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Autore Discussione: Paolo Franchi Il 25 aprile del Quirinale  (Letto 2405 volte)
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« inserito:: Aprile 27, 2009, 11:45:37 am »

Il 25 aprile del Quirinale


di Paolo Franchi


Le parole di Silvio Berlu­sconi sul 25 aprile non sembrano di quelle che possono essere ridi­mensionate nel volgere di qual­che settimana. Suonano come la testimonianza di una svolta, ed eventuali intenzioni recondi­te non bastano a offuscare la portata simbolica dell’evento. Ma è giusto anche ragionare sul come e sul perché Berlusco­ni a una simile determinazione sia giunto, visto che per 14 an­ni, come ieri su questo giorna­le ci ha ricordato con garbo fe­roce Emilio Giannelli, ha resi­stito all’idea di celebrare la Re­sistenza. Ha deciso da solo, na­turalmente. Ma non nel vuoto pneumatico.

Molti, e giustamente, hanno voluto sottolineare il ruolo svol­to dal capo dello Stato con i suoi appelli a una «rinnovata unità nazionale». Ma Giorgio Napolitano non si è limitato ad esortare alla concordia. Ha sot­tolineato senza possibilità di equivoci il nesso ineludibile tra la Resistenza e la Costituzione repubblicana. E ha indicato en­trambe a fondamento di una de­mocrazia, la nostra, che ha biso­gno di riforme, certo, ma che non può e non deve essere stra­volta. In questo senso il 25 apri­le non è «la festa di una parte sola», ma di tutti gli italiani, compresi quelli «rimasti estra­nei all’antifascismo e alla Resi­stenza », e che però vivono nel sistema di principi e diritti ga­rantiti dalla Costituzione, e li condividono.

Ovvietà? No davvero. Sta qui, assai più che nelle diatribe anti­che sul carattere più rosso o più tricolore della Resistenza, o in quelle più recenti, care a Igna­zio La Russa, sulla possibilità o meno di annoverare i partigiani comunisti tra i portatori della li­bertà, il nodo del contendere. Appena mercoledì scorso, di fronte ad alcuni passaggi molto espliciti della lezione tenuta da Napolitano alla prima Biennale della democrazia di Torino, ci si chiese se e come avrebbe reagi­to Berlusconi; e si manifestò il timore che potesse tornare a materializzarsi il fantasma di una crisi istituzionale.

Di certo Berlusconi non gra­dì né quella citazione di Norber­to Bobbio («La denuncia dell’in­governabilità tende a suggerire soluzioni autoritarie») né quel­l’aperto rifiuto dell’idea stessa di «ricorrere a semplificazioni di sistema e a restrizioni di di­ritti in nome del dovere di go­vernare ». Ma scelse di non re­plicare, e fece benissimo. Già aveva deciso di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile. Da quel momento, forse, comin­ciò a meditare più in profondi­tà sulle affermazioni da mette­re in evidenza e su quelle da mettere in archivio per fare in modo che la sua prima volta la­sciasse il segno. C’è da chiedersi, naturalmen­te, come Berlusconi abbia potu­to, in così breve tempo, matura­re le sue nuove convinzioni. Ma intanto lo ha fatto. La chiarezza e il rigore con cui Giorgio Napo­litano ha argomentato le sue po­sizioni hanno contribuito non poco, seppure indirettamente, a farglielo fare.


27 aprile 2009

da corriere.it
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