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Autore Discussione: L'eclisse di Sottile: Le vallette? Mi hanno tolto tutto.  (Letto 2542 volte)
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« inserito:: Agosto 08, 2007, 05:10:58 pm »

8/8/2007 (7:43) - PERSONAGGIO

"Le vallette? Mi hanno tolto tutto"
 
L'eclisse di Salvo Sottile, desaparecido della politica: ma ora sta scrivendo un libro

MARIA CORBI
ROMA


Scomparso. Dal 16 giugno 2006, quando la polizia gli comunicò l’ordine restrittivo degli arresti domiciliari, Salvatore Sottile è un candidato perfetto per la trasmissione «Chi l’ha visto?». Inghiottito dallo scandalo di Vallettopoli, non ha più dato notizie di sè. Ha cambiato il cellulare, chiuso la email, azzerati i contatti con il mondo, il suo mondo, fatto, fino a quella mattina di un anno fa, da potenti, soubrette, amici veri (pochi) e amici falsi (molti). Un vortice che in 12 anni lo ha trascinato da oscuro cronista politico del Secolo d’Italia a braccio destro di Gianfranco Fini, e che poi il pm Woodcock ha disintegrato, come una tromba d’aria. Le intercettazioni sui giornali, le accuse di aver approfittato del suo ruolo per ottenere favori sessuali, poi la notizia che il fatto non solo non costituisce reato ma non è stato commesso. Ma anche così Sottile non è riapparso, non ha gridato la sua verità. «C’è tempo e Salvo non ha fretta», spiega un suo amico. Durà quello che deve dire dalle pagine di un libro». Un memoir che uscirà in autunno.

E infatti in questi giorni Sottile è in vacanza a Milazzo, a casa dei genitori, dove alle gita in barca alterna lunghe sedute di scrittura. Chi lo ha incontrato prima di partire per la Sicilia, solitario in una passeggiata ai giardini di piazza Cavour, racconta di un uomo distrutto, dimagrito di venti chili, che al saluto imbarazzato: «Ciao Salvo ti trovo bene...», risponde con amarezza: «Sto bene come chi ha perso il lavoro, la moglie, gli amici e anche se stesso». Un uomo solo che poggia la testa sulla spalle dell'amico, quasi lo abbraccia, senza vergognarsi di mostrare la sua disperazione. Certamente ha perso tutto, ha pagato più di altro, si è autopunito più di tutti.

Vicino ha la famiglia, il padre Nino, la madre, fratello e sorella, pochissimi gli amici e tra loro, oltre alla fidata assistente Cristina, anche Giuseppe Sangiovanni, il dirigente Rai coinvolto anche lui nell'inchiesta e nelle intercettazioni. Dei compagni, camerati, di politica gli sono rimasti vicino Francesco Storace, Domenico Nania, Fabio Sabbatani Schiuma. Non pervenuti Ignazio la Russa, testimone anche lui delle nozze con Deborah, che da subito ha preso le distanze. Imbarazzo con Gianfranco Fini che certamente non lo ha sostenuto come invece ha fatto Prodi con Sircana per lo scandalo delle foto della chiacchierata in auto con trans. E quando questo accadde, per Sottile è stato ancora più amaro rileggere la sua storia. Per lui non c'è stata presunzione di innocenza, ma una immediata cacciata dalle stanze del potere. Rimandato al mittente da dove iniziò, al Secolo D'Italia, dove ha il suo posto ufficiale oggi, ma dove sul computer ci sono le ragnatele. Nessuno ricorda neanche un trafiletto scritto da lui in questi mesi.

A ricostruire la sua vita fino ad oggi ci aiutano la moglie (che ha scritto un memoriale sulla tempesta familiare: «Io gli uomini non li capisco», edito da Mursia»), gli amici, i vicini di casa, l’edicolante, il barista. La casa in cui ancora vive a Roma è sempre quella, appartamento in un palazzo modesto, al primo piano, zona medaglie d’Oro. Niente di particolarmente lussuoso. Un salotto elegante, sempre ordinatissimo per volere della Signora, con un divano che è stato il compagno più caro nei giorni della detenzione e anche dopo in quelli della depressione. Salvatore Sottile è un uomo ruvido, a tratti duro, incapace di mostrare debolezze. E quanto gli sono costate le lacrime di quei primi giorni quando a inquisirlo c’era un giudice molto più determinato di Woodcock: il «pm Chiappini», sua moglie Deborah, trentacinque anni, bellezza bionda e appariscente. «Immagino che sarebbe stato più tranquillo in prigione», spiega lei. «Era più forte di me, avevo sete di verità, e lo pressavo continuamente anche se avevo paura delle risposte». La risposta è sempre stata la stessa: «Non riesco a comprendere le ragioni di questo terribile accanimento nei miei confronti... Cosa ho fatto di tanto grave? Quali sono le mie colpe? Ho soltanto scambiato qualche battuta nel corso di alcune telefonate... Una conversazione tra amici, nient'altro, lo giuro...».

Troppo poco per Deborah che lo insultava e poi lo amava. Sono stati prima giorni e poi mesi di sesso senza tregua, anche in Sardegna, al sud, dove si nascondono nell'agosto dopo lo scandalo: «Mai così intenso», giura Deborah che ancora chiede al marito «una dichiarazione pubblica d'amore, come quella che ha fatto Silvio a Veronica dopo la lettera di lei a La Repubblica». Chi conosce Salvo sa però che non potrà mai essere, non è nel dna di un orgoglioso siciliano. Anche se ha ammirato la signora Sircana quando uscì allo scoperto con una lettera in prima pagina difendendo con le unghie suo marito. Deborah, invece, ha scelto di raccontare quei maledetti 12 giorni di arresti domiciliari e il «dopo» con un libro. Salvo l'ha chiamata commentando come un vecchio cronista: «giornalisticamente funziona». Funziona anche come addio. «Il nostro matrimonio è ormai in coma irreversibile», scrive Deborah. Senza pietà. Ma nelle categorie di mogli tradite pubblicamente la cronaca ha individuato diverse tipologie: quelle che piangono e basta come la signora Mele, quelle che scrivono libri come Deborah e quelle che mandano lettere ai giornali credendo oltre ogni ragionevole dubbio al marito, come la signora Aimonino, moglie del portavoce di Prodi. E Salvo Sottile ha avuto anche questo motivo per invidiare il suo collega, Silvio Sircana. Stesse iniziali, stesso mestiere, destino diverso.

da lastampa.it
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