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Autore Discussione: L'europarlamento va a destra  (Letto 2653 volte)
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« inserito:: Giugno 08, 2009, 11:21:06 am »

L'ANALISI

L'europarlamento va a destra

Sinistra giù, sorpresa verde

dal nostro corrispondente ANDREA BONANNI

 
BRUXELLES - Una generale avanzata del centrodestra e soprattutto una seria crisi dei socialisti. Questo a grandi linee il risultato delle elezioni europee, che premiano il Partito Popolare Europeo in Francia, in Italia, in Germania, in Spagna. Socialisti battuti in Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania. A questi dati si deve aggiungere il successo delle liste di estrema destra xenofobe e anti-europee che registrano un notevole successo in Gran Bretagna, Olanda, Austria, Ungheria, Finlandia ma anche in Italia con la buona affermazione della Lega.

La debacle del Pse è parzialmente compensata dal buon risultato dei Verdi, che soprattutto in Francia e in Belgio ormai contendono ai socialisti il ruolo di leader della sinistra

Il nuovo emiciclo di Strasburgo conferma la precedente gerarchia dei gruppi politici. Il Ppe è di gran lunga il primo partito con 267 deputati su 736. Il Pse resta il secondo gruppo, anche se in calo, con 159 deputati a cui potrebbero apparentarsi i 21-22 parlamentari italiani del Pd. Al terzo posto vengono i liberali che confermano un'ottantina di seggi. I verdi crescono portando in Parlamento 54 deputati. La destra euroscettica dell'Uen (di cui fa parte la Lega) avrà 35 seggi, a cui si aggiungono i 18 anti-europei di Indipendenza e democrazia.

L'estrema sinistra tiene le posizioni con 34 eurodeputati. 88 parlamentari, infine, restano ancora in attesa di una collocazione politica: tra questi figurano i Ds italiani e i conservatori britannici, che hanno lasciato il Ppe.

Con questi risultati, sembra certa la riconferma di Josè Manuel Barroso alla presidenza della Commissione. Il presidente uscente ha già ricevuto il sostegno di tutti i capi di governo che aderiscono al Ppe e dei leader socialisti di Gran Bretagna, Spagna e Portogallo. Difficilmente un Parlamento dominato dal Ppe potrà negargli la fiducia quando sarà chiamato, nella sessione di luglio, a pronunciarsi sull'indicazione dei capi di governo.

(8 giugno 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 09, 2009, 10:11:01 am »

9/6/2009
 
Tutti uguali, tutti diversi
 
PIERO BIANUCCI
 
In Olanda avanza la destra xenofoba di Geert Wilders, soprannominato Mozart, ma solo per la capigliatura: i voti li ha raccolti con una violenta campagna anti-islamica. Berlusconi dice che Milano sembra una città africana, e dal tono si capisce che non è un complimento. Detto così, africano smette di essere un aggettivo neutro come europeo, americano o australiano: contiene un giudizio, o meglio un pregiudizio, una ideologia, una visione del mondo che si poteva già avvertire nell’uso del participio abbronzato. Ma il riemergere di divisioni in ultima analisi razziste si nota anche su scala provinciale. In Belgio i fiamminghi si oppongono ai valloni, il popolo veneto al lombardo ed entrambi al romano. Negli stadi la pelle nera diventa un motivo per insultare la squadra avversaria.

Anche qui si misura la nostra ignoranza scientifica, la lentezza con cui i risultati della ricerca diventano conoscenze condivise. Oggi dovremmo sapere che ci saranno sì razze di cani e di cavalli, ma le razze umane non esistono. Non esiste la razza nera così come non esiste la razza bianca, gialla o india. Non esiste neppure «la» razza umana, come talvolta si sente dire. Esiste la specie. La specie Homo sapiens e, se si vuole alludere all’evoluzione culturale, l’Homo sapiens sapiens.

I lavori di Luca Cavalli-Sforza all’Università di Stanford (California) e dei suoi collaboratori Alberto Piazza (Università di Torino) e Paolo Menozzi (Università di Parma) hanno dimostrato da tempo che l’umanità viene da un ceppo che circa 200 mila anni fa partendo dall’Africa centro-orientale si è irradiato su tutto il pianeta. Quindi, in un certo senso, siamo tutti africani, e non c’è da stupirsi se Milano non fa eccezione...

Ancora più interessante è la scoperta che le differenze di colore della pelle, benché così evidenti, dipendono da pochi dei nostri trentamila geni. La differenza genetica tra un bianco e un nero non è molto diversa da quella che si può riscontrare tra due bianchi, due neri o due cinesi. Anzi, per fattori casuali, con buona pace di Calderoli, può capitare che ci sia più distanza genetica tra due bergamaschi che non tra un bergamasco e un africano.

Quando nel 2003 la mappa del DNA umano fu completata da due gruppi indipendenti, uno pubblico coordinato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e uno privato sotto la guida di Craig Venter, si vide che la variabilità genetica tra due uomini presi a caso è in media del 2-3 per mille. Se questa variabilità è legata ai geni del colore della pelle, diventa ben visibile. Se invece è legata ad altri geni, magari anche molto più significativi perché associati al rischio di gravi malattie, può risultare, ad un esame esteriore, del tutto irriconoscibile.

Ancora all’inizio del Novecento si promulgavano leggi per impedire l’integrazione. Tra il 1896 e il 1915 in 28 Paesi degli Stati Uniti vengono vietati i matrimoni tra bianche e neri. Nel 1924 un movimento per l’eugenetica portò a leggi che limitavano l’immigrazione di persone «di razza nordica», e tra le escluse ci fu anche la «razza mediterranea». Nell’Italia dell’ottimismo positivista, Cesare Lombroso riteneva di aver identificato la «razza delinquente», segnata dall’ «atavismo», e anche da noi nel 1938 arrivarono le «leggi razziali». Dove abbia portato il mito della «razza ariana» teorizzato da Hitler lo sappiamo bene: lo sterminio degli ebrei e degli zingari, considerati «razze inferiori».

La cosa più temibile è che il termine razza si trascina dietro pregiudizi culturali, etnici, religiosi, legati a diversi stili di vita. Ci siamo tanto assuefatti al riaffiorare di questi atteggiamenti che nessuno si scandalizza sentendo parlare di «scontro di civiltà» a proposito delle differenze tra Occidente e mondo arabo. A nessuno viene in mente che semmai sono le «inciviltà» a scontrarsi, le civiltà si incontrano.

Come dice Obama, siamo tutti meticci, e il mondo sarà tanto migliore quanto più la globalizzazione diffonderà il meticciato. Dobbiamo capire che la diversità è bella e feconda, l’uniformità sterile e noiosa. Basta pensare alla monotonia di certi immensi campi di mais e alla foresta amazzonica, dominio della biodiversità. La scienza può aiutare questo processo di maturazione civile e culturale in due modi: con le nuove conoscenze che conquista e con il metodo che applica, basato sull’osservazione, l’ipotesi, l’esperimento. Un metodo condiviso dagli scienziati di tutto il mondo, un linguaggio dell’intelligenza che fa da denominatore comune razionale alla (bella) varietà di pelli, religioni, costumi, tradizioni.
 
da lastampa.it
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