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Autore Discussione: Causa Agnelli La memoria della figlia dell’Avvocato.  (Letto 5525 volte)
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« inserito:: Agosto 26, 2009, 10:21:19 pm »

Causa Agnelli: l’atto giudiziario presentato a fine giugno al tribunale di Torino

Il giudice ha fissato la prossima udienza per il 12 novembre

«Fisco, conti esteri e villa svizzera»

L’accusa di Margherita sull’eredità

La memoria della figlia dell’Avvocato.

Il caso del trasferimento di Dino Baggio
 

TORINO — La madre Marella? «Invece di dar man forte ai tre ge­stori del patrimonio del Senatore Agnelli, avrebbe tutto l’interesse a far luce sull’effettivo patrimonio ereditario».
Gianluigi Gabetti? «Il ruolo di amministratore del patrimonio per­sonale del Senatore Giovanni emer­ge in modo ancora più evidente per le società off-shore, le fondazioni e i trust in cui il Senatore era l’unico socio o beneficiario».
Il presunto «tesoro» nascosto? «Margherita Agnelli de Pahlen è riu­scita ad individuare alcune opera­zioni societarie (l’Opa Exor del 1998, la scomparsa dei fondi della Fiat del 1995) che potrebbero aver generato della liquidità gestita dai tre convenuti (Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron, ndr) nell’interesse del Senatore Gio­vanni Agnelli; l’attrice ha anche in­dividuato società, fondazioni, e trust, di cui si è fornita la lista, e im­mobili che non sono stati divisi con l’altra co-erede».
Ecco l’ultimo atto giudiziario, cioè la memoria conclusiva presen­tata dai legali della figlia dell’Avvo­cato a fine giugno al Tribunale di Torino. È la sintesi di due anni di conflitto.

Il tribunale

Il giudice Brunella Rosso ha re­spinto, dichiarandoli inammissibi­li, documenti e testimonianze che Margherita era pronta a produrre a sostegno delle sue tesi. Un punto, importantissimo, dal punto di vi­sta procedurale e sostanziale, a fa­vore di Gabetti, manager storico della famiglia, Franzo Grande Ste­vens, Siegfried Maron e della ma­dre Marella Agnelli.
Dunque la verità sulla successio­ne dell’Avvocato si conoscerà dav­vero il 12 novembre, data fissata per la prossima udienza? Sapremo se il giudice ritiene Gabetti & C. ef­fettivi gestori del patrimonio perso­nale dell’Avvocato e dunque se Mar­gherita ha diritto oppure no a rice­vere un dettagliato rendiconto, do­po sei anni. Sarà dunque una verità parziale.

Holding e fisco

Infatti c’è l’altra questione, sep­pure collegata: la mappatura del­l’ «Agnelli off-shore», ovvero il si­stema di holding estere che custodi­va buona parte del patrimonio del­l’ex presidente Fiat. L’Agenzia delle Entrate ha avviato un’indagine, la Guardia di Finanza già da tempo aveva raccolto ampio materiale. La verità da appurare, in questo caso, è se c’è stata violazione della nor­mativa fiscale. Le eventuali sanzio­ni, in linea teorica, potrebbero esse­re superiori al valore stesso dell’ere­dità, pari a circa 2 miliardi secondo alcuni calcoli ufficiosi.

«I 15 conti bancari»

Seguendo tracce e indizi conte­nuti in atti giudiziari e investigati­vi, si fa qualche interessante scoper­ta. Per esempio i legali di Margheri­ta in una memoria ipotizzano espli­citamente l’esistenza di rilevanti di­sponibilità estere «extracontabili» del padre, frutto di operazioni fi­nanziarie.
E 15 conti bancari sarebbero sta­ti riconducibili all’ex numero uno del gruppo Fiat: 8 in istituti svizze­ri, 2 in Italia e il resto tra Canada, Francia, Olanda, Lussemburgo e Liechtenstein.
Gli schermi fiduciari? Utilizzati, per «proteggere ... una parte del pa­trimonio ... dai rischi fiscali valuta­ri ». Insomma Margherita fa un as­sist alla Baggio (Roberto, ex calcia­tore) a favore del fisco italiano, as­sist di cui ancora non è chiara la na­tura: dolosa, colposa o preterinten­zionale?

Baggio e il «prestaconto»

A proposito di Baggio (l’altro Baggio, Dino, ex di Juventus e mez­za serie A) forse qualcuno ricorda il trasferimento nel 1991 del media­no dal Torino di Gian Mauro Borsa­no alla Juve (via Inter). Costo del­l’operazione 9 miliardi di lire, di cui la metà pagati in nero su un conto svizzero di Borsano, assistito per l’occasione da Franzo Grande Stevens.
Scoppia «Piedi Puliti» (caso Len­tini ecc...), la procura di Torino inda­ga: fondi neri alla Juve? No, Gianni Agnelli garantisce: ci ho messo sol­di miei. Quattro miliardi «svizze­ri », donazione personale.
Lo testimonia davanti ai magi­strati (gli stessi che poi indagheran­no sui bilanci Fiat) l’avvocato Hans Rudolf Staiger secondo il quale i soldi del patrimonio privato della famiglia Agnelli sono transitati sul suo conto corrente di una banca a Zurigo. Finisce lì, questione archi­viata, anche sui miliardi svizzeri di Agnelli.

Mister Staiger

Ma Staiger il «prestaconto»? Non è uno qualsiasi. Alcune finanziarie della famiglia torinese hanno avu­to sede nel suo studio a Zurigo; ha lavorato fianco a fianco con Sieg­fried Maron; è stato amministrato­re della lussemburghese Pons Fi­nance (uno dei pochi soci «coper­ti » dell’accomandita di famiglia); ha amministrato finanziarie in para­disi fiscali su cui, secondo Marghe­rita, è transitata una parte del patri­monio riconducibile al padre, forse anche il miliardo e mezzo dell’Opa Exor che si sa­rebbe perso in mille rivoli ma sotto il controllo e la regia, appun­to, di Staiger e Maron.

La casa di Marella

Tale è il carico di diffidenza ac­cumulato che a un certo punto Margherita dubita di alcune pro­prietà immobiliari della madre, per­fino della villa di St. Moritz. Lo avrebbero scritto i suoi avvocati, la­sciando intendere che le case sareb­bero state intestate fiduciariamen­te a Marella o ad altri ma in realtà di proprietà dell’Avvocato. E dun­que, sottinteso, quegli immobili do­vevano entrare nella divisione ere­ditaria. I documenti anagrafici e catastali del comune di St. Moritz dicono che Marella Agnelli-Caracciolo, cit­tadina italiana, è residente lì dal 25 dicembre 1970 e che è proprietaria di Villa Alcyon. È una mega residen­za da alcune migliaia di metri qua­drati con abitazioni per il personale e nella proprietà c’è un «diritto di passaggio sciistico».
Tra l’altro anche la signora Agnel­li paga il mutuo e la sua casa ha l’ipoteca: è stata iscritta nel 1987 dal Credit Suisse per 3 milioni di franchi.



Mario Gerevini
26 agosto 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da corriere.it
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Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Agosto 28, 2009, 11:21:07 am »

Il pendolo oscilla fra l’estrema indignazione e delusione (Giampaolo Pansa nel Bestiario sul Riformista) e il compatimento, quasi dolore, per la distruzione dell’immagine di Giovanni Agnelli (editoriale anonimo, quindi attribuibile al direttore Gianni Riotta, su Il Sole 24 Ore).


La vicenda della contestata eredità del defunto controllore della Fiat, degenerante in possibile evasione fiscale, sta dividendo l’Italia quasi non fossero arcinoti alcuni fatti chiave:

1) non esiste quasi eredità che non generi conflitto fra gli eredi, anche se è fuori discussione che Margherita Agnelli ha passato ogni limite di decenza e di ingordigia, arrivando a denunciare sua madre e di fatto i suoi figli di primo letto, oltre che persone degne e specchiate come Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, la cui unica colpa è quella di aver servito in maniera impeccabile ed encomiabile la famiglia Agnelli;

2) il caso è uno straordinario piatto mediatico, servito al prossimo banchetto dell’Agenzia delle Entrate, del suo direttore Attilio Befera e del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nella loro meritoria battaglia per far capire a chi ha patrimoni e capitali illegalmente all’estero che lo scudo fiscale approvato dal Parlamento per il loro rientro è una sorta di ultimo treno per Yuma. E quindi sia Befera sia Tremonti non si lasciano sfuggire l’opportunità;

3) tutti gli Stati del mondo occidentale sono alla drammatica ricerca di entrate per ridurre il debito pubblico, ingigantito dagli interventi di aiuto all’economia in seguito alla crisi, e quindi la battaglia viene combattuta su due fronti: contro i paradisi fiscali e contro chi se ne è servito e se ne sta servendo, oltre che contro chi evade in patria;

4) l’azione degli Stati è oggi così forte e così convergente che è giunta, per il determinante impegno degli Stati Uniti, a far saltare di fatto il sistema bancario svizzero: chi mai potrà fidarsene, se non chi ha denaro sporco, dopo che Ubs, la prima banca del Paese, è venuta meno al rapporto fiduciario verso alcuni clienti americani, consegnandone l’identità al Fisco statunitense in nome del fatto che sarebbero evasori fiscali, mentre nelle leggi elvetiche sta scritto che in quel Paese chi porta capitali per avere tassazioni più basse non commette reato.

Un evidente sovvertimento della legislazione elvetica per pressione degli Stati più forti e per ottenere l’ammissione all’Unione europea senza che il Parlamento elvetico abbia approvato per legge il cambiamento. Si potrebbe quasi dire che in Svizzera è avvenuta una rivoluzione bianca. Anche se il governo elvetico sottilizza fra l’evasione e la frode, sostenendo che i cittadini americani consegnati al governo statunitense avrebbero commesso frode per portare capitali in Svizzera. Intendendo per frode, fatture false, royalties fasulle ecc. Ma in realtà come potrebbe, se non con gli spalloni, portare soldi in Svizzera chi non vuole commettere frode? E certo non esistono spalloni che dagli Stati Uniti portino soldi a Ginevra o a Zurigo. La sottile distinzione è quindi un paravento per non decretare ufficialmente che l’economia costruita sul privilegio fi scale è destinata a crollare, se non già crollata. Evidentemente, si tratta di un contesto ideale perché l’ultimo scudo lanciato da Tremonti possa avere successo. E al suo successo è del resto legata la possibilità per il governo Berlusconi di destinare capitali significativi al rilancio dell’economia, manovra che la fantasia di Tremonti ha cercato di varare tempestivamente, ma che finora ha dovuto confrontarsi con la drammaticità del bilancio statale e dello stock di debito pubblico accumulato. Si ritiene che lo scudo avrà successo se con la tassa del 5% (è quanto dovrà pagare chi farà rientrare patrimonio e capitali) lo Stato incamererà almeno 2 miliardi.

In realtà, le potenzialità sono enormemente maggiori perché si stima che gli italiani abbiano all’estero circa 600 miliardi di euro. Ma nell’esigenza di non effettuare un condono per reati gravi, lo scudo protegge solo dal reato di illegale esportazione di capitali e non, per esempio, dal reato di falso in bilancio, in cui incorrono inevitabilmente le società che non hanno usato gli inestinguibili spalloni. Però, chi opterà, magari su consiglio dei suoi professionisti, per lasciare tutto all’estero, in omaggio al principio quieta non movere, non può non tener conto che l’azione verso i paradisi fi scali da parte degli Stati continuerà sempre più forte e che quindi potrebbe ritrovarsi nelle condizioni dei 4 mila americani dei quali Ubs ha consegnato l’elenco alle autorità statunitensi. Anche perché ormai l’azione del Fisco italiano si è enormemente affi nata e va a fare le pulci anche a chi uffi cialmente risulta residente all’estero, compiendo ogni verifi ca sull’effettiva residenza estera. Così è stato per Valentino Rossi, così sta avvenendo per Marella Agnelli, come ha rivelato Franco Bechis su ItaliaOggi di giovedì 20, raccontando che anche la proprietà dei famosi cani husky collocati a Torino, a giudizio del bravissimo commercialista della signora Agnelli, Gianluca Ferrero, poteva essere un indizio che consentisse al Fisco di contestare alla moglie del defunto Avvocato l’effettiva residenza in Svizzera. Per questo i cani e i 15 lavoratori domestici sono stati presi in carico dall’erede del controllo del gruppo, il nipote John Elkann. Tutti quelli, quindi, che vivono nominalmente a Lugano o in altre parti della Svizzera e invece circolano abitualmente a Milano o in altre città del Nord, magari con auto targate CH, trascorrendo, in questo modo, più della metà dell’anno in territorio italiano, sarà bene che si preparino a indagini giustamente severissime e retroattive: i telefonini, le carte di credito, i passaggi ai caselli autostradali nelle corsie Telepass, i biglietti aerei e via dicendo sono tutti documenti che il Fisco può oggi acquisire in un istante per via digitale. Ed è bene che tutti questi signori sappiano che, sia pure violando un fondamentale principio liberale, oggi la legislazione tributaria italiana consente l’inversione della prova: cioè, mentre prima era il Fisco che doveva dare la prova dell’evasione, ora è il contribuente che deve dimostrare che non ha evaso. E il Fisco può anche contare sul rafforzamento giurisprudenziale della Cassazione a sezioni riunite, sulle fattispecie che determinano il reato di abuso di diritto: cioè di tutti quei casi in cui il Fisco presume che anche se non c’è stata evasione ci sia stata elusione. Finora era il Fisco che doveva dimostrare che una determinata struttura fi nanziaria fosse stata costruita solo per pagare meno e non per una valida ragione economica. Ora sono i contribuenti italiani che devono dimostrare che c’è stata una valida ragione economica per costituire una società all’estero, altrimenti questa, anche se costituita in un Paese Ue, viene considerata dal Fisco una cosiddetta estero vestizione effettuata per pagare meno tasse. E altrettanto significativa è la vicenda della presunta eredità estera di Giovanni Agnelli per capire come il Fisco si sta fi - nalmente muovendo, anche se è assai improbabile, in questo caso, che l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza riesca a violare la solidità dell’eventuale costruzione creata per il patrimonio estero dell’ex controllore della Fiat. Da quanto si è appreso dalla pubblicazione di molti documenti derivanti dall’assurda azione legale avviata da Margherita Agnelli contro sua madre Marella e i consulenti del padre, da alcuni anni in Liechtenstein è stata creata una cosiddetta Fondazione di famiglia nella quale Giovanni Agnelli, secondo questa ricostruzione, ha fatto affl uire i guadagni ottenuti all’estero con varie operazioni e, probabilmente (e questa è una deduzione di MF/Milano Finanza), il patrimonio estero ereditato da suo nonno, il senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat.

In base a quanto riferiscono professionisti del settore, la Fondazione di famiglia è una struttura con personalità giuridica autonoma, gestita da fi duciari che hanno il compito di operare negli interessi di chi è il benefi ciario dei frutti del patrimonio della fondazione stessa. Soltanto nell’ipotesi in cui i fi duciari rivelassero il nome del benefi ciario designato dai creatori della fondazione o dei suoi eredi e questo o questi risultassero cittadini italiani, residenti fi scalmente in Italia, e ancora che lo stesso o gli stessi benefi ciari non avessero dichiarato i benefi ci ricevuti al Fisco italiano, solo se tutte insieme queste eventualità si verifi cassero si potrebbe confi gurare l’ipotesi di evasione fi scale con la conseguente azione dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso specifi co, è altamente improbabile che i fi duciari, sicuramente professionisti seri, intendano rivelare il nome del benefi ciario o dei benefi ciari della fondazione. Come è improbabile, con i tempi che corrono, che nel caso in cui, per pura ipotesi, il benefi ciario o i benefi ciari fossero cittadini italiani, fi scalmente residenti in Italia (per esempio il nipote o i nipoti Elkann), essi non dichiarino gli eventuali frutti a loro destinati del patrimonio della fondazione. Del resto, lo stesso ministro Tremonti, che è uno dei massimi esperti di diritto tributario, ha precisato che non incorre nel reato di illegale esportazione di capitali all’estero chi li ha ricevuti in eredità, essendo evidente che il reato, nel caso, lo avrebbe commesso chi ha lasciato l’eredità. Chi ha ottenuto in questo modo beni all’estero basta che li dichiari, e non avrà nemmeno bisogno di benefi ciare dello scudo. Basterà, ovviamente, che dimostri che di eredità si tratta e non di un patrimonio da lui stesso costituito. Nel caso Agnelli, essendo l’eventuale patrimonio posseduto da una fondazione con personalità giuridica autonoma, l’obbligo, per non violare la legge, è che i benefi ciari dichiarino i frutti ricevuti dalla gestione del patrimonio stesso. Se il benefi ciario fosse Marella Agnelli e la vedova dell’Avvocato risultasse effettivamente residente in Svizzera, come in realtà è assai probabile che risulterà, non vi sarà nessuna possibilità per il Fisco italiano di erogare sanzioni ed esigere pagamenti. Ma ovviamente, se così sarà, dipenderà anche dalla competenza e accortezza con le quali è stata costruita tutta quanta la struttura. Quanto all’azione della fi glia Margherita, essa, nei fatti, è già naufragata, anche se, appunto, sta provocando effetti di immagine disastrosi. Infatti, il tribunale di Torino non ha ammesso alcuna delle numerose prove richieste dai suoi avvocati (il collegio è già mutato almeno tre volte a dimostrazione dell’insoddisfazione della stessa signora de Pahlen rispetto ai risultati che i malcapitati predecessori avevano ottenuto, salvo le laute parcelle per se stessi). Ma c’è un elemento ancora più radicale che Margherita Agnelli non ha, evidentemente, voluto tenere in conto: se il tesoro estero dell’avvocato Agnelli effettivamente esiste, valutandolo lei stessa intorno a 1,4 miliardi di euro, esso non rappresenta che, grosso modo, 1/3 del totale dell’eredità. Esattamente la quota che Giovanni Agnelli aveva come disponibile, viste le percentuali che il codice consente se gli eredi diretti sono una moglie e una figlia. Se poi l’avvocato Agnelli aveva deciso, come in effetti ha deciso, che il suo erede, in termini di potere di controllo della Fiat, doveva essere, come in effetti è, il nipote John, figlio di Margherita, non è difficile immaginare che avesse assegnato, come forse ha fatto, anche una rendita, capace di fornirgli i mezzi per rimanere a capo del gruppo. Senza contare l’aspetto morale: una madre non dovrebbe solo gioire per il fatto che il suo primo figlio sia anche l’erede morale e materiale della guida del gruppo di famiglia? Ma Margherita, che ha sempre fatto solo figli (ben otto, peraltro nobilissimo impegno) e la pittrice dilettante, improvvisamente ha voluto rivendicare il suo ruolo di erede anche sul piano del potere di controllo del gruppo, un’ipotesi che suo padre Giovanni non ha mai, razionalmente, neppure ipotizzato per un istante.

(riproduzione riservata) Paolo Panerai
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 05, 2009, 10:25:31 pm »

5/9/2009


Agnelli democratico di rigore
   
EVELINA CHRISTILLIN


Caro Direttore,
da torinese che ha avuto la fortuna di vivere in questa straordinaria città, e di conoscerne da vicino uno straordinario protagonista, mi permetta di raccontare una piccola storia che, particolarmente in questi giorni tormentati, credo racchiuda qualcosa su cui riflettere almeno un po’.

Mi riferisco all’avvocato Agnelli, e a tutto quello che, con infinita tristezza, ci tocca leggere e ascoltare sulla sua figura dopo sei anni dalla scomparsa. E, si sa, i morti non possono parlare. Parlo io, allora, nel mio piccolo: credo di non sbagliare ricordando come le Olimpiadi di Torino 2006 siano state universalmente riconosciute, oltre che come un successo, come un regalo che non sarebbe mai arrivato in città e nelle valli montane senza il suo aiuto. Disinteressato, generoso, entusiasta e curioso come sempre, dai primi giorni della candidatura alla vittoria di Seul; così era stato Gianni Agnelli, con nessun’altra intenzione se non quella di offrire qualcosa a una terra, la nostra, a cui aveva dato e da cui aveva ricevuto molto.

Ebbene, un anno prima di morire, l’Avvocato mi chiamò a casa sua, da sola: «Evelina», mi disse, «se hai bisogno di qualcosa, se ti serve il mio aiuto per qualunque cosa, pensaci bene e dimmelo subito; non mi resta molto tempo per poterlo fare». Un groppo in gola e poi un pensiero: alla sua generosità, al suo coraggio, al suo mettere gli altri davanti a sé anche nei momenti più bui. Questa è stata per me, per i miei compagni d’avventura olimpica, per i 40.000 volontari, per tutti quelli che, a Torino come in ogni parte del mondo, hanno assistito ai nostri Giochi, la sua vera eredità. E le 500.000 persone che hanno sfilato al Lingotto per un giorno e una notte aspettando di dargli l’estremo saluto, tutti coloro che, sportivi e non, hanno avuto modo di apprezzarne il fair play e la lealtà, i milioni di italiani per bene che l’hanno potuto conoscere attraverso una lunga storia pubblica e privata di leggerezza e di rigore («grace under pressure», soleva ripetere), credo la pensino esattamente come me.

«Un democratico nato è un amante della disciplina. La democrazia è naturale a colui che è normalmente abituato a prestare spontaneamente ubbidienza a tutte le leggi, umane o divine», scriveva Gandhi; ecco, ancora oggi, grazie Avvocato per avercelo dimostrato.

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