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Autore Discussione: Al termine di una lunga conversazione sulla Fiat, Guglielmo Epifani ...  (Letto 1990 volte)
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« inserito:: Giugno 29, 2009, 06:11:06 pm »

Al termine di una lunga conversazione sulla Fiat, Guglielmo Epifani prova a sintetizzare così il messaggio che manda al gruppo automobilistico e al suo amministratore delegato, Sergio Marchionne: «La Fiat abbia relazioni più strette col sindacato — dice il segretario generale della Cgil —.

Se si crea un maggior clima di fiducia, è più facile governare una situazione che presenta delle evidenti contraddizioni. Chiediamo quindi all’azienda di puntare a un rapporto positivo con noi. Di provare a costruire insieme le soluzioni. Qui non c’è un sindacato che vuol mettersi contro, ma una Cgil che semplicemente pone i problemi delle persone, dei lavoratori».

Quali sono queste contraddizioni evidenti?
«La Fiat da un lato chiede a una parte dei dipendenti di fare gli straordinari, perché alcuni modelli tirano, e dall’altro mette altri lavoratori in cassa integrazione o, peggio, pensa di chiudere stabilimenti come quello di Imola della Cnh, mandando a casa 500 lavoratori, e dice che non farà più auto a Termini Imerese. Per gestire tutto questo non puoi fare a meno di un rapporto intenso col sindacato».

Ma lei non vantava relazioni positive con Marchionne, quasi un rapporto privilegiato?
«Marchionne arrivò in un momento molto difficile per la Fiat. Si parlava di nazionalizzazione dell’azienda. Adesso invece sta addirittura aumentando le vendite di auto in Germania. Il ruolo di Marchionne è stato determinante. Ho sempre detto che si tratta di un manager molto abile e capace di vedere lungo. Ma ora tra l’immagine che ha la Fiat e la sostanza delle cose si può aprire un problema».

Sta dicendo che Marchionne è stato sopravvalutato?
«No. Voglio dire che c’è uno scarto tra l’idea, costruita grazie all’attivismo di Marchionne, di una Fiat molto dinamica, che sfrutta tutte le occasioni per ingrandirsi in un mercato difficile, e la gestione dei problemi quotidiani. Vedo una grande disattenzione sugli insediamenti produttivi italiani e una grande incertezza del management nel gestire le relazioni sindacali. Questo può aprire un problema».

Quale?
«Che invece di gestire insieme la crisi, cosa che vorremmo fare, si aprano conflitti su conflitti in uno scenario dove i posti di lavoro a rischio tra diretti e indiretti sono 10 mila».

Ma la Cgil prende atto della crisi e del fatto che questa può causare tagli?
«Lo sappiamo benissimo che c’è una caduta generalizzata del mercato dell’auto e quindi dei volumi prodotti. Ma sappiamo anche che questa è una crisi da domanda. E quindi che senso ha preordinare oggi la chiusura o il ridimensionamento di stabilimenti, se invece si può utilizzare la cassa integrazione in attesa della ripresa che dovrà arrivare?».

Il fatto è che la Fiat pone un problema più generale di ristrutturazione della rete produttiva italiana, fatta forse di troppi stabilimenti, alcuni dei quali poco efficienti.
«La stessa Fiat ha fatto un importante investimento, prima della crisi, per rilanciare Pomigliano, ma poi non punta su questo stabilimento, dove tra l’altro potrebbero essere prodotti una parte dei modelli di fascia alta e media che sono quelli che danno i maggiori margini di guadagno. Bisogna insomma pensare a nuovi modelli per gli stabilimenti italiani. E continuare così a far vivere Pomigliano, Termini Imerese e tutti gli altri siti produttivi. Se invece si resta ancorati a una Fiat che fa bene solo le piccole cilindrate e per di più le produce all’estero e chiaro che le cose si complicano. Per non parlare dell’indotto».

Parliamone.
«La Fiat deve esser più attenta a pagare i fornitori. Ho tanti segnali che mi dicono che la Fiat li paga con eccessivo ritardo. Molte aziende sono già in difficoltà e rischiano di chiudere».

Non crede che nuove prospettive possano venire dall’operazione americana con la Chrysler?
«Bisogna vedere come andrà avanti il processo di integrazione. Mi chiedo però se questa girandola di alleanze con mezzo mondo non abbia portato la Fiat a trascurare l’innovazione interna. Vedo insomma un gruppo a due velocità. Molto dinamico sul piano internazionale e su quello finanziario, il che del resto corrisponde alla formazione di Marchionne, ma molto meno attento all’ampliamento dell’offerta da produrre in Italia e ai rapporti con i lavoratori. Eppure la lezione tedesca subita sul fronte Opel dovrebbe aver insegnato loro che il sindacato è una cosa importante».

In Germania, dove sta nei consigli di sorveglianza. In Italia probabilmente meno, visto tra l’altro che la Cgil si è sempre opposta ai modelli di partecipazione dei lavoratori all’impresa.
«Non siamo contrari né lo siamo stati nel passato a forme di partecipazione, ma devo dire che da questo punto di vista più che di una diversa cultura del sindacato c’è bisogno che maturi una diversa cultura dell’impresa».

da corriere.it
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