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Autore Discussione: Mafia, antimafia e quaquaraquà  (Letto 2361 volte)
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« inserito:: Aprile 02, 2009, 11:02:56 pm »

« Arsenico e vecchi merletti

2
Apr
2009


Mafia, antimafia e quaquaraquà

La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile (Corrado Alvaro)


EFFETTI COLLATERALI
La punta del nostro stivale è corta, stretta. Possiamo fare finta di niente, ma prima o poi i piedi ci faranno male. Il fastidio, il dolore diventerà l’unica cosa a cui siamo in grado di pensare. Tutto il resto ne sarà influenzato, i nostri pensieri, le nostre azioni. Con il tempo lo stivale troppo stretto si impadronirà di noi stessi e noi avremo un’unica idea fissa: il male ai piedi. E’ una delle metafore migliori della punta del nostro stivale, la Calabria. L’ha trovata Paola Bottero che, come molti uomini e donne finiti a Sud da un imprecisato Nord, trovano in quei posti la loro nemesi e il loro completamento. Il suo libro si intitola Ius Sanguinis (Città del sole, 12 euro). E’ tante cose insieme. Un romanzo in cui ogni riferimento a fatti e persone reali è assolutamente voluto. Una sedicenne con un testa troppo libera per sopravvivere a un fidanzato lasciato che già aveva ben chiaro quale dovesse essere il suo ruolo e quello di lei nel mondo. La sorella di un giovane imprenditore ucciso perché troppo giovane e troppo libero. Un’altra sedicenne assassinata da quella che abbiamo imparato a chiamare malasanità, parola che non rende la catena di complicità di un omicidio.

Poi c’è un’appendice al libro che raccoglie articoli e documenti relativi ai fatti appena narrati. E commuove la quantità di siti internet spesso artigianali, quasi sempre solitari, messi in piedi da familiari che chiedono giustizia, che vogliono verità, che denunciano dove, come e perché lo Stato si sia fermato o peggio, non sia mai partito. E poi c’è una lista. Incomincia a pagina 289, finisce a pagina 303. Incomincia nel 2004, finisce a gennaio di quest’anno. Sono i morti ammazzati. Benzinai, pastori, geometri, commessi, camionisti, ambulanti, calciatori, fabbri. E’ la Spoon River della ‘ndrangheta. Accanto a ogni nome, una sola frase: “Nessun colpevole trovato”.

I CENTO PASSI
Bisogna riportare tutto il passaggio del libro di Claudio Fava I disarmati (Sperling & Kupfer, 17,50 euro). “Abbiamo confuso gli assassini con i morti. Abbiamo ridotto tutto alla rumorosa evidenza dei corpi massacrati, le membra scomposte, le auto accartocciate, l’odore di carne bruciata. E, per simmetria, abbiamo cercato i segni di quella ferocia in faccia ai mafiosi. Poi, quando uno di quegli assassini ci scivolava accanto, scoprivamo sempre cortesia di modi e di toni, parole rassicuranti, l’aria mansueta dei padri di famiglia. Ecco la terra di mezzo, ecco i cento passi percorsi e ripercorsi cento volte insieme a loro, ecco gli onesti e i macellai nello stesso salotto”. Tutto incominciò, scrive Fava, con quel fondo sul Corriere della Sera. Lo firmava Leonardo Sciascia, lo avevano intitolato I professionisti dell’antimafia. Per anni si scrisse e si argomentò su cosa volesse realmente dire il maestro quando denunciava che “nulla vale di più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prendere parte a processi di stampo mafioso”. Un ragionamento forse troppo complesso per affidarlo alla brevità di un articolo sul giornale, un respiro troppo breve per i distinguo. Un discorso troppo facile da usare da chiunque e contro chiunque, specialmente contro l’unico nome citato nel pezzo: Borsellino.

Da allora l’antimafia siciliana si ritrovò con un altro esercito avversario, tutti quelli che potevano dire: i giacobini, i giustizialisti, quelli che non si rassegnano al Paese normale, quelli che non si stancano di denunciare, manifestare testimoniare, non sono puri. L’ha detto Sciascia. L’antimafia ci mise del suo, la primavera di Palermo e il laboratorio politico della Rete perse pezzi per strada e trasformò la voglia di cambiamento nel terreno ideologico e politico di cui difettava. L’antimafia fu lasciata cadere dal partito che fu di Pio La Torre E dal sindacato che fu di Di Vittorio che smisero di chiedere “l’esame del sangue” alle imprese che si aggiudicavano gli appalti in Sicilia. Si persero occasioni, si tradirono speranze, le terre di mezzo tornarono a espandersi. Una storia non di morti come spesso si usa in cose di mafia. Una storia di vivi, di sopravvissuti, di sistemati.

DODICI

Antonella Mascali raccoglie in Lotta civile (ChiareLettere, 14,60 euro9 dodici storie di familiari delle vittime di mafia. Solita storia, si può dire. Soliti nomi, certo. Solita fatica dell’impegno. Quanto sarebbe più rassicurante non doverlo fare. Una sola frase per scrollarsi di dosso la tenatazione. La dice alla giornalista Maddalena, la figlia di mauro Rostagno, ex leader di Lotta Continua fondatore della comunità Saman per il recupero dei tossicodipendenti e giornalista che in tv a Trapani denunciava quello che per molti, funzionari e magistrati compresi, non esisteva. “Mi svegliai arrabbiatissima anche con mio padre. Sì, mio padre che mi aveva lasciata, che non c’era più. Gli ho detto: hai preferito qualcos’altro a me, hai preferito denucnaire, rischiare di essere ammazzato e non hia pensato a me che sarei rimasta sola. Non ho avuto neppure la forza di andare alla camera ardente”. Ancora oggi non è dato sapere chi abbia ucciso Rostango con una pioggia di proiettili il 26 settembre 1988.

da olivieroblogautore.repubblica.it
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