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Autore Discussione: L'ultima regina d'Africa  (Letto 4230 volte)
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« inserito:: Agosto 04, 2007, 09:20:04 pm »

L'ultima regina d'Africa
di Michael Stuhrenberg


In viaggio sul lago Tanganika, trasportando pesce secco, gemme e speranza. Così da 93 anni il mercantile voluto dal kaiser continua la sua lenta odissea. Imperturbabile, garantisce l'unica strada sicura attraverso guerre e genocidi 
Verso le due di notte, il Liemba spegne i motori. Sarà questo ad avermi svegliato, l'arrestarsi improvviso del procedere a dieci nodi l'ora che cullava il mio sonno? In regioni come questa, le cose vanno bene finché si è in moto, finché ci si sente 'diretti' da qualche parte. Adesso, invece, siamo fermi. Immobili. La sirena di bordo squarcia la notte due volte: è un suono che assorda, lamentoso: il muggito di un mostro immaginario in piena alla disperazione. Che cosa annuncerà mai? Un'avaria? Un uomo in acqua? Pirati pronti all'abbordaggio? Dopo la sirena torna il silenzio, anch'esso inquietante. Dalla nostra partenza da Kigoma, il porto d'attracco del Liemba sulla riva tanzaniana dell'immenso lago Tanganika, non c'era ancora stato neppure un attimo di calma a bordo. La maggior parte dei 500 passeggeri imbarcati diretti a Mpulungu, il piccolo porto zambiano alla punta estrema del lago, viaggia in fondo alla stiva, là dove l'aria più che respirarsi si mastica.

Preoccupato, mi affaccio sporgendomi dal parapetto. Non si vede nulla, l'acqua scura del Tanganika forma un tutt'uno con la nera notte senza luna. Dove è andato il capitano? Al suo posto di comando, Sief Mlambalazi, esperto di navigazione tropicale, resta appollaiato su uno sgabello, con il ventre nudo schiacciato contro il timone. Il capitano pigia un interruttore e la sirena risuona ancora una volta. "Che succede?" "Niente. Dobbiamo aspettare un altro carico". "Ma come, alle due di notte? In mezzo al lago? Si tratta di contrabbando?". "Ci troviamo a Tongwe, un villaggio di pescatori. Considerato che non c'è un porto, attendiamo al largo". Il capitano, come se mi leggesse nel pensiero, prosegue: "Scommetto che verranno tutti a portare la merce". Infatti. Una barca all'improvviso spezza il cerchio di luce che i fanali proiettano tutto intorno al mercantile. Trasporta sacchi di cento chili l'uno di pesce essiccato, oltre a una dozzina di uomini muscolosi. Si accostano a tutta velocità alla nave, frenano appena prima di fracassarsi contro la fiancata. Tutto si svolge molto rapidamente. Non appena hanno finito il loro compito, i pescatori si mettono a lanciare invettive contro i commercianti a bordo del Liemba. Due pescatori tentano una sorta di arrembaggio, ma sono respinti. Insoddisfatti, si gettano su uno dei loro rimasto sulla barcaccia. "Mwizi!", "Ladro!". La vittima si rannicchia sul fondo dello scafo, poi rimane inerte, e gli altri a quel punto gridano vittoria. Disormeggiatasi dal Liemba, la piccola barca se ne va alla deriva e scompare nella notte.

Il capitano Mlambalazi concede a tutta questa scena soltanto un'occhiata spossata. "La Tanzania è un paese tranquillo", sostiene. Sarà, ma a causa delle guerre nella Repubblica Democratica del Congo e in Burundi, sulle sponde ovest e nord del lago gli abitanti hanno dovuto accettare la presenza di mezzo milione di rifugiati. La fame ha fatto la sua comparsa e insieme a essa i furti e l'odio dei derubati per i ladri. Mlambalazi aggiunge ancora: "Quando ne acchiappano uno, lo linciano".

Quindici anni fa il Tanganika era al centro di un mondo pacifico. Il Liemba effettuava il periplo completo del lago. Partiva da Bujumbura, la capitale del Burundi, a nord, e toccava in seguito tutti i principali porti congolesi, tra i quali Kalemie, l'antica Albertville. Ogni sosta aveva luogo in un 'dar es-salaam', un'oasi di pace. È stato allora che la sventura si è abbattuta sulla regione dei Grandi Laghi. Genocidio in Rwanda, guerra civile nella Repubblica Democratica del Congo, le battaglie dei bambini soldato in Uganda. L'Africa dell'Est è diventata, con i suoi milioni di morti e di rifugiati, la terra delle catastrofi. Tra le sponde di questo oceano di violenze, il Liemba naviga lungo corridoi sempre più stretti. "Un giorno", racconta il capitano, "alcuni ribelli congolesi hanno inseguito il battello per metà lago, con Kalashnikov e granate. Due ore dopo a bordo non rimaneva neppure un vetro intatto". Da allora Mlambalasi evita la Repubblica Democratica del Congo. "Quando le Nazioni Unite ci chiedono un'imbarcazione per rimpatriare i rifugiati congolesi, non prestiamo mai il Liemba: è troppo prezioso".

Uno sciabordio accompagna le sue parole. Una barca entra nel cerchio di luce: cinque sagome umane e tre galline. Nella poppa del Liemba si apre una porticina a un metro di altezza sull'acqua. Alcune mani tese afferrano i nuovi passeggeri e i loro volatili e li issano a bordo. La scena sembra uscire dritta dritta da un romanzo di Joseph Conrad. È una sorta di reminiscenza dell'epoca nella quale questa regione africana non era per gli europei altro che 'il cuore delle tenebre'. Quella era l'epoca nella quale il Liemba si chiamava ancora Graf Goetzen e solcava per la prima volta le acque del lago Tanganika, grazie ai favori dell'imperatore Guglielmo II.

Allora il grande lago Tanganika segnava il confine tra l'Africa orientale tedesca, da un lato, e il Congo belga dall'altro. L'imperatore Guglielmo II nel 1913 decise di mandare sul lago Tanganika un grande battello che costituisse una prova della potenza tedesca. Dieci mesi dopo i cantieri navali Meyer di Papenbourg, al nord della Germania, presentavano al kaiser il risultato del loro lavoro. Si trattava di una meraviglia tecnica come il mondo ancora non aveva visto: il Graf Goetzen, un battello di 67 metri di lunghezza e dieci di larghezza, 800 tonnellate di lastre e putrelle di metallo, interamente smontate. Un puzzle d'acciaio di 5 mila pezzi, tenuti insieme da 140 mila bulloni e dadi.

Il tempo incalzava. Smontato e imballato in 5 mila casse il Goetze raggiunge in treno Amburgo e si imbarca su un grande bastimento a vapore, con destinazione il porto di Daar es-Salaam, all'epoca capitale dell'Africa Orientale tedesca. Là le casse sono nuovamente caricate sul treno. Si addentrano nella savana africana: ancora 1.250 chilometri le separano da Kigoma, il futuro porto d'attracco del Goetze, sulla riva del lago. Il viaggio termina in piena boscaglia, perché alla strada ferrata manca la parte finale, un troncone di circa 300 chilometri. Non è certo questo a fermarli. I tedeschi reclutano 5 mila indigeni e spingono la carovana umana in una marcia forzata che durerà tre mesi. Nella primavera del 1914, il Goetze arriva infine sulle sponde del lago Tanganika. L'assemblaggio inizia immediatamente, perché il varo è previsto per il mese di agosto. Forse Guglielmo II in persona verrà ad assistervi. Il kaiser, però, non arriverà. Scoppia la Prima guerra mondiale. Perde il trono, le colonie e anche il suo battello africano che in seguito vivrà odissee inenarrabili e incredibili, al punto che John Houston ne farà un film: 'La regina d'Africa', con Humphrey Bogart e Katharine Hepburn.

Oggi, a 93 anni dal suo primo viaggio sul lago Tanganika, il Liemba è il più antico battello passeggeri del mondo ancora in servizio. È l'ultimo mezzo di collegamento esistente tra i paesi che si affacciano sul grande lago. Ieri pomeriggio, all'ora prevista per la partenza, a Kigoma, in piedi sul ponte superiore, ho osservato l'interminabile flusso dei portatori che caricavano i sacchi di sardine. Ogni volta che uno di quei fardelli cadeva nella stiva, un uomo, di nome Kalonga Djibondo, in piedi accanto al boccaporto, faceva un segno di matita su un taccuino. Uno, dieci, cento, fino a 600 segni di matita, per un totale di 60 tonnellate. Il grosso del carico della merce appartiene a Kalonga. Questa mattina lo incontro nella sala da pranzo del ponte superiore. La nave ha ritrovato il suo tipico enorme frastuono. In un angolo della stanza, due ubriaconi si raccontano le loro insonnie sbraitando e strillando. Un altro tavolo è occupato da alcune 'mama', delle commercianti che gridano anch'esse. Dagli altoparlanti esce un reggae equatoriale. Mentre finisce pensieroso i suoi fagiolini bianchi in salsa di pomodoro, Kalonga mi riassume le tappe del suo circuito. Commerciante di sardine essiccate, le 'dagaa', abita nel Kasai orientale, a oltre mille chilometri dal lago Tanganika. Due volte l'anno prende il taxi della boscaglia e dopo una settimana di percorso raggiunge Kigoma. Lì acquista le sue 60 tonnellate di sardine essiccate nei villaggi dei dintorni, a 150 dollari al quintale. Il Liemba porta quindi il carico alla volta di Mpulungu, per 15 dollari al sacco. Lì la merce è scaricata e trasportata verso Lubumbashi, città di frontiera tra lo Zambia e la Repubblica Democratica del Congo. Altri 16 dollari di spese a sacco. Infine, un ultimo mezzo di trasporto carica le preziose sardine, per 30 dollari a sacco, e fa loro percorrere la tappa finale: 1.200 chilometri ad alto rischio, lungo piste trasformate in trappole di fango, soldati squattrinati, poliziotti senza scrupoli. Se il pesce arriverà alla destinazione finale, la città di Kanauga, nella Repubblica Democratica del Congo, Kalonga potrà vendere ogni sacco per 400 dollari, con un guadagno netto di 120 mila, un profitto esorbitante per il quale deve rendere grazie alla guerra e al Liemba. "È un battello di uomini d'affari", sorride. Peccato che nessuna delle persone sul ponte corrisponda all'idea che uno ha di uomo d'affari.

Baba Doucourè, il più ricco di loro, fa pensare piuttosto a un barbone senza fissa dimora. Lo si vede sdraiato sul ponte, con la testa nascosta tra le braccia nude. Il caldo squaglia il catrame tra gli interstizi della plancia e gli abiti di Baba, striati anch'essi di nero, lo rendono simile a una zebra umana. Baba fa contrabbando di pietre preziose: diamanti, zaffiri, acque marine. Si procura le gemme da ingenui abitanti della boscaglia per una manciata di franchi congolesi, e li fa uscire dal continente via Zigoma e Dar es-Salaam, facendoli arrivare fino a Berlino e Bangkok. Questa è la globalizzazione all'africana.

Quanto a Léon Kalokola, è un poveraccio a tutti gli effetti. "Senza il Liemba mi andrebbe mille volte peggio", sospira il giovane congolese, col quale faccio conoscenza nella coda di fronte alla toilette alla turca del battello. Mi racconta la sua vita: nel bel mezzo degli studi di filosofia all'università di Bukavu, nell'est del Congo, è scoppiata la guerra e così pure la sua vita. Più nessuno si è interessato alla filosofia. Léon è diventato allora becchino, a dieci dollari per ogni fossa comune scavata. Fino al giorno in cui un amico gli ha spiegato come funziona il commercio di pesce. Da allora Léon ripete sempre lo stesso itinerario: una volta al mese parte da Bukavu, con 300 dollari in tasca. Attraversa a piedi la boscaglia tra il Burundi e la Tanzania e a Kigoma acquista due sacchi di pesce affumicato. Si lascia sbarcare dal Liemba in sei villaggi più giù, e quindi torna sulla riva congolese a bordo di una canoa di contrabbandieri. Quando tutto va bene guadagna 150 dollari a viaggio. "Se la situazione in Congo si normalizzerà, potrò diventare professore", fantastica, ma senza crederci troppo: "Questa guerra finirà col trasformarci tutti in mercanti".

Due colpi di sirena. Il Liemba rallenta la propria corsa. "Arriviamo a Kayla", annuncia il capitano. Lontano, a babordo, alcune capanne di argilla e paglia sono allineate lungo una spiaggia di sabbia chiara. L'aria è così tersa che si distingue la sagoma degli abitanti del villaggio, raggruppati all'ombra di un albero di mango. Due barche a vela solcano l'acqua sospinte da una brezza dolce e leggera. Kayla assomiglia ancora a un'oasi di pace. Ma al terzo colpo di sirena del Liemba ogni cosa pare esplodere. Dalla riva partono, quasi fossero in regata, alcune barche a motore che, non appena arrivano all'altezza della nave, tentano di agganciarsi a uno dei due portelloni d'accesso. È tutto un susseguirsi precipitoso di carambole, di spintoni, di insulti, di grida di dolore.

Il Liemba spalanca i portelloni e il finimondo irrompe a bordo. Al centro del pigia-pigia un bambino piange perché non trova più sua madre. Quando finalmente lei viene a prendersi il figlio, Emmanuel Abel, responsabile della sicurezza nella stiva, gli dà due sberle. "È il regolamento!", afferma l'ex militare: "Non possiamo permettere che ci siano disattenzioni così gravi".

Vi sono tuttavia alcune eccezioni. Emmanuel Abel non oserebbe mai prendere a sberle Mama Salima, né i commercianti di pesce che affollano la stiva. "La prima regola per noi uomini", spiega Juma Ramadhan, "è la seguente: mai prendersela con una mama!". Commerciante di ananas, il giovane Juma si occupa anche della 'boutique di bordo', un'asse montata su due cavalletti sulla quale dispone tutta la sua mercanzia: sapone della Tanzania, profumo dello Zambia, biscotti sudafricani. Nel corso dei suoi innumerevoli viaggi sul Liemba Juma ha potuto constatare che un uomo non può nulla contro una mama. "Ti brontolano contro, ti ridicolizzano, ti mollano perfino un fracco di botte, e tu non puoi farci assolutamente nulla". Perché mai? "Chiedilo a Mama Salima".

"Gli uomini temono le donne che non hanno bisogno di loro", dice Mama Salima con impeto: "Le mama si guadagnano da vivere da sole. Siamo divorziate o nubili, perché dovremmo sfamare una bocca inutile?". Salima Talubeba, madre di due figlie, è stata sposata a un mascalzone che la picchiava e preferiva divertirsi in compagnia di altre donne. "Le mie figlie e io eravamo mingherline e avevamo sempre paura di lui", ricorda. Dopo aver ottenuto in prestito qualche scellino tanzaniano, ha lasciato il marito, ha comprato un sacco di 'dagaa' al mercato di Kigoma, l'ha fatto caricare sul Liemba e si è sistemata nella stiva. Da allora mangia tre volte al giorno, e il suo quintale di morbide forme attira gli sguardi di ammirazione di molti viaggiatori maschi. "Quando ho fatto il mio primo viaggio", ricorda, "temevo per la mia vita. Ora non ho più paura di niente". Vicino a lei durante la notte c'è una giovane donna che culla il suo neonato appoggiato sul suo ventre. Con gli occhi spalancati e lo sguardo perso chissà dove, pare disinteressarsi completamente delle nostre chiacchiere. "Quella è Mama Liemba", sussurra Salima: "Noi la chiamiamo così perché vive qui, a bordo del Liemba. E poiché sua figlia è stata concepita nella stiva dei bagagli, noi l'abbiamo battezzata 'Piccola Liemba'".

Una settantina di ore dopo la nostra partenza da Kigoma, raggiungiamo Mpulungu in Zambia. Un altro paese appare ai nostri occhi, con case in muratura, un molo vero, di pietra, e allineato su di esso una fila di uomini in uniforme, in rappresentanza della polizia, dell'immigrazione, della dogana e della sanità. L'ordine è rilassante. Ben presto, però, la realtà del Liemba ha la meglio su quell'ordine. Si aprono le porte del recinto portuale e una schiera di portatori in tuta da lavoro si precipita all'assalto della nave. Gli agenti battono in ritirata, lasciando spazio alla marea blu che inonda il ponte inferiore. In un incredibile parapiglia, nel quale si distinguono grida, gesti, insulti e parolacce, tutti acchiappano qualche cliente e caricano i sacchi di pesce. Ancora una volta, temo un bagno di sangue.

Ancora una volta, invece, tutto va a finire bene. In poche ore tutto il carico del Liemba è portato a terra. Juma Ramadhan vende i suoi ultimi ananas. Mama Liemba, con la figlioletta attaccata alla schiena, fa caricare il suo unico sacco di pesce nel bagagliaio di un taxi e va a venderlo. Kalonga Djibondo, col taccuino alla mano, segue meticoloso il carico delle sue 60 tonnellate di 'dagaa', issate a bordo di un grosso camion. E adesso? "Adesso", risponde il capitano, con la flemma del vero navigatore tropicale, "ricominciamo il giro". Non prima che Mama Liemba sia rientrata a bordo.

Michael Stuhrenberg

2007, Geo

traduzione di Anna Bissanti

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