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Autore Discussione: Julio Cortazar (una poesia).  (Letto 4521 volte)
Admin
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« inserito:: Maggio 06, 2009, 05:54:33 pm »

Julio Cortazar


La nonna


Dall’altro lato del mare.



Un giorno moriremo, ma il canto viene prima.

Nonna tu nei cortili dell'estate, già alzata all'alba,
sola ad aprire imposte e a riceve il sole,
accompagnando la febbre dei miei ultimi sogni con lo strofinio appena
udibile dei tuoi passi,
entrando dalla parte del giorno li restituirmi il mondo nella
fragranza del caffellatte.
Non dimentico nulla, io crebbi sulla sponda della tua vestaglia e dei
tuoi scialletti,
del tuo gusto per il lilla che ti fa come una cenere di colombe fra i
capelli e le guance,
e sento un'altra volta il soave andare delle pantofole che ti portai dal Cile.
E sto vedendo la lunghissima treccia che tu lasci libera quando ti
alzi, come un ricordo dei tuoi anni di ragazza.
Tu non lo sai, nonna, però in te finisce il tempo, la successione dei
giorni e delle spiagge, delle aule e dei pianti, dell'amore nei suoi
mille specchi, dell'uomo e del bambino che riconciliano le loro
distanze nei tuoi occhi, oh paese della pace.
Ti vedo e sono piccolo e sono proprio io, e niente impedisce che il
piccolo e l'uomo ti diano lo stesso bacio e si rifugino nel tuo
abbraccio. Questi capelli che tu accarezzi e che pettinasti per la
prima volta, questa fronte che stai baciando e che lavasti del sudore
della nascita, queste mani che vanno per il mondo palpando i suoi bei
vuoti, e che guidasti nel primo incontro con il cucchiaio e la palla,
tornano al porto del riposo, e non se ne vanno, nonna, sebbene io viva
alzato verso tante rotte, e non se ne vanno, nonna.

La nonna spunta con il giorno a visitare l'orto e le galline
spartisce l'acqua e il mais, ammira i pomodori e i loro progressi,
e gode del racemo che si inerpica, del lampadario delle prugne regine claudie,
e va per le profondità della casa distribuendo l'ordine.
A volte mi alzo, l'accompagno e, associato ai suoi riti, do da
mangiare agli uccelli e irrigo le veccie, sento il tremito dell'acqua
sui rampicanti che bucano i muri e che la ricevono crepitando e si
riempiono di scintille.
Ho dieci anni, vivo insieme ai bruchi e alle anatre, sono tenero e
crudele, ammazzo e proteggo, ordino come un re le cose del mio regno,
e sopra di me sta la nonna, le arrivò già all'altezza delle spalle,
sulla punta dei piedi arrivo a baciarla,
e i nostri occhi si scoprono nell'allegria comune dei polli nati
durante la notte.

Il nostro giardino durò quanto l'infanzia. Né tu né io lo
dimenticheremo, nonnina. Non dimenticheremo il sapore delle pesche
bianche,
delle barbabietole, delle zucche incendiate.
Fu il tempo del riso al latte coperto di cannella, del piacere delle
pannocchie sulla tavola tesa sotto i pergolati.
Stai nella cucina in penombra, con i glicini alla porta,
e curi le cadenze delle bacinelle di gelatina,
le marmellate invernali che ordinerai nella credenza.
Io sto lì, con Giulio Verne e una botta al ginocchio, felice,
guardandoti, sicuro che niente potrà mai accadermi, che in mezzo al
mare o all'assalto del polo con il capitano Hatteras, o appeso al
cielo con Michel Ardan,
tu mi tieni con te, vicino al fornello da cui l'aroma inzuccherato
cresce come un soave vulcano dipinto a lapis.

Un giorno moriremo, ma prima viene il canto.

E non solo lo ieri, nonna. A ogni svolta stai lì, piccola sotto
l'architrave, imbacuccata nella tua vecchiezza senza macchia, nella
tua piccola salute,
e ogni volta che mi trae da porte e passi e uomini,
io so che tu stai lì. E che il tuo amore senza altra causa che se stesso
ci sostiene nella notte e ci restituisce l'alba dell'incontro,
e il tempo gira la testa e ci accetta interi,
con il bambino che piange fra le tue braccia,
con il viaggiatore che si lava della polvere nel tuo sorriso,
con la giovane nonna che corre in mezzo alla neve per rallegrare il nipote,
con questa vecchietta che sostiene sulla soglia la lampada del benvenuto.
E il primo che muoia saprà che niente muore
e che la perfezione regnò nel suo giorno.


Scelta da Gilberto Gavioli
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