Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Agosto 07, 2007, 04:43:53 pm » |
|
Damiano: «Difendo i sindacati, non sono una casta» Laura Matteucci
«Questo è il tempo dell’attacco ai partiti, e adesso è cominciato anche l’attacco ai sindacati. Con il rischio di alimentare quella disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni che finisce poi con il colpire le grandi organizzazioni popolari. E di far venire meno quel collante indispensabile per la democrazia, il tessuto delle rappresentanze, che dovrebbe garantire una visione complessiva dei problemi del paese». Cesare Damiano parla da ministro del Lavoro e da ex sindacalista, per decenni dirigente della Cgil, peraltro appena riemerso da una faticosa trattativa per arrivare alla famosa firma in calce al protocollo su pensioni e stato sociale. Non è uomo che drammatizza, Damiano. Ma quell’articolo sull’Espresso, in cui si parla di sindacato come casta privilegiata, allarma anche lui.
Ministro, se il sindacato garantisce una “visione complessiva”, che significa quest’attacco? E a che cosa può portare? «Il rischio è di una deriva corporativa degli interessi, l’esatto contrario di quello di cui il paese ha bisogno. È chiaro che in quel caso il sindacato confederale cesserebbe la sua funzione che, in Italia, e storicamente, è sempre stata quella di coniugare interessi generali e particolari. L’ultima trattativa è stata la prova migliore di come il sindacato riesca a rappresentare gli interessi generali senza dimenticare le fatiche e i problemi quotidiani del lavoro».
Perché adesso? Epifani parla del tentativo di semplificare la società, senza più corpi a mediare tra i poteri forti e gli individui. Concorda? «Il tentativo di assestare un colpo ai corpi intermedi è periodico, non è la prima volta che avviene. C’è chi pensa che la vita democratica si possa meglio riorganizzare semplificando il sistema. Sono gli stessi che ritengono la concertazione un orpello, un di più, e non la pratica normale di una società democratica. In questo senso si registra una singolare convergenza tra l’estrema sinistra, che la concertazione la vede con sospetto in quanto fine del conflitto, e l’estrema destra economica, che invece la vede come un freno alle scelte, alle decisioni. Anche per questo difendo l’ultimo accordo che abbiamo raggiunto, perché si è basato proprio sulla concertazione, l’ha difesa e potenziata».
Il sociologo Luciano Gallino sostiene che il sindacato è fin troppo debole, che dieci anni fa non avrebbe mai firmato un accordo del genere. «Il sindacato confederale in Italia è stato, secondo gli studiosi del lavoro, uno dei pochi che a livello mondiale ha saputo resistere ai tentativi di ridimensionare il ruolo degli attori sociali. E, dopo la crisi degli anni Ottanta, dopo reaganismo e thatcherismo che hanno voluto fare i conti con i loro sindacati, a partire dagli anni Novanta ha saputo riprendere la via della concertazione, delle riforme, della capacità di influire sulle grandi scelte. E questo è un miracolo tutto italiano. Il protocollo del governo ha consolidato il ruolo del sindacato, e non è un caso questo tentativo di ridimensionarlo. Anche perché è stata esercitata una vera azione di concertazione. Mi fa specie che un sociologo come Gallino, che stimo profondamente, parli di una firma che segnala la debolezza del sindacato. Anche lui, pur senza volerlo, dà un colpo alla rappresentatività del sindacato, perchè non vede il ruolo di indirizzo che è stato capace di svolgere. Per arrivare poi ad un accordo che è il migliore dal 1983, che redistribuisce allo stato sociale risorse per quasi 40 miliardi di euro in dieci anni. Altro che debolezza. Ha ragione Aris Accornero, che sostiene la tesi opposta a quella di Gallino. Qui si sconfina nell’autolesionismo, non vedere i risultati è il modo migliore per preparare la sconfitta».
Sarebbero proprio i risultati a difettare... «Se vogliamo evitare una visione ideologica dei problemi, il fatto è che già in autunno oltre 3 milioni di pensionati con meno di 600 euro al mese avranno i loro aumenti. Cosa di cui si parlava da anni, ma che è stata ottenuta solo ora. Così come solo adesso anche i giovani che hanno un lavoro discontinuo avranno finalmente dei vantaggi, la contribuzione figurativa piena nei periodi di vuoto lavorativo, il riscatto più agevolato della laurea... Il punto è che troppi si fermano a guardare l’albero, e dimenticano la foresta».
Insomma, secondo lei i sindacati avrebbero firmato anche dieci anni fa. «Di protocolli ne hanno firmati tanti, in diversi contesti: nel '92 si raffreddò la pratica della contrattazione aziendale, e si decretò la fine della scala mobile. Nel ‘93 si consolidò il modello contrattuale della rappresentanza, e si preparò una stagione di moderazione salariale. Nel '97 vennero introdotte forme di flessibilità nel mercato del lavoro per adeguarsi all’Europa. Accordi di scambio, dove non c’era un’evidente redistribuzione delle risorse. Che invece c’è adesso. Questo è un patto acquisitivo. Solo a prendere».
Però la Cgil ha firmato con riserva. «Le riserve riguardano alcuni punti specifici, ma Epifani ha dichiarato che la Cgil sosterrà l’esigenza della firma e il consenso tra i lavoratori. Del resto, le riserve le ha espresse anche Confindustria, mentre artigiani e commercianti non hanno sottoscritto proprio, adducendo motivi contrari a quelli della Cgil».
Parla da ministro o da ex sindacalista? Lei avrebbe firmato? «Da ministro con una lunga esperienza negoziale. Se fossi ancora un dirigente della Cgil, sarei con la maggioranza. E avrei firmato».
Ultima domanda: l’Espresso parla di privilegi economici, di carriere e stipendi poco trasparenti. Non c’è proprio nulla di vero? «Il sindacato è una rete formidabile di attivisti e delegati, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori. In qualsiasi organizzazione di massa possono esserci dei difetti. Ma basare la propria forza sul libero consenso dei lavoratori la rende sana. E forte».
Pubblicato il: 07.08.07 Modificato il: 07.08.07 alle ore 10.14 © l'Unità.
|