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Autore Discussione: CENTRODESTRA / LA CORSA PER IL DOPO-BERLUSCONI Tremonti d'alta quota  (Letto 2639 volte)
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« inserito:: Agosto 04, 2007, 10:12:22 pm »

CENTRODESTRA / LA CORSA PER IL DOPO-BERLUSCONI

Tremonti d'alta quota
di Edmondo Berselli

Valori. Recupero della tradizione. No a populismo e globalizzazione.

L'ex ministro disegna il suo manifesto politico. E lancia la sfida per la guida della destra del futuro
 
C'è chi si considera in linea di successione rispetto a Silvio Berlusconi per una sorta di fisiologia politica, poiché è baciato, non si sa bene perché, dalla popolarità: Gianfranco Fini. C'è chi è un possibile successore in quanto amministra una porzione dell'eredità democristiana e quindi è il titolare della rappresentanza del voto moderato: naturalmente, Pier Ferdinando Casini. Ma tutti gli eventuali eredi dell'inventore di Forza Italia, del Polo e della Casa delle libertà, compresi Gianni Letta, Letizia Moratti e la cavallina del Cavalier Caligola, Michela Vittoria Brambilla, dovranno fare i conti con il candidato ombra, l'uomo delle visioni strategiche e totali, insomma il professor Giulio Tremonti.

Il quale ha scelto una propria strada, diversa dagli altri uomini politici del centrodestra. L'obiettivo: conquistare la Cdl attraverso la cultura. Impresa non facile, dato che il centrodestra è un coacervo di detriti culturali: ancora oggi Forza Italia ha "istinti di mercato, non una cultura di mercato", come disse Giuliano Amato alla nascita della destra post prima Repubblica. Alleanza nazionale, nonostante le proclamazioni sulla "destra identitaria", come ripete sempre Gianni Alemanno, è un contenitore di ideologismi depotenziati. L'Udc è la portatrice del tradizionale pensiero fatto di cattolicesimo e di liberalismo leggero, con l'eco della 'dottrina sociale' della Chiesa. E la Lega?

Fermi tutti, la Lega è importante. Perché è sempre stata uno dei perni del pensiero politico di Tremonti. Fu Tremonti a ricucire i rapporti con Bossi. Anzi, è stato Tremonti il creatore del 'forzaleghismo', cioè l'ideologia che oggi è alla base del patto di ferro di Forza Italia con il Carroccio. Per capire quale sia l'impianto culturale del tremontismo bisogna prenderlo sul serio: e prima di tutto riconoscergli una coerenza nel tempo: Tremonti si era accorto delle potenzialità disgregative della globalizzazione già all'epoca di 'Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza nazione', anno 1993, un libro che comprendeva, oltre al suo, saggi di Sabino Cassese, Francesco Galgano e Tiziano Treu.

Dunque, da sinistra era sbagliato considerare Tremonti un ultraliberale canonico. A leggere la 'Lectio Tremontiana' (così figura il titolo sul suo sito www.giuliotremonti.it), cioè la 'lezione sulla politica' in 4 mila parole tenuta il 14 luglio a Padova nella sede della scuola giovanile estiva di Forza Italia, i fondamenti del pensiero tremontiano sono messi in chiaro subito: nel 'mundus furiosus' successivo alla caduta dei blocchi geopolitici della guerra fredda, "si è spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza". La ricchezza si è dematerializzata, tutti i confini sono diventati porosi: il 'pensiero unico', che con le formule della Banca mondiale e del Fondo monetario, cercava di riportare tutta la realtà di oggi a un "uomo a taglia unica", si è esaurito presto.

È durato dieci anni, dice Tremonti. Il neoliberismo ultras si è scontrato con le dinamiche furibonde del mondo dematerializzato, delocalizzato, derealizzato. E quindi? Secondo l'ex ministro dell'Economia, oggi conviene ricorrere a formule empiriche, di portata meno generale: "Mercato se possibile, governo se necessario". La formula non è dissimile da quella sanzionata nella revisione dell'Spd a Bad Godesberg nel 1959, e dalla pratica di Ludwig Erhard, prima ministro e poi successore di Kornad Adenauer, uno dei principali autori della 'economia sociale di mercato'.

Difatti, l'obiettivo polemico di Tremonti è il "mercatismo", "sintesi inefficiente di liberalismo e comunismo", insomma una superfetazione ideologica che si scontra con i dinamismi reali del mondo attuale. La denuncia tremontiana era contenuta in un libro del 2005, 'Rischi fatali', dove già nel sottotitolo e a proposito della Cina si accennava al "mercatismo suicida".

Dunque, la concezione tremontiana disegna un orizzonte di crisi. "Dopo quasi due secoli, la sinistra non è più il progresso e il progresso non è più a sinistra". Siamo alla fine dell'età delle masse, alla fine del mito dello sviluppo scientifico lineare, di fronte alla crisi dello Stato nazionale, e all'inutilizzabilità del keynesismo, cioè del 'deficit spending' in funzione sociale. E allora, davanti allo spettro che si aggira per il mondo, la 'Krisis', qual è la risposta?

Non è nella postpolitica, dice Tremonti, non è nel pensiero debole, non è nella "ideologia delle liberalizzazioni": il vuoto non può essere colmato "dal populismo leggero, dal relativismo, dal sincretismo, dal veltronismo". Già, Veltroni. È lui il totem negativo, il "Truman show" politico, lo spettacolo "in cui tutto è falso", in cui la sinistra sostituisce i vecchi bisogni con i desideri. Il Sessantotto ha abrogato l'autorità. Walter è il Sessantotto "aggiornato".

Allora, di fronte al pensiero debole post-sessantottesco, degradato nel consumo, la formula di Tremonti richiama cinque parole pilastro: Autorità, Responsabilità, Valore, Identità, Ordine. In tutta la 'lectio' non c'è la parola chiave del centrodestra, 'libertà'. Siamo davanti a una restaurazione filosofica? L'ideologo Tremonti non ci va leggero: "Il nostro problema, in un'età di crisi universale, è quello di conservare valori che per noi sono eterni". Ai Dico e ai Cus si oppone "una visione antica e forte della società, fatta da principi e da doveri". Quanto all'Identità, anche qui non si scherza: "La difesa dell'identità è la difesa delle nostre diversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e 'piccole patrie', vecchi usi e consumi, vecchi valori".

Eccola dunque la destra tremontiana: un tanto di Colbert nella reinterpretazione sarkozista, con un pensiero alla frattura fra 'Gemeinschaft' e 'Gesellschaft', cioè fra comunità e società, individuata da Ferdinand Tönnies alla fine dell'Ottocento: "Saremo infatti più forti, nel futuro, solo se saremo più ancorati al nostro passato. Per inciso se - a differenza che nel resto dell'Europa - in Italia non ci sono (.) gli orrori della xenofobia, è anche per questo. Ed è anche per merito della fondamentale funzione democratica esercitata dalla Lega Nord".

Il 'progetto culturale' di Tremonti è curioso perché è onnivoro. Di tanto in tanto riecheggia temi francofortesi: "Dobbiamo dunque e possiamo reagire alla dittatura del relativismo. Una dittatura di tipo soft, ma pur sempre una dittatura". Sembra di risentire certe tesi di Herbert Marcuse sulla "tolleranza repressiva". Ma in Tremonti l'apocalittismo francofortese è rovesciato nella ricerca di un nuovo equilibrio, un ritorno alla tradizione, forse quell'autenticità oggi corrotta dal postmoderno.

Si avvertono echi di corporatismo tedesco, si sente qua e là l'eco del primo ideologo della Lega, cioè Gianfranco Miglio: ma in Miglio c'era una tragicità mutuata dalla lezione di Carl Schmitt, in cui è il sovrano, il decisore, a tagliare il nodo di Gordio, cioè il viluppo delle contraddizioni politiche. In Tremonti ci sono formule, talvolta luccicanti per un alone fuori tempo: "Rispetto al consumismo, noi preferiamo il romanticismo". Ancora l'Ottocento.

Nella sintesi tremontiana, alla crisi della tarda modernità si reagisce in due modi: "In verticale", con la concentrazione del potere nel leader (modello Sarkozy) o "in orizzontale", con le grandi coalizioni (il modello Merkel). Come ha dichiarato di recente in un'intervista a Sergio Rizzo, la democrazia oggi richiede "più potere ai governi a fronte di più domanda di governo che viene dai cittadini". O l'uomo forte, o il governo forte.

È una concezione coerente, ma tutt'altro che tranquilla. Sembra prediligere l'autorità alla auto-organizzazione sociale. Il consolidamento del potere all'articolarsi delle istituzioni. Di sicuro, rispetto alle strutture sovranazionali privilegia l'aspetto locale, territoriale, quel "misto di paura e di orgoglio, una riserva di memoria, un retroterra arcaico e umorale che negare, comprimere o sopprimere, non solo è difficile. È dannoso".

Così stando le cose, si capisce che la rappresentazione di Tremonti non è affatto una proposta programmatica esclusiva per Forza Italia. Il partito di Berlusconi infatti ha una piattaforma culturale fondata su una vulgata liberale. Invece il Tremonti-pensiero è tutto fuorché ovvio. Innesca un arco voltaico che intende saldare la vecchia destra con una destra 'nouvelle'.

Insomma, è una sintesi che progetta di mettere insieme il forzaleghismo con il 'law & order', ultima riserva culturale di An. La sua base politica, ambiziosa, è in un partito unico del centrodestra. Non è detto che piaccia a Berlusconi. Non piacerà a Fini, che trova esposte concezioni che il suo partito non riesce a elaborare. È il manuale del partito di Tremonti. Dovranno tenerlo d'occhio a sinistra, perché è una concorrenza insidiosa. Ma dovranno prenderlo sul serio anche a destra, perché quella tremontiana è un'alternativa: a tutti i partiti della (ex) Casa delle libertà.

da espressonline.
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