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Autore Discussione: L'uomo che ha solo due mesi di vista  (Letto 2770 volte)
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« inserito:: Agosto 07, 2007, 04:30:53 pm »

7/8/2007 (8:3) - LA STORIA

L'uomo che ha solo due mesi di vista
 
Operato a luglio, sa che dovrà tornare a essere cieco.

L'ultimo desiderio prima del buio: uno sguardo sull'arco alpino

PIERANGELO SAPEGNO
TORINO


Il giorno che ha riavuto i suoi occhi, ha cercato di guardare le montagne. Aveva imparato a conoscerle bene, quando aveva un’altra vita. Ha tolto le bende ed è rimasto a contemplare i colori. Ma non è questo che conta. Lui sa che adesso deve prendere tutto quello che può dai suoi occhi, e che ha poco tempo per fare le cose che fanno tutti, per fare un passo dietro l’altro, per salire un sentiero che tocca il cielo, per vedere gli alberi del suo giardino e le foglie mosse dal vento, e per ricordare qualcosa, qualunque cosa, e riuscire a guardare dentro alla memoria e ai suoi colori. Germano Signori è l’uomo che ha due mesi di vista, due mesi per riconoscere ancora le ombre e le luci.

Due mesi per riconoscere la maestà di una vetta in pietra e il verde acqua della sua cucina, questa tinta cremosa e frigida che forse dovranno far reimbiancare, con il frigo e i laminati in formica tutti intonati, e le creature e i fiori fatti di conchiglie che sua moglie ha ammassato sui ripiani dello scaffale aperto sull’atrio. «Ha il diabete e la sua vista è andata spegnendosi poco per volta», ha raccontato il suo amico, alpinista come lui. Ha fatto un’operazione complicata: «Possiamo ridarti i colori solo per due mesi», gli hanno detto i medici. Lui ha risposto di sì. A luglio è finito sotto ai ferri. E adesso guarda le luci, sapendo che dovrà tornare nell’ombra.

Forse, dipende da come la vedi. Questi sono gli ultimi due mesi, ma la vita non è poi tanto male se l’hai vissuta. Lui ha 60 anni, è di Milano, e faceva l’alpinista e guidava gli elicotteri. Bisogna veder bene per andare nel cielo e salire le montagne. Si era sposato tanti anni fa in cima all’Uja di Ciamarella, nelle Alpi Graie, una lancia di pietra che va a graffiare le nubi. Con altri alpinisti, aveva portato su la statua del Beato Murialdo, che ancora adesso ammonisce e conforta quelli che salgono a guardare il mondo da lassù. L’aveva messa vicino a quella della Madonna, ed erano rimasti a pregare. Quella è la vetta che Germano Signori ama di più. Era una delle ultime cose che gli restava da vedere. Gli amici si sono radunati, quelli dell’Air Green di Robassomero, dove lui guidava gli elicotteri, il responsabile del Soccorso Alpino Umbro Tessiore e Virgilio Bergero, il gestore del rifugio alpino Città di Ciriè al Piano della Mussa, a 1800 metri. Hanno deciso che gli avrebbero regalato due giorni su quelle vette, in questi due mesi di vista.

Ivo Airaudi ha fatto preparare l’elicottero. Lui è salito con la moglie e gli amici. Guardava in giro, il vento che muoveva gli alberi. C’è sempre un vento fortissimo lì sopra, e arrivano molti temporali. E’ una montagna ricca di ferro, attira i fulmini. Ma vederla scoperta è un miracolo, una gioia del Signore: da lì, dai suoi 3676 metri, c’è una vista meravigliosa, che si allarga sul Gran Paradiso, il Monte Bianco e il Monte Rosa. Sono saliti domenica. L’hanno portato con l’elicottero su una cresta e poi sono andati tutti su a piedi in cima. Al rifugio, c’era anche un giornalista, ma lui non ha voluto vederlo. Ha detto che è una cosa sua, e che non ci sono parole. Dev’essere vero: per questo abbiamo scelto di non scrivere il suo vero nome e cognome. Gli occhi però colorano tutto, pure le parole.

Anche a Ray Charles una volta chiesero che cosa gli mancava di più, e lui rispose: «Il colore della mia musica». In fondo, che cosa sarebbe la vita se sapessimo che non potremmo più vederla? In piedi tra gli amici del Soccorso Alpino, accanto alla moglie che lo sorregge, abbronzata, eccitata, il signor Germano Signori deve aver avuto improvvisamente la strana sensazione che ciò che era andato lì ad aspettare, quello che stava volteggiando lassù in quel cielo appena sgombro che scendeva sui loro capi fra la grandezza delle vette, non era più il compiersi di un giorno qualunque, il perdersi lento e inesorabile del tempo, ma semplicemente il colore che gli restava negli occhi. L’ultimo colore. E allora ha stretto i suoi occhi per guardare meglio le nuvole e fermare la sua commozione. L’hanno fotografato così. E poi ancora mentre voltava la schiena al Gran Paradiso e al Monte Rosa e al Monte Bianco.

Tutto questo era solo l’indistinto brandello di un viaggio, la fragile emozione di chi sa che non ha più niente da rapire alla vita. Sulle montagne in certi giorni la luce dell’estate diventa tagliente come quella di un riflettore. Noi a volte la guardiamo senza vederla. Anche il signor Germano avrà fatto così quand’era forte e sano. Adesso è molto dimagrito, probabilmente asciugato dalle cure più che dal male. Dice che ha cominciato a vedere delle ombre, e che poi poco alla volta tutto quello che aveva davanti si è dissolto nel buio.

Ma questi due mesi di vista gli danno il senso delle cose perdute, di quello che non riusciamo a cogliere nell’altra vita. E’ come una condanna, a pensarci bene. Da piccolo uno lo sa che ci sono bambini più ricchi e più felici, ma ricchezza e gioia sono cose che si possono sempre raggiungere nella vita, quando appare senza fine. Adesso a Germano la vita non sembra più così, e sa che da qui a qualche giorno la conterà passare con il buio dei suoi occhi, che è un’altra cosa da vederla arrivare nei colori. E se uno pensa a quello che vede e che non vedrà più è come fermarsi sulla soglia di quella che non è più la tua casa, e stare lì a fissare una memoria, è come desiderare un amore finito, come inseguire uno sguardo da bambino, una donna qualunque raggiunta un po’ più giù sull’altro lato della strada, dove in tutta quella luce sembra fluttuare, in mezzo ai glicini e alle gloxinie e a tutti quei nomi meravigliosi, una immagine piena di contrasti che ti ha riempito inutilmente la vita. E uno può ripensare anche solo a una cosa che ha un colore, una cosa da niente, qualche capello randagio sulla testa, che brilla come i filamenti delle lampadine quando lei si pulisce il sopracciglio col polso, riempiendo di terra i vasi. Un gesto qualunque, un attimo. Tutto ha un colore adesso. Ecco cosa sono due mesi di vista. Il tempo di cercare quello che hai perso.

da lastampa.it
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