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« Risposta #2 inserito:: Agosto 19, 2009, 11:54:49 am » |
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1917-2009: l'ADDIO A FERNANDA PIVANO
La ragazza che adottò la Beat Generation
Da Hemingway ai minimalisti, portò l’America in Italia Fu la «sorella maggiore» di Kerouac, Corso, Ginsberg
Si è spenta ieri, in una clinica privata di Milano, Fernanda Pivano.
Nata a Genova, aveva compiuto 92 anni il 18 luglio. Scrittrice, traduttrice e giornalista per il «Corriere», fece conoscere all’Italia la grande narrativa americana. «Sapevo che non ce l’avrebbe fatta e sono contenta di esserle stata vicina in questi ultimi giorni — ha detto Dori Ghezzi, che le era accanto insieme con Enrico Rotelli —. Solo poche settimane fa avevamo cantato ancora 'Bocca di rosa'».
Da un mese aveva consegnato a Bompiani la seconda parte dei «Diari». I funerali verranno celebrati venerdì alle 11 a Genova, nella basilica di Santa Maria Assunta di Carignano, da don Andrea Gallo. Ieri anche il presidente Napolitano ha espresso il suo cordoglio.
La cartolina era arrivata da Cortina. Ernest Hemingway in persona la voleva conoscere e la invitava a raggiungerlo. Era il 1948, Fernanda Pivano aveva già tradotto l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e in quei mesi stava lavorando su Addio alle armi di Hemingway. Lui, «Papa», come lo chiamavano quelli che lo conoscevano, era in Italia.
Arrivato con la moglie Mary Welsh, lo scrittore americano stava a Venezia, un po' per rivedere i luoghi dell'altra guerra, dove si era trovato come autista della Croce rossa nella primavera del 1918, un po' per andare a sparare alle anatre in laguna. Grandi bevute all'Harry's Bar dell'amico Cipriani, battute di caccia sui barchini, poi ogni tanto una fuga a Cortina d'Ampezzo. Fernanda Pivano, Nanda per tutti, amava molto raccontare quell'incontro. «Lì per lì non ci avevo creduto, poi mi convinsero che era vero quell'invito. Presi il treno, da Torino a Cortina fu un viaggio interminabile, arrivai la sera tardi. Mi presentai all’albergo, Papa era ancora a tavola con degli amici. Mi vide, si alzò, mi venne incontro e mi abbracciò. Mi chiese: 'Che cosa ti hanno fatto i nazi?' Aveva saputo che ero stata fermata dai tedeschi. Mi tenne a lungo abbracciata. Forse mi faceva la corte. Ma io a queste cose non ci pensavo proprio. Certo, era alto, grande, bellissimo. Forse saremmo potuti finire a letto, e invece niente. Che stupida ero». E tutte le volte che ripeteva il racconto, Nanda si dava uno schiaffo in testa.
Dopo aver resistito al fascino di Hemingway, la Nanda sarebbe pure passata indenne attraverso la frequentazione dei poeti e scrittori della Beat Generation. Mai nemmeno uno spinello, diceva, niente alcol, funghi e peyote, Lsd e tutto il resto, nemmeno a pensarci. Quando era arrivata per la prima volta in America nel 1956, aveva subito capito la novità rappresentata da questi cercatori di nuovi stati di coscienza. Che sapevano modulare prose e versi sui battiti del be-bop, il jazz esistenzialista di Charlie Parker, si mettevano sulla strada per dilatare i confini dell’immaginario, aiutati in questo dai pesanti sussidi degli allucinogeni. Per loro — Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti — Nanda fu una sorta di affettuosa sorella maggiore, una vice-madre saggia e comprensiva. Fu lei a tradurre i loro libri, a battersi perché opere come Sulla strada e Urlo fossero pubblicate da noi. Ai poeti, soprattutto, aveva dedicato i suoi sforzi maggiori, componendo l’antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli) con cui si offriva ai lettori italiani un tesoro di novità. Li ospitava nella sua casa a Milano quando passavano di qua (Nanda era ancora sposata con l'architetto Ettore Sottsass), li aiutava, si faceva spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati. Il tutto però senza mai passare al consumo della roba, serbandosi saggia e in ordine, senza pregiudizi. In una rara intervista televisiva con Kerouac realizzata per la Rai, la vediamo chiedere allo scrittore: «Jack, dimmi, ma perché non sei felice?» E lui, gonfio di alcol, gli occhi opachi, ormai avviato alla fine, non sa darle nessuna risposta.
Cresciuta nella Torino antifascista (nella sua decisione di studiare letteratura americana fu decisiva l’influenza di Cesare Pavese), Nanda scopriva nei suoi amici americani una lezione di politica molto meno ideologica di quella che si usava da noi. profeti del pacifismo anni Sessanta, padri della contestazione contro l'intervento militare americano nel Vietnam, Ginsberg e gli altri le regalarono un senso dell'impegno globale sconosciuto in Italia. Tanto da indurla ad avvicinarsi sempre di più alle posizioni dei radicali.
Sognava, con loro, la rivoluzione dei fiori: nel 1993, ripubblicando l'antologia L’altra America (Arcana) uscita originariamente nel 1971 da Lerici, ricordava la fine del sogno, il rapido cambiamento all’indomani del Sessantotto, e si chiedeva dov’erano finiti i fiori.
Sempre a fianco di Ginsberg nelle sue numerose tournée italiane (sul palco, con un triangolo battuto ritmicamente, sono in molti a ricordarla mentre salmodiava «Use dope, don’t smoke», lei che non sapeva nemmeno come si rolla uno spinello), Nanda negli anni Settanta comincia a trovarsi spiazzata da un'industria culturale inguaribilmente conformista. Le sue splendide traduzioni (Masters, Hemingway, Francis Scott Fitzgerald e i Beat naturalmente) erano dei long sellers. Ma per il resto veniva guardata con crescente indifferenza. Comincia da lì un nuovo viaggio, alla ricerca di nuovi pubblici, nuovi auditori. Vennero così i festival di poesia, la sala fumata del Macondo a Milano, il locale intitolato al luogo mitico di Gabriel García Márquez. Dei dibattiti accademici, degli incarichi universitari o editoriali, a lei non importava nulla. Fra Milano e Roma, con frequenti viaggi in America sempre in cerca del nuovo, Nanda prova a scrivere romanzi. Ma soprattutto si dedica al giornalismo, intervistando per il «Corriere della Sera» scrittori e protagonisti della cultura statunitense. È così che negli anni Ottanta conosce e fa conoscere una nuova covata di scrittori, i Minimalisti: David Leavitt, Brett Easton Ellis, Susan Minot e soprattutto l'adorato Jay McInerney. E ancora una volta Nanda è per loro consigliera, amica, compagna di strada. Confidente pure: in mezzo a guai privati e sentimentali, McInerney ricorreva spesso a lei. Ma tutto questo non bastava più. Malattie e problemi economici non la fermano. Fra i giovanissimi ritorna la fascinazione per la Beat Generation, e lei si ritrova in prima fila, testimone e protagonista dei bei momenti. Per questo, negli anni Novanta, diviene una figura di culto per le nuove generazioni, un oggetto di venerazione, un indispensabile riferimento. Nasce qui l’ultima sorprendente metamorfosi della grande Nanda: adesso è la musa dei rockers italiani delle ultime generazioni, personaggi come Ligabue, Jovanotti e Morgan dei Bluvertigo (noto fra l'altro per una storia con l'attrice Asia Argento). Sul palco dei concerti rock o nei video, ecco dunque Nanda, felice e divertita, come una volta quando accompagnava Ginsberg.
L'entusiasmo era lo stesso, e nonostante l’età e gli acciacchi la passione c’era ancora, intatta e fresca. Fra le tante cose che ci lascia, forse il bene più prezioso è l’immenso archivio, raccolto in una Fondazione sponsorizzata da Benetton. Ci sono lettere, cartoline, carte, testimonianze di oltre cinquant’anni di storia e letteratura americana. Oggi quel patrimonio immenso è un oggetto di studio imprescindibile per chi si occupa degli anni in cui Nanda fu protagonista. Ma tante volte, qualche decennio fa, erano Ginsberg e gli altri che venivano a Milano per frugare tra quelle carte per ricostruire momenti ed episodi del passato di cui avevano perso traccia. Lei, Nanda, conservava tutto. Fra le poche cose perdute in un trasloco c’erano tante lettere di Paul Bowles. Quando il film di Bertolucci Il tè nel deserto lo riportò in auge, Nanda si mise a cercare le cose dello scrittore. Invano. L’unica cosa che trovò era una cartolina con un isolotto nel Pacifico: Bowles le scriveva per dire che voleva lasciare la sua residenza marocchina di Tangeri e comprarsi quel piccolo Paradiso. E Nanda la mostrava felice.
Ranieri Polese 19 agosto 2009 © RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it
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