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Autore Discussione: ENRICO FRANCESCHINI.  (Letto 21201 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Febbraio 02, 2018, 11:00:35 pm »

L'intervento della premier, pochi giorni dopo che la Ue ha indicato che durante la transizione nulla dovrà cambiare nello status dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna, suona come una problematica presa di distanza da Bruxelles.
Ma anche come la risposta di Theresa all'attacco dell'ala più anti-Brexit del Partito conservatore, che l'accusa di fare troppe concessioni

Dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
01 febbraio 2018

LONDRA - Marcia indietro sostanziale contro la Ue o mossa tattica contro i suoi avversari all'interno del Partito conservatore? Come quasi tutto nel negoziato sulla Brexit, anche l'annuncio di Theresa May che nella fase di transizione gli immigrati europei non potranno godere degli stessi diritti di cui godranno finché la Gran Bretagna farà parte dell'Unione europea si presta una duplice interpretazione.
 
Quando nel dicembre scorso è stato raggiunto l'accordo sulle condizioni del "divorzio", inclusi i diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito, Londra aveva già indicato che qualcosa sarebbe cambiato dopo il 31 marzo 2019, data in cui il negoziato dovrebbe concludersi, con l'uscita formale della Gran Bretagna dalla Ue. Si era detto allora, per esempio, che dalll'1 aprile 2019, inizio di una fase di transizione di circa due anni, gli immigrati europei dovranno "registrare" la propria presenza in Inghilterra e nelle altre regioni del Paese. Se poi gli arrivati durante la transizione avranno o non avranno il diritto di restare a tempo indeterminato è una questione che - come ha spiegato off the record a Repubblica una fonte del ministero per la Brexit - dovrà essere discussa nella seconda fase del negoziato, nel quadro dei "do ut des" sui futuri rapporti fra Gran Bretagna e Ue. E bisogna inoltre aggiungere che la possibilità di chiedere la registrazione degli immigrati europei esiste in teoria anche ora, per il Regno Unito come per ogni altro Paese della Ue, anche se non è mai stata utilizzata. Si tratta dunque di una differenza più formale che sostanziale rispetto al presente, le cui implicazioni concrete devono ancora essere definite dalle due parti.
 
E tuttavia, venendo dopo che la Ue ha fissato nei giorni scorsi le norme per la fase di transizione, specificando fra l'altro che nulla dovrà cambiare nel trattamento e nei diritti dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna, l'intervento della premier conservatrice suona come una presa di distanza, ovvero un ostacolo sulla via della trattativa che potrebbe anche diventare insormontabile e fare franare tutto. Sotto attacco da parte dell'ala più anti-brexitiana dei Tories, May potrebbe avere fatto questa mossa più che altro per ragioni tattiche, di politica interna: respingere l'accusa di essere troppo debole nel negoziato con Bruxelles, di fare concessioni eccessive. Ed evitare così che i suoi avversari nel partito cerchino di defenestrarla in tempi brevi: 40 delle 48 firme necessarie a innescare un voto di sfiducia tra i deputati Tories sarebbero già state depositate. Insomma, la leader britannica è sempre più debole e deve pensare innanzi tutto a restare al potere: il negoziato sulla Brexit verrà dopo.
 
Ma ogni tattica, in questo negoziato dagli obiettivi ancora incerti, può diventare strategia: sottolineare il diverso trattamento degli europei durante la transizione riapre il vaso di Pandora delle difficoltà di un'intesa. Del resto la transizione contiene di per sé una contraddizione di fondo, dal punto di vista britannico. Il Regno Unito dovrebbe uscire ufficialmente dalla Ue a fine marzo 2019. Ma nei due anni successivi tutto dovrebbe restare com'è ora. Cambiare tutto per non cambiare niente, per dirla con il Gattopardo: è questo il dilemma che si delinea all'orizzonte. E che, dopo il rapporto segreto governativo sui danni economici dell'uscita dalla Ue, spinge sempre più inglesi a chiedersi: ma questa Brexit vale davvero la pena di farla?

Riproduzione riservata 01 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2018/02/01/news/gb_may_su_cittadini_ue_retromarcia_o_mossa_tattica-187778172/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P7-S1.8-T2
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« Risposta #31 inserito:: Marzo 19, 2018, 10:49:01 am »

Cambridge Analytica e il furto di dati: "Così influenzavano le elezioni"

L'agenzia avrebbe immagazzinato informazioni di 50 milioni di utenti per scopi elettorali. Facebook sospende l'account

Dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
18 marzo 2018

LONDRA - L'accusa è di avere rubato 50 milioni di profili da Facebook e di avere usato queste informazioni riservate per influenzare elezioni dall'America all'Europa, da Trump alla Brexit e oltre. Sul banco degli imputati c'è Cambridge Analytica, la società inglese di analisi di "big data" che da qualche anno ha ottenuto un'attenzione spropositata: c'è chi la ritiene il Grande Fratello orwelliano in grado di controllare il mondo e chi la paragona a fenomeni anticipati dalla fiction televisiva House of cards, in cui il presidente degli Stati Uniti raccoglie voti manipolando gli elettori con una propaganda personalizzata a base di illeciti programmi di software.

A rivelare che quella fantasia potrebbe essere diventata realtà è ora un'inchiesta dell'Observer e del New York Times, frutto delle confessioni dall'interno di un ex-dipendente della Cambridge. E a confermare indirettamente che nelle rivelazioni c'è come minimo qualcosa di vero contribuisce Facebook: che ieri ha sospeso l'account di Cambridge Analytica per avere "ingannato" il social network e violato le politiche di gestione dati degli utenti.
 
Sembra un fanta-thriller, invece è una faccenda che potrebbe finire in tribunale. Con conseguenze che arrivano fino alla Casa Bianca: Steve Bannon, a lungo stretto consigliere di Trump, nel 2014 dirigeva Cambridge Analytica, il cui proprietario è il miliardario americano Robert Mercer, sostenitore di campagne e candidati conservatori o di destra in tutto il mondo. L'inchiesta dell'ex-capo dell'Fbi Robert Mueller sul Russiagate, da cui dipende la possibilità di un impeachment contro Trump, gira anche attorno al lavoro di questa società, il cui ruolo misterioso era stato considerato finora esagerato, anche dalla stessa Cambridge Analytica per ragioni promozionali, ma forse non lo è poi così tanto. E la vicenda ha echi anche in Italia: la Cambridge Analytica afferma per prima sul proprio sito di essere stata ingaggiata nel 2012 da un "partito italiano che vanta i suoi ultimi successi negli anni '80" e che grazie ad essa avrebbe ottenuto risultati, al di là delle sue aspettative. Intervistato un anno fa da Repubblica, Alexander Nix, l'ad di Cambridge Analytica, ammetteva di avere lavorato con politici del nostro paese, rifiutando di rivelarne i nomi.

Confessa all'Observer l'autore della soffiata, Christopher Wylie: "Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone. E abbiamo costruito modelli per sfruttare quello che sapevamo su di loro e per prendere di mira i loro demoni interiori. Questa era la base su cui era fondata l'intera azienda". Una tecnica che gli esperti chiamano "psicografica".

Verso la fine del 2015 Facebook aveva scoperto che i suoi dati erano stati trafugati in massa, ma non avvertì i suoi utenti e intraprese soltanto misure limitate per recuperare e proteggere le informazioni personali di oltre 50 milioni di individui. Cambridge Analytica era già stata messa sotto inchiesta anche in Gran Bretagna per la parte che ha svolto nel referendum sulla Brexit a favore dell'uscita dall'Unione Europea. "Usiamo dati per cambiare il comportamento dell'audience", afferma la homepage di Cambridge Analytica.                                                                 

© Riproduzione riservata 18 marzo 2018

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2018/03/18/news/_cambridge_analytica_e_il_furto_di_dati_cosi_influenzavano_le_elezioni_-191577925/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P6-S1.4-T1
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