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Autore Discussione: Dopo 60 anni ecco la riforma dell'editoria  (Letto 3308 volte)
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« inserito:: Agosto 03, 2007, 10:37:40 pm »

Dopo 60 anni ecco la riforma dell'editoria


Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera preliminare al disegno di legge sulla riforma dell'editoria. Un disegno di legge che ha «l'ambizione di essere di sistema». Lo ha sottolineato il sottosegretario alla presidenza, con delega all'editoria, Ricardo Franco Levi, nell'illustrare il provvedimento. Levi auspica che il ddl contribuisca alla ripresa del dialogo fra giornalisti ed editori sul fronte della vertenza per il rinnovo del contratto.

In particolare, ha sottolineato Levi «l'articolo 24 prevede agevolazioni contributive alle aziende editoriali, da definire con decreto interministeriale, ai fini dell'armonizzazione del regime previdenziale. Abbiamo così anticipato nel testo una parte dell'accordo, ormai in dirittura d'arrivo al ministero del Lavoro, nella speranza che possa essere il primo accordo tra giornalisti ed editori. Lascio a voi intuire le possibili e augurabili conseguenze dal punto di vista dello sblocco delle trattative e del contributo al dialogo fra le parti».

Molti i punti della riforma: riordino degli incentivi alle imprese del settore editoriale, con un credito d'imposta non oltre il 15% del costo sostenuto per chi investe in innovazione. Lo dovranno stabilire i decreti legislativi previsti dal ddl delega del governo sull'editoria, entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore. Il ddl prevede il rifinanziamento con 5 milioni annui per 5 anni dal 2008 del fondo per la mobilità e la riqualificazione professionale dei giornalisti. I contributi diretti alle imprese editoriali sono rideterminati in base alla diffusione effettiva, alla tiratura e ai costi sostenuti per edizione e distribuzione. è previsto un contributo annuo pari al 40% dei costi, inclusi gli ammortamenti, per la testata e non oltre i 2,2 milioni per ciascuna impresa; un contributo annuo di 200mila euro per tirature nette medie comprese tra 10.001 e 50mila copie; di 400mila euro per ogni scaglione di 10mila copie di tiratura netta media compresa tra 50.001 e 150mila copie.

Il ddl di riforma dell'editoria contiene nuove misure per le agevolazioni alle spedizioni dei prodotti editoriali, che entreranno in vigore gradualmente. In sostanza, ai contributi erogati direttamente alle Poste si sostituisce un credito d'imposta, diretto agli editori, per la spese sostenute per la spedizione delle testate in abbonamento.

Il nuovo criterio - ha sottolineato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Ricardo Franco Levi - «avrà un'applicazione diluita nel corso di quattro anni, in modo da entrare a regime nel 2011, in coincidenza cioè con la liberalizzazione dei servizi postali in tutta Europa».

Per le imprese no profit, che di fatto costituiscono un mercato non concorrenziale, il regime resta invece quello attuale.

La Federazione nazionale della stampa Italiana promuove con riserva l'approvazione del disegno di legge sull'editoria avvenuta oggi da parte del Consiglio dei ministri. La Segreteria della Federazione - si legge nel comunicato Fnsi - valuterà, insieme alle Giunta e alle Associazioni Regionali nelle riunioni fissate per l'inizio di settembre, il testo della nuova disciplina. In attesa di conoscerne i dettagli, il sindacato dei giornalisti sottolinea l'importanza di poter disporre di un'iniziativa legislativa di riforma del sistema editoriale sulla quale discutere e realizzare gli opportuni approfondimenti e le necessarie modifiche sia con il Governo sia in sede di discussione parlamentare.

Pur affrontando alcuni dei temi principali posti dalla Fnsi - continua la nota - la proposta di legge sembra, però, sottovalutare l'emergenza occupazionale e le difficoltà del lavoro giornalistico dipendente e precario nell'attuale momento di riorganizzazione e di crisi e di blocco del rinnovo contrattuale. L'assenza di una misura che consenta il reperimento di risorse da destinare alle situazioni di crisi, ed in particolare ai prepensionamenti e alle casse integrazioni, ha la conseguenza di continuare a scaricare sull'istituto autonomo di previdenza dei giornalisti (Inpgi) l'onere di tutte le difficoltà vere o presunte delle imprese.

Altre misure vanno nella direzione di abbattere il costo del lavoro per gli editori e di realizzare un sistema di rilevanti sostegni alle imprese e di crediti di imposta. È pur vero che alcune di queste misure di sostegno appaiono condizionate all'occupazione di un numero minimo di giornalisti, sia per quanto riguarda le società editrici sia per le cooperative.

Positivo - sottolinea la Federazione - è che un provvedimento di legge preveda finalmente il riconoscimento dei diritti economici, in forme che dovranno essere definite, sia agli autori sia agli editori di articoli riprodotti nelle rassegne stampa. Mentre è importante che si preveda la realizzazione di un testo unico sull'editoria, scompare, invece, ogni accenno allo Statuto dell'impresa giornalistica e, quindi, alla responsabilità e all'autonomia delle redazioni. La Fnsi -conclude il comunicato - lavorerà nelle prossime settimane per proseguire la concertazione e migliorare il testo, che dovrà procedere parallelamente alle misure di riforma del mercato del lavoro dei giornalisti sulle quali il Ministro del Lavoro ha aperto un confronto con le parti interessate.


Pubblicato il: 03.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 15.08   
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 04, 2007, 09:21:48 pm »

Stupido come un test
di Paola Sorge

Infondato. Inutile. Razzista. Un saggio di Enzensberger mette alla berlina i sistemi che insegnano a calcolare la nostra intelligenza.

E gli ingenui che ci credono 

Gli spiriti mordenti e irridenti come Hans Magnus Enzensberger hanno a volte la capacità di farci sentire dei perfetti idioti ovvero individui con quoziente d'intelligenza ridotto ai minimi livelli. Stavolta però a essere messo in discussione, anzi a essere sgretolato, distrutto, annientato dal grande scrittore tedesco è proprio lui, l'IQ, il concetto stesso di quoziente d'intelligenza e della lista infinita di test annessi che dovrebbero servire a misurarlo. E che invece non testano altro che mentalità e pregiudizi di chi l'ha inventati.

In breve, i risultati dati dai test dell'IQ non sono che artefatti statistici, hanno ben poco di scientifico e comunque non hanno nulla a che fare con la nostra intelligenza. Parola di Enzensberger. Nella sua ultima fatica, ossia il breve saggio dal titolo 'Nel dedalo dell'intelligenza', uscito a Zurigo (edito dalla Fondazione Vontobel), lo scrittore, che ha da poco aggiunto alla sua collezione di riconoscimenti il premio Merck Serono per i rapporti tra scienza e letteratura, si diverte a denunciare la scarsa attendibilità di uno dei miti dei nostri tempi, di quella che chiama "una strana ossessione dovuta in gran parte alla nostra paura di essere stupidi". Un mito che ha creato tra l'altro un ben fiorente mercato, visto che ogni anno, solo negli Stati Uniti, adulti e bambini si sottopongono passivamente e di buon grado a oltre 500 milioni di test attitudinali.

Ma è mai possibile misurare qualcosa di così insondabile e indefinibile come l'intelligenza umana, si chiede l'autore del libello che, dopo aver giocato con il termine intelligenza elencandone accezioni, sinonimi e contrari e dopo aver illustrato i vari tipi d'intelligenza (che arrivano a 120), fa una breve e rigorosa cronistoria della misurazione dell'intelligenza e dei suoi inventori.

Lo stesso pioniere di questa 'ossessione', un certo Alfred Binet che nel 1889 ebbe la brillante idea di confezionare test per controllare la capacità intellettiva dei bambini, nutriva seri dubbi sulla validità della sua invenzione. Poi ci fu H. H. Goddard che nel primo decennio del secolo scorso classificò gli individui in normali, deficienti e dementi e stabilì che tutti gli immigrati, tranne quelli provenienti dal Nord Europa, presentavano un bassissimo livello d'intelligenza. 'Deficienti' erano per lui russi, italiani e ebrei.

Né fu da meno, ci racconta Enzensberger con una buona dose di sarcasmo mista a rabbia, lo psicologo Hans Jurgen Eysenck, creatore nel 1962 di un test d'intelligenza usato ancora oggi milioni di volte e autore di un libro sul rapporto tra razza, intelligenza ed educazione in cui pretende di dimostrare che il quoziente d'intelligenza dei neri d'America è nettamente inferiore a quello dei bianchi. Tesi, questa, confermata nel 1994 da due grintosi studiosi americani, R. J. Herrnstein e C. Murray, in 'The Bell Curve', un tomo di 800 pagine su 'intelligenza e struttura di classe nella vita americana' che ha suscitato grande scalpore ed è diventato un bestseller. Ma anche senza conoscere la vera storia della misurazione dell'intelligenza, basta andare su Google a cercare il termine IQ per verificare la stupidità di questo metodo cosiddetto scientifico, osserva l'inesorabile Enzensberger: vi si troveranno persino test che promettono di aumentare le capacità manageriali del povero sprovveduto che vi si sottopone.

Insomma, chi ha sinora creduto ciecamente nel valore assoluto dell'IQ, chi si è vantato di appartenere al cosiddetto 'Club dei superdotati' (ossia di individui con quoziente superiore a 100) o chi semplicemente si è sottoposto ai test attitudinali imposti da ditte e istituzioni, riderà amaro leggendo questo illuminante libretto di uno dei grandi maîtres-à-penser del mondo di oggi. 'Nel dedalo dell'intelligenza' illustrato da algidi disegni raffiguranti varie forme di materia cerebrale, si conclude con una ineffabile battuta degna di Karl Kraus: "Non siamo abbastanza intelligenti per capire cos'è l'intelligenza".

da espressonline.
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