbe di­ventare come l’altra; fattogli notare che la contrapposizione è offensiva, consola la seconda ragazza mettendo in risalto la sua superiorità fisica e umiliando l’educanda. In questo vertiginoso gioco di gaffes non tenta neppure di usare perifrasi: la perifrasi è già una agudeza, e le agudezas ap­partengono a un ciclo vichiano cui Bongiorno è estraneo. Per lui, lo si è detto, ogni cosa ha un nome e uno solo, l’artificio retorico è una sofisticazione. In fondo la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provo­cazione; la gaffe (in cui Bongiorno eccelle, a detta dei critici e del pubblico) nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l’uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell’ambito di una etichetta omologata dall’ente trasmittente e dalla nazione in ascolto.

Mike Bongiorno gioisce sinceramente col vincitore perché onora il successo. Cortesemente disinteressato al perdente, si commuove se questi versa in gravi condizioni e si fa promotore di una gara di beneficenza, finita la quale si manifesta pago e ne convince il pubblico; indi trasvola ad altre cure confortato sull’esistenza del migliore dei mondi possibili. Egli ignora la dimensione tragica della vita.

Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello.

Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.

da espresso.repubblica.it
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