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Autore Discussione: Caccia grossa con i Bush - Affari: amici e passioni di Ugo Beretta  (Letto 3540 volte)
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« inserito:: Agosto 06, 2007, 06:41:01 pm »

Caccia grossa con i Bush Affari: amici e passioni di Ugo Beretta
di Peter Gomez

SCHEDA

Fin da ragazzo trascorre negli Stati Uniti dieci giorni al mese. È amico della famiglia Bush che ha cominciato a frequentare alle convention del Safari Club, il circolo esclusivo degli amanti della caccia grossa. Con Bush senjor e junior non discute però solo di fucili da imbracciare e animali da stecchire. Spesso parla di più concreti finanziamenti elettorali. La sua azienda appoggia infatti la National ryfle association, la lobby dei produttori di armi, che lui ama descrivere come "un'associazione che difende il concetto del diritto all'autodifesa. Un diritto sancito dalla Costituzione americana". Non deve stupire perché Ugo Gussalli Beretta, 67 anni, tredicesimo erede della dinastia industriale più antica d'Italia, non è un uomo che ama i giri di parole. Ma un imprenditore. Un imprenditore fino al midollo. Anche per questo Silvio Berlusconi nel 2002, quando si trattava di nominare un nuovo ambasciatore negli Usa, pensa a lui.

Gussalli Beretta prima sembra lusingato. Poi, non appena esplodono le polemiche delle organizzazioni pacifiste, si tira indietro: "Non sono disponibile, ho un'azienda da seguire". I rapporti con il presidente americano restano così quelli di sempre: più commerciali che politici, con George Bush junior che per andare a caccia imbraccia un Beretta S09, un fucile da soli 3,2 chili e ben 45 mila dollari di prezzo, veste con giubbotti Beretta e si rifornisce alla gallery Beretta di New York di cravatte di Marinella, stampate apposta per lui. Pure in Italia il feeling è tutto con il centro-destra, anche se Gussalli Beretta, non fa mistero di non aver mai apprezzato le spinte secessioniste della Lega Nord ed aver sempre preferito le posizioni di Gianfranco Fini e di Berlusconi. Nonostante questo, delle proposte della Lega ne salva una: la nuova legge sulla legittima difesa. Da sempre, del resto, è solito ripetere: "Il cittadino deve aver il diritto di difendersi se lo Stato non riesce a proteggerlo. Poi, certo, le armi bisogna saperle usare. Ma è un problema di istruzione. Credo che non si farebbe male a mandare i ragazzini al poligono di tiro".

Occhi da orientale, faccia tonda e baffetti sottili che fino a qualche hanno fa riportavano alla mente quei caratteristi che nella Hollywood del primo dopoguerra impersonavano gli affaristi cinesi, Ugo Gussalli Beretta vive a Gardone Valtrompia, poco distante dai 75 mila metri quadrati della sua azienda, in una singolare residenza tra il liberty e il neogotico, progettato da suo nonno Pietro e da un amico, l'architetto Dabbeni. Due figli, poco più che quarantenni, i quali si occupano delle attività di famiglia (accanto alle armi, ormai c'è anche un'importante produzione di abbigliamento e di spumante), Gussalli Beretta ha pure aperto una fabbrica nel Maryland, rifornisce di Beretta 92

le Forze Armate e le polizie di Stato americane, ma anche la Gendarmerie nationale francese e la Guardia Civile spagnola. Il settore militare, pur restando il fiore all'occhiello dell'azienda, in termini di ricavi sembra destinato a pesare sempre meno, appena il 7 per cento su un fatturato consolidato da 388 milioni di euro nel 2004, contro i 369 milioni del 2003.

Un impero che la famiglia Beretta controlla attraverso la Beretta holding che a sua volta fa capo alla Upifra, una società di diritto lussemburghese il cui acronimo sta per Ugo-Piero-Franco, i nomi cioè di Gussalli Beretta e dei figli. In passato Beretta è stato presidente degli industriali bresciani (dopo Milano e Torino la più importante associazione d'imprenditori d'Italia), ma il vero circolo a cui tiene di far conoscere la propria appartenenza è il Club internazionale Les Hénokien: l'associazione che riunisce le famiglie con alle spalle una storia industriale almeno bicentenaria e che al momento annovera appena 19 soci. Beretta, del resto, a una praticità completamente yankee sembra unire l'eccentricità della vecchia aristocrazia industriale europea. In un intervista ha detto: "Bush caccia di tutto, soprattutto volatili.

Io invece amo l'Africa e gli elefanti". In che senso ama gli elefanti? "Nel senso che gli sparo".


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Premiata Ditta Pallottole

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La Beretta è la più antica azienda del mondo: nata nel XV secolo, è citata nei documenti a partire dal 1512. Appartiene alla stessa famiglia, non ha mai cambiato sede restando radicata a Gardone Valtrompia, nel cuore del distretto bresciano degli armaioli, e continua a produrre fucili e pistole da sempre. Leader nelle carabine da caccia, solo negli anni Trenta si è imposta sul mercato militare con la pistola 34 e il fucile mitragliatore Mab.

Durante la guerra alleati e nemici facevano di tutto per avere una Beretta 34, considerata migliore della celebre Luger, e dopo l'8 settembre i tedeschi presero il controllo della produzione. Nel dopoguerra dopo una fase di crisi, il boom. Esordisce con il mitra M-12, quello del simbolo di Prima Linea: una delle icone degli anni di piombo. Poi la Beretta 92, oggi sinonimo di pistola in tutto il mondo: dopo avere vinto la gara per le Forze armate americane, è stata venduta a decine di eserciti e centinaia di polizie. Infine i fucili a pompa Benelli e Franchi, adottati dai marines: due marchi inglobati rendendo di fatto Beretta monopolista in Italia.

Gli altri prodotti militari languono: il fucile d'assalto AR 70/90 non è stato esportato, la nuova pistola Cougar - fatta impugnare con mossa di marketing agli ultimi James Bond del cinema - viene promossa da poco mentre la mitraglietta Storm è appena entrata sul mercato. In più le mode belliche portano i colonnelli stranieri verso calibri più potenti di quelli tipici degli armieri bresciani. Ottimi invece i risultati nel settore delle armi da caccia, soprattutto con i ricchi clienti arabi e statunitensi che spendono migliaia di euro per personalizzare le loro carabine. Inoltre è stata lanciata una linea di abbigliamento sportivo, con buoni risultati negli Usa. Il tutto per una holding che ha 2.500 dipendenti.


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