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« inserito:: Maggio 23, 2009, 04:23:18 pm » |
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23/5/2009 Il giallo del ritorno della lince
CARLO GRANDE È l’animale fantasma delle nostre montagne, «lo spirito dagli occhi lucenti», il gattopardo, il «lupo cerviero»: la lince, predatore ancora più solitario ed elusivo del lupo – conduce una vita individuale e non di branco, non si avvicina mai ai centri abitati, nemmeno quand’è in difficoltà – sarebbe tornata nelle nostre valli. E per uno di quei miracoli che a volte avvengono in natura (teatro anche di grandi tragedie, è bene non dimenticarlo) torna nelle stesse valli piemontesi che avevano segnato la sua scomparsa in Italia: sulle Alpi l’ultima lince era stata abbattuta nel 1909 a Valdieri. Qualcuno dice che la lince in Italia si è estinta in Val Roja, al di là del Tenda (in provincia di Cuneo) tra il 1918 e il 1920. Poco importa. Pare di vedere l’ultimo esemplare, ammazzato e appeso a qualche porta o esibito su qualche piazza per un vile divertimento. Ma allora non si sapeva quanto vale un animale così fiabesco. Su di lei era sceso per anni il sipario.
Enrico Camanni, direttore di Piemonte Parchi, racconta di guardaparco che giurano di averla vista sulle montagne del basso Pinerolese. Qualche anno fa ne avevano trovato le tracce (peli sulla corteccia degli alberi, escrementi, il grido d’amore, un miagolio insistito, o un «abbaio» nel bosco) nella zona del Monte Rosa, esemplari provenienti dalla Svizzera, con tutta probabilità. Altri avvistamenti e tracce nel Verbano. Nel cuore d’Italia la lince (Lynx lynx) era ufficialmente scomparsa da un secolo.
Nessuno è ancora in grado di esibire fotografie degli ultimi avvistamenti: vederla è un evento rarissimo, specialmente di giorno, figuriamoci filmarla o fotografarla. La lince ha abitudini notturne, vive solitaria sulle montagne più impervie e inaccessibili, scava le sue tane negli anfratti rocciosi e più panoramici, dai quali può spaziare con la sua proverbiale vista, capace di cogliere un ratto a settantacinque metri, una lepre a trecento, un capriolo a mezzo chilometro.
Ne abbiamo visto qualche esemplare solo in cattività, purtroppo: sonnacchiose, snob, bellissime. Hanno larghe basette, meravigliosi e magnetici occhi cerchiati di bianco; muscolatura possente, artigli affilati. Sono morbidi gattoni da guerra-lampo: cacciano quasi sempre all’agguato, il primo attacco alla gola, una stretta micidiale.
Anni fa ci aveva parlato di lei un pastore abruzzese: «La mattina, quando ci siamo alzati, nello stazzo c’era un agnello senza testa. Non riuscivamo a capire chi potesse averlo fatto. Due giorni dopo abbiamo sentito nel bosco uno strano abbaio e ci siamo trovati di fronte un animale con gli occhi lucenti, la coda corta, le orecchie diritte e appuntite. In due balzi ha preso la roccia e non l’ho più visto».
Era la lince, animale «cattivo» per secoli, dalla parte del torto come il lupo, figlio della notte; nemico dei pastori, incompatibile con la civiltà. La lince, la «lonza» di Dante, il «pardo» dell’Ariosto, il simbolo dell’Accademia dei Lincei, dal nome di Linceo, mitico pilota degli Argonauti la cui vista penetrava i corpi opachi. Il «Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che sa sempre come cavarsela. Relegata nelle antiche stampe, sugli stemmi araldici, nei racconti popolari, nei toponimi: sulle carte d’Abruzzo leggiamo colle Pardo, colle Liardo, luoghi dove i pastori, nei giorni di nebbia, si inginocchiano e invocano il vento.
La lince si era rintanata in qualche forra, col suo udito finissimo. Ne usciva per cacciare solo all’agguato, di sera o di notte, mangiando esclusivamente carne di prede viventi (caprioli, cervi, lepri, volpi, topi). Ecco perché è così difficile catturarla, ecco perché trappole e bocconi quasi sempre falliscono. Semina i cani facilmente, saltando sugli alberi e facendo perdere le tracce. Evita l’uomo, compie larghi giri per rimanere in mezzo alla vegetazione e non uscire allo scoperto.
Se è tornata sulle Alpi Occidentali, finalmente, salutiamo uno spirito libero, che riempirà di incanto i nostri boschi.
da lastampa.it
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