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Autore Discussione: PAUL SAMUELSON Il deficit degli Stati ci salverà  (Letto 2334 volte)
Admin
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« inserito:: Luglio 18, 2009, 09:59:54 am »

18/7/2009
 
Il deficit degli Stati ci salverà

 
PAUL SAMUELSON
 
La favola racconta di quel ragazzo che gridava «al lupo» quando il lupo non c’era, e quando il lupo è arrivato davvero il ragazzo ha gridato ma nessuno gli ha creduto. Dall’inizio delle turbolenze globali nel 2007 i guru di Wall Street e i responsabili governativi hanno proclamato che la ripresa sarebbe arrivata nella seconda metà del 2009 o nel primo trimestre del 2010, e che non dovevamo aver paura di niente se non della paura stessa.

Bene, adesso siamo entrati nel secondo semestre del 2009, e la disoccupazione sta ancora crescendo, al pari delle bancarotte e delle insolvenze sui mutui. A dispetto della mirabile operazione di soccorso orchestrata dal team di Obama, dalla Bank of England e dalla Bce, continua il circolo vizioso di consumatori e investitori troppo spaventati per spendere. Perciò la disoccupazione crescerà ancora, e la caduta del prodotto lordo si aggraverà.

È ragionevole per una banca appena salvata dal soccorso pubblico essere un po’ timorosa nel concedere prestiti a rischio. Come mai l’ortodossia delle banche centrali non riesce a contrastare l’accelerazione della recessione? I tassi di interesse sono prossimi allo zero. Quando alcuni di noi (pochi) ammonivano nella primavera del 2007 che una ripresa economica degna di questo nome avrebbe potuto farsi attendere per anni, figuravamo come una minoranza di lunatici.

Sì, il Giappone aveva sperimentato il famoso «decennio perduto»; ma si diceva che gli ingegneri finanziari dell’Occidente avevano forgiato nuovi strumenti per misurare i rischi, valutarne l’esatta estensione e controllarli. Per noi furbi non ci sarebbe stato alcun decennio perduto.

Bella favola. Certo, quegli strumenti finanziari inventati dal Mit, dall’Università di Chicago o dalla Wharton School possono essere stati utili. Ma nessun amministratore delegato da me incontrato ha mai mostrato di capire veramente il funzionamento di questi diabolici nuovi strumenti. Anziché tenere sotto controllo i rischi - tutti questi swap, opzioni put e call e pacchetti di mutui cartolarizzati - sotto la presidenza Bush e la sua finanza senza regole hanno, di fatto, ucciso la trasparenza del mercato e scatenato un pericolosissimo effetto di leva finanziaria. Risultato: un sistema finanziario fragile, soggetto ai collassi globali e ai crac cui abbiamo assistito tra il 2007 e il 2009.

Il talentuoso ministro del Tesoro di Obama, Timothy Geithner, ha annunciato che il salvataggio sta funzionando e che con un po’ di pazienza assisteremo alla ripresa. Si sbaglia. Di nuove e consistenti spese da parte dei consumatori non si è ancora vista neanche l’ombra, e senza questo, come il New Deal ci ha insegnato negli Anni 30, la ripresa economica è impossibile. Certo, se non ci fosse stata la massiccia operazione di Geithner e di Bernanke a quest’ora per le strade d’America scorrerebbe il sangue. Ma la ripresa delle spese, che è indispensabile per uscire dalla crisi, si vede?

Quando nel 1932 arrivai a Chicago da matricola universitaria, si era nel pieno della Grande Depressione post-1929. Il presidente repubblicano Herbert Hoover e il suo segretario al Tesoro Andrew Mellon (un miliardario) con la loro paralizzante inattività sprecarono due anni dopo il crac del ’29, un ritardo abbastanza lungo da condurre a fallimenti a catena di banche e all’esplosione di una disoccupazione mai vista.

Oggi gli studiosi di macroeconomia sono poco preparati a evitare i crac post-2007. Mentre continuano a blaterare di trasparenza e obiettivi di inflazione, non si accorgono che Roma sta bruciando. I loro testi non insegnano nulla a proposito della «trappola della liquidità» o del paradosso della parsimonia, secondo cui il tentativo delle persone e delle imprese di risparmiare denaro serve solo a strangolare i consumi e (quindi) le prospettive di ripresa economica.

Quello che più serve ora è dare impulso alle spese di impatto immediato. Adesso è troppo tardi per programmare spese a medio e lungo termine, per esempio nei lavori pubblici. Gli Stati e le municipalità hanno bisogno di aiuto per le loro necessità di bilancio immediate. Serve tempo per raggiungere gli accordi politici su come affrontare i deficit e come spendere i fondi degli stimoli governativi in progetti a lungo termine; gli Stati in difficoltà spenderanno in necessità immediate qualunque somma venga loro assegnata. Perciò non date retta alle rosee assicurazioni di ripresa economica nei prossimi mesi. Charles Kindleberger, esperto di follie finanziarie e grandi crac, reiterava il ritornello del vittoriano Walter Bagehot secondo cui anche un sistema capitalista ha bisogno di un «prestatore di ultima istanza»: il governo.

I repubblicani del Congresso di Washington sembrano non capire questo fatto elementare. E non lo capiscono neppure alcuni democratici. Le perdite di tempo sono letali quando una recessione degenera in un circolo vizioso di cause e effetti negativi che aggravano le cause. Solo uno come Obama ha il carisma e la popolarità necessari a promuovere un nuovo e maggiore deficit di bilancio. Sì, uso l’espressione: deficit di bilancio.

Sono servite tutta l’abilità e l’eloquenza di Franklin Delano Roosevelt per muovere le cose fino a generare la ripresa del New Deal. Un abominevole dittatore come Adolf Hitler, determinato a condurre una futura guerra di vendetta, usò analoghi deficit di bilancio per riportare la Germania al pieno impiego nel 1939. Possano le democrazie del XXI secolo raggiungere rapidamente il giusto compromesso per ripristinare la salute delle loro economie.

Paul Samuelson distributed by Tribune Media Services, Inc.

da lastampa.it
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