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Autore Discussione: Valentino Rossi nel mirino del fisco - "Evasione per 60 milioni di euro"  (Letto 3656 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Agosto 08, 2007, 05:06:57 pm »

Il campione risiede dal 2000 in Gran Bretagna, e ha costituito varie società alle quali vengono intestate le entrate
per le sponsorizzazioni.

Ma per l'Agenzia delle Entrate ha ancora in Italia la sede principale di affari e interessi

Valentino Rossi nel mirino del fisco

"Evasione per 60 milioni di euro"
 

ROMA - Valentino Rossi ha evaso il fisco per 60 milioni di euro, dovuti per gli anni 2000-2004. La notizia è stata data dall'agenzia AdnKronos, secondo la quale il centauro, del quale in questi giorni si parla in particolare per la love story con Elisabetta Canalis, ha ricevuto un accertamento milionario dall'ufficio di Pesaro dell'Agenzia delle Entrate. E dato l'importo molto elevato scatterà, con tutta probabilità, una denuncia alla magistratura per il reato di omessa dichiarazione.

Rossi ha comunicato al fisco di aver trasferito la propria residenza in Gran Bretagna il 15 marzo del 2000. La ricostruzione effettuata sulla base delle indagini condotte dall'ufficio di Pesaro dell'Agenzia, in collaborazione con la direzione regionale delle Marche e la Direzione centrale accertamento, avrebbe certificato che Rossi in questi anni, e più precisamente dal 6 aprile 2000, ha presentato le dichiarazioni tributarie in Inghilterra, ma per cifre irrisorie, attestando di essere residente ma non domiciliato.

Una situazione che gli ha permesso di usufruire del regime dei 'resident but not domicilied' che consente al contribuente di dichiarare solo i redditi prodotti in Inghilterra. In questi anni, quindi, Rossi avrebbe dichiarato in Italia i soli redditi di fabbricati e in Inghilterra i redditi prodotti nell'isola, cioè quasi nulla. Scomparse, invece, le ricche sponsorizzazioni e il contratto con la Yamaha, la società per cui corre.

In effetti Rossi si era premunito, i suoi consulenti fiscali avevano costituito una seria di società estere alle quali sono stati intestati i vari contratti delle sponsorizzazioni. Tuttavia l'Agenzia delle entrate, secondo l'AdnKronos, è riuscita a ricostruire tutti i passaggi che hanno portato alla nascita di società a cui sono intestati i vari contratti degli sponsor con sedi di volta in volta a Dublino, Londra o altri paesi. E la lista degli sponsor è molto lunga: si va dalla Telecom Italia alla birra Peroni, dalla Atladis alla Dainese.

Dalla ricostruzione dell'Agenzia delle entrate sarebbe emerso che, oltre ad avere in Italia la sede principale degli affari e interessi economici, Rossi ha mantenuto un solido legame "di natura sociale e familiare" con il suo Paese, e quindi deve pagare le tasse. La mattina dello scorso 3 agosto i funzionari dell'Agenzia delle entrate hanno notificato a Rossi, nei pressi della sua abitazione di Tavullia (Pesaro Urbino) l'accertamento per il quinquennio, suddiviso per anno d'imposta.

(8 agosto 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 18, 2007, 11:06:15 pm »

Se Vale più di Visco

Antonio Padellaro


Partiamo da una proposta volutamente insensata nell’Italia di oggi. Sui tg Rai cassette registrate di personaggi illustri (calciatori, attori, perfino esponenti politici) che spieghino perché pagano le tasse fino all’ultimo euro ritenendo ciò un preciso dovere civico oltre che dovuta osservanza delle leggi. Già sentiamo gli ululati di scherno e le accuse di demagogia levarsi dagli appositi centri studi (non tutti ubicati al Billionaire) dove ci si applica con sapiente impegno a una teoria generale sull’evasione fiscale e sulla funzione sociale dei furbi. Una dottrina magistralmente (sia detto senza ironia) esposta da Oscar Giannino su Libero a proposito del noto caso di Valentino Rossi. «Che sta dando a tutti non il cattivo esempio ma al contrario ci indica una via luminosa, quella del diritto-dovere che ciascuno di noi ha, per diritto naturale preesistente a quello di qualsivoglia ordinamento pubblico, di sottrarci in tutte le maniere legali possibili alle sue pretese, e quando esse diventano particolarmente esose e ingiustificabili - come quelle del fisco del nostro Paese - anche magari per vie illegali». La citazione è lunga ma diciamo grazie sul serio a Oscar perché era ora che qualcuno parlasse chiaro sulla via luminosa da seguire. Ma forse con uno sforzo estremo di brutale sincerità si può arrivare al vero cuore del problema. Finora occultato, s’intende, da inutili e perniciose ipocrisie. Ovvero che i contribuenti non sono tutti uguali davanti alla legge, ci mancherebbe altro. E che qualcuno (parecchi) è più uguale degli altri. Qui la teoria si fa più complessa e chiediamo scusa per lo schema rozzo dell’esposizione. Dunque, in campo fiscale esistono due categorie. Una di serie A: i produttori di ricchezza. L’altra di serie B: la massa dei contribuenti che percepisce un reddito fisso e che (sempre secondo la teoria della legittima evasione) non produce un corno.

I primi, creativi e intraprendenti si adoperano con le imprese finanziarie, con l’alta moda, con il cinema, con gli allori sportivi a dare lustro al Paese e, s’intende, ai loro conti in banca. Sono dei benemeriti a cui uno Stato giusto dovrebbe un occhio di riguardo, e forse anche due. Se al posto di ringraziarli li perseguita con esosi balzelli essi fanno bene a sottrarsi all’odiosa coercizione con tutti i mezzi, legali e illegali. E allora viva i paradisi fiscali, viva Antigua e Barbados e straviva la Svizzera al grido di meno tasse e più libertà (sempre l’incontenibile Giannino). Quanto ai contribuenti di serie B sono la gigantesca mandria che tiene in piedi lo Stato e dunque da tosare e tartassare alla fonte e senza pietà. Una massa di bravi e onesti cittadini la cui anonima esistenza non lascerà traccia alcuna nelle cronache mondane o sulle gazzette sportive. Che paghino e basta.

Succede tuttavia che l’entità dell’evasione complessiva assuma sempre più gigantesche dimensioni: qualcosa come 100 miliardi l’anno, il costo di tre o quattro finanziarie. Sarà stato allora per dare un segnale collettivo (l’esempio si diceva una volta) che il ministero delle Finanze ha messo nei guai Vale, sette titoli mondiali e 112 milioni da pagare al fisco tra evasione e multe varie. Sembra, all’inizio, un colpo bene assestato dell’istituzione. Soprattutto per quei 100 euro di condono fiscale automatico versati dal pluricampione fino al 2002 e che devono essere apparsi uno schiaffo intollerabile anche alla più infedele partita Iva. L’elenco infinito dei proventi dei ricchi sponsor mai denunciati in Italia, completa il quadro.

Ma quella che divampa è una battaglia di comunicazione e Valentino (non a caso Dottore e comunicatore honoris causa) prepara l’astuta contromossa. Attira a Londra con la promessa di un’intervista esclusiva i corrispondenti di Tg1 e Tg5 a cui fa invece trovare l’ormai famosa cassetta con la sua versione dei fatti. Conosce i meccanismi automatici (e qualche volta stupidi) dell’informazione. Sa che nelle redazioni si discuterà ma che alla fine ci sarà la messa in onda. Per favore non tiriamo in ballo il diritto-dovere di informare. È stata una semplice, fondamentale, comprensibile questione di audience. Il grande campione che dice la sua. Un servizio giornalistico importante, dice il direttore Riotta. Come si fa a non trasmetterlo?

Solo che il Tg1 è servizio pubblico e qualcosa di più certamente si poteva fare. Forse un qualunque tg anglosassone prima avrebbe trasmesso Valentino Rossi e poi lo avrebbe scuoiato vivo. Perché non si convocano i giornalisti con le bugie. Perché le forzature possono essere subìte ma poi vanno punite. E poi perché Vale non ha chiarito un bel niente sulla sua presunta ma gigantesca evasione fiscale. Pensate che un qualunque tg anglosassone gliela avrebbe fatta passare liscia, senza dare la parola subito dopo a un rappresentante delle Finanze adeguatamente ferrato sul fascicolo del predetto e adeguatamente incazzato?

Conclusione: grazie alla cassetta-bidone Valentino Rossi, superpatinato contribuente di serie A e gloria nazionale ha superato in curva il viceministro Vincenzo Visco e l’amministrazione finanziaria. Per i quali ci permettiamo di fare il tifo noi anonimi e masochisti contribuenti di serie B. Che non avremo mai modo di spiegare in tv perché cerchiamo di pagare il dovuto allo Stato italiano. Noi con il nostro ridicolo, patetico rispetto delle leggi, non facciamo notizia.

apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 18.08.07
Modificato il: 18.08.07 alle ore 11.17   
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