4 agosto 2007
In fuga dalla prigione Zimbabwe, sognando il Sudafrica
Toni Fontana
Firmando ieri un legge intitolata «Interception of communications act», l´83enne Robert Mugabe ha definitivamente deciso di trasformare lo Zimbabwe, già Rhodesia, in una delle peggiori dittature del pianeta, in una grande prigione a cielo aperto nella quale 13 milioni di neri e poche centinaia di bianchi sopravvissuti alle violenze degli anni scorsi, rischiano di morire di fame. Da ieri i servizi segreti possono intercettare comunicazioni telefoniche, lettere ed e-mail, bloccare siti Internet, spiare ogni sorta di comunicazione. Un «monitoring centre» raccoglierà tutte le informazioni intercettate dagli apparati del regime, che come ai tempi della Securitate di Ceausescu, sapranno così tutto di tutti. La nuova sterzata repressiva coincide con un drammatico aggravamento della situazione economica e con la diffusione di analisi, stilate dalle agenzie dell´Onu, che non lasciano spazio ad alcun ottimismo. Lo Zimbabwe rischia di diventare in breve tempo il paese più disperato del mondo, assediato dalla fame, dall´Aids e soffocato da un regime repressivo. La banca centrale del paese africano ha appena emesso una banconota da 200mila dollari dello Zimbabwe nel tentativo di arginare l´inflazione che sta raggiungendo picchi (5000%) che non hanno eguali in nessun altro paese del mondo. Nel 1990 un dollaro Usa valeva 2,6 dollari locali. Oggi 100 dollari americani vengono cambiati a 25mila dollari dello Zimbabwe, quanto basta per comprare una bibita. Con la superbanconota da 200mila dollari si può comprare un chilo di zucchero, ma, anche chi possiede queste somme, non trova più nulla nei negozi. Ogni giorno migliaia di abitanti dello Zimbabwe, in fuga dalla fame, rischiano morire divorati dai coccodrilli che infestano il fiume Limpopo, ai confini con il Sudafrica. I fuggiaschi sono ormai più di due milioni ed il loro numero sta aumentando vertiginosamente tanto che il presidente sudafricano Thabo Mbeki, allarmato, sta cercando sostegni e aiuti e sta intensificando le pressioni su Mugabe affinché allenti la morsa repressiva. Ma l´ex guerrigliero che sconfisse il regime razzista e, nel 1980, fece sperare in una stagione di libertà e progresso, risponde accusando «le potenze imperialiste» (Usa e Gran Bretagna) e con misure poliziesche.
Le agenzie dell´Onu confermano che la situazione è giunta ad un punto di estrema gravità. Il Pam (World Food Programme, con sede a Roma) chiede ai paesi donatori 118 milioni di dollari per preparare una grande operazione di soccorso. Occorrono 207mila tonnellate di cereali. Attualmente il Pam raggiunge 330mila persone, in settembre prevede di fornire assistenza a 1,3 milioni di persone, in ottobre saranno 2,5 milioni, 3,3 milioni nella primavera del 2008 prima del nuovo raccolto. Ma oggi le campagne dello Zimbabwe che, nei decenni scorsi, veniva definito il «granaio dell´Africa», sono aride distese di terre incolte. Reiner Luyken, ha recentemente scritto su Die Zeit (ripreso da Internazionale) che attraversandole «si vedono solo distese ricoperte di sterpaglie, campi abbandonati, case saccheggiate, serbatoi d´acqua prosciugati, fienili bruciati, veicolo arrugginiti». Alcuni, come l´arcivescovo Pius Ncube, confidano al settimanale tedesco che ai tempi dei razzisti bianchi di Ian Smith «le fattorie producevano mais, cereali e ortaggi in abbondanza». Ma un ritorno al passato non appare nè realistico, nè attuabile e la nostalgia resta un sentimento di pochi, mentre la popolazione ha ben altri problemi. La speranza di vita è di 37 anni per gli uomini e 34 per le donne. Una donna su due ha contratto l´Aids, il 22% della popolazione è sieropositivo.
Per lo Zimbabwe, espulso nel 2002 dal Commonwealth, messo al bando da Unione Europea e Stati Uniti, è urgente individuare una via d´uscita per scongiurare il peggio. L´opposizione, nonostante le durissime prove cui Mugabe l´ha sottoposta, non si arrende. Morgan Tsvangirai, l´ex sindacalista diventato leader del Movimento per il cambiamento democratico, ha sfidato anche ieri la repressione del regime. Nel mese di giugno, posto di fronte alla crescente rabbia popolare, Mugabe ha imposto un dimezzamento dei prezzi dei generi di prima necessità. Il dittatore (che intende ricandidarsi anche il prossimo anno quando si terranno le elezioni presidenziali) ha cercato di scaricare su commercianti la responsabilità della situazione. Migliaia di negozianti sono finiti in carcere, alcuni sono stati destinati ai «lavori socialmente utili», come le pulizie dei ministeri. Ma, due mesi dopo, la demagogia di Mugabe non riesce più a mascherare il fallimento. «Il popolo sta peggio di prima - ha tuonato ieri Tsvangirai - nei negozi si trovano solo biscotti e sale, ma non pane e cibo. La gente non può più sopportare». Ma il Movimento per il cambiamento deve fronteggiare una durissima repressione e un´alternativa non appare a portata di mano. In marzo Tsvangirai ha guidato le proteste popolari, ma Mugabe lo ha fatto arrestare assieme a 400 militanti dell´opposizione. Molte organizzazioni che si battono per la difesa dei diritti umani hanno denunciato le violenze e le torture compiute nelle carceri ai danni dei prigionieri politici. I bianchi non parlano. Poco meno di 600 di loro posseggono ancora la terra. Prima della «riforma agraria» del 2000, che coincise con una campagna di intimidazioni ed esecuzioni sommarie, erano più di 4000. La maggiorparte dei farmer bianchi ha scelto la via della fuga. Speranze dunque non se ne vedono, la crescente follia di Mugabe sta spingendo lo Zimbabwe verso il baratro, se il mondo ascoltasse le grida disperate degli oppositori forse si comincerebbe ad intravedere una luce in fondo al tunnel.
Pubblicato il: 04.08.07
Modificato il: 04.08.07 alle ore 13.11
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