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Autore Discussione: CARLO CLERICETTI. Niente quiete dopo la tempesta  (Letto 2227 volte)
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« inserito:: Maggio 30, 2009, 10:01:36 am »

ECONOMIA      L'ANALISI

Niente quiete dopo la tempesta


di CARLO CLERICETTI
 
Il peggio della crisi è alle nostre spalle? Chi cercasse una rassicurazione del genere nelle Considerazioni finali del governatore Draghi non la troverebbe. Troverebbe la ragionevole previsione che ormai non ci sarà il crollo catastrofico dell'economia mondiale e che "appare oggi modesta" la probabilità di una deflazione, rischio quasi altrettanto preoccupante. Ma troverebbe anche più di un avvertimento sul fatto che ci vorrà molto tempo per sanare gli squilibri che hanno provocato la crisi, a cui si aggiungono quelli - l'enorme liquidità creata, i pesantissimi deficit di bilancio - generati dagli interventi di emergenza attuati per evitare il disastro.

Per di più, non c'è niente di automatico nel processo di risanamento, l'economia non andrà a posto da sola. Anzi, non andrà a posto affatto se non ci sarà una serie di interventi non solo sulle regole e sui controlli, che dovranno essere necessariamente sovranazionali e coinvolgere anche i soggetti che finora ne restavano al di fuori, ma anche sulla struttura delle economie, tanto quella globale che quelle dei singoli paesi.

Dalle parole di Draghi emerge il disegno di una sorta di "governo mondiale dell'economia" guidato essenzialmente da tre istituzioni: il Fondo Monetario internazionale, con il ruolo di controllo sui sistemi finanziari dei singoli paesi e insieme quello di "prestatore di ultima istanza"; il Financial Stability Board, che dovrà disegnare le regole valide per tutti e controllare che vengano applicate in tutti i paesi, oltre a "proseguire nella costituzione dei collegi internazionali di supervisori per le istituzioni finanziarie più grandi", e, soprattutto, individuare i "rischi sistemici" (insieme con l'Fmi); e infine il G20, il gruppo dei paesi economicamente più forti, come organo politico che assuma le decisioni sulla base dei suggerimenti degli altri due organismi. Insomma, dopo quasi vent'anni di finanza globale, la mancanza di controlli sulla quale ha portato il mondo sull'orlo del collasso, ora dovrebbe arrivare il momento del governo globale dell'economia. Nelle Considerazioni non si esprimono giudizi sul grado di probabilità che questo governo globale - peraltro mai nominato in questi termini - divenga effettivamente efficace.

"Più regole, più capitale, meno debito": solo così, afferma il governatore, si potrà tornare alla stabilità finanziaria. Ma bisogna anche che nei mercati torni la fiducia, presupposto della quale è che emergano definitivamente e con chiarezza le reali situazioni dei bilanci delle banche. Un modo indiretto per dire che oggi non è ancora così, e che gli oltre 1.000 miliardi di dollari contabilizzati finora non rappresentano ancora tutte le perdite effettive. E anche una sottolineatura che dunque la crisi non può considerarsi superata.

Men che meno in Italia, dove l'orizzonte si presenta estremamente preoccupante. Il Pil avrà "una caduta di circa il 5%", una previsione ben peggiore delle ultime del governo, con quel "circa" che fa pensare ad un dato effettivo ancora inferiore. La disoccupazione è già all'8,5%, e "potrebbe salire oltre il 10"; solo un terzo dei lavoratori dipendenti è coperto dalla cassa integrazione, che comunque assicura al massimo metà della retribuzione media lorda dell'industria; si stima che il 40% delle imprese con più di 20 addetti ridurrà il personale quest'anno, mentre per oltre 2 milioni di lavoratori temporanei il contratto scade entro il 2009. Tutto questo potrebbe provocare "una forte riduzione dei consumi, a cui le imprese potrebbero reagire restringendo ancora i loro acquisti di beni capitali e di input produttivi". C'è il rischio, insomma, che la crisi si avviti su se stessa.

Tanto più che le imprese non stanno in migliori acque dei loro dipendenti: in gran parte si aspettano un forte calo del fatturato, anche oltre il 20%, e hanno reagito tagliando gli investimenti in misura "eccezionale". Quelle che sono state colte nel corso di un processo di crescita che aveva comportato indebitamento (almeno 6.000 aziende con quasi un milione di dipendenti) oggi sono in fortissima difficoltà; ancor peggio stanno le piccole imprese sotto i 20 addetti (circa 500.000 con quasi 2 milioni di dipendenti): per esse "è a volte a rischio la stessa sopravvivenza".

Per questo, sottolinea Draghi, "il passaggio dei prossimi mesi sarà decisivo: una mortalità eccessiva che colpisce per asfissia finanziaria anche aziende che avrebbero il potenziale per tornare a prosperare dopo la crisi è un grave rischio per la nostra economia".

Come intervenire? "L'azione di sostegno alla domanda è limitata dal debito pubblico del passato. Gli interventi attuati finora hanno soprattutto utilizzato risorse già stanziate per altri impieghi". Cioè, le tanto sbandierate manovre anticrisi hanno soltanto spostato soldi - come già aveva notato l'Fmi - da un capitolo di bilancio all'altro. Ma si può aumentare ancora il debito pubblico? Draghi fa capire che si deve, per evitare guai peggiori: "un'azione credibile e rigorosa di riequilibrio dei conti pubblici, in un orizzonte temporale prestabilito, può permettere una politica economica più incisiva". In altre parole: bisogna metter mano al portafoglio e insieme dire come e quando si risaneranno i conti.

Tra le misure che il governatore considera più urgenti, una riforma degli ammortizzatori sociali, che copra gli attuali esclusi; un sostegno ai problemi finanziari delle imprese, anche eliminando i ritardi di pagamenti del settore pubblico, che ammontano a ben 2,5 punti di Pil e accogliendo la proposta della Confindustria di sospendere il versamento all'Inps del Tfr non destinato ai Fondi pensione. Bene anche il piano-casa, da attuare rapidamente ("nelle forme appropriate", precisa Draghi) e le opere di piccole dimensione a livello locale attuabili in tempi brevi. Per le grandi opere bisogna ritrovare il senso delle priorità, visto che i progetti definiti in questo modo sono passati da 21 a oltre 200.

Insomma, pur con la cautela caratteristica dello stile del governatore, accentuata probabilmente dalla considerazione della prossima scadenza elettorale, il messaggio di Draghi al governo è chiaro: finora si è fatto poco o nulla, ma ora non c'è più tempo: siamo in bilico, bisogna intervenire prima che la situazione precipiti. O si fa della crisi un'occasione di rilancio, o l'Italia ne uscirà drammaticamente più povera ed economicamente più debole.

(29 maggio 2009)
da repubblica.it
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