Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Agosto 30, 2009, 08:54:29 am » |
|
30/8/2009
Il Kennedy che ebbe tempo BARACK OBAMA
Oggi siamo qui per dire addio al figlio più giovane di Rose e Joseph Kennedy. Il mondo ricorderà a lungo Edward come l’erede di un lascito pesante; il protettore di chi non ne aveva alcuno; l’anima del partito democratico; il leone del Senato, che ha scritto più di trecento leggi.
Ma chi di noi lo ha amato e piange la sua scomparsa conosce Ted Kennedy con gli altri suoi titoli: padre, fratello, marito, zio, nonno. Io, come molti altri nella città dove ha lavorato per quasi mezzo secolo, lo conoscevo come collega, maestro e soprattutto amico. Ted Kennedy era il piccolo di casa diventato patriarca; il sognatore irrequieto diventato la roccia. Quando i suoi fratelli lo buttarono fuori dalla barca perché non sapeva che cosa fosse un fiocco, Teddy aveva solo sei anni ma imparò ad andare a vela. Questa capacità di recupero lo avrebbe accompagnato attraverso più dolori e più tragedie di quante la maggior parte di noi conoscerà mai nella sua vita. A 16 anni aveva già perso due fratelli. Vide gli altri due strappati con la violenza al Paese che li adorava. Disse addio all’amata sorella Eunice negli ultimi giorni della sua vita. Sopravvisse per miracolo alla caduta di un aereo, vide due suoi figli lottare con il cancro, seppellì tre nipoti e visse fallimenti e battute d’arresto private nel modo più pubblico possibile. Una catena di eventi che avrebbero spezzato un uomo meno forte. Sarebbe stato facile per Ted diventare amaro o duro, arrendersi all’autocommiserazione e al rimpianto; ritirarsi dalla vita pubblica. Nessuno lo avrebbe biasimato. Lui però era diverso. Era il «guerriero felice» di William Wordsworth, che «più è messo alla prova e più sopporta». Come ci disse una volta, «errori o fragilità individuali non sono una scusa per arrendersi né una dispensa dall’obbligo di spendersi». Attraverso le sue sofferenze divenne più sensibile alle sofferenze altrui: i bambini malati che non potevano essere visitati da un medico; i giovani soldati mandati in battaglia senza blindati; i cittadini cui venivano negati i diritti per il loro aspetto o le loro inclinazioni. Le leggi fondamentali che difese - sui diritti civili, i disabili, gli immigrati, la salute dei bambini, i congedi per maternità o malattia - hanno tutte un filo che le lega: dare voce a chi non era ascoltato, aggiungere un piolo alla scala delle opportunità, rendere reale il sogno dei nostri padri fondatori. Gli era stato regalato il tempo, che i suoi fratelli non avevano avuto. E usò quel dono per toccare tutte le vite che potè toccare e raddrizzare tutti i torti che gli fu possibile raddrizzare.
Possiamo ancora sentire la sua voce rombare attraverso il Senato, vedere il suo viso rosso, il pugno che batteva sul podio: una forza della natura per appoggiare la riforma sanitaria o i diritti dei lavoratori. E mentre le cause per cui si batteva diventavano personali, non lo divennero mai i disaccordi. Era il prodotto di un’epoca in cui la gioia e la nobiltà della politica impedivano che le differenze di partito e di filosofia diventassero ostacoli alla collaborazione e al reciproco rispetto - un’epoca in cui gli avversari si consideravano ancora vicendevolmente dei patrioti.
È così che Ted Kennedy è diventato il massimo legislatore del nostro tempo. Lo divenne attenendosi ai principi ma anche cercando compromessi e cause comuni. Non con la sola contrattazione ma anche con l’amicizia, la gentilezza, l’umorismo. Una volta corteggiò il senatore Orrin Hatch - del cui voto aveva bisogno per l’assicurazione sanitaria infantile - facendogli fare una serenata con una canzone che lo stesso Orrin aveva composto; un’altra volta fece arrivare un vassoio di dolciumi a un collega repubblicano un po’ scontroso.
Sono passati solo pochi anni da quando Teddy mi bloccò al Senato chiedendomi di votare una certa legge. Promisi, ma espressi anche un certo scetticismo sul fatto che sarebbe passata. Invece ottenne i voti di cui aveva bisogno. Guardai Teddy con stupore e gli chiesi come avesse fatto. Lui mi battè sulla spalla e mi disse: «La fortuna degli irlandesi!». Ovviamente la fortuna aveva ben poco a che fare con il successo legislativo di Ted Kennedy, e lui lo sapeva benissimo.
Ma se la storia ricorderà i suoi successi, è il suo cuore generoso che mancherà a noi. Era l’amico e il collega sempre primo a fare una telefonata di vicinanza. Era il capo così adorato dal suo staff che per la festa dei suoi 75 anni arrivarono in cinquecento. Era l’uomo che mandava gli auguri di compleanno o un biglietto di ringraziamento o un regalo a tante persone che mai si sarebbero immaginate che un senatore degli Stati Uniti dedicasse loro un po’ del suo tempo e dei suoi pensieri. Io ho nel mio studio un paesaggio di Cape Cod che regalò a me, matricola della nuova legislatura che l’aveva ammirato nel suo studio dove mi aveva invitato per darmi il benvenuto a Washington. Sembra che tutti abbiano una storia così da raccontare.
Ted Kennedy era il padre che si occupava non solo dei suoi tre figli, ma anche di quelli di John e Bob. Li portava in campeggio e in barca a vela. Rideva e ballava con loro ai matrimoni e piangeva con loro nelle tragedie. E trasmise loro lo stesso senso del servizio che i suoi genitori avevano instillato in lui. Poco dopo aver accompagnato la nipote Carolina all’altare, ricevette un biglietto da Jacqueline: «Su di te, il fratello spensierato, è caduto un peso che un eroe avrebbe supplicato gli venisse risparmiato. Noi ce l’abbiamo sempre fatta perché tu eri sempre lì con il tuo amore».
Noi non possiamo sapere quanto resteremo quaggiù, non possiamo conoscere i piani di Dio su di noi. Quello che possiamo fare però è vivere la nostra vita nel modo migliore, con una scopo, con amore e con gioia. Possiamo usare ogni giorno per dimostrare a chi ci è più vicino quanto lo amiamo e trattare gli altri con la gentilezza e il rispetto che vogliamo per noi. Possiamo imparare dai nostri errori e crescere grazie ai nostri fallimenti. Possiamo lottare per un mondo migliore così che un giorno possiamo guardarci indietro e sapere che abbiamo speso bene la nostra vita. Questo è il modo in cui è vissuto Ted Kennedy. Questa è la sua eredità.
da lastampa.it
|