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Autore Discussione: L'alpinismo non è una guerra  (Letto 2569 volte)
Admin
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« inserito:: Agosto 11, 2009, 11:22:26 am »

11/8/2009
 
L'alpinismo non è una guerra
 
ENRICO CAMANNI
 
L’alpinismo non è una guerra, anche se qualcuno usa ancora le stesse parole dei soldati: attaccare la parete, conquistare la cima. La montagna è passione e scelta di vita, anche se d’estate emette il suo triste bollettino di guerra e ogni mattina i giornali aggiornano il conto delle vittime. Trenta morti in cinquanta giorni, ha battuto ieri un’agenzia di stampa, e sono tanti pur nell’approssimazione delle statistiche, per una pratica che molti commentatori, nel corso del tempo, hanno definito inutile o addirittura condannabile.

Nel luglio del 1961 Dino Buzzati scriveva sul Corriere: «In quanto a coloro che sostengono l’assurdità delle imprese alpinistiche accusandole di eccessivo pericolo, inutilità pratica, esibizionismo e così via, si tratta di una polemica che è sempre esistita e durerà sicuramente quanto il genere umano. Si può star certi che quando partirono gli argonauti, quando Ulisse tentò le colonne d’Ercole, quando Icaro fece il famoso volo, i commenti in piazza furono tali e quali i commenti che si odono oggi per la tragedia del Monte Bianco». Buzzati si riferiva alla tempesta che quell’estate causò la morte di quattro famosi alpinisti sul versante italiano della montagna, nel tentativo di salire una difficile via nuova, il Pilone centrale. Fu quasi una morte in diretta, perché l’impresa di Bonatti e compagni era seguita dai giornali e dalle televisioni.

Al contrario, i morti di oggi non sono né famosi né innovatori. Sono quasi tutti alpinisti ed escursionisti «normali», gente che ripete i gesti e gli itinerari di chi li ha preceduti, non punta ad aprire vie spettacolari e non si aspetta nessun riconoscimento o menzione particolare, nemmeno dalle cronache dei giornali. Anche perché purtroppo sui giornali gli alpinisti ci vanno solo in caso di disgrazia. Sono infatti molti anni che i media si occupano distrattamente dell’altra faccia dell’alpinismo, quella esplorativa e creativa, un po’ perché sulle Alpi scarseggiano ormai i terreni di esplorazione (ma esistono altrove, e non se ne scrive lo stesso), un po’ perché mancano le «parole per dirlo» e dopo le imprese di Reinhold Messner sembra che l’alpinismo si sia rinchiuso in un circolo iniziatico, destinato ad alimentare i propri miti.

Questo non significa che la gente non vada in montagna. Al contrario. Attività come l’escursionismo, lo sci alpinismo e l’arrampicata sono in incremento perfino in un paese di pigri come l’Italia, e anche l’interesse per l’alpinismo si rinnova di generazione in generazione, talvolta cercando forme nuove, più comode e sicure. E qui sta il primo punto: a un esame ancora imperfetto degli incidenti recenti (i rapporti del Soccorso alpino saranno disponibili solo alla fine dell’anno) sembra che i terreni più rischiosi rimangano i sentieri e i loro dintorni (la classica scivolata sul prato o sul ghiaione) e le ascensioni in alta quota, dove il pericolo, per l’alpinista, è legato al tipo di terreno e all’instabilità di rocce, neve e ghiaccio. Se c’è un posto in cui la tecnologia può fare poco, quel posto è proprio l’alta montagna.

E qui forse sta il secondo punto. La tecnologia, i materiali sofisticati, le raffinate previsioni meteorologiche, i cellulari, gli elicotteri del soccorso, in una parola l’eccesso di sicurezza, possono rivelarsi psicologicamente controproducenti. Quando si partiva per la montagna sapendo di poter contare solo sulle proprie forze, si mettevano certamente in conto il temporale improvviso o il bivacco all’addiaccio, e si era preparati ad affrontarli con l’equipaggiamento povero di allora. Per un sano atteggiamento mentale, nessuno si illudeva di programmare gli imprevisti dell’ascensione, e l’incognita era il sale dell’avventura.

Certo la tecnologia offre materiali e soluzioni molto più efficaci, ma parallelamente insinua ipotesi certe e variabili quantificabili, anche se in alpinismo non c’è niente di certo, tranne l’avventura stessa.
 
da lastampa.it
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