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Autore Discussione: PRODI  (Letto 84004 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Ottobre 30, 2010, 12:35:14 am »

CENTROSINISTRA

Prodi: "Bersani candidato premier ma se serve si può anche cambiare"

Così risponde a Vespa nel libro "Il cuore e la spada". "Se spuntasse qualcuno con maggiori probabilità di vittoria...". "Le divisioni del Pd hanno tenuto in piedi un governo moribondo". "Per me nessun ritorno in campo, il mio Ulivo era un'altra cosa"


ROMA -  Bersani va bene. Ma "se ci fosse una personalità con più chance di vittoria", il segretario del Pd potrebbe non essere il candidato premier del centrosinistra. Romano Prodi, solitamente restio ad aprire bocca sulla situazione politica italiana, affida il suo pensiero all'ultimo libro di Bruno Vespa. Lui che ha battuto due volte Berlusconi, ragiona sulla questione (tormentata) della leadership del centrosinistra: "Quando un partito si chiede come conquistare il governo la prima persona a cui pensa è il segretario. Ma se ci fosse qualcun altro con maggiori possibilità, allora si può cambiare.  Prendiamo la Francia. Martine Aubry è diventata segretario del partito socialista. Ma è possibile che Dominique Strauss-Kahn abbia maggiori probabilità di battere Nicolas Sarkozy. Il segretario, insomma, deve mettere insieme il suo ruolo e la possibilità di vincere. Bersani lo può fare".

In effetti sull'attuale segretario democratico il giudizio è positivo. "Negli ultimi tempi -prosegue il professore - è andato molto meglio. Per troppo tempo ha però dovuto accettare che non ci fosse nel partito nessuna disciplina. Se non hai disciplina, non hai nemmeno forza. E lo dico per esperienza".

Prodi segnala, poi, il paradosso di un governo "litigioso" che ovunque avrebbe fatto la fortuna dell'opposizione. Ovunque ma non in Italia: "Le vicende faticose della formazione del Pd e la sua difficoltà a trovare coesione hanno fatto camminare per mesi e mesi un moribondo come questo governo".

Quanto alle prospettive del centrosinistra, Prodi boccia l'attuale legge elettorale ("è un pasticcio"). "E' difficile mettere insieme culture coerenti che abbiano possibilità di governare a lungo. La mia linea resta comunque quella della necessità di mettere insieme tutte le forze riformiste del Paese. Altrimenti non si risolvono i problemi italiani e, inoltre, si perde" .

Ha senso, quindi, parlare di Nuovo Ulivo come fa Bersani?. Prodi è cauto. "Se metti la parola nuovo ha senso tutto. Il mio era un progetto molto preciso. Cambiare l'Italia mettendo insieme le quattro tradizioni politiche del Paese: cattolicesimo democratico, socialismo, liberalismo, ambientalismo. Fine della lotta secolare tra guelfi e ghibellini. Cattolici presenti nell'uno e nell'altro schieramento con la Chiesa forte nei principi ma fuori dalle battaglie quotidiane". Un disegno che per due volte ha avuto il sopravvento sul "sogno" berlusconiano. Ma che è caduto in entrambe le occasioni. "Con questo disegno ho vinto due volte. L'elettorato perciò l'ha capito, ma non i protagonisti, non i Poteri Forti. Eppure quel disegno è ancora caro agli italiani". Impensabile, però, pensare ad una replica: Le strutture politiche sono ormai molto diverse. E perchè se vinci per due volte e per due volte non riesci a portarlo a termine diventa più difficile presentarlo agli elettori".

Qualsiasi sia il futuro, Prodi non ne farà parte. Nessun nuovo esecutivo con a capo il propfessore: "Per due ragioni: la prima, non c'è una situazione politica adatta, la seconda, mi sono dedicato alla mia riacculturazione, mi sto divertendo e mi piace moltissimo quello che faccio. E poi non è vero che non c'è due senza tre". Pressioni? "Uno ha sempre degli amici che magari gli dicono una bugia...".

(29 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/29/news/prodi_bersani_candidato_premier-8546099/?ref=HREC1-3
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« Risposta #46 inserito:: Novembre 08, 2010, 12:31:17 pm »

Prodi: «Se al tavolo dei nuovi Grandi l'Europa non conta niente»
               
 di Romano Prodi

ROMA (7 novembre) - Che il mondo stia cambiando ad una velocità senza pari ce ne stiamo accorgendo tutti. Se ne accorgono i capi di Stato e di governo, se ne accorgono gli uomini d’affari e ce ne accorgiamo anche noi, quando vediamo i prezzi dei beni e i livelli dei salari dipendere pesantemente dai nuovi rapporti di potere fra i diversi Paesi. Su questi temi l’attenzione maggiore è stata naturalmente rivolta agli eventi più appariscenti, e cioè la fine dell’esercizio solitario del primato americano, l’ascesa dell’Asia e il tramonto dell’Europa. Si è invece rimasti molto più distratti su altre trasformazioni che sono state provocate, o almeno rese possibili, dal passaggio da un mondo monopolare (cioè comandato in maniera quasi solitaria dagli Stati Uniti) ad un mondo multipolare, nel quale gli Stati Uniti rimangono il Paese più potente dal punto di vista militare ma non sono più in grado di controllare con questo solo strumento la politica mondiale. Grande è infatti la debolezza americana che deriva dall’enorme debito pubblico, anch’esso in buona parte generato dal costo (sempre meno sostenibile) di mantenere più di mille basi militari e oltre quattrocentomila soldati in tutti gli angoli del mondo. Non è stato facile per Bush e non è facile per Obama sostenere oltre la metà delle spese militari del pianeta con un prodotto lordo intorno a un quinto del Pil mondiale.

Tutti sappiamo come la Cina abbia potuto avvantaggiarsi di questa nuova realtà mettendo in atto una politica a livello globale praticamente senza costi. E conosciamo bene come l’India stia scalando le posizioni della gerarchia mondiale. Pochi si sono invece resi conto di come il Brasile e la Turchia abbiano approfittato di questo quadro molto più fluido per affermare un loro ruolo forte e autonomo nel mondo.

Considero insieme questi due Paesi perché, pur nella loro diversità, essi hanno messo in atto una strategia assai simile fra di loro. Brasile e Turchia sono stati per decenni obbedienti ma indispensabili alleati degli Stati Uniti. Indispensabile il Brasile per impedire il dilagare di una deriva populistica di tipo cubano o venezuelano in tutta l’America Latina. Indispensabile in passato la Turchia come baluardo orientale della Nato nei confronti dell’Unione Sovietica e, nel presente, come elemento di stabilità dell’inquieto Medio Oriente.

Forti di un prolungato periodo di sviluppo economico entrambi questi Paesi hanno fatto leva sulla loro indispensabilità per mettere in atto una politica di crescente indipendenza dagli Stati Uniti e diventare vere e proprie potenze regionali. Il Brasile ha esercitato con forza crescente una funzione di arbitro nelle controversie del Centro e del Sud America e Lula, nei suoi otto anni di presidenza, ha compiuto ben nove viaggi nel continente africano.

Lula ha visitato oltre venti Paesi africani, rafforzando e moltiplicando ovunque le proprie rappresentanze diplomatiche, ormai per importanza quasi ovunque superiori a quelle europee.

La Turchia, da baluardo dell’Occidente, è diventato un giocatore a tutto campo adottando la dottrina di non avere alcun nemico tra le nazioni vicine, indipendentemente dall’opinione del governo americano.

Non ci si deve perciò stupire se Brasile e Turchia abbiano finito col mettersi assieme per attenuare l’isolamento dell’Iran nella delicata controversia nucleare.

Con queste decisioni questi due Paesi non hanno abbandonato il campo occidentale per passare ad altre alleanze, come alcuni superficiali osservatori hanno ripetutamente osservato. Essi hanno semplicemente approfittato dei cambiamenti nei rapporti di forza per affermare un loro ruolo sempre più autonomo nella nuova politica e nella nuova economia mondiale. Nel caso della Turchia la coscienza della propria autonomia sta anche affievolendo la spinta e il desiderio dei cittadini e del governo turco di divenire membri dell’Unione Europea. Tutto questo potrà anche allentare le tensioni sorte all’interno di molti Paesi europei riguardo all’adesione della Turchia all’Unione ma, in mancanza di una qualsiasi nostra politica, non potrà che indebolire ulteriormente il ruolo dell’Europa nel Mediterraneo e in tutto il Medio Oriente. Nel caso del Brasile, ormai uno dei grandi detentori di prodotti agricoli e di materie prime, ci dobbiamo anche aspettare una politica sempre più autonoma nelle già difficili trattative sulle nuove regole del commercio internazionale.

Turchia e Brasile non sono a mio parere casi isolati ma solo due esempi del grande terremoto nei rapporti di forza dell’economia e della politica mondiale. Dalla Turchia e dal Brasile questi movimenti tellurici si estenderanno ulteriormente, moltiplicando il numero degli attori presenti sul palcoscenico mondiale. Peccato che tra i nuovi attori difficilmente troveremo l’Europa, i cui i grandi Paesi sono tutti dedicati a marcarsi a vicenda senza capire che la loro paralisi reciproca li obbligherà a scendere definitivamente dal palcoscenico.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA 
 
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=125799&sez=HOME_ECONOMIA
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« Risposta #47 inserito:: Novembre 21, 2010, 11:36:42 am »

Il personaggio

Pd, Prodi torna in campo e pensa al Colle "Risveglio possibile, serve un nuovo impegno"

Il Professore giovedì a un seminario dei deputati democratici in un monastero.

Franceschini: da lui contributo unico

di MARCO MAROZZI


BOLOGNA - Tutto è cominciato con una messa solenne. E adesso si parla già di miracolo, "il ritorno di Prodi". Il luogo dove "l'ex premier tornerà ufficialmente in campo con il Pd" è un un monastero medioevale tra la val di Chiana e la val d'Orcia, l'abbazia di Spineto, a Sarteano, provincia di Siena. Giorno fissato, giovedì 25 novembre. Il Professore sarà relatore del seminario organizzato da Dario Franceschini per i deputati del Partito democratico. Raduno ufficialmente a porte chiuse, in realtà i confini sia dei partecipanti - attesi anche vari senatori - che dei temi, saranno fluidi. ''Le proposte del Pd e l'iniziativa parlamentare'' è il titolo onnicomprensivo scelto per un appuntamento che si dipana fino a venerdì 26. Romano Prodi il 25 novembre alle cinque del pomeriggio parlerà su ''La globalizzazione dopo la crisi''. Di nuovo tema professoralmente asettico.

In realtà la freddezza dei toni cerca di coprire i fuochi di speranza che stanno dietro la chiamata di Prodi. Non a caso la notizia, parlando di "ritorno", è stata diffusa da Roma. Tutto parte da un viaggio di Prodi a Ferrara: 31 ottobre, domenica, si celebrano in Duomo i 50 anni di sacerdozio del vescovo Rabitti. Prima della lunga messa, Prodi fa un salto nello studio lì accanto di Franceschini. Chiacchiere molto amichevoli, ma molto decise sulla politica italiana. "Verresti..." lancia l'ex segretario Pd. L'altro ci pensa, poi qualche giorno dopo accetta.
Lontani i tempi dell'ira anti Veltroni dopo la caduta, le divisioni delle primarie quando Prodi appoggiò Bersani contro Franceschini, stimato ma - ahilui - vice di Veltroni. Nuova fase. Anche se a Bologna ancora ieri a pranzo l'ex presidente del Consiglio di ritorno da un convegno milanese delle Acli rideva: "L'applauso più grande l'ho avuto quando ho detto che non avrei parlato di Italia". Prodi insiste: "Con la politica attiva ho chiuso. Ora giro per il mondo a insegnare, un lavoro bellissimo".

La presenza del fondatore dell'Ulivo nel convento sarà comunque un messaggio forte. Di rilevanza politica. Anche se calibrato, dallo stesso Prodi e da chi l'ha invitato. "E' un'occasione fuori dai temi della cronaca. - dice Dario Franceschini - Si parlerà di politica, ma non della politica quotidiana. Si cercheranno di approfondire temi di alto respiro e Prodi porta un contributo unico ad un ragionamento sulla situazione europea e mondiale". "E di contributi così ne abbiamo molto bisogno, - chiosa David Sassoli, capogruppo Pd all'Europarlamento - oltre tutto in un passaggio storico che potrebbe segnare la fine del populismo berlusconiano".

Nella due giorni del Pd ci saranno Giuliano Amato, professori, giornalisti. Chiuderà Pier Luigi Bersani. Non incontrerà Prodi, ma il fatto è di importanza relativa. L'ex presidente del Consiglio e della Commissione Ue, pur godendosela a fare il pensionato globe trotter, si muove ormai da grande battitore libero nel sistema politico italiano. Parla di "processo di transizione finito in un pantano". Di "crisi culturale, morale e politica".

I suoi sognano una strada verso il Quirinale, se nel 2013 il quadro politico sarà meno sfavorevole. "L'obiettivo è unire e non dividere" dice lui, dipingendo in toni drammatici la crisi "politica ed istituzionale". Rilancia un concetto di Maritain e De Gasperi che da premier gli costò molti attacchi: "cristiano adulto". "Un cristiano sostenuto dalla fede religiosa e dalla passione per gli uomini". Invita a trovare "i punti di evoluzione, di cambiamento, di dialogo, a comprendere le ragioni del comportamento degli altri". Citando Benigno Zaccagnini ammonisce: "Se siamo dentro la società e siamo capaci di rinnovarci, allora sì, possiamo influire sul comportamento della gente".

"C'è oggi bisogno di richiami forti, per un nuovo impegno, - dice - per rinnovate fedeltà alla nostra ispirazione cristiana, per nuove responsabilità storiche. Magari per sperimentare nuovamente la contraddizione tra il nostro essere testimoni e il nostro essere responsabili. C'è bisogno di un richiamo, che non sempre arriva da chi lo dovrebbe inviare, di una nuova attenzione sul piano dei valori, sul piano della coerenza personale". Chiama a ripartire: "Costruire una buona società è ancora possibile. Risvegliare la dignità in questo nostro paese è ancora possibile. Riportare l'Italia di fronte alle sue responsabilità morali e politiche è ancora possibile".

(21 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/21/news/prodi-9334518/?ref=HREC1-5
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« Risposta #48 inserito:: Marzo 01, 2011, 11:01:31 am »

Esteri

01/03/2011 - INTERVISTA

Prodi: "Ora la missione dell'Europa è di guardare verso Sud"

«Serve una partnership per far germogliare i semi della democrazia»

FABIO MARTINI

ROMA
Da presidente del Consiglio e da incaricato dell’Onu, Romano Prodi è stato spesso in Maghreb e in Medio Oriente, conosce tutti i leader, continua a parlare con diversi potenti del mondo e in queste ore si è fatto un’idea: «L’Europa? In quest’area, in queste settimane, sta perdendo ulteriormente terreno. E invece si sta concretizzando una ripresa di influenza da parte degli Stati Uniti. Dopo aver a lungo sostenuto il governo-chiave di tutta l’area, l’Egitto, gli americani si sono schierati a favore del cambiamento e lo hanno fatto rapidamente. Non è privo di significato il fatto che in Tunisia la gente in piazza sventolasse la bandiera americana e bruciasse quella di un grande Paese europeo».

Quando è scoppiato l’incendio in Tunisia, lei ha detto: attenti all’Egitto...
«Sì, perché l’Egitto è la chiave di tutto. Lo è per dimensioni, numero di abitanti e per posizione strategica. Ma soprattutto - e questo viene spesso dimenticato - perché è il Paese delle grandi università, della profondità del pensiero islamico. E attraverso queste università l’Egitto influenza tutta la fascia subsahariana che arriva fino all’Oceano Atlantico. Le città costiere del Nord Africa oramai sono città di diplomati e laureati senza un futuro».

Nell’Università del Cairo, nel giugno del 2009, Barack Obama - Presidente afroamericano dal nome islamico - disse che la democrazia non si esporta ma che gli Stati Uniti sono al fianco di chi la anela. Gli americani hanno una «dottrina» per quest’area. L’Europa?
«Il discorso del Cairo era stato meraviglioso ma aveva lasciato un po’ di frustrazione perché non era stato seguito da azioni. L’Europa? L’opinione diffusa nel Medio Oriente che ti senti ripetere è questa: voi europei siete i numero uno per i rapporti commerciali e negli investimenti, ma politicamente non contate nulla».

In un editoriale per «La Stampa», l’ex direttore dell’«Economist» Bill Emmott ha proposto che l’Ue, come nei suoi momenti migliori, dovrebbe saper cavalcare proposte anticipatrici, in questo caso l’espansione dell’Unione alla costa meridionale del Mediterraneo: che ne pensa?
«Mi sembra un intervento interessante. E non soltanto perché riprende una proposta che nel 2003 avevo fatto come Presidente della Commissione Europea. Dopo il fulmineo allargamento verso Est, dicevo: la storia ci ha spinti verso il Nord, ora dobbiamo andare verso il Sud».

Emmott suggerisce forme diverse di adesione...
«Siamo d’accordo. La proposta della Commissione che confidenzialmente chiamammo allora “l’anello degli amici” e in modo strutturato “politica di vicinato”, sostanzialmente diceva questo: tutti i Paesi confinanti con l’Europa - la Bielorussia e l’Ucraina ma anche Israele, la Libia, l’Algeria, l’Egitto, la Siria e Libano - se vogliono, nei prossimi decenni potranno condividere tutte le regolamentazioni europee (mercato interno, politiche culturali e di ricerca) ma non le istituzioni. Un cammino previsto per tutti, ma che con realismo si proponeva di contrattare con ogni singolo Paese. Non se ne fece nulla. Il Nord Europa non ci voleva sentire».

Oggi, davanti al terremoto in corso, quella proposta può riprendere forza?
«Certo. L’idea più realistica sarebbe quella di evitare di mettere assieme tutti i Paesi in un colpo solo. Bisogna fare uno schema aperto che consenta a ciascuno di accostarsi adagio adagio».

Sembra comunque una chimera...
«Il vero problema è che oramai da diversi anni il bilancio europeo - lo 0,96% del prodotto lordo - viene tenuto su un livello inadatto per operazioni di questa portata. Ma c’è problema ancora più grande che impedisce di volare alto...

Quale?
«La politica nel Mediterraneo dovrebbe essere sentita come politica comune europea. Ma così non è, neppure davanti all’emergenza. Non c’è alcun richiamo a impegni di lungo periodo».

Forse un terremoto ancora più grande di quello in corso potrebbe aprire gli occhi ai Paesi del Nord Europa?
«Attenzione: il terremoto è già avvenuto! Qui abbiamo dei semi di democrazia e il momento della coltivazione è questo, perché se la democrazia va avanti aiutata solo dagli americani, ogni intervento nostro a posteriori sarebbe vano. Un intervento europeo è urgente. Il momento è adesso. Anche perché in situazioni come questa c’è sempre un grosso rischio».

Quale?
«Tutti quelli che hanno cominciato il cambiamento potrebbero venir messi in un angolo: vedete stiamo peggio di prima».

L’allargamento dell’Ue all’Est fu un investimento rischioso: è servito a tamponare il sentimento verso lo “stavamo meglio quando stavamo peggio”?
«Certo. Dopo il fulmineo allargamento ad Est, ricordo il rimprovero: perché con loro siete stati così rapidi? È vero, li aiutammo ad entrare. Ma è così che si aiuta la democrazia. Sono orgoglioso di quel che facemmo: l’allargamento è stato l’unico vero episodio di esportazione della democrazia nel mondo. L’unico. Ed ha funzionato».

da - lastampa.it/esteri
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« Risposta #49 inserito:: Marzo 02, 2011, 12:33:48 pm »

In una intervista a Famiglia Cristiana

Prodi: «La gente mi ferma in strada e mi dice torna»

L'ex presidente del Consiglio: «Devo andare a messa la mattina presto»


MILANO - «Ormai non posso nemmeno scendere in strada. La gente mi riconosce e mi chiede: Torna, torna. Lunedì mattina ero a Mantova e sono andato alla messa del mattino, per evitare di essere avvicinato. Ma in quel caso un gruppo di fedeli anziani mi ha circondato e mi ha chiesto di tornare a guidare questo Paese». È quanto racconta Romano Prodi in una intervista a Famiglia Cristiana.

PRIVATO È ANCHE PUBBLICO - Rispondendo poi alla domanda se è necessario che un politico tenga una condotta morale dignitosa, Prodi ha risposto: «L'uomo politico deve essere giudicato dai fatti. Ma tra i fatti c'è prima di tutto l'esempio. L'esempio di un politico incide sui comportamenti quotidiani di tutti. Profondamente. Ancora più oggi, anche in virtù dei mezzi di comunicazione, il comportamento personale è sempre più un comportamento pubblico». Prodi, pur senza nominarlo, ironizza con monsignor Rino Fisichella, che dopo la bestemmia da parte di Berlusconi aveva detto che andava «contestualizzata». «Fin da ragazzo, mi è stato insegnato da autorevoli uomini della Chiesa che non si può agire con la morale a seconda delle situazioni. Quando sento dire che certi atti dipendono dal contesto mi chiedo: cos'è cambiato dall'insegnamento che ho avuto a oggi? Conservo ancora gli appunti di quegli insegnamenti».

È TEMPO DI UNA DONNA A PALAZZO CHIGI - È venuto «da tempo» il momento per vedere una donna salire a Palazzo Chigi. «Anzi - ha detto l'ex presidente del Consiglio - direi che è proprio strano che questo momento non sia ancora venuto. Abbiamo una presidente di Confindustria donna, il segretario della Cgil donna, abbiamo avuto più di un presidente della Camera donna. Prima o poi arriverà. Pensi a quanto era lontana la Germania dall'avere un cancelliere donna!».

GHEDDAFI - Romano Prodi rivendica a sè il ruolo di aver «sdoganato» Gheddafi in Europa, ai tempi in cui presiedeva la Commissione Europea, ma ricorda di non aver voluto siglare da premier il Trattato di amicizia con la Libia perché troppo «oneroso» per l'Italia; e comunque non avrebbe accettato «le umiliazioni» che poi il Colonnello ci ha riservato. Prodi invita l'Italia e l'Europa a sostenere le classi democratiche che si stanno imponendo nel Nord Africa, anche per evitare il rischio di «esodi biblici»; al momento non ci sono avvisaglie, ma, esorta Prodi «è meglio prepararsi».

Redazione online
01 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica
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« Risposta #50 inserito:: Aprile 25, 2011, 12:10:02 pm »

Prodi: «La Costituzione non si modifica a convenienza».

L'Idv: «No a rigurgiti fascisti»

25 aprile tra vandalismi e polemiche

Ma Rotondi: «E' un patrimonio comune»

Il ministro per l'Attuazione del programma: pregherei gli amici del centrodestra di rispettare la ricorrenza

   
MILANO - Addobbi dati alle fiamme nel Milanese, manifesti con i fasci littori a Roma. E in provincia di Rieti, a Poggio Bustone, paese di origine di Lucio Battisti, è stata divelta la lapide che ricorda un eroe partigiano, Emo Battisti. La vigilia del 25 aprile, data in cui si celebra la Liberazione dell'Italia dall'occupazione nazista, quest'anno è carica di tensioni. Diversi esponenti del centrodestra sono intervenuti nelle ultime ore per prendere le distanze da una celebrazione considerata una festa di parte. Ma dal governo arriva l'invito del ministro per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, a non cedere alla tentazione della polemica e a concentrarsi sul valore intrinseco della ricorrenza: «Pregherei alcuni amici del centro-destra di godersi la Santa Pasqua e di rispettare domani il 25 aprile, che è la festa di tutti gli italiani liberati dall'oppressione fascista».

«NO A RIGURGITI FASCISTI» - Per il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando, «bisogna ricordare il 25 aprile per sradicare gli allarmanti rigurgiti fascisti testimoniati anche dagli indegni manifesti apparsi a Roma. Il 25 aprile deve essere un patrimonio comune a tutte le forze politiche democratiche e ognuno deve condannare fermamente gli attacchi alla Costituzione che si sono pericolosamente ripetuti negli ultimi giorni. La vittoria sul nazifascismo dalla quale è scaturita la nostra Carta costituzionale è nel dna della nostra forza politica e i membri delle istituzioni devono far fronte comune per difendere questo bene prezioso ultimamente troppo spesso minacciato».

«RISPETTARE LA COSTITUZIONE» - Del 25 aprile ha parlato anche Romano Prodi, in un'intervista al Messaggero: «Per avere un nuovo 25 Aprile dobbiamo riacquistare il senso di un destino comune. Il che significa rispettare lo spirito dell'Assemblea Costituente e ritrovare il valore delle regole, come esse sono scritte nella nostra Costituzione». Parlando della Carta fondamentale della Repubblica, l'ex premier ha sottolineato che le sue regole «non possono divenire uno strumento di sopraffazione e che non possono essere mutate a seconda della nostra convenienza. Non avere paura significa avere fiducia nella nostra capacità di trovare in questo momento di gravissima crisi la solidarietà necessaria per convincere tutti gli italiani che la ricostruzione civile ed economica dell'Italia sarà portata avanti dai sacrifici di tutti ma dagli sforzi proporzionati alle spalle di chi li deve compiere. Proprio come apparve possibile il 25 Aprile del 1945, in un'Italia pur ancora dilaniata dagli odii e dalle divisioni».

LE CELEBRAZIONI - Intanto nelle principali città italiane si stanno preparando i palchi per le celebrazioni ufficiali della Liberazione. A Milano il corteo partirà da porta Venezia e si snoderà fino a piazza Duomo e vedrà tra i partecipanti il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso; il leader del Pd, Pier Luigi Bersani e il sindaco Letizia Moratti, che tuttavia non sfilerà ma sarà presente solo nella parte finale. A Roma invece l'appuntamento principale sarà quello del mattino, con la deposizione di una corona d'alloro all'Altare della Patria da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Alla cerimonia parteciperanno anche il sindaco capitolino Gianni Alemanno e il presidenti di provincia e regione, Zingaretti e Polverini.

Redazione Online
24 aprile 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_aprile_24/
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« Risposta #51 inserito:: Maggio 15, 2011, 10:14:06 pm »

Prodi: «Paese offeso, servono sindaci coraggiosi»

di Claudio Visani


Voleva esserci Romano Prodi venerdì sera su quel palco in Piazza Maggiore a Bologna. La piazza delle vittorie del centrosinistra. Lì festeggiò il 23 aprile 1996, arrivando in pullman da Roma tra l'entusiasmo dell'allora popolo dell'Ulivo. E lì tornò l'11 aprile 2006, la sera dopo la seconda vittoria su Berlusconi: vittoria “triste” quella volta alla guida dell’Unione, per appena 20mila voti e solo alla Camera. Voleva esserci per mandare un segnale all'Italia «offesa dalla volgarità di Berlusconi»; per la sua città che «pur avendo perso colpi, nel confronto con le altre se la cava ancora piuttosto bene»; per spazzare via i dubbi che qualcuno «interessato a dividere» aveva sparso sul suo presunto sostegno tiepido al candidato del centrosinistra, Virginio Merola. Così appena conclusa la “lectio magistralis” tenuta a La Spezia, nel tardo pomeriggio, ha salutato tutti e si è precipitato a Bologna. Quando è salito sul palco con Bersani, Errani e Merola, a metà comizio, la sorpresa è stata salutata da un'ovazione dai 15-20mila della piazza.

Professore, cosa risponde a chi ha parlato di un Prodi freddo con Merola?

«C'è sempre chi ha interesse a dividere, qualcuno che ci prova. Ma il sostegno a Merola è senza riserve. A Bologna bisogna vincere, e vincere già al primo turno. Il mio impegno è questo. Per Bologna e per il Paese. Soprattutto adesso che la campagna elettorale è diventata una sorta di referendum generale, con una valenza politica nazionale evidente».

Una campagna elettorale avvelenata, col Premier impegnato al massimo a colpire i candidati del centrosinistra e a dispensare promesse improbabili....

«Gli ultimi giorni di Berlusconi sono stati una roba incredibile, offensivi della dignità dell’Italia. Dall'uscita su “quelli di sinistra che non si lavano”, al disprezzo per le persone fino all'annuncio sulle case abusive che non si devono abbattere. Ovunque è andato ha portato ulteriori punte di volgarità. La volgarità è diventata la sua bandiera, che ci fa vergognare nel mondo. Per questo dobbiamo impegnarci, votare. Dobbiamo vincere per salvare la dignità di questo Paese dalla volgarità del Premier».

Quanto peserà il voto nelle città sulla tenuta di Governo e maggioranza?

«È un voto che può incidere molto. Il braccio di ferro più simbolico è quello di Milano e Napoli. Ma anche Bologna avrà un peso: da qui può partire un segnale forte al Paese».

C’è chi sostiene che è già cambiato il vento nel Paese. Lei ci crede?

«Purtroppo non è ancora così, ma penso che l’aria non tarderà molto a cambiare. La crisi è pesante. Stanno aumentanto le iniquità. E cresce la distanza tra il Governo e il Paese. Le elezioni amministrative possono dare una mano a fare maturare in Italia la volontà di voltare pagina».

Come giudica la campagna elettorale di Bologna?

«Mi pare che qui sia stata meno indecente che altrove. Salvo le battute da piccolo trivio su Merola-Alì Babà (Tremonti per marcare le origini meridionali del candidato. E Bersani ha replicato: «Sempre meglio Alì Babà dei 40 ladroni», ndr) e sul governo della sinistra a Bologna equiparato alla mafia (Stefania Craxi, ndr), direi che è stata corretta. E la coalizione di centrosinistra è andata in crescendo, col tempo ha preso vigore».

La macchina del fango però è in azione, a Milano come a Bologna. Qui i “grillini” hanno dipinto un Merola alticcio e psichicamente instabile, e il “Resto del Carlino” ha pubblicato l’intervista a uno psichiatra sulla stanchezza del candidato...

«A Bologna più che la macchina del fango mi è sembrato di vedere squallore umano, di sentire qualche voce dal sen fuggita. A Milano è diverso: lì è chiaro che l'attacco della Moratti a Pisapia è stato pianificato dagli spin doctors».

Nel Paese c'è disaffezione per la politica, anche nei confronti del Pd. A Bologna dopo Delbono il centrosinistra teme l'astensione e il voto a Grillo. Pensa che sia un timore fondato?

«A vedere la piazza di venerdì sera non direi. Nel centrosinistra siamo abituati agli esami continui, ma non mi pare ci sia uno specifico bolognese. La disaffezione è un fenomeno generale, riguarda l'Italia, la crisi del Paese e della politica alimentata dagli anni di Berlusconi».

Bologna però ha perso colpi...

«E' vero, li ha persi. Ma se la paragoniamo ad altre città se la cava ancora bene. Certo, un tempo Bologna era un simbolo mondiale. Ora è una città più normale, costretta alla lotta dura per non arretrare, falcidiata in modo micidiale dai tagli, con poche risorse a disposizione per garantire i servizi e le innovazioni del passato».

Cosa serve perché Bologna torni ad essere Bologna?

«Il coraggio. La voglia di sfidare il mondo, di rimettersi in gioco. Senza avere paura della internazionalizzazione. Puntando sull'Università, i saperi, la ricerca, che restano i nostri “francobolli” nel mondo».

Benigni ha detto che Bologna è sempre stata una buona fabbrica di sindaci. Report ha mostrato una città non più all'altezza, con candidati sindaco in grigio. Lei come lo vede Merola?

«Prima facciamolo diventare sindaco. Poi vediamo se la fabbrica ha funzionato. Io penso che farà bene. Certo, lo aspetta un compito difficile, più difficile degli ultimi che l’hanno preceduto. Per questo, come ho detto sul palco, nei giorni feriali dovrà stare sul pezzo come un metalmeccanico e la domenica dovrà celebrare come un parroco».

15 maggio 2011
da - unita.it/italia/prodi-paese-offeso-servono-sindaci-coraggiosi-1.293343
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« Risposta #52 inserito:: Maggio 15, 2011, 10:14:53 pm »

   
L'INTERVISTA

La nuova corsa di Prodi "Sono pronto ad aiutare"

Parla il "traghettatore": Gli eredi dell'Ulivo non possono continuare a litigare fra loro. O si crea un'alternativa responsabile o non si vince"

di MARCO MAROZZI


BOLOGNA - Ai suoi compagni di bicicletta spiega: "L'importante è non perdere il contatto con il gruppo. Guardando il gruppo di testa e non perdendo per strada gli ultimi. Nella prima gara della mia vita io sono arrivato dodicesimo. Ma primo è arrivato uno che si chiama Adorni. Dici poco. E da allora siamo sempre rimasti in contatto. Qualcuno più bravo in una cosa, qualcuno in un'altra. Io non vinco le volate, però non mollo mai e alla fine ci sono".

Romano Prodi ama la bici e le metafore a pedali. È a cavallo di una bicicletta che si può spiegare quel che sta avvenendo con Prodi in politica. "Non perdere i contatti. Poi si vedrà". Non lo dice lui, lo raccontano quelli che lo cercano. Nessun ritorno alla politica del giorno per giorno. L'ex presidente del Consiglio e della Commissione Ue se la gode a fare il pensionato globe trotter, fra lezioni e incontri, dagli Usa alla Cina, dal Kazakistan a Parigi. Diventerà nonno per la sesta volta, terzo nipote maschio. Però soffre a ogni sgarbo, ogni dimenticanza italiana. Così ogni tanto ritorna.

"L'obiettivo è unire e non dividere". Non pensa più a una "corsa", come quella del 1996 o del 2006. Ma a qualcosa che non lo "stacchi" dal gruppo che in questo momento comanda il giro. Sa che tra due anni può cambiare tutto. Tant'è che i "suoi" delineano una strategia verso il Quirinale, nel 2013. Si tratta di scenari politici che devono cambiare, di alleanze e preferenze da costruire. Ufficialmente lui si chiama fuori da tutto. Ma, appunto, si ritaglia il ruolo di "Grande Vecchio" in un'opposizione che non trova risposte al Berlusconi declinante. Vede Enrico Letta, vede Pier Ferdinando Casini. Sente Pier Luigi Bersani. Lo cercano. Lui sul suo sito web mette un programma Sky su "Mortadella batte Nano Pelato due a zero". Lo evoca Nichi Vendola, volto almeno in parte nuovo, che propone qualcosa che assomiglia alla sconfitta Unione prodiana: il Professore tiene le distanze anche per non creare problemi di leadership al Pd a cui è iscritto e che ama anche se diverso da come l'aveva concepito.

Nostalgia, progetto, bisogno di un traghettatore o almeno di un grande consigliere per un blocco senza leader. "Io ci sono sempre per aiutare", va ripetendo. È su questa scia che si è presentato a fianco di Pier Luigi Bersani all'ultimo comizio della campagna bolognese. È su questa scia che bacchetta e insegna. "Gli eredi dell'Ulivo non possono continuare a litigare fra loro" dice alla sinistra. Usa le stesse parole di Giorgio Napolitano. "O si crea un'alternativa responsabile o non si vince". A Bologna, dopo essersi ignorato per mesi (ricambiato) con il candidato Virginio Merola, alla fine chiama a "una maggioranza forte e chiara". Il sostegno finale nella "mia città" è esploso dopo che alle primarie la moglie e la portavoce avevano sostenuto una antagonista all'uomo Pd.
"Uniti o suicidi" dice Prodi ai sindacati divisi. "Serve una visione dell'economia diversa" insegna alle coop. Ride ai blog di Corrado Guzzanti che lo rappresentano "fermo come un semaforo", ripete di essere un diesel. Guarda ed aspetta. "E ogni tanto, quando è fuori da troppo tempo, dà una pedalata e raggiunge gli altri. Non è tanto difficile", sospirano i suoi. Lui tace.

È una rete quella che Prodi periodicamente tenta di non perdere. Una rete che ancora una volta sembra cercarlo. Prodi ripete di venire da "una stagione finita". Sa benissimo che chi l'ha voluto e subito avversato, è ancora lì. A 72 anni, nonostante l'alta convinzione di sé, non si illude che il passato ritorni. "Tornerebbero ad attaccarmi" ha sospirato quando in una Bologna senza guida eppure sempre città-simbolo molti avevano insistito perché facesse il sindaco di progetto, passaggio e formazione di un nuovo gruppo dirigente. Ha detto no, con qualche magone.

Adesso si muove nella stessa aspettativa rispetto al quadro italiano. "Serve un ricambio" ripete, pur non amando il fiorentino Renzi, definendosi "nonno e pensionato", osservando Montezemolo e Mario Monti. Non perdere i contatti, lontano-vicino, essere vissuto come traghettatore fra passato e futuro. Questo è il Prodi 2011. Con qualche vezzo. A Merola ha detto che "il sindaco deve stare nei giorni feriali al pezzo come un metalmeccanico, mentre nei festivi deve celebrare come un parroco". Al sindaco precedente, Flavio Del Bono, aveva detto di "avvitare e dipingere Bologna". Del Bono, prodiano di ferro, è durato qualche mese, poi si è dimesso per guai di donne. Ma come tutti quelli che non vogliono "perdere il contatto con il gruppo", è sempre pronto al rish finale.

(15 maggio 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #53 inserito:: Maggio 31, 2011, 03:43:30 pm »

Poi nega un suo possibile ritorno in politica: «Ho preso una decisione e la mantengo»

Prodi: «Consigli a Berlusconi? No, sono troppo giovane per uno così»

L'ex premier in piazza a Roma con Bersani. «Mezz'ora per gioire, ma poi subito al lavoro per il Paese»

   
MILANO - «Consigli a Berlusconi? Sono troppo giovane per dare consigli a un politico maturo come Berlusconi». Romano Prodi ha l'umore giusto per scherzare parlando con i giornalisti a margine di un evento di ItalianiEuropei a Roma. Invitato a commentare i risultati del voto, con l'esito negativo per il centrodestra, ha spiegato: «Hanno perso perchè non hanno capito come va il mondo. La vittoria va consolidata riflettendo, lavorando, mettendo in piedi le cose. Abbiamo perso dove eravamo divisi e quindi serve capire il mondo e andare uniti». E quanto ad un suo possibile ritorno sulle scene politiche: «Sono un sostenitore del centrosinistra, ma ho preso una decisione e la mantengo».

Prodi in piazza per festeggiare Prodi in piazza per festeggiare    Prodi in piazza per festeggiare    Prodi in piazza per festeggiare    Prodi in piazza per festeggiare

«SUBITO AL LAVORO» - «Quando arrivano cambiamenti così grandi aumentano le responsabilità - ha poi aggiunto rivolgendosi al centrosinistra e al leader del Pd, Pier Luigi Bersani, che gli stava a fianco -. Quindi mezz'ora per gioire e poi cominciare subito un lavoro di organizzazione, di compattamento, di programmi per il cambiamento del Paese». «Il Paese va cambiato a fondo - ha detto ancora l'ex premier ai cronisti - va cambiato con una operazione di grande respiro che non può essere improvvisata in un giorno, altrimenti questo vento diventa tempesta». «Se fosse stata la vittoria in un'unica città - ha proseguito - poteva essere un momento di esitazione; invece un successo così generale, soprattutto al nord, è segno di una grande stanchezza ed insoddisfazione per quello che c'è. Questo non vuol dire che sia immediata la possibilità di cambiamento. Occorre un cambiamento robusto e su linee di azione ben precise, quindi è oggi il momento di cominciare a lavorare».

«NON MI OCCUPO DI TATTICA» - I cronisti hanno domandato quale dovrebbe essere a suo giudizio l'assetto delle alleanze del Pd: «Di queste cose - ha replicato Prodi - non mi occupo. Più che alla tattica politica cerco di riflettere sul lungo periodo. Il problema nostro non è tattico, bensì capire quali sono le soluzioni per un paese che ormai ha paura del suo futuro, che non riesce a prendere decisioni sui fatti più elementari, in cui ognuno è capace di bloccare gli altri ma nessuno è capace di far correre gli altri. Quello che io voglio è che l'opposizione di oggi, che può essere al governo domani, si presenti con delle concrete soluzioni».


30 maggio 2011
da - corriere.it/politica/speciali/2011/elezioni-amministrative-ballottaggi/
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« Risposta #54 inserito:: Luglio 11, 2011, 07:21:15 am »

Prodi: governo debole, Italia bastonata

di Francesco Cundari


L'allarme per l’attacco della speculazione contro l’Italia si inserisce nel contesto della crisi dell’Europa, dice Romano Prodi, ma se in questo quadro l’Italia ha preso «la bastonata più forte» è perché «lo scossone europeo ha coinciso con un momento di grande debolezza e di fortissime tensioni interne al governo italiano». Negli ultimi anni Romano Prodi ha scritto molto e parlato poco. Ha partecipato al dibattito pubblico più attraverso articoli e interventi d’occasione che attraverso interviste. In questo caso, l’occasione è offerta dagli auguri che l’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea ha voluto fare al nuovo direttore dell’Unità, «tanto più doverosi in un momento così difficile per la stampa quotidiana».

Certo non è un momento facile nemmeno per l’Italia nel suo complesso. Qual è la sua impressione, all’indomani del tracollo della borsa e dei titoli di stato sui mercati?

«Sono problemi che partono da lontano. Pesa, in particolare, l’incapacità della leadership europea di affrontare i problemi della moneta unica. Ormai è più di un anno che si continua a rinviare, lasciando così uno spazio indebito alla speculazione internazionale, che certo non ha bisogno di incoraggiamenti per farsi avanti. Ma se in questo quadro l’Italia ha ricevuto la bastonata più forte il motivo è che lo scossone europeo ha coinciso con un momento di grande debolezza e di fortissime tensioni interne al governo italiano: le polemiche fra ministri e fra partiti hanno dato un messaggio di sbandamento che è una vera manna per chi vuole giocare al ribasso. Certo, le debolezze strutturali dell’economia italiana costituiscono il problema di fondo, ma in questo caso i fattori politici sono stati determinanti».

Non ritiene che nella fragilità di tanti paesi dell’Unione sottoposti agli attacchi della speculazione abbiano avuto un peso anche fattori politici europei?

«Il problema è l’atteggiamento del tutto contraddittorio da parte dei governi e dei leader politici: sanno benissimo che è interesse dei loro Paesi, Germania compresa, che l’euro rimanga saldo, ma ognuno di loro insegue il populismo di casa propria, rendendo così il problema sempre più grave. Io penso che alla base vi sia una mancanza di leadership, perché leadership significa fare le scelte necessarie anche se sono sgradevoli. In Europa, invece, si tende a compiere scelte gradite all’elettorato oggi, anche se nefaste per il domani».

Sembra di capire che il suo giudizio sulla gestione della crisi dei debiti pubblici e in particolare della vicenda greca non sia troppo positivo.

«In fondo la dottrina dominante è consistita nel rinvio continuo, nel prendere anche minime decisioni sempre l’ultimo giorno utile, facendo così diventare enormi problemi che affrontati per tempo sarebbero risultati tutto sommato modesti. Alla base di questa dinamica, purtroppo, sta una fiducia molto fragile nell’Europa. Non si vuole comprendere che l’Europa non può essere costruita a metà. Fatta la moneta unica, manca la metà delle grandi decisioni politiche, a partire dalla politica estera. Soprattutto, non funziona il cosiddetto motore a due cilindri franco-tedesco. Non funziona assolutamente».

Per quale ragione?

«Da un lato non vi è armonia tra questi due grandi protagonisti della politica europea, Francia e Germania. Dall’altro, essi stessi non si fanno carico della responsabilità che hanno nei confronti degli altri Paesi dell’Unione. Nei consigli europei si è creato un clima quasi di estraneità, mentre la Commissione è stata privata della gran parte dei suoi poteri. Solo il Parlamento, lentamente e negli ancora ristretti limiti delle sue competenze, sta assumendo un ruolo più incisivo».

È immaginabile, in questo quadro, che i partiti progressisti europei, a cominciare naturalmente dal Pd, possano elaborare una strategia o almeno definire i principi di fondo di un progetto comune?

«Questo appartiene ai miei desideri, non certo alle mie previsioni».

Pensa che le attuali difficoltà dipendano anche dal modo in cui l’Europa ha affrontato la grande crisi del 2008?

«La crisi ha semplicemente fatto scoppiare problemi che in Europa erano già presenti. Dopo gli anni in cui abbiamo costruito con coraggio il mercato unico, l’allargamento, l’euro, negli ultimi anni siamo entrati nell’epoca della paura: paura dell’immigrazione, paura della Cina, paura del mondo. La crisi ha fatto semplicemente precipitare le conseguenze di questi atteggiamenti già ben presenti nei governi europei».

Dal dibattito che si sta svolgendo in Europa, e anche dentro il governo italiano, sembra riproporsi l’antico dilemma tra crescita e risanamento.

«Ma in Italia non abbiamo davanti nessun dilemma del genere. Qui il problema è spegnere l’incendio. Se non teniamo saldi i conti non possiamo neanche pensare alla crescita. Quando i nostri buoni del tesoro hanno tassi di due punti e mezzo superiori a quelli tedeschi, il peso del debito è insostenibile, e allora bisogna rimediare, restituire tranquillità ai mercati internazionali e riprendere il cammino verso i tassi tedeschi».

Molti osservatori sostengono che accanto ai fattori politici, sulle difficoltà dell’Italia, pesino anche fattori istituzionali, l’eterna incompiutezza della transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Condivide questo giudizio?

«Sì, è quello che penso anch’io. L’Italia ha bisogno di recuperare un rapporto tra i cittadini, i loro rappresentanti e i loro governanti. Da questo punto di vista, considero centrale la questione della legge elettorale».

È un problema che al momento sembra dividere lo stesso Partito Democratico. Qual è la sua posizione?

«Non è un problema del Partito Democratico, ma dell'Italia. Abbiamo bisogno di governi stabili, legittimati dal voto dei cittadini, e di un Parlamento realmente legato ai territori e agli elettori. D’altra parte, io ho esordito in politica con questa semplice idea, che è il significato dell’Ulivo, e non l’ho mai cambiata. Pertanto, mentre si discute di come uscire da una legge elettorale che ha fatto tanti danni, non posso che esprimere un orientamento coerente con la mia posizione di sempre. E cioè che l’Italia, per risolvere i suoi problemi, ha bisogno del bipolarismo e del maggioritario».

Parlando dell’Italia, presidente, non possiamo chiudere l’intervista senza chiederle un commento sulla notizia del giorno: la sentenza sul lodo Mondadori. Cosa ne pensa?

«Non commento le sentenze, so solo che devono essere eseguite».

da - http://www.unita.it/italia/prodi-governo-debole-italia-bastonata-1.312218
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« Risposta #55 inserito:: Luglio 11, 2011, 09:22:47 am »

Come reagire alle nuove turbolenze finanziarie
       
         
di Romano Prodi

ROMA - È stata proprio una brutta settimana per l’economia italiana. Non solo la Borsa è precipitata ma, soprattutto, la differenza tra i tassi di interesse del nostro debito pubblico e quelli tedeschi ha raggiunto i 248 punti base, arrivando quindi a livelli che, pochi mesi fa, erano propri dell’Irlanda e del Portogallo. Un aumento di questa portata, se prolungato nel tempo, rende quasi impossibile il risanamento del nostro bilancio. Con un debito intorno al 120% del Prodotto interno lordo ogni punto in più del tasso di interesse ci obbliga a sacrifici pesantissimi.

Le incertezze e le divisioni tra i leader europei sono certo la ragione fondamentale di queste ripetute tensioni nei mercati finanziari. Tuttavia il precipitare degli eventi è la conseguenza prossima della speculazione internazionale, che ha potuto manifestarsi con una particolare violenza nella giornata di venerdì a seguito delle crescenti tensioni manifestatesi all’interno del governo italiano.

Il tutto era partito da una delle ormai solite dichiarazioni di un’agenzia di rating (in questo caso la Moody’s) che ha declassato i titoli portoghesi a livello di spazzatura. In questo caso l’Italia non c’entrava per nulla ma, come spesso avviene in queste occasioni, è partito un attacco speculativo in tutte le direzioni. A causa delle nostre debolezze tale attacco si è accanito soprattutto contro i nostri titoli pubblici e i nostri titoli bancari, anche se non vi era alcun segnale di particolare novità per le nostre finanze e le banche italiane sono infinitamente meno indebitate con i Paesi a rischio rispetto alle banche tedesche e francesi. Si può anzi affermare che le nostre banche non sono per nulla indebitate con Grecia, Irlanda e Portogallo mentre Francia e Germania ci sono dentro fino al collo. Le banche italiane hanno soprattutto un problema: sono italiane.

Il modo e il tempo (a mercati aperti) con cui sono stati resi noti i giudizi delle società di rating hanno riacceso la discussione sul ruolo politico che queste agenzie hanno ormai assunto. Appare infatti sempre più giustificato il sospetto che, data la loro origine americana, esse giudichino in modo diverso imprese e Stati europei rispetto al trattamento riservato agli Stati Uniti. In effetti i conti pubblici americani sono peggiori rispetto ai peggiori Paesi europei, tanto da fare dichiarare alla più recente missione del Fondo monetario internazionale che «la dinamica del debito pubblico americano è assolutamente insostenibile».

L’aggiustamento necessario per raddrizzare il bilancio pubblico degli Stati Uniti è infatti infinitamente più gravoso di quello necessario per mettere ordine alle finanze italiane. Eppure nemmeno il più piccolo allarme viene sollevato sulla solvibilità del debito americano. Capisco che nella fattoria degli animali non tutti sono uguali ma l’opinione che si usino metri inappropriati è ormai diffusa sia a Bruxelles che in tutte le capitali europee. Non credo che la proposta di creare agenzie di rating sostenute dai diversi governi europei sia una cosa saggia, perché ne accentuerebbe ulteriormente la natura politica, ma è certo che se agissero nei mercati agenzie non americane (siano esse europee o cinesi o indiane) il metro di giudizio sarebbe certamente meno sospetto.

Le tensioni all’interno del governo, poi, hanno purtroppo offerto ragioni corpose a chi intendeva speculare al ribasso sull’Italia. Una legge finanziaria che rinvia ad un futuro più lontano possibile gli interventi di risanamento dei conti dovrebbe infatti essere almeno garantita da un governo stabile e coeso. Le tensioni tra i diversi ministri, fra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e le divergenti linee politiche tra i partiti di governo sono state certamente la causa principale della seconda ondata di vendite al ribasso, che si è soprattutto manifestata nella giornata di venerdì.

Urge quindi porre rimedio a errori e debolezze che, se prolungati nel tempo, renderanno non credibile (e quindi impossibile) la nostra azione di risanamento. Di questa mancanza di credibilità non è possibile attribuire la colpa né a Moody’s né agli speculatori internazionali.

Un altro avvenimento importante della settimana economica è stato l’aumento del costo del denaro di 0,25% deciso dalla Banca centrale europea. Era una decisione scontata e prevista, che dimostra la lodevole attenzione della Bce a combattere ogni accenno di inflazione. Non vorrei però che questo lodevole comportamento diventasse troppo lodevole. La crescita dell’economia della zona euro non ha infatti mantenuto nel secondo trimestre dell’anno le buone prospettive che si erano manifestate nel primo trimestre, mentre l’inflazione rimane in limiti modesti e trova la sua origine soprattutto nei prezzi delle materie prime e dell’energia, rispetto ai quali l’aumento del costo del denaro non ha alcuna influenza positiva. Non capisco perciò perché si stia diffondendo l’opinione che quest’aumento debba essere seguito da altri aumenti.

Per mettere a posto i bilanci pubblici c’è bisogno soprattutto di crescita, di occupazione e di un euro che non continui ad aumentare di valore nei confronti del dollaro. Questi obiettivi dovranno avere l’assoluta priorità da parte della Bce, almeno fino a quando continueremo ad essere tranquilli nei confronti dell’inflazione.

 
Domenica 10 Luglio 2011 - 19:16
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da - http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=39853&sez=HOME_ECONOMIA&npl=&desc_sez=
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« Risposta #56 inserito:: Luglio 13, 2011, 08:26:13 am »

Prodi: «È l'ora di unire il Paese, serve uno sforzo comune contro la speculazione»

Carlo Marroni 12 luglio 2011


Prodi: Governo, opposizione e Bankitalia insieme nell'emergenza

«Va lanciato immediatamente il messaggio che c'è un Paese unito, capace di fare sacrifici e di costruire compatto il proprio futuro».
Nel giorno più nero per l'Italia sui mercati finanziari, Romano Prodi sollecita una prova di compattezza per superare questa crisi e respingere l'attacco speculativo internazionale a cui è sottoposta l'Italia. Per l'ex presidente del Consiglio «non ci sono alternative a questo approccio. Deve emergere subito un messaggio di stabilità, di compattezza, di fiducia, condiviso da maggioranza e opposizione, assieme a tutte le istituzioni. Questo fa un Paese che festeggia i 150 anni di unità e continua insieme a costruirsi il domani».

Professor Prodi la situazione è davvero difficile.
Sono fortemente preoccupato per quello che sta accadendo. E lo sono a maggior ragione alla luce di quanto avviene negli Stati Uniti, dove i conti pubblici sono peggiori dei nostri e la situazione politica interna non è certo più coesa della nostra. Eppure non si pensa altro che ad attaccare l'Europa.

L'Italia è il Paese nel mirino più di altri?
Dopo Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna adesso tocca a noi subire gli attacchi, anche se ora il fenomeno sta interessando pure la Francia, come dimostra lo scossone avuto dal loro spread. Ma questo non può certo consolarci.

Che cosa sta innescando questo fortissimo e pare inarrestabile movimento speculativo?
L'Italia non brilla per il proprio rigore, ma la nostra economia non è certo al collasso, anzi, le strutture produttive sono generalmente sane e le banche sono relativamente più solide che negli altri Paesi. Eppure assistiamo a un attacco feroce, sia in Borsa che sui titoli di Stato, con lo spread verso i titoli tedeschi tornato addirittura sopra 300 punti base. Parliamoci chiaro: se non si pone rimedio si va diritti verso un baratro. Occorre una risposta coesa, ripeto, coesa, di tutto il Paese.

La manovra varata dal Governo pare sia passata inosservata.Serve una strategia di uscita. Da un lato vanno rafforzati i contenuti della legge finanziaria: è certamente un punto debole il rinvio del cuore dei provvedimenti al 2013-2014, e dall'altro va seguita una precisa strategia che possa influire sui mercati finanziari.

Che guardano ai segnali, ai messaggi, alle aspettative…
È anche e soprattutto per quello che ritengo sia necessario rendere la manovra accettabile all'opposizione.

Sembra facile. Ma come si può fare, visto il contesto della politica italiana che lei conosce molto bene?
Vista l'urgenza, è possibile attraverso l'intesa rapida su alcuni emendamenti. Così si può portare subito la manovra in Parlamento e approvarla in tempi stretti, come giustamente sollecitato anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questo fa una politica seria.

Che cosa dovrebbe cambiare l'impianto approvato dal Governo?
La situazione è grave, lo sappiamo tutti. E quindi serve uno sforzo straordinario da parte delle classi a reddito più elevato.

A cui si pensa di ridurre gradualmente l'aliquota massima…
A me pare un follia. Su questo punto bisogna essere chiari.

Concorderà che è difficile trovare risorse in questo momento.Certo. Proprio per questo va varata una vera lotta all'evasione fiscale, che è enorme. Eppoi bisogna agire sulla spesa pubblica.

Anche questo sembra sia al centro dell'impianto della manovra, almeno in alcune sue parti.
Io penso a un politica strutturale di spending review, un po' sulla falsariga di quello che fece la Commissione Giarda. La spesa pubblica nell'ultimo decennio è scappata di mano, e bisogna metterci sul serio rimedio. È noto a pochi che in dieci anni la spesa pubblica complessiva al netto degli interessi è cresciuta di oltre il 50%, passando da 479 miliardi del 2000 a 723 del 2010! La questione centrale è che i mercati finanziari internazionali devono avere la rassicurazione che questi fenomeni in futuro non accadano più.

Una misura a lungo termine, tuttavia…
Sì, ma con un messaggio che ha presa nell'immediato. E che avrebbe un forte impatto emotivo. Come lo avrebbe una seria riorganizzazione delle tasse locali dopo lo smantellamento dell'Ici. Ovunque il federalismo fiscale si basa sulla tassazione degli immobili. È chiaro che parte delle risorse liberate dovrebbero essere indirizzate alla riduzione dei costi indiretti delle ore lavorate, in modo da aiutare il rilancio dell'economia.

Sempre manovre strutturali.
Da attuare attraverso un'immediata riunione tra Governo, opposizione e Banca d'Italia in modo da dare la garanzia che tutto il Paese è pronto a fare sacrifici, affrettare il risanamento e sostenere l'economia.

La forza del messaggio, come accaduto in passato, quando a metà degli anni 90 l'Italia subì attacchi per certi versi analoghi.
Non mi stancherò di ripetere che in questo momento il messaggio di unità, sostanziale, è importantissimo, come è decisivo allontanare l'idea che si vogliano procrastinare le cure necessarie. Come facemmo in quel momento difficile del '96, quando il mio Governo varò la tassa per l'Europa.

Lì c'era un obiettivo ben definito e decisamente "alto".
Sì, certamente si trattava di una scelta grande e giusta. Ma il fattore vincente fu il metodo: mettemmo di fronte al Paese dei sacrifici a fronte di risultati chiari. E come sanno tutti, i soldi versati per entrare nell'euro furono restituiti.

L'estate 2011 ricorda l'autunno di quindici anni fa?
Questi problemi hanno tutti la stessa necessità, quella di essere affrontati con uno sforzo comune davvero condiviso. Se questo sarà fatto immediatamente, allora lo spread tra i nostri BTp e i Bund tedeschi si richiuderà velocemente.

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-12/prodi-governo-opposizione-bankitalia-064452.shtml?uuid=AarT3OnD&p=2
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« Risposta #57 inserito:: Luglio 28, 2011, 05:34:14 pm »

Prodi commenta così la decisione dell'istituto di vendere 7mld di euro di titoli italiani

«La scelta di DeutscheBank? Un suicidio»

L'ex premier: «Significa la fine di ogni legame di solidarietà. Sono assolutamente turbato»


MILANO - Una decisione-shock? La scelta di affossare definitivamente la moneta unica? O semplicemente la presa di coscienza che il rischio insolvenza per l'Italia si fa concreto e continuare a investire in titoli di stato del nostro Paese (pur garantendo un rendimento sempre maggiore) è una scommessa tipica del gioco del lotto? Al netto delle opinioni la notizia riportata mercoledì dal Financial Times, secondo la quale nei primi sei mesi del 2011 Deutsche Bank avrebbe tagliato l'esposizione verso le obbligazioni italiane dell'88% (per un controvalore di circa 7 miliardi di euro) ha sconvolto Romano Prodi.

IL COMMENTO - L'ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea indossa l'abito dell'economista e in un'intervista rilasciata a margine di un evento della regione Emilia Romagna dice la sua: «E' la dimostrazione di una mancanza di solidarietà che porta al suicidio anche per la Germania. Significa la fine di ogni legame di solidarietà e significa obbligare tutti a giocare in difesa. E quando questo viene dalla Germania, un Paese che ha avuto più saggezza nel capire gli altri fino a qualche anno fa, sono assolutamente turbato». Strali (che assumono peso specifico maggiore se commisurati alla sobrietà del personaggio) nei confronti della massima istituzione creditizia tedesca, invitata ad avere maggiore senso di responsabilità e di leadership.

I MERCATI - Sono molti gli osservatori che attribuiscono alla decisione di Deutsche Bank l'aumento del differenziale tra BTp e Bund giovedì schizzato a 336 punti base. Unito anche al maggior rendimento dei credit default swaps collegati alle obbligazioni italiane, di cui sta facendo incetta proprio la banca centrale tedesca per tutelarsi dal rischio insolvenza.

Fabio Savelli

28 luglio 2011 16:02© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/11_luglio_28/prodi-deutsche-bank_02a8aac8-b914-11e0-a8dd-ced22f738d7a.shtml
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« Risposta #58 inserito:: Luglio 31, 2011, 11:13:47 am »

Prodi: rispondere all'egoismo tedesco e ripristinare la credibilità dei governanti italiani
           
di Romano Prodi

ROMA - La differenza del tasso di interesse tra i Buoni del tesoro italiani e i Buoni del tesoro tedeschi è da qualche giorno assai simile a quella che vi è fra i Buoni del tesoro spagnoli e quelli tedeschi. Non vi è alcuna ragione perché questo avvenga. La struttura economica della Spagna non può essere paragonata a quella italiana, il suo deficit di bilancio è molto superiore al nostro e così il livello della disoccupazione. E vi è un giudizio unanime sulla maggiore solidità del nostro sistema bancario rispetto a quello spagnolo.

Eppure i mercati ci trattano al livello della Spagna di oggi e al livello della Grecia di un anno fa. Non sto a ripetere le conseguenze di tutto questo. Al lettore basterà riflettere sul fatto che quest’aumento del costo del debito pubblico, se rimarrà costante nel tempo, renderà del tutto vani gli effetti della Finanziaria appena votata. Nelle nostre analisi precedenti, riflettendo su questi problemi, avevo segnalato il ruolo fondamentale giocato dalla speculazione internazionale. Mai avrei tuttavia pensato che la più grande e più autorevole banca tedesca (la Deutsche Bank) si fosse disfatta della quasi totalità degli otto miliardi di titoli del debito pubblico italiano che aveva in portafoglio, dando così ai mercati un impressionante segnale di sfiducia nei confronti dell’Italia.

Mi si può rispondere che la suddetta banca non aveva alcuno scopo recondito se non quello di fare i propri affari. Ed è così che, pur non condividendolo, ho interpretato il suo comportamento. Dopo di che mi sono dedicato a leggere un accurato rapporto scritto e reso pubblico dalla stessa Deutsche Bank il 20 luglio del 2011. In esso, pur suggerendo di tenere conto dell’elevato livello di debito, si scrive ogni bene delle prospettive di liquidità e di solvibilità italiane. Si sottolinea che il quadro del deficit appare migliore perfino di alcune delle nazioni europee virtuose (le c.d. core countries) e si mette in rilievo che la proprietà straniera del debito italiano è tra le più basse in Europa (44%) mentre la maggior parte dei titoli pubblici è nelle mani dei nostri risparmiatori e investitori. Lo stesso rapporto aggiunge che le banche italiane non hanno problemi di liquidità (a differenza delle banche irlandesi) e nemmeno un’eccessiva esposizione verso il settore immobiliare (a differenza di quelle spagnole).

La conclusione del rapporto è che, pur dovendosi usare una certa prudenza per il breve termine, «le recenti vendite appaiono aggressive e non giustificabili sotto l’aspetto delle prospettive italiane». Parole davvero per noi lusinghiere se non fossero state scritte da chi aveva appena finito di disfarsi dei titoli italiani.

Quest’importante avvenimento pone evidentemente un interrogativo politico sulla coerenza fra le dichiarazioni di principio dei governi europei e i comportamenti dei protagonisti finanziari che dovrebbero contribuire a mettere in atto queste stesse dichiarazioni e che invece, proprio per la forza della sede da cui provengono, mandano segnali che danneggiano terribilmente e in modo ingiustificato l’uno o l’altro Paese. Di fronte a questo e a tanti comportamenti simili ognuno di noi deve interrogarsi su come la solidarietà intraeuropea si vada indebolendo, e abbia rinunciato a cercare una alta mediazione politica nei confronti di queste decisioni così importanti. Il ruolo degli Stati e della politica cede sempre di più il passo ad altri protagonisti divenuti ormai ultrapotenti e quasi incontrollati, siano essi le società di rating o le grandi strutture finanziarie. Per il buon ordine del mondo è venuto il tempo di porre rimedio a queste anomalie.

A questo punto mi pongo naturalmente l’interrogativo su chi, in queste situazioni così delicate, possa assumersi il compito di difendere gli interessi italiani. Come ha giustamente sottolineato Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera di ieri non risulta infatti che il ministro Tremonti abbia protestato con il suo collega Schaüble o che Berlusconi abbia telefonato alla cancelliera Merkel. Questo non è certo avvenuto per la mancanza di linee telefoniche disponibili ma semplicemente perché le decisioni dei nostri governanti non hanno più la forza e la credibilità per arrivare a destinazione. È necessario perciò che tale forza e tale credibilità vengano ripristinate al più presto.

 
Sabato 30 Luglio 2011 - 13:02
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da - http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=40259&sez=HOME_INITALIA&npl=&desc_sez=
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« Risposta #59 inserito:: Agosto 17, 2011, 04:25:53 pm »

Prodi: «Solo la lotta all'evasione fiscale può salvarci»


«La ricetta per salvare il Paese? Passa per la riduzione drastica dell'uso dei contanti e per l'incremento della tracciabilità».
Romano Prodi lo ha sostenuto a 24 Mattino su Radio 24. «Se non mettiamo mano alla lotta all'evasione fiscale, nonostante la manovra, fra tre anni ci troviamo nella stessa situazione». Secondo l'ex premier contro l'evasione fiscale «utilizzare l'elettronico in modo feroce, è l'unica via per andare avanti. Ricordiamoci che la democrazia si difende con le ricevute e le ricevute moderne sono un sistema elettronico che controlla quanto si spende e quanto si ricava e lascia la tracciabilità. Se noi non abbiamo il coraggio di far questo, il paese sarà sempre un paese disastrato».

Romano Prodi ha poi commentato il malcontento suscitato dal testo della manovra: «la manovra, per definizione, vuol dire pesare di più sulle tasche degli italiani e dare meno benefici. Però il problema è come lo si fa». A quanti avessero fatto un parallelo tra il sacrificio richiesto da Prodi a tutti gli italiani per entrare nell'area Euro e la manovra di questi giorni, l'ex capo della Commissione Europea, ha risposto: «Non ci sono punti di contatto tra il contributo di solidarietà di questa manovra e la tassa per l'Europa del Governo Prodi. C'è una profonda differenza. La nostra, allora era una gara per la promozione, noi per entrare nel club dell'euro dovevamo arrivare al 3% del deficit . Era un governo che lavorava insieme, in modo collettivo. Abbiamo fatto mille conti. E, se noi fossimo entrati subito, si sarebbero abbassati i tassi d'interesse. Mi ricordo benissimo - ha aggiunto - le lunghissime discussioni fatte con Ciampi, Andreatta, Napolitano prima di annunciare la manovra. C'era una squadra. Facevamo ore e ore di simulazioni con i funzionari». «Qui - ha spiegato Prodi - ognuno ha la sua tesi e ognuno ha un' opinione diversa in seno alla maggioranza. Ognuno mette un pezzo di veto e quello che ci rimane è un pezzettino di decisione che non può risanare un paese. Noi abbiamo deciso di introdurre immediatamente questa tassa perché l'avremmo potuta restituire. Così e' avvenuto, i tassi d'interesse si sono abbassati e in tre anni abbiamo restituito i due terzi dell'imposta com'era stato stabilito. In questa maggioranza invece ognuno ha la sua voce. Proprio questa divisione è stata l'elemento scatenante della speculazione contro l'Italia».

«La speculazione - ha spiegato il professore sempre a Radio 24 - fa come gli Orazi e i Curiazi, prende quello più debole e lo infilza. In quel momento l'Italia si presentava come estremamente debole. Non c'era un politica economica, non si sapeva dove stesse andando». Infine alla domanda «Se venissimo a intervistarla l'anno prossimo, dove dovremmo andare a Roma, a Bruxelles, a New York?» Prodi ha concluso: «Sarò sempre qui nell'Appennino reggiano».

16 agosto 2011

da - http://www.unita.it/italia/prodi-solo-la-lotta-br-all-evasione-fiscale-puo-salvarci-1.323509
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