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Autore Discussione: Cossiga vent’anni dopo le picconate «Potessi tornare indietro starei zitto»  (Letto 3355 volte)
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« inserito:: Maggio 28, 2009, 09:40:04 am »

Intervistato dall'Adnkronos

Cossiga: ''Mi addolorano i veleni su Berlusconi e sulla sua famiglia''

Il presidente emerito sul caso Noemi: ''Perché invece di alludere, i Franceschini e gli Zanda non presentano un esposto alle varie procure della Repubblica che sarebbero competenti''?


ultimo aggiornamento: 27 maggio, ore 08:02



Roma, 26 mag. (Adnkronos/Ign) - Il presidente emerito parla della vicenda Noemi e della querelle tra il premier e la moglie. Cossiga spiega all'Adnkronos il suo punto di vista, criticando gli organi di informazione che hanno fatto di una vicenda privata un evento mediatico e politico, e ricordando come anche Noemi sia vittima di questo sistema.


D.- Questa campagna elettorale per le elezioni europee e per  il rinnovo di un consistente numero di amministrazioni provinciali e comunali è dominata dal caso Berlusconi–Lario-Letizia. Quale è la sua opinione?

R.- Il mio stato d’animo è quello del dolore, dello sdegno, della preoccupazione e della meraviglia?

D.- Perché del dolore?

R.- Io sono amico di Silvio Berlusconi e mi sento amico della sua famiglia, in particolare di Veronica e di Barbara. E non può non addolorarmi il vedere una famiglia amica sbattuta ogni giorno sulle prime pagine dei giornali e vedere seminati quotidianamente veleni nel suo ambito con grave turbamento della sua pace: e questo anche da persone che fanno professione di fede cristiana ma che sembrano ritenere che l’interesse elettorale debba essere anteposto alla carità e allo stesso umano rispetto per una famiglia….E che dire di Noemi?

D.- Sì, che dice di Noemi?

R.- Non so nulla di Noemi, ma che questa ragazza sia anche essa sbattuta in prima pagina da autorevoli giornali ed additata al pubblico ludibrio come una puttanella figlia di genitori che agevolano il suo prostituirsi mi sembra cosa ingiusta e incivile. E ciò non può che addolorare me che sono padre…

D.- Quale   sentimento di sdegno e preoccupazione ha sollevato in Lei questa vicenda?

R.- Lo sdegno è provocato dall’uso che di tali argomenti si fa nella lotta elettorale e politica. Mai vista una cosa simile! Ma Lei si immagina Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro o Giulio Andreotti in battaglie elettorali anche decisive quali quelle del 1948 o del 1976 fare delle situazioni matrimoniali, degli abbandoni coniugali, dei nuovi legami sentimentali di dirigenti comunisti argomento di campagne elettorali? Si fa nella lotta elettorale e politica. Mai vista una cosa simile! E Lei può mai immaginare Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Alessandro Natta, Paolo Bufalini o Gerardo Chiaromonte,  in battaglie elettorali anche decisive non solo per in proprio partito ma per la causa del movimento comunista in Europa e forse anche nel mondo lasciarsi andare a usare simili argomenti da trivio? Sarebbe come se io, cattolico, ad esempio dovessi valutare le campagne di un quotidiano dal fatto che il suo fondatore e originario direttore avesse o meno due famiglie……

D.- Ma l’opposizione parla del premier che dice il falso e sottace la verità e ricorda l’impeachment del presidente Clinton per il caso Levinsky….

R.- Premetto che contro il presidente Clinton è stato sollevato, e poi abbandonato, l’impeachment non per i suoi originali sexual intercorse con la signorina Levinsky, ma per aver dichiarato il falso e tentato di ostacolare la giustizia anche in una caso pregresso, uno dei tanti…., che vedeva coinvolta una segretaria dell’allora governatore del Kansas che l’aveva denunciato. E indigna vedere che vi è tanta ipocrisia in questa vicenda ed anche tanta mancanza di coraggio…

D.- In che senso?

R- Quel che si vuole far intendere è che il premier abbia avuto rapporti non propriamente platonici con la Noemi quando questa era minorenne e di quella minorità per la quale aver avuto questi rapporti costituirebbe reato. Perché invece di alludere, i Franceschini e gli Zanda non presentano un esposto alle varie procure della Repubblica che sarebbero competenti, non so, a quella di Tempio nella cui giurisdizione ricade Porto Rotondo e a quella di Milano dove a pubblici ministeri come Spataro e Pomarici, magari con il consiglio della Gandus e della Orlo, non sembrerebbe vero mettersi ancora sotto i riflettori…..Che vergogna….

D. E che dice dei problemi con il Vaticano?

R.-Con il Vaticano o con Santa Madre Chiesa? Sul piano politico, la Santa Sede tratta con chiunque quando si tratti di interessi spirituali o anche temporali della Chiesa o di difesa dei suoi valori. Ad esempio tra un adultero e massone che abbia responsabilità nel Popolo delle Libertà ma che è contrario ai PACS o ai DICO e ottimi cattolici militanti, casti o regolarmene sposati e fedeli al proprio coniuge come Rosy Bindi o Dario Franceschini ma favorevoli all’introduzione di questi istituti nel nostro ordinamento, Santa Madre Chiesa vedrà, politicamente parlando, meglio il primo che non il secondo. D’altronde non dimentichiamoci che la Santa Sede non riuscì a concludere un concordato con la Repubblica di Weimar quando in essa contava, e molto…., il Centro Cattolico, mentre non ebbe alcuna esitazione a riconoscere il Reich Nazista di Hitler che accondiscese a concludere un Concordato.

Sul piano personale la Chiesa è ferma nei principi e molto misericordiosa sul piano delle persone. E poi, sul secondo divorzio del premier la Santa Sede non ha nulla da ridire. Anzi. Dal punto di vista religioso, la lite coniugale sana una condizione di peccato grave, quasi di scandalo (per il diritto canonico Berlusconi è ancora sposato con Carla Dall’Oglio). Insomma: il paradosso è che, rompendo l’unione con Veronica da cui ha avuto tre figli, il premier verrà riammesso ai sacramenti, come da tempo anelava. Chi immagina contraccolpi negativi sul voto cattolico in vista delle Europee, consideri l’impatto visivo di Berlusconi che fa la comunione, proprio come un vecchio  leader democristiano. Anche di questo pare si sia parlato espressamente, in una giornata che registra colloqui riservati tra Bonaiuti (portavoce del premier) e alcuni giornalisti di prima fila del pianeta cattolico. Certo, non tutte le voci ecclesiastiche sono in riga. Ad esempio quella di Famiglia Cristiana e del mensile dei gesuiti di San Fedele: ma si tratta di giornali di sinistra da sempre oppositori del centrodestra.

D.- E quale è la sua meraviglia?

R.- La mia addolorata meraviglia è che persone serie come Luigi Zanda, Massimo D’Alema e Dario Franceschini si siano posti sul piano del gossip.

da adnkronos.com
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 23, 2009, 09:46:10 am »

          LETTERA APERTA

«Silvio, non chiedere scusa a nessuno»

Cossiga scrive al premier: «Non credo che tu sia vittima di un com­plotto, ma delle tue imprudenze e ingenuità»



Caro Silvio, ti scrivo da amico e da politico, non da «amico politico», benché legato a te da un’ami­cizia personale che data dal 1974 e che non è mai venuta meno. Non sono mai entrato nella tua vita privata pur, come tu ben sai, non con­dividendo alcune manifestazioni di essa. Ri­tengo che i giudizi sulla vita privata di una per­sona che non attengano alla funzione pubblica esercitata - e in particolare la vita eufemisti­camente chiamata «sentimentale» ma più esattamente «sessuale» - debbano essere di­stinti dai giudizi politici.

Non mi sembra che il giudizio politico di al­lora e il giudizio storico di oggi abbiano bollato con il marchio dell’infamia John Fitzgerald e Robert Kennedy, le cui attività galanti supera­rono di gran lunga le tue, e ebbero anche aspet­ti inquietanti sui quali la giustizia americana non volle inquisire fino in fondo. E che dire del primo ministro britannico Wilson, che fece no­minare dalla Regina, che non batté un ciglio, alla carica di Pari a vita con il titolo di barones­sa una sua collaboratrice, collaboratrice per così dire, in senso piuttosto lato? E qui mi fer­mo… Ora tu ti trovi, a torto o a ragione, in un brutto impiccio: per motivi «sentimentali» e anche per motivi, diciamo così, mercantili. Vi è chi, movimenti politici e potentati economi­ci, con o senza giornali di loro proprietà, sono terrorizzati che tu possa governare il Paese per altri quattro anni; e sperano che titolari di alte cariche istituzionali, al primo, al secondo o al terzo posto nelle precedenze, riescano a farti uno sgambetto.

Vorrei darti qualche consiglio, anche se so che tu ritieni che pochi consigli possano darti quelli che furono attori o, come me, solo com­parse in quello che tu chiami il «teatrino» del­la politica della Prima Repubblica. È vero che una coincidenza è solo una coin­cidenza, che due coincidenze sono un indizio e che tre coincidenze possono essere una prova. Ma io non credo che tu sia vittima di un com­plotto. E poi, complotto di chi? Dei nostri servi­zi di sicurezza? Ma al loro apice, da Gianni Di Gennaro a Bruno Branciforte e Giorgio Picciril­lo, ci sono dei fedeli e capaci servitori dello Sta­to, sui quali non può gravare alcun sospetto e che sono impegnati, oltre che a svolgere le loro mansioni, ancora a capire, per colpa della leg­ge e del Governo, quali esse siano e quali siano i confini tra le loro competenze e quelle del ser­vizio di informazione e sicurezza militare dello Stato Maggiore della Difesa…

Complotto di un servizio estero? Di Cia o Dia americane? Certo, i mezzi e le competenze li hanno, eccome! E perché mai Barack Obama dovrebbe aver ordinato una tale campagna di «intossicazione»? Perché sei amico di Putin e della Federazione Russa? Ma immaginati. Al­la fine Putin preferirà Obama a te e viceversa. Noi siamo un grande Paese, ma non una gran­de potenza: smettiamolo di crederlo. Io penso che tu sia vittima dell’odio dei tuoi avversari ma anche delle tue imprudenze e ingenuità. L’odio dei tuoi avversari è eviden­te: e non penso al mite e sprovveduto Dario Franceschini, né al freddo, politico e onesto e corretto Massimo D’Alema, anche se si è la­sciato scappare una battuta che più che te e lui sta mettendo nei pasticci il «lotta-» o «lob­by- continuista» magistrato di Bari. Questo odio io l’ho patito sulla mia pelle. Perché a te il noto gruppo editoriale svizzero dà dello sciupa­femmine, ma a me per quasi sette anni ha da­to del golpista e del pazzo, nel senso tecnico del termine…

Lascia stare i complotti, e respingi anche l’odio che è un cattivo consigliere anche per chi ne è oggetto. Vendi Villa La Certosa, o meglio regalala allo Stato o alla Regione Sarda: è indi­fendibile e «penetrabilissima». Lascia anche Palazzo Grazioli, che ha ormai una fama equi­voca e trasferisciti per il lavoro e per abitarvi a Palazzo Chigi. Non chiedere scusa a nessu­no, salvo che ai tuoi figli, quelli almeno che hai in comune con Veronica. Non mi consta che gli altri due grandi sciupafemmine come Kennedy e Clinton abbiano mai chiesto scusa al loro po­polo… Fai la pace con Murdoch: tra ricchi ci si mette sempre d’accordo. Cerca un armistizio con l’Anm: porta alle lunghe la legge sulle inter­cettazioni e quella sulle modifiche del Codice di Procedura Penale e dai ai magistrati un con­sistente aumento di stipendio.

Vuoi, invece, fare la guerra? Allora vai in Parlamento: ma al Senato per carità! E non alla Camera, per non correre il rischio di ve­derti togliere la parola o espulso dall’aula. Tie­ni un duro discorso sfidando l’opposizione, fa presentare una mozione di approvazione delle tue dichiarazioni, poni la fiducia su di essa e, come ai gloriosi tempi della Dc con il Governo Fanfani, fatti votare contro dai tuoi, impeden­do con i voti la formazione di un altro gover­no, porta così il Paese a inevitabili nuove ele­zioni… Perché la guerra è sempre meglio per te, per l'opposizione e per il Paese, di questo rotolarsi nella melma.

Con affetto ed amicizia

Francesco Cossiga
presidente emerito della Repubblica
22 giugno 2009
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 02, 2009, 03:54:20 pm »

L’intervista - L’ex capo dello Stato: facevo il matto per poter dire la verità

Cossiga vent’anni dopo le picconate «Potessi tornare indietro starei zitto»

«Dissi che servivano le riforme ma nella Dc nessuno capì e neanche nel Pci, tranne D’Alema»


ROMA — A vent’anni dalla sua pri­ma picconata, rifarebbe tutto, presiden­te Cossiga?
«No, proprio no. Non ne valeva la pe­na. Se potessi tornare indietro, me ne sta­rei zitto e buono. Se allora mi fossi com­portato così, probabilmente mi avrebbe­ro rieletto, e c'era una quota di mondo po­litico che lo voleva. Ma ero incazzato co­me una belva e non potevo tacere».

Sarebbe dunque stato meglio lascia­re le cose come stavano, visto quello che è venuto dopo?
«A parte il fatto che una Seconda Re­pubblica non è mai nata e l'ibrido che c'è oggi sta ormai morendo, chissà che cosa sarà la Terza. Pensando ai vecchi tempi, il dualismo Dc-Pci funzionava molto me­glio del bipolarismo barbarico di adesso, se non altro perché un accordo lo si trova­va sempre. Mentre ora ci si scontra quoti­dianamente con la bava alla bocca, senza combinare niente di buono».

È passata una generazione da quando Francesco Cossiga lanciò il primo segnale della svolta che sarebbe sfociata nella traumatica «era del piccone». Il 9 novem­bre 1989 era crollato il Muro di Berlino e l'allora presidente della Repubblica giudi­cò l'evento un'occasione liberatoria an­che per l'Italia. Di cui approfittare subito. Insomma: era il momento di rimuovere quel «fattore K» che aveva relegato il Pci fuori dalla stanza dei bottoni costringen­doci a «un’alternanza di governi senza al­ternative al governo» e di riformare in profondità le istituzioni. Per il suo avverti­mento il capo dello Stato usò il messag­gio di fine anno. «Sono cambiate tante co­se all'Est... siamo a un nuovo punto di par­tenza, anche noi italiani abbiamo bisogno del vento della libertà».

Qualcuno definì «enigmatico» il mes­saggio...
«Invece era chiarissimo. Spiegavo che il Muro era caduto addosso pure a noi. Che bisognava abolire la conventio ad excludendum verso i comunisti, chiudere la 'guerra fredda interna' ed emancipare il cosiddetto arco costituzionale. Denun­ciavo che il sistema non reggeva più. Che serviva una rigenerazione istituzionale, un secondo tempo per la Repubblica. E la­sciavo intendere che, se non avessimo fat­to nulla, ci avrebbero preso a pietrate per le strade».

Era, insomma, una profezia della ca­tastrofe.
«Sì. Venne da me Antonio Gava, un po­tente della Dc, il mio partito, per chieder­mi che cosa volessi mai. Tentai di dirglie­lo e non capì. Ma anche nel Pci-Pds il di­scorso fu giudicato criptico: tranne D'Ale­ma, nessuno capiva. Avevano sempre vis­suto all'opposizione e sull'opposizione, non era facile per loro pensare di assumer­si responsabilità di governo. Più comodo sospettarmi e, più tardi, attaccarmi».

E lei ha ricambiato con gli interessi. Fu allora che cominciò la sua seconda vita?
«Ci furono varie tappe: il discorso del Capodanno 1989, un intervento a Edim­burgo nel quale approfondivo l'urgenza di 'ampliare l'ambito della democrazia' cancellando l’interdetto politico verso il Pci, e infine il mio messaggio alle Came­re. Erano gli anni del patto tra Craxi, An­dreotti e Forlani, il Caf. Sollecitavo la gran­de riforma di cui c’era bisogno per schiva­re la crisi che stava per esplodere. Andre­otti, all'epoca premier, rifiutò di controfir­mare il documento per la presentazione in Parlamento perché, si difese, non lo condivideva. Lo firmò il ministro della Giustizia Martelli. Fu il momento più dif­ficile, per me. Sembravano tutti ciechi».

Cossiga «l'incompreso»: è la sua eter­na autodifesa.
«Purtroppo era così. Tornò al Quirina­le il povero Gava. 'Francesco, ma cosa vuoi? Perché ti agiti tanto per questa rifor­ma? Abbiamo lavorato benissimo per qua­rant'anni con questo sistema, possiamo farlo per altri quaranta'. Socialisti, libera­li, repubblicani votarono a favore e, nell' ex Pci, il costituzionalista Barbera. Tutti gli altri sostenevano che il mio era un pro­getto ad alto rischio, quasi eversivo. Non sapevano che ad aiutarmi a stendere il messaggio erano stati Amato e Martinaz­zoli » .

Nessuno dei due certo accusabile di «frenesie autoritarie». Ma quella stagione fu un incrocio di complot­ti. Lei parlava di una congiura per spodestarla dal Colle, tirarono fuo­ri Gladio.
«Dissero che ero il tutore di quella struttura clandestina euro­pea chiamata Stay Behind, e da noi Gladio, accusata di mille nefandezze. Era comodo prendersela con me, nono­stante avessi avuto un ruolo poco più che marginale. Ero il Cossiga 'amerikano' e le uniche firme trovate sui documenti era­no mie, anche se chi autorizzò per primo l'accordo con la Cia e con gli inglesi fu Mo­ro insieme a Taviani, con la consulenza di Enrico Mattei. Senza contare che tutti i presidenti del Consiglio sapevano. Ho do­mandato ad Andreotti perché avesse rive­lato il segreto e mi ha risposto che, cessa­ta la guerra fredda, non c'era più motivo di tacere. Una volta il premier inglese Major mi chiese: 'Era proprio necessario dirlo?'. Beh, lasciamo perdere...».

Gladio fu un capitolo dell'«intrigo» per farla dimettere?
«Ci fu anche una cena a casa di Euge­nio Scalfari alla quale era presente, tra gli altri, il gran borghese del Pri, Visentini. Si parlava di me e a un certo punto Scalfari disse: 'Se non riusciamo a metterlo sotto impeachment, facciamo almeno votare una mozione al Parlamento perché sia sot­toposto a perizia psichiatrica'. Mi voleva­no mandare a casa con la camicia di forza. Visentini raccontò la cosa al liberale Altis­simo, che mi telefonò subito. A quel pun­to, potevo mai stare zitto?»

E infatti, come tutti ricordano, non tacque.
«Dicevano che ero in preda a una 'tem­pesta neuro-vegetativa'. In realtà facevo il matto per poter dire la verità, come il fool del teatro elisabettiano. Ero incazzato perché non mi capivano né i comunisti né la Dc, per la quale restavo un irregola­re... Ero incazzato come il sardo che sono, e lei sa che ho antenati pastori, testardi e durissimi » .

Certe sue esternazioni restano memo­rabili per le stilettate incendiarie verso i suoi nemici.
«Di alcune, premeditati atti di legitti­ma difesa, ho chiesto scusa. Per esempio mi sono pentito della definizione di 'zom­bie con i baffi' ad Achille Occhetto».

Lo shock era che lei bombardava il quartier generale, come aveva fatto Mao durante la rivoluzione culturale in Cina.
«Precisamente. E il quartier generale, che era il vertice della Dc, non capiva nul­la » .

Nessun altro pentimento, oggi?
«Mi ero fatto patrocinatore di un salto nel futuro, ma ero troppo in anticipo. Ta­viani, nelle sue memorie, scrive che sarei stato un buon politico se avessi pensato meno al passato e al futuro, concentran­domi sul presente. Ecco il mio errore: vo­levo liberare un sistema bloccato, ma ho fatto il passo più lungo della gamba. E il cerchio che avevo aperto nell'89 si è chiu­so solo molto dopo, con il traghettamen­to dei post-comunisti al governo, quando creai un partito transitorio proprio per questo scopo, l'Udr, e proposi al mio suc­cessore al Quirinale, Scalfaro, di affidare a D'Alema l'incarico di formare il governo. Il passaggio era completato. Quella sera andai a cena con Berlusconi (senza la D’Addario, beninteso) e cercai di convin­cerlo ad astenersi, ciò che sarebbe stato il mio capolavoro... non ce la feci».

Presidente Cossiga, se lei ha contribu­ito a emancipare gli ex comunisti, ha vi­sto però cadere nel vuoto la sua richie­sta di grandi riforme.
«E' così. Sono stati vent'anni sprecati e la mia storia resta soltanto una testimo­nianza a uso degli storici. Le riforme non hanno voluto farle. Il giorno in cui Berlu­sconi mi anticipò che voleva presentare la sua riforma della Costituzione, quella bocciata dal referendum, gli dissi: perché non prendi la proposta uscita dalla Bica­merale di D'Alema e la presenti tale e qua­le? Lì dentro c'è tutto: l'assetto semipre­sidenziale dello Stato, l'elezione diret­ta del presidente della Repubblica, la divisione delle carriere in magistra­tura, la riforma della stessa Corte costituzionale... tu presentala e vo­glio vedere come farà il centrosini­stra a non votarla».


Marzio Breda
02 agosto 2009
da corriere.it
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