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Autore Discussione: ARTURO ZAMPAGLIONE "A Detroit comanderà la Fiat" ... (sicuri ?)  (Letto 2059 volte)
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« inserito:: Aprile 20, 2009, 12:00:31 pm »

ECONOMIA     

Governo Usa e sindacati nel capitale, ma le banche frenano

Annuncio di Nardelli.

Il titolo del Lingotto vola in Borsa. Gm: fallimento vicino

"A Detroit comanderà la Fiat" stretta sulle nozze con Chrysler

di ARTURO ZAMPAGLIONE
 

NEW YORK - Due ostacoli appaiono ormai superati nel complesso negoziato Fiat-Chrysler: la metodologia per la scelta del chief executive, che sarà fatta dal nuovo board composto in maggioranza da consiglieri indipendenti previo "consenso" di Torino; e la probabile rinuncia da parte del Uaw, il sindacato americano dell'auto presieduto da Ron Gettelfinger, del fondo sanitario previsto dai contratti in cambio di una partecipazione importante - si parla del 20%, cioè della stessa quota iniziale della Fiat - nel capitale della neonata Chrysler.

A fronte di questi due risultati, che lasciano intuire una svolta significativa nelle relazioni industriali dell'America di Barack Obama, le trattative triangolari Detroit-Torino-Washington sono ancora alle prese con questioni importanti: dall'irrigidimento del sindacato canadese al rifiuto delle banche creditrici della Chrysler di accettare l'offerta del team dell'auto della Casa Bianca guidato da quello Steven Rattner coinvolto, per ora senza conseguenze, in una inchiesta per corruzione ma confermato da Obama.

Sono problemi che, ad appena dodici giorni dall'ultimatum posto dal governo americano, potrebbero mandare all'aria le ambizioni internazionali di Sergio Marchionne e costringere la Chrysler al fallimento. Ma nessuno si arrende, il lavoro continua a ritmo intensissimo, i managers fanno la spola sull'Atlantico e i mercati finanziari scommettono sul successo del piano di salvataggio e di alleanza: ieri il titolo della Fiat ha avuto una fiammata, chiudendo con un aumento del 6,9%.

Il chiarimento sul futuro management della Chrysler, che ha fatto pensare all'imminenza di un accordo, è avvenuto con una mail mandata giovedì notte ai 54mila dipendenti da Bob Nardelli. Se l'alleanza andrà in porto, ha spiegato l'attuale capo del gruppo, verrà eletto un nuovo board con l'input del governo americano e di Torino, ma la maggioranza dei consiglieri sarà indipendente, cioè non legata a nessuna delle due case autombilistiche. Toccherà poi al board nominare un presidente e un amministratore delegato, scelto con il consenso della Fiat.

Il messaggio di Nardelli è stato interpretato come un segnale che l'attuale chief executive si prepara a lasciare l'incarico che gli era stato affidato nel 2007 quando il gruppo di private equity Cerberus rilevò l'80,1% della Chrysler dalla Daimler tedesca. L'ipotesi più accreditata (e incoraggiata dal mondo politico), è che a guidare il gruppo americano possa essere nel futuro lo stesso Marchionne.

Più che sui nomi, però, i responsabili della trattativa si concentrano in queste ore su altri capitoli. I quattro maggiori creditori della Chrysler - JPMorgan Chase, Citigroup, Morgan Stanley e Goldman Sachs - hanno bocciato la proposta del team dell'auto di accontentarsi di 15 centesimi per ogni dollaro prestato (con una conseguente perdita di 6 miliardi di dollari). Le banche vogliono di più e ipotizzano, semmai, di convertire i crediti in pacchetti azionari della Chrysler, ma il governo cerca di dissuaderle.

Un altro scoglio è rappresentato dai sindacati dell'auto del Canada, dove la Chrysler ha una presenza consistente. Il ministro federale dell'industria Tom Clement è stato chiaro: senza forti concessioni salariali da parte dei sindacati la Chrysler non riceverà più un soldo pubblico.

Di qui il tentativo in extremis di Nardelli che, in una lettera mandata ieri ai dipendenti canadesi, ha avvertito dei pericoli di un fallimento: che non sarebbe "tecnico", "chirurgico", come quello prospettato per la General Motors di Fritz Henderson, ma segnerebbe la fine della terza casa automobilistica americana.

(18 aprile 2009)

da repubblica.it
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