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Autore Discussione: FRANCESCO MERLO. La morale del cemento  (Letto 4472 volte)
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« inserito:: Aprile 08, 2009, 12:18:13 pm »

IL COMMENTO

La morale del cemento

di FRANCESCO MERLO



CHI ha letto il racconto di Gateano Salvemini, che si salvò dal terremoto di Messina appeso a un davanzale, sa che dai sismi e dalle loro tragedie si possono trarre motivi per potenziare la ricerca, l'attività e la strategia anche intellettuale di un popolo. Pure Benedetto Croce perse i genitori in un terremoto e ne trasse un carattere italiano di grande equilibrio, di prudenza e di stabilità. Insomma i terremoti fanno purtroppo parte della storia del nostro paese e del paesaggio delle nostre anime, magari nascosti negli anfratti del carattere nazionale. Non sono emergenze, sono violenze naturali antiche che si affiancano alle violenze sociali, alle mafie, al brigantaggio, alla corruzione.

E però in Italia la magistratura ha giustamente avuto una grande attenzione vero il fenomeni della mafia e della corruzione: abbiamo dedicato seminari, libri, studi, campagne politiche e morali e sono nati persino dei partiti antimafia e anticorruzione. Ebbene, sarebbe ora che l'Italia si dotasse di una squadra di moralisti antisismici, di legislatori antisismici, di un pool di pubblici ministeri che mettano a soqquadro i catasti, gli assessorati all'urbanistica, le sovrintendenze, gli uffici tecnici, i cantieri. Non è possibile che ad ogni terremoto il mondo scopra stupefatto che l'Italia, l'amatissima Italia, è un Paese senza manutenzione.

A leggere i giornali internazionali di questi giorni si capisce subito che un terremoto in Italia non ha lo stesso effetto di un terremoto in Giappone. Anche quando non vengono colpite le città d'arte, come Firenze o Perugia, l'Italia in pericolo coinvolge di più di qualsiasi altro luogo. In gioco - ogni volta ce ne stupiamo - ci sono infatti la nostra bellezza e la dolcezza del vivere italiano, e poi i musei, il paesaggio... È solo in questi casi che ci accorgiamo come gli altri davvero ci guardano: non più sorrisi e ammiccamenti, ma dolore e solidarietà per un paese che è patrimonio dell'umanità.

Ebbene è la stampa straniera a ricordarci che ci sono città italiane incise dalle faglie, e dove le bare per i morti e l'inutile mappa dei luoghi d'incontro dei sopravvissuti sono i soli accorgimenti antisismici previsti. Ci sono città dove la questura, la prefettura, gli ospedali sono ospitati in edifici antichi che sarebbero i primi a cadere. Dal punto di vista sismico, della vulnerabilità sismica, non esiste un sud e un nord d'Italia, non esiste un paese fuori norma contrapposto a un paese nella norma. L'Italia, come sta scoprendo il mondo, è tutta fuori norma. Nessuno costruisce nel rispetto degli obblighi di legge che - attenzione! - non eviterebbero certo i terremoti che uccidono anche in Giappone e in California, anche dove la legge è legge. Neppure lì i terremoti sono prevedibili. Non ci sono paesi del mondo dove le catastrofi naturali non procurano danni agli uomini e alle cose.

Ma le norme antisismiche sono al tempo stesso prudenza e coraggio di vivere, sono la stabilità di un paese instabile, la fermezza di una penisola ballerina, sono come le strisce pedonali e la segnaletica stradale che non evitano gli incidenti ma qualche volta ne contengono i danni, ne limitano le conseguenze, ti mettono comunque a posto con te stesso e con il tuo destino. Colpisce invece che la sfida alla natura in Italia sia solo e sempre verbale: "immota manet" è il motto della città dell'Aquila ed è un paradosso, un fumo negli occhi, un procedere per contrari, una resistenza al destino che ne rivela la completa, rassegnata accettazione: la sola immobilità dei terremotati è la paura, è la paralisi.

Da sempre i terremoti intrigano i filosofi e gli scienziati. Si sa che dopo un terremoto aumentano i matrimoni e le nascite che sono beni rifugio, e si formano nuove classi sociali, si riprogetta la vita come insegna appunto Salvemini. Ma le catastrofi attirano gli sciacalli, economici certo ma soprattutto politici e morali. Ricordo che, giovanissimo, nel Belice vidi arrivare i missionari delle più strane religioni, i rivoluzionari seguaci di ogni utopia e i ladri d'anima...

I soli che in Italia non arrivano mai sono gli antisismici d'assalto; le sole competenze che ai costruttori non interessano sono quelle antisismiche; e a nessun italiano viene in mente, invece di ingrandire la terrazza, di rafforzare le fondamenta della casa.

Siamo i più bravi a rimuovere, a dimenticare i lutti, a non tenere conto che la distruzione come la costruzione crea spazi e solidarietà. L'Italia sembra unirsi nelle disgrazie. Nelle peggiori tragedie ci capita di dare il meglio di noi: sottoscrizioni, copiosissime donazioni di sangue, offerte di ospitalità... Davvero ci sentiamo e siamo tutti abruzzesi. Ci sono familiari volti e lacrime che sono volti e lacrime di fratelli. Sta tremando tutta l'Italia. E anche se non riusciremo a dominare la forza devastatrice della natura, mai più dovranno dirci che questo è un paese fuori dalla legge.

Fosse pure un'illusione piccolo borghese, da impiegati del politicamente corretto, abbiamo bisogno di applicare tutti insieme la tecnica antisismica e di misurare il ferro che arma il cemento: abbiamo bisogno di costruttori, di sovrintendenti, di legislatori e di giudici di ferro.

(8 aprile 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 08, 2009, 12:28:14 pm »

L'indagine dei pm: verso il disastro colposo

Accertamenti sui palazzi più nuovi.

Il procuratore: raccogliamo carte per valutare il reato

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


L'AQUILA — Era stato costruito ufficialmente con criteri antisismici, ma non ha retto alla scossa di domenica notte ed è stato dichiarato inagibile. Anche la Casa dello studente era un edificio moderno, avrebbe dovuto rispettare le norme di sicurezza relative ai terremoti. E invece è venuto giù seppellendo i ragazzi che ci abitavano. Si concentra soprattutto sugli stabili progettati negli ultimi anni l'inchiesta avviata dalla procura dell'Aquila sul disastro di tre giorni fa. «Non c'è ancora alcun reato ipotizzato — chiarisce il capo dell'ufficio Alfredo Rossini —, stiamo raccogliendo la documentazione dalla Protezione civile e dagli altri enti che hanno una mappatura dei crolli. Solo quando avremo un quadro chiaro potremo valutare eventuali ipotesi di disastro colposo».

L'obiettivo dei magistrati è verificare se ci siano stati illeciti nella concessione dei permessi per la ristrutturazione dei palazzi e dunque accertare possibili omissioni o abusi da parte di amministratori e funzionari pubblici. Pure lo stabile dove si trovano gli uffici giudiziari è pericolante: il procuratore e l'altro magistrato in servizio in questi giorni si sono visti nella sede della Guardia di Finanza che ospita la sala operativa allestita dopo la scossa di domenica. Rossini ne ha parlato con Guido Bertolaso perché nella valutazione dei pm rientrerà certamente il parere dei tecnici chiamati a stabilire se i metodi utilizzati per l'allestimento e la costruzione degli appartamenti, così come dei locali destinati all'assistenza sanitaria dei cittadini, siano conformi alla legge. L'indagine riguarda non solo L'Aquila, ma anche le frazioni dove il terremoto ha fatto crollare la maggior parte delle case e quelle rimaste in piedi sono ormai inagibili.

Esistono molte norme, anche regionali, che impongono il rispetto di criteri particolari nelle zone sismiche e l'Abruzzo lo è certamente. Tanto che in alcuni piccoli paesi, qualche vecchia dimora era stata abbandonata e le famiglie si erano trasferite in case tirate su in cemento armato e con una «protezione» particolare che mette al riparo dalle scosse. Sono comunque poche e anche questo ha contribuito a rendere pesantissimo il bilancio della tragedia. Tutte le frazioni del capoluogo, da Paganica a Onna, da San Gregorio a Tempera, arrivando a Fossa e a Poggio Picente, dovranno essere censite per stabilire l'entità dei danni e degli eventuali illeciti compiuti. Capitolo a parte riguarda invece gli allarmi lanciati nei giorni precedenti il sisma di domenica e quelli che arrivano in continuazione nelle ultime ore provocando panico nei cittadini che anche ieri si sono riversati in strada dopo aver ricevuto sms che annunciavano l'arrivo di nuove forti scosse. «Sciacalli», secondo la Protezione civile, nonostante in serata la scossa forte sia arrivata davvero.

F.Sar.

08 aprile 2009
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 08, 2009, 12:29:24 pm »

La città e l'orrore

I quartieri fantasma e la grande fuga dall'Aquila che trema «Qui non è più vita»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


L'AQUILA — È un borbottio improvviso, che cresce fino a diventare un ruggito. Poi tutto diventa veloce, da zero a cento come in una centrifuga. I palazzi ondeggiano, i cumuli di macerie addossati ai marciapiedi si sfaldano. Dai tetti arrivano pezzi di cornicioni come missili. Le montagne all'orizzonte cominciano ad emettere rimbombi cupi. La fine del mondo, deve essere così che succederà. Alle otto di sera diventa definitivamente chiaro che ci siamo ancora dentro, questa è una tragedia in movimento. Non si può vivere con il terremoto in casa, con un sisma permanente che da due mesi condiziona, stravolge, cancella le vite di tutti. «Avete visto cosa si prova? Prima ancora di capire ti ritrovi a correre come su un tapis roulant, con la sensazione di essere fermo, che qualunque distanza che riesci a mettere tra te e questa bestia non sia sufficiente. Saluti, noi ce ne andiamo».

Non importa se sta arrivando il buio, e fuori c'è un silenzio angosciante, neppure l'isteria di un antifurto impazzito, o una sirena. Michele Ottaviano non ha più intenzione di tollerare questa specie di tortura della goccia cinese. Una botta forte all'una di notte, al mattino decine di scosse di assestamento a massaggiare il sistema nervoso, all'ora di mettersi a tavola una mazzata che sembra quasi peggio del cataclisma dell'altra notte. «Sono passati appena due giorni ed è successo di nuovo. Avevo giurato che non avrei mai più fatto vivere una notte del genere ai miei figli. E invece, rieccoci. Non è giusto, per mia moglie, per i miei bambini che vedono lo spavento sulle nostre facce e capiscono che neppure papà e mamma possono proteggerli. Andiamo a Rieti da mia suocera, sicuramente meglio lei di questa vita che non è più tale». Era uno dei pochi che aveva scelto di restare. La sua casa nel quartiere appena dietro alla stazione aveva retto bene, appena due anni di vita e neppure una crepa sull'intonaco.

Adesso il funzionario di banca Michele Ottaviano sale sulla sua Passat, carica di appena due borse e una decina di colombe Bauli. «Non ci torno, per Pasqua, può giurarci. La facciamo in trasferta». L'Aquila è ormai una città vuota. Forse non morta, ma completamente svuotata di vita. Nelle vie del centro non c'è rimasto più nessuno. Ma anche in molti altri quartieri gli unici incontri sono con persone alle prese con i rituali di partenze frettolose e traumatiche. In via Duca degli Abruzzi un anziano quasi incespica nel trascinare due prosciutti a tracolla, mentre il nipote suona il clacson dell'auto piena di valigie. Le suonerie dei cellulari sono un sollievo che dura poco. «Spegnete, per favore, danno fastidio alle sonde che cercano i corpi». Neppure il confortante ronzio dei gruppi elettrogeni, quassù nel cuore della città. C'è soltanto questo silenzio assoluto, che fa rimpiangere i rumori quotidiani, quando siamo in tanti, a pigiarci sui marciapiedi delle nostre strade. È successo di nuovo, tutto lascia pensare che accadrà ancora.

Al distributore Erg sul curvone di via Francescana c'è un gruppo di ragazzi seduti sul marciapiede, avvolti nelle loro felpe con cappuccio. «Ci accampiamo fuori città» dice uno di loro. «Mio padre ha un campo di erba medica, montiamo la tenda proprio in mezzo. Lui è d'accordo, ci sta venendo a prendere con il furgone». Il distributore sembra un ultimo avamposto. Appena oltre, la città è deserta. La scossa del mattino ha fatto crollare quattro edifici nelle vie laterali intorno al municipio, e con essi ogni residuo di speranza. Non ci sarà nessun ritorno a casa, almeno non a breve. I residenti si affannano ai varchi controllati dai militari. Quanto ci vorrà per capire se casa mia è agibile? Posso almeno entrarci? «Telefonate al 115» è la risposta ad ogni domanda. Due tecnici del Genio civile parlano mentre camminano sulla salita di via Sallusti. Uno di loro indica lo squarcio alla sommità di un edificio storico, con la canna fumaria tranciata di netto che sporge come una frattura scomposta. «Questo palazzo è tutto da buttare giù» dice il più giovane dei due. «Tutta L'Aquila è da buttare giù» chiosa l'altro. I militari lasciano passare soltanto i giornalisti, «a vostro rischio e pericolo». In piazza Battaglione Alpini c'è la processione degli abitanti che vogliono rientrare nelle loro case, anche solo per qualche minuto. «Non abbiamo niente, siamo vestiti così». «Siamo certi di avere lasciato aperto il gas, la prego». «Devo spegnere le vetrine del negozio, mi costano un patrimonio».

All'improvviso, la terra comincia a tremare. Scappano tutti.

La scossa delle 20 ha lesionato anche il cinema Massimo di corso Federico II. La locandina dal vetro scheggiato annuncia il nuovo film di Pupi Avati, reperto di quando la vita era ancora normale. Piazza Duomo, occupata dalle tende dell'esercito, è avvolta in una nuvola bianca di calcinacci. Dal palazzo dell'Inps sono caduti pezzi di balaustra, blocchi di marmo lunghi un metro. Il Caffè Europa e il Gran Cafè Eden, i luoghi dell'aperitivo del sabato, hanno un aspetto sinistro. Il fragore di altri crolli. I vicoli sono trappole disseminate di calcinacci e fili elettrici penzolanti. Dall'alto di piazza San Bernardino si vede una scia di luci nell'oscurità. Fanali di auto in coda sulla statale adriatica. Lontano dalla città, ovunque, pur di non tornare a sentire quel ruggito.

Marco Imarisio
08 aprile 2009

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 10, 2009, 05:19:59 pm »

Dopo l'Aquila. Per l'Aquila, per il Paese

di Marco Maroni

Gio, 09/04/2009 - 23:20


Speculazione edilizia, sicurezza, infrastrutture, urbanistica. Non sono argomenti da disputa ideologica, tanto meno di questi tempi. Dopo il terremoto dell’Aquila, su pressione delle Regioni, il Governo ha deciso di far slittare di una settimana il decreto sul Piano casa. La tragedia ha riportato in primo piano la necessità di intervenire nella gestione del territorio e del patrimonio edilizio italiano. Ne abbiamo parlato con Antonello Boatti, professore di Pianificazione territoriale e Progettazione urbanistica del Politecnico di Milano.

Partiamo dal Piano casa, il decreto con il quale il Governo consente l’ampliamento degli edifici privati e che comporta una “deregulation” in materia di autorizzazioni e verifiche.
 
Il testo esatto non si conosce ancora, le Regioni sono già intervenute per moderare le norme, ma da quel che si può capire, si va comunque verso una delega ai privati della regolamentazione edilizia. I calcoli sulla stabilità degli edifici, la valutazione del peso che quel 20% in più di cubatura avrà sulla struttura, viene delegato al buon cuore del proprietario, del condominio e alle dichiarazioni del progettista. Ma non si può permettere a chiunque di costruire come vuole, ne va della qualità, della sicurezza e anche della “presentabilità” delle nostre città. Si parla anche di controlli. Ma dopo che si è iniziato a costruire, dov’è che si controllerà? Con le risorse che hanno i Comuni possiamo immaginare come si faranno i controlli. E se bisognerà demolire, chi lo farà? Qualche giorno fa ho sentito fare al ministro Brunetta un’affermazione rivoltante: che i guasti dell’Italia deriverebbero dai Piani regolatori. È una cosa priva di logica, è esattamente il contrario, sono gli unici strumenti che hanno permesso quel po’ di tutela che abbiamo. Derivano da una legge vecchia, il Piano urbanistico nazionale del 1942, ma se c’è stato qualcosa che ha impedito che si costruisse di più sulle rive dei fiumi o alle pendici di colline franose, sono proprio i Piani regolatori.

Il Governo ha in programma investimenti in grandi infrastrutture, come il ponte sullo Stretto. I crolli in Abruzzo non suggeriscono di rivedere le priorità e di investire diversamente?
Il  programma delle grandi opere prevede diversi interventi, dalla Tav, al ponte, all’autostrada  Pedemontana, all’Expo... Alcuni sono utili, alcuni discutibili, altri inutili e anche devastanti per l’ ambiente, come il ponte. Un Governo responsabile dovrebbe rifare i conti. I 270 morti dell’Aquila segnalano una sofferenza dei territori. Ci sono strade a rischio, edifici, scuole, ospedali. Ora è stata la volta dell’Aquila, ma se si guarda la mappa sismica dell’Italia si vede che circa il 50% del territorio è a elevato rischio. Allora bisogna rivedere le priorità economiche, è una cosa urgente. Se si utilizzassero le tecnologie che si usano in Giappone, altro territorio altamente sismico, non si avrebbero queste conseguenze.

Le tecnologie antisismiche si possono applicare anche nel recupero degli edifici antichi, per ricostruire i centri storici?
Sì è una cosa difficile ma si fa. Richiede uno grosso impegno scientifico e tecnologico, le università se ne interessano da tempo e ci sono già soluzioni. Solo che in Italia le risorse all’università vengono tagliate... Berlusconi per l’Aquila ha avuto invece quest’idea della “new town”. A parte l’espressione grottesca, mi pare l’occasione per un grande business. L’Aquila ha un centro storico molto bello e quello va assolutamente recuperato, non si risolve il problema abitativo costruendogli accanto una “new town”. Infatti i sindaci hanno già fatto sapere che sono contrari. Peraltro, la motivazione è di non far stare la gente nelle baracche, ma così invece che nelle baracche staranno nelle tende: per costruire delle case, che stiano in piedi, ci vuole del tempo.
Com’è secondo lei che bisogna affrontare ora il problema dei paesi devastati dell’Abruzzo?
Con questa scala di priorità: primo, ovviamente, ridare la casa a chi l’ha persa. Secondo, ricostruire le infrastrutture e terzo, prima del Ponte, ricostruire il patrimonio storico, non è che questo, che è davvero una grande risorsa dell’Italia, possa essere messo in coda.

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