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Autore Discussione: FRANZO GRANDE STEVENS. I nemici dei poveri di Obama  (Letto 2105 volte)
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« inserito:: Agosto 01, 2009, 04:14:40 pm »

1/8/2009
 
I nemici dei poveri di Obama
 
FRANZO GRANDE STEVENS
 

Caro Direttore, la scelta di Obama presidente ha dimostrato quanto gli Usa siano un Paese vitale che approva il programma innovatore da lui proposto e che egli stesso personifica. L’uguaglianza dei diritti degli uomini, senza alcuna discriminazione garantiti dallo Stato, si realizza per Obama nella «giustizia sociale». E quindi i più deboli vanno protetti da uno Stato di diritto ricordando (Buchanan) che essere intelligenti, godere di buona salute, essere gradevoli di aspetto non sono meriti ma doni ricevuti da Dio o dalla natura a seconda delle credenze.

Nel programma di Obama viene esplicitamente indicata la riforma sanitaria, assicurando l’assistenza a tutti e quindi anche a chi non può pagarsela. Perché dunque oggi che vuole attuarla, Obama incontra difficoltà, opposizioni tanto veementi quanto diffuse e, per giunta, anche nella stessa parte che l’ha sostenuto schierandosi con lui? Si è detto che ad opporsi con dispiego di grandi mezzi siano le lobbies delle società farmaceutiche ed assicurative nonché le entità organizzate di assistenza medica che paventano una riduzione dei loro utili. Questo è certamente vero; tuttavia non è la sola spiegazione: c’è qualcosa che riduce anche il fervore dei suoi seguaci. Che cosa? La ragione credo vada ricercata nella storia del grande Paese nordamericano e quindi nelle sue leggi, anche locali, e nelle sue sentenze che sono specchio fedele di un suo diffuso modo di pensare. Una opinione largamente condivisa è stata - ed è - quella che l’indigenza non sarebbe determinata da situazioni estranee all’individuo e cioè indipendenti dalla sua volontà, ma proverrebbe dalla persona stessa che vuole essere in questa condizione. L’opinione in gran parte dominante è stata quella di un noto antropologo (Oscar Lewis) teorico dell’«underclass culture» secondo il quale sarebbe «molto più difficile eliminare la cultura della povertà che eliminare la povertà stessa». Si è assistito a politiche e decisioni contrastanti. Con Johnson, Nixon, Carter si emanarono provvedimenti di protezione sociale (Welfare) sul presupposto che la indigenza non fosse l’inevitabile conseguenza di limiti personali (incapacità, svogliatezza, mancanza di ambizione). E nell’era Johnsoniana si decise anche una copertura medico-sanitaria per i più poveri e gli anziani (Medicaid e Medicare). John F. Kennedy ritenne poi che la prosperità diffusa avrebbe risolto il problema perché «l’alta marea porta necessariamente tutte le barche in superficie». Purtroppo però anche in tempi di grande prosperità la diseguaglianza aumentò fra gli yachts e le barchettine e questa constatazione ravvivò la teoria secondo la quale l’indigenza è conseguenza di una condizione psico-fisica voluta. Si è quindi assistito a numerose contraddizioni nelle regole e nelle decisioni delle varie Corti. Le narra dettagliatamente una brillante studiosa italiana (E. Grande) in un lavoro dal titolo significativo Povero nemico - Diritti negati negli Stati Uniti d’America. S’apprende così che vi sono state azioni collettive (class actions) per il riconoscimento dei diritti degli indigenti e decisioni importanti che li affermano, anche in termini di assistenza medica, ma altre sentenze non meno numerose ed importanti hanno respinto le richieste.

Ed alle leggi che concedevano ai tempi di Johnson una qualche assistenza medica si sono succedute regole che vietavano anche ai poverissimi, ai senza tetto (homeless) persino di vivere o sopravvivere, come ad esempio ai tempi della «tolleranza zero» di Giuliani. In quei tempi altro che consentire l’assistenza sanitaria a chi non poteva pagarla e quindi rischiava la sua stessa esistenza! Era vietato chiedere l’elemosina in strada o nella metropolitana, dormire all’aperto, lasciare le proprie cose sul suolo pubblico, sedersi e sdraiarsi sui marciapiedi, posare cartoni ecc. ecc.. Si trattava di norme penali che punivano queste condotte «come reati contro la qualità della vita» ecc. Si diffuse così nel sentimento collettivo, la «compassion fatigue» e cioè la «stanchezza di provar compassione». E questa, con il convincimento della loro condizione che sarebbe «voluta» dai bisognosi, darebbe una ragione morale all’opposizione.

Oggi poi la crisi economica ha fatto crescere negli Usa il numero - parecchie decine di milioni - di coloro che non possono pagarsi l’assistenza medica, ed al tempo stesso si sono ridotte le entrate ed il tenore di vita della classe media e sull’opinione pubblica fa presa il timore che la riforma sanitaria imponga un aumento delle tasse. Questi gli interessi e gli argomenti di una opposizione alla riforma sanitaria così veemente ed è triste constatare come si dimentichi facilmente che lo Stato di diritto serva proprio a chi ne ha più bisogno.
 
da lastampa.it
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