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Autore Discussione: 15 aprile 1967: la scomparsa di Totò  (Letto 2622 volte)
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« inserito:: Aprile 14, 2009, 05:23:47 pm »

15 aprile 1967: la scomparsa di Totò

di Marco Innocenti
 
 
Antonio de Curtis se ne va alle 3 di notte del 15 aprile 1967, nell'ora in cui solitamente andava a dormire. Il cuore lo tradisce. È in casa e ha Franca Faldini accanto. Pochi giorni prima, in un'intervista, con un soprassalto di malinconia napoletana, aveva dichiarato: «Chiudo in fallimento. Nessuno mi ricorderà». Mai una profezia fu tanto falsa. Sulla bara una mano anonima depone la bombetta dell'esordio e un garofano rosso. Riposa nella sua Napoli. Aveva detto: «Vorrei morire a Napoli, mentre scrivo una canzone o in palcoscenico».

L'amore del pubblico
Grande attore dell'eccesso, Arlecchino del Novecento, teatrante istintivo dall'inventiva estemporanea, Totò, con la sua maschera dolceamara da malcapitato, è un delizioso principe sulla scena e nella vita. Divo anti-divo, uomo e non caporale, interprete dolente e irridente di un'umanità che subisce la vita, compone un burlesco trattato sull'arte del vivere all'italiana, cioè dell'arrangiarsi. La sua logica folle, la mimica dirompente, l'acrobazia metafisica, l'improvvisazione, l'imprevedibilità, il gioco verbale, le battute fulminanti fanno di lui un "buffone" incontenibile e inquietante, un clown stupefacente e un mimo di razza. Legato da un patto d'amore al suo pubblico, non lo delude mai. «Come lui - scrive un critico - non c'è nessuno».

Napoli
Tutto comincia a Napoli, un luogo singolare dove il teatro nasce spontaneo nelle strade e dove il senso aristocratico dell'appartendenza è sempre pronto a capovolgersi nello sberleffo e nella capriola. Antonio de Curtis, figlio del marchese Giuseppe e di Anna Clemente, nasce nel quartiere Sanità, il rione più popolare della città. Sta per finire il secolo, è il 15 febbraio 1898 e Totò, così lo chiama subito la madre, entra nel 1900 triste, solo, con i genitori non sposati, un padre assente, pochi soldi in casa e una madre dalle idee poco chiare che sogna di fare di lui un prete o un ufficiale di marina. Totò studia poco e male, la sua infanzia è stentata, con il dubbio di non essere amato e la strana idea di fare l'attore.

Il successo
Otterrà un successo, teatrale e cinematografico, straordinario. Scatenerà risate irrefrenabili. Guadagnerà molto denaro, che getterà al vento. Entrerà nella gente, la prenderà, diventerà una favola del suo tempo. Il pubblico vedrà in lui un mimo estroverso, rumoroso, caricaturale, gesticolante, popolaresco. Lo adorerà, amerà la sua maschera che pare uscita da uno scavo, la tragica maschera di quell'aristocratico da vicolo napoletano obbligato ad arrangiarsi per salvare la vita e l'onore, affamato di femmine e di pizza.

L'uomo fragile
L'uomo, invece, è una creatura fragile, schiva, delicata, fondamentalmente malinconica, al limite del doloroso, che detesta il frastuono, la fretta, la volgarità e l'arrivismo. Tanto violenti sono i colori della maschera Totò, quanto tenui sono quelli dell'uomo. «L'attore è un cantastorie - ama dire - Di noi non rimarrà niente». Generoso, reazionario, nostalgico, elegante, conduce un'esistenza da nobile decaduto. «Di doveri ne ho uno solo, sopravvivere, che è già così difficile da assolvere». Muore un po' anche per l'angoscia di morire, quando si spegne il sorriso di un uomo squisito, triste come tutti i grandi comici.

14 aprile 2009
 
da ilsole24ore
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