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Autore Discussione: Bonanni propone l'abbassamento delle aliquote, ma...  (Letto 2209 volte)
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« inserito:: Luglio 04, 2009, 04:43:23 pm »

Domenico Moro,   03 luglio 2009, 19:11

 
Lascerebbe di stucco leggere l'ultima intervista di Bonanni al Sole 24ore di giovedì, se non fossimo già abituati ai curiosi metodi del segretario della Cisl di difendere gli interessi dei lavoratori.

Allo scopo di sostenere i redditi, Bonanni propone l'abbassamento delle aliquote ai lavoratori dipendenti e ai pensionati.

Fin qui tutto bene, o perlomeno sembra...



La perplessità sorge quando Bonanni spiega come compensare il mancato gettito fiscale, "spostando la tassazione sui consumi". Si tratterebbe "di un intervento ispirato dall'equità perché chi consuma di più ha anche di più", sostiene il sindacalista, certo che sull'aumento delle tasse sui consumi si troverebbero d'accordo anche le aziende. Bonanni si rivela così come un leader di grande statura, capace di innovare più di due secoli di storia del movimento operaio e sindacale.

Per tutto questo tempo, infatti, le imposte indirette, cioè quelle sui consumi, sono state considerate le più inique ed antiegualitarie, perché pesano allo stesso modo su chi ha redditi differenti, sul ricco e sul povero. L'operaio o l'impiegato che guadagnano mille euro al mese, pagano le stessa quota d'Iva sul latte o la stessa accisa sulla benzina che paga il commercialista, che incamera ottomila euro al mese, o il dottor Luca Cordero di Montezemolo, i cui redditi dichiarati (solo come presidente dell'ente fiere di Bologna) nel 2007 raggiungevano i 7,25 milioni di euro annui. Consumeranno pure di più i due più ricchi, ma in proporzione saranno l'operaio e l'impiegato a risentire infinitamente di più dell'imposta sul consumo e quindi anche del suo aumento.

Non a caso la nostra Costituzione specifica che le imposte devono essere progressive (più guadagni più paghi), per essere veramente eque. Per l'appunto, le imposte sui consumi non sono progressive, mentre lo sono quelle dirette, sui redditi. La fiscalità è così uno dei pochi settori della vita sociale dove l'equità deriva dall'ineguaglianza. A parte i sacrosanti principi, Bonanni sembra vivere in un'altra Italia e in un altra congiuntura storica. Infatti, già oggi le imposte indirette (sui consumi) sono la voce che pesa di più sul totale delle entrate fiscali, rappresentandone più di un terzo.

Nel 2008 le imposte indirette ammontarono a 52,7 miliardi di euro contro quasi 40,9 miliardi di euro delle imposte dirette. Dunque, i lavoratori dipendenti sono già quelli su cui pesa maggiormente la pressione fiscale, non solo perché sono tra i pochi a pagare interamente le tasse, in quanto non le possono evadere, ma anche perché la fiscalità nel nostro Paese privilegia l'imposta sui consumi. Inoltre, proporre di aumentare le imposte sui consumi in un periodo di profonda crisi, quale è quello che stiamo attraversando, quando i consumi delle famiglie si contraggono drasticamente, rappresenta (a voler essere pacati) un non senso.

Infatti, un aumento delle tasse sui consumi produrrebbe un aumento dei prezzi che contrarrebbe ancora di più i consumi e, quindi, deprimerebbe la produzione e l'occupazione. Infatti, se andiamo a guardare agli altri Paesi europei, vediamo che la tendenza è opposta, cioè verso la riduzione delle imposte sui consumi, in Gran Bretagna, dove l'Iva su beni e servizi è passata dal 17,5% al 15%, e recentissimamente in Francia, dove l'Iva nei ristoranti è diminuita dal 19,5% al 5,5%. La stessa Ue ha dato il via libera, il 5 maggio scorso, alla riduzione delle aliquote Iva per i Paesi che ne fanno parte. Risulta così curioso che un sindacalista come Bonanni, attento alle esigenze delle imprese, ignori che sono gli stessi imprenditori a invocare a gran voce l'abbassamento dell'Iva.
Non si vede, pertanto, come può pretendere di allearsi con le imprese sulla sua proposta. A meno che la proposta non sia diretta a quel settore delle imprese che si rivolge soprattutto alle esportazioni e che non ha molto interesse a risollevare il mercato interno. A queste sì che può andar bene scaricare ancora di più la pressione fiscale sui lavoratori. Peccato che si tratti di un discorso, oltre che egoistico, anche miope, perché la crescita del mercato interno è una via obbligata di fronte al crollo del mercato mondiale e comunque la sottovalutazione del mercato interno ha sempre portato a una ridotta accumulazione delle imprese italiane e, quindi, al loro sottodimensionamento, che oggi si sta scontando, di fronte alla crisi e all'aumento della competizione internazionale.

Il punto non è aumentare l'imposta sui consumi, è semmai quello di diminuirla e farla pagare alle imprese, se è vero che un buon terzo dell'Iva non viene neanche dichiarato, anche grazie alla abolizione, da parte del governo Berlusconi, dell'obbligo per le aziende di tenere aggiornati i registri di fornitori e clienti. Infine, come si capisce chiaramente, la lotta per la riduzione dell'eccessiva pressione fiscale sui lavoratori, diretta e indiretta, non è qualcosa da "aggiungere" alla lotta per il salario, ma è essa stessa parte integrante della lotta per la difesa del salario.

da aprileonline.info
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