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Autore Discussione: Terrorismo, se il reduce va in cattedra  (Letto 2507 volte)
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« inserito:: Aprile 07, 2009, 10:39:17 pm »

7/4/2009
 
Terrorismo, se il reduce va in cattedra
 
 
PAOLO PADOIN*
 

Caro direttore,

il 7 aprile 1979 nacque l’inchiesta su Autonomia operaia, che portò 134 imputati a processo e una quarantina in carcere in base al «teorema Calogero» secondo cui eversione e terrorismo di sinistra in Italia erano manovrati da un’unica organizzazione chiamata Autonomia operaia organizzata, che respirava in perfetta simbiosi con le Brigate Rosse. A Padova, allora centro dell’Autonomia, è stato organizzato dai diretti interessati, con la presenza di Toni Negri, un ciclo di manifestazioni per ricordare quella data 30 anni dopo. L’esperienza antica e quella recente, che ha portato alla scoperta del gruppo denominato Nuove Br proprio a Padova, ci deve mettere in guardia contro queste rievocazioni di parte, che confermano, purtroppo, quanto spazio sia ancora concesso ai molti reduci degli anni di piombo. Siamo stati testimoni, nella scorsa legislatura, dell’elezione a segretario generale della Camera di Sergio D’Elia, dirigente del gruppo che ha assassinato a Firenze l’agente Fausto Dionisi, non ci meravigliamo se Curcio pretende la pensione dallo Stato, tv e pubblici dibattiti, seminari universitari, circoli culturali ospitano ex terroristi a gogò. La Petrella e Battisti soggiornano ancora all’estero, sottratti all’esecuzione delle sentenze dei nostri tribunali.

Molti fra gli esponenti delle associazioni eversive di un tempo cercano di negare le responsabilità di chi ha commesso gravi reati e ha promosso azioni per rovesciare l’ordinamento democratico. Il supplemento «Alias» de il manifesto il 5 aprile ha ospitato una lunga lettera di autodifesa di Toni Negri, che accusa magistrati e politica per quel processo che definisce «giuridicamente un’indecente invenzione e politicamente una precaria operazione repressiva». Si perpetua così l’anomalia italiana che ha permesso ai terroristi e ai loro amici di svolgere un ruolo di protagonisti nelle ricostruzioni di quel periodo, di sostenere d’essere vittime del sistema giudiziario e di apparire eroi incompresi. Magistrati, rappresentanti delle Forze dell’ordine, professionisti, giornalisti, sindacalisti, semplici cittadini che hanno difeso la democrazia stanno dalla parte della ragione, a loro dobbiamo sempre riconoscenza per il servizio che hanno reso al Paese. Si è prestata, soprattutto in passato, poca attenzione agli «eroi» che, con grande coraggio e a rischio dell’incolumità, si opposero alla violenza politica. Opposta è la situazione di chi ha teorizzato e praticato la violenza, ha organizzato e ha militato nei gruppi armati, ha sparato e si è macchiato di crimini da condannare.

Più della metà dei presunti appartenenti alle Nuove Br, coinvolti nell’inchiesta «tramonto» del febbraio 2007, sono ragazzi che non hanno vissuto la realtà degli anni di piombo. Dobbiamo moltiplicare l’attività d’informazione nei confronti delle giovani generazioni, colmare quel vuoto di memoria nel quale possono attecchire di nuovo teorie eversive e antidemocratiche. Vi sono state molte iniziative che hanno ricordato le vittime innocenti degli anni di piombo, rigettando l’immagine di eroi invincibili che i protagonisti di quegli anni si sono cuciti addosso, spalleggiati, in Italia e in Francia, da molti esponenti della sinistra radical-chic. Padova e Torino, città che ben conosco, colpite dal terrorismo, hanno reagito organizzando convegni, mostre in ricordo delle vittime innocenti. È stato istituito il giorno della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, il 9 maggio. Per questo un prefetto, un rappresentante dello Stato che a Firenze come a Arezzo, a Pisa come a Padova, ha incrociato le vicende del terrorismo vecchio e nuovo, non può restare in silenzio, ma deve fornire il suo contributo di esperienza professionale e civile, soprattutto a beneficio dei giovani che non hanno vissuto direttamente quella tragica realtà.

*Prefetto di Torino
 
da lastampa.it
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