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Autore Discussione: «Coinvolgere i lettori nella costruzione delle storie»  (Letto 3209 volte)
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« inserito:: Giugno 08, 2007, 05:25:47 pm »

Intervista coi Wu Ming: il successo di «Manituana», come cambia la letteratura nell’era di Google

Fuori della torre d’avorio

Andrea Miles

«Coinvolgere i lettori nella costruzione delle storie»


Il libro al centro di un meccanismo di comunicazione espandibile, con tanto di colonna sonora scaricabile dal web  Abbiamo intervistato i Wu ming a un mese dall’uscita del loro ultimo romanzo, «Manituana» (Einuadi), frutto di anni di ricerche e lavoro, per provare a capire come si stia evolvendo e come venga gestito dal collettivo di scrittori questo modo di fare narrazione costruito intorno al romanzo.

«Manituana» è infatti parte di un meccanismo senza precedenti in Italia, dove il libro rappresenta il centro gravitazionale di uno spazio narrativo in continua espansione, fatto anche di tecnologie Internet, coinvolgimento attivo dei lettori, racconti paralleli e obliqui al romanzo stesso. E poi c’è la colonna sonora: otto brani prodotti dai gruppi di Casasonica (etichetta indipendente tra le più attive in Italia che ruota intorno al torinese Max Casacci) e scaricabile gratuitamente online. Tra questi il brano scritto dai cagliaritani Sikitikis, che accompagneranno i Wu Ming il mese prossimo per un reading a due passi dal mare, durante la quarta edizione del festival «Marina Café Noir». Quest’anno tra le vie del quartiere Marina a Cagliari si parlerà infatti di «Eroi, migranti e pirati», atmosfere perfette, dunque, per «Manituana».

Come vi siete innamorati di questa storia di Indiani, all’alba degli Stati Uniti d’America, e perché?
«Noi guardavamo la moltitudine, un po’ dall’alto, e per giunta col binocolo a rovescio. Pensavamo a un romanzo mostruosamente grande, stipato di folla. Vedevamo un brulicare di soggetti: mercenari, pirati, quaccheri, armaioli tedeschi. E indiani. Gli Indiani si sono staccati dallo sfondo e avvicinati sempre di più, finché non ci hanno picchiato in testa coi tomahawk. A quel punto abbiamo deciso: dovevamo scrivere di loro».

Un romanzo d’avventura d’altri tempi: viaggi, battaglie, tradimenti, sangue, eroi. Ma dove finisce la storia e dove comincia l’invenzione?
«L’ucronia, cioè l’ipotesi di un futuro diverso da quello che oggi è il nostro presente, è sempre sottesa a qualunque narrazione storica. Sono tante le possibilità che vengono in mente mentre si legge del passato. Pensa a cosa sarebbe stata l’Europa se Napoleone non avesse perso a Waterloo...».
In questo contesto come avete gestito il confine tra protagonisti reali e personaggi nati dall’immaginazione?
«Il confine è labile. E’ previsto che, a un certo punto della stesura, noi ci scordiamo che il tal personaggio è vissuto realmente mentre il tal altro lo abbiamo inventato noi. Diventano tutti “veri”, e partecipano alle riunioni, parlano con noi, fanno proposte. Scrivere della storia ha una dimensione medianica, uno si trova a parlare coi morti».

Gli indiani che avete raccontato non sono come quelli dei film. Gli Irochesi hanno una loro costituzione, rapporti secolari coi coloni, sono stanziali e hanno un sistema sociale complesso. Perché hanno perso? «Hanno perso perché divisi tra loro, perché indeboliti da emorragie economiche e culturali, e perché le potenze più reazionarie del mondo, soprattutto la Francia di Luigi XVI, gettarono tutto il peso dei loro arsenali nell’alleanza coi coloni ribelli».
Questa storia è ricca di figure femminili forti, profonde, capaci di tener testa ai guerrieri. Com’è stato per cinque uomini come voi raccontare queste donne?

«Siamo uomini ma abbiamo figlie, compagne, madri, amiche. Ci siamo posti in ascolto».
George Washington che stermina i Mohawk al grido di “civiltà o morte” sembra portarci dritti negli interrogativi degli ultimi giorni: perché l’America è così violenta?

«L’America è divorata dalle proprie paure. La vecchia - e mai passata - paura del “negro”, ad esempio, la minaccia rappresentata da chi scavalcava lo steccato razziale e metteva in crisi le divisioni su cui l’America si fondava e si fonda. E’ un paese ossessionato da minacce interne ed esterne. Per restare unito deve nutrire queste minacce. E nutrendo le minacce crea individui (e gruppi di persone) sociopatici, come le milizie ariane che erano molto in auge negli anni Novanta, o come quello che entra armato in un luogo pubblico e fa una strage».

Data la ricchezza del tema, avete deciso poi di sviluppare una trilogia. Cosa ci si deve aspettare dai prossimi due libri?
«Si parlerà di armi da fuoco, mercenari, schiavitù, commercio nelle indie occidentali, guerra corsara».

Questo è il primo romanzo che scrivete anche con Riccardo Pedrini. Come si è intrecciato il cammino degli ex Luther Blissett con quello di Wu Ming 5?
«Ci siamo conosciuti a metà anni Novanta, anche se di vista ci eravamo già noti, Bologna è un paesone e inoltre Riccardo aveva suonato nei Nabat, gruppo-culto non soltanto sotto le Due Torri. I suoi libri ci piacevano molto, erano saggi da battaglia scritti con una lingua letteraria ma anche di strada. Quando abbiamo chiuso l’esperienza di Blissett è stato naturale coinvolgerlo nel nuovo progetto. Tra l’altro, l’idea di chiamarci “Wu Ming 1”, “Wu Ming 2” etc. è stata proprio sua. Non è l’unico di noi a essere stato in Estremo Oriente, ma certo è l’unico ad aver studiato wushu a Pechino!»
Del progetto sorto intorno a «Manituana» stupisce l’uso della tecnologia. Di chi è l’idea del viaggio in Google Earth tra i luoghi della narrazione?
«Di Wu Ming 2. E’ lui il nostro “ministro agli affari satellitari”».

E i racconti ammutinati? Storie che avete definito “sfuggite di mano, che intersecano l’immaginario del romanzo ma non ci entrano ufficialmente”. Perché non sono semplicemente finite nel cassetto?

«O forse nel cassonetto, intendevi... Non ci sono finiti perché ci piacevano, ed è stata l’occasione per avviare un gioco coi lettori».
Il secondo livello del sito, infine. Come nasce, quante persone vi hanno già messo piede e cosa succede oggi lì dentro?
«Nel momento in cui rispondiamo a quest’intervista, un po’ più di 800 persone. Dentro c’è tutto il “dietro le quinte” del nostro lavoro sul romanzo, comprese le registrazioni delle riunioni, poi c’è un forum in cui si discute di “Manituana”, poi c’è la possibilità di co-creare storie che partono dal libro, e tante altre cose».

Il rapporto con in lettori. Oltre ai racconti, avete annunciato, pensate di coinvolgerli in futuro persino nella fase di documentazione per le vostre ricerche. Da quando è finita l’era degli scrittori abbarbicati su una torre d’avorio?
«Per molti scrittori non è finita né finirà mai. Noi stiamo meglio in mezzo alla gente, le torri d’avorio sono umide e piene di spifferi».
Un piccolo bilancio su questo esperimento a un mese dall’uscita del romanzo?
«Successo pieno. Le presentazioni sono affollate, i lettori ci fanno domande molto belle, il livello 2 va a pieno regime, da sei settimane siamo nella top 10 della narrativa italiana».(16 maggio 2007)

da espresso.repubblica.it
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