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« inserito:: Luglio 13, 2009, 09:44:20 am » |
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Il capo dello stato: Con Obama sento affinità, apprezzo la sua capacità di ascoltare
«Il G8 è stato un successo Ora più senso della misura»
Colloquio con il Presidente della Repubblica Napolitano: «Spero in un clima più civile tra governo e opposizione»
di MARZIO BREDA
ROMA — E ora che il G8 si è chiuso, che ne sarà della tregua? Si romperà presto, arroventando la nostra estate sotto l’incombere di alcuni appuntamenti parlamentari delicati e controversi — il tema giustizia su tutti — e riaccendendo il conflitto che tiene il sistema in torsione ormai da 15 anni? O si può invece sperare che una così decongestionante settimana possa aver bagnato le polveri e aver magari ispirato uno spirito diverso, meno devastante e politicamente cruento, a quanti guidano il confronto pubblico in Italia? Se giri queste domande al presidente della Repubblica, che aveva chiesto l’armistizio «nell’interesse del Paese», raccogli risposte il bilico tra l’esorcismo di chi lancia messaggi in bottiglia (senza quasi più confidare che vengano raccolti), e la fiducia ragionata di chi ha visto largamente accolto il proprio appello.
«Potrei dire con una battuta che, in generale, dopo le tregue o riprendono i combattimenti o si cerca la pace. Nel caso della nostra vicenda politica, nessuno può pensare che ci sia la pace come rinuncia alle rispettive posizioni: siamo in un Paese che ha pienezza di vita e di dialettica democratica, c’è il governo che fa la sua parte, con l’opposizione che fa la sua. Penso però che si potrebbe costruire, e che sarebbe tempo di cominciare a farlo, non una impossibile pace, ma almeno un clima più civile, corretto e costruttivo nei rapporti tra governo e opposizione». Giorgio Napolitano naturalmente sa bene che, per arrivare a un simile scenario, serve una sorta di disarmo bilanciato. Infatti, spiega, continuando nella metafora bellica, «come la tregua significa cessazione dei combattimenti da ambedue le parti, allo stesso modo la costruzione della pace o, meglio, nel caso nostro, di un clima più pacato, richiede il contributo di tutti e due i fronti. Richiede, perlomeno, più senso della misura».
E ci si può arrivare, aggiunge, partendo ciascuno, alla vigilia della pausa estiva, da «un periodo di respiro». Purché, insomma, prevalga la riflessione sui problemi rispetto alla voglia di incassare subito, per il proprio schieramento, altri dividendi di una lotta politica drammatizzata. In fondo, riflette il capo dello Stato in questo weekend di riposo a Castelporziano, il summit dell’Aquila dimostra che, come ha scritto Sergio Romano sul Corriere , «in certe occasioni il governo, piaccia o no, rappresenta l’intero Paese. Se ne esce a testa alta è una vittoria per tutti, se ne esce male siamo tutti sconfitti». E successo è stato, concorda il Presidente. «Sì, l’approccio di quel commento di Romano era assolutamente giusto e in sintonia con il mio richiamo. Con il quale non volevo zittire né la politica né l’informazione, che hanno sempre le loro ragioni, ma sollecitare un momento decongestionante, diciamo così, per salvaguardare l’immagine del Paese. Mi pare che, nell’insieme, l’Italia sia uscita bene da questo G8 e che si sia espressa nel complesso una maggior consapevolezza e condivisione della responsabilità nazionale».
Un bilancio buono, che Napolitano estende ai risultati del G8, anche se non ha ancora letto tutti i documenti conclusivi. «Credo che si possano trarre giudizi positivi, per quanto non si debbano mai sopravvalutare le chances di conclusioni concrete in vertici di questa natura. È un’osservazione che fa il Financial Times di oggi, citando alcuni precedenti. Infatti è chiaro che, com’è accaduto stavolta, quando si hanno a confronto molto più di otto capi di Stato e di governo, anche se c’è stata una preparazione accurata, si trovano dei punti di convergenza e di caduta la cui effettiva valenza va verificata nel merito. Quando per esempio si tratta di impegni finanziari, bisogna dopo garantirsi che siano rispettati. Comunque ci sono state questioni, come l’impatto della crisi economica sui Paesi meno sviluppati o come quella dei cambiamenti climatici, che sono state trattate seriamente e che hanno dato luogo a risultati interessanti». Il Presidente è anche d’accordo sulla drastica diagnosi formulata da tutti in Abruzzo, e da lui stesso anticipata nel pranzo di gala: «Non è più tempo di direttori ». Nel senso che la tempesta economica e sociale che dilaga nell’intero atlante mondiale impone sforzi congiunti, per i quali bisogna chiedere la responsabilità del maggior numero di Paesi, a partire da una riforma delle istituzioni internazionali.
Ragiona Napolitano: «Comprendo che siano necessarie intese urgenti, di fronte all’emergenza finanziaria e alle sue ricadute. Servono però soluzioni di fondo, che riguardino regole di comportamento e controlli da parte delle autorità che devono vigilare, per restare al tema della crisi, sul funzionamento del sistema finanziario. Ancora, sul metodo di lavoro: non può più funzionare la tecnica dei diversi 'formati' per cui il primo giorno ci si trova in otto e il secondo giorno il vertice diventa 'più cinque' o 'più sei', perché Paesi importanti come la Cina, l’India o il Brasile di oggi non possono accettarla. Ecco perché la soluzione vera sta nell’attribuire una maggiore rappresentatività ed efficacia alle istituzioni internazionali. Sia quelle di Bretton Woods (cioè innanzitutto il Fondo monetario internazionale), sia le stesse Nazioni Unite». Ma quella dell’Aquila è stata anche l’occasione, per la gente di tutto il mondo, di vedere i propri leader a confronto con gli altri, di avere un test concreto dei rapporti di forza. E soprattutto, stavolta, di mettere alla prova il nuovo presidente americano, sul quale si concentrano molte speranze. Il capo dello Stato si è intrattenuto a lungo con lui, nella tappa che Obama ha fatto al Quirinale. E, a giudicare dal pubblico e calorosissimo elogio che ha ricevuto, qualcuno si è spinto a parlare di «affinità culturali e politiche». Esagerazioni dei mass-media, italiani ma non solo? «Ho avuto l’impressione che affinità ce ne siano», dice Giorgio Napolitano, quasi con l’aria di schermirsi.
«Ma ciò che mi ha veramente colpito, di Obama, è la straordinaria impressione di come ascolta gli interlocutori. È appunto un uomo che ascolta e riflette, come per prendersi il tempo di dare poi le risposte nel corso del suo mandato alla Casa Bianca. Aprendo le strade per un maggiore dialogo. Il presidente russo Medvedev, che era seduto accanto a me durante il pranzo ufficiale, mi ha confidato di aver avuto la medesima sensazione, durante l’incontro al Cremlino. A proposito di Obama, mi ha anche colpito l’attenzione e la sensibilità con cui si è riferito alle figure che rappresentano ruoli diversi in Italia: il capo dello Stato e il presidente del Consiglio. Ruoli che, come sappiamo, in America si identificano nella stessa persona, l’inquilino della Casa Bianca, mentre così non è da noi e Obama ha dimostrato di esserne perfettamente consapevole ». Cordialità e sintonia che il presidente della Repubblica ha riscontrato anche in tanti altri ospiti del G8. Angela Merkel, ad esempio, «che ha voluto assicurarmi che in Germania si concluderà la ratifica del Trattato di Lisbona prima delle prossime elezioni e prima del referendum irlandese». Ma anche il brasiliano Lula, con il quale ha una vecchia consuetudine, risalente agli anni Ottanta. E il premier inglese Gordon Brown, incuriosito dalla citazione presidenziale sull’esortazione di Keynes dopo gli accordi di Bretton Woods che chiusero la crisi del ’29. E l’egiziano Mubarak e il francese Sarkozy, il turco Erdogan («al quale ho confermato di avere in programma una visita in Turchia nel prossimo autunno») e tanti altri che — confida— «hanno elogiato l’accoglienza, l’organizzazione dei lavori e la gestione dei dibattiti e delle riunioni».
Ciò che gli fa dire, infine, che questo vertice «rappresenta indubbiamente un riconoscimento e un successo per il presidente del Consiglio, Berlusconi». Il quale, confida, «senza problemi di ringraziamenti tra me e lui, è stato spesso in contatto con me in vista del G8 e lì mi ha fatto calorosi complimenti, e credo sinceri, per il mio discorso al pranzo dell’Aquila, nel quale mi sono ovviamente mantenuto al di sopra e al di fuori delle distinzioni e divisioni politiche interne». «Un discorso — conclude — nel quale ho messo molto di certe mie esperienze e convinzioni personali. Come quelle che maturai fin dal 1943-44, quando avevo appena cominciato a parlare l’inglese e mi ritrovai a leggere un libro di Wendell Willkie, repubblicano liberale che aveva girato tutti i teatri di guerra come inviato speciale del presidente Roosevelt. One world, s’intitolava quel libro. Un mondo solo. Un mondo che oggi chiamiamo globale, e nel quale nessun Paese o continente può fare da solo... Sono partito da questo riferimento, quando ho preso la parola davanti ai capi di Stato e di governo riuniti per il G8».
12 luglio 2009 da corriere.it
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