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Autore Discussione: SALVATORE TROPEA L'orgoglio del Lingotto Salveremo posti anche negli Usa...  (Letto 3935 volte)
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« inserito:: Marzo 30, 2009, 11:04:19 pm »

Negli ultimi otto anni GM ha perso 68 miliardi di dollari

Accordo fatto tra Chrysler e Fiat. Obama: ''Non lasceremo scomparire l'industria automobilistica''

Il Lingotto avrà una partecipazione di minoranza nel gruppo statunitense e costruirà alcuni dei suoi modelli negli Stati Uniti. Ultimattum del presidente americano alla General Motor: 60 giorni per presentare un nuovo piano di ristrutturazione


ultimo aggiornamento: 30 marzo, ore 21:28


Washington, 30 mar. (Adnkronos/Ign) - "Non vogliamo, non possiamo e non lasceremo scomparire l'industria automobilistica americana". E' categorico Barack Obama nell'annunciare che il suo governo non accoglie i piani di rilancio presentati dalle grandi compagnie che "non si stanno muovendo nella giusta direzione" e concede loro un limitato periodo di tempo per presentare "un piano migliore".

Assicurando di non voler veder "svanire" l'industria automobilistica in profonda crisi, il presidente americano ha però affermato che "non possiamo continuare a perdonare le decisioni sbagliate" della sua dirigenza. "Non possiamo subordinare la sopravvivenza della nostra industria automobilistica ad un flusso senza fine dei soldi dei contribuenti", ha detto ancora il presidente Usa che, in apertura del suo discorso, ha ricordato le principali vittime di questa situazione, gli operai del settore che continuano a perdere posti di lavoro nonostante "lavorino in modo indefesso e non hanno nessun responsabilità" delle colpe commesse dalla leadership, sia a Detroit che a Washington.

Nel suo discorso, Obama ha dato un vero ultimatum alle compagnie automobilistiche: 60 giorni alla General Motor - che ha già accolto la richiesta della Casa Bianca di sostituire il Ceo Rick Wagoner con Fritz Henderson - per presentare un nuovo piano di ristrutturazione, stringendo accordi con creditori e sindacati ai quali il presidente ha chiesto "dolorose concessioni".

Obama ha dato poi 30 giorni alla Chrysler per concludere l'accordo con la Fiat, sottolineando che se le due compagnie ci riusciranno "valuteremo la concessione di 6 miliardi di dollari per aiutare il loro piano ad avere successo".

L'amministrazione Bush lo scorso anno aveva già approvato un bail out di 17 miliardi di dollari per l'industria automobilistica, 13,5 alla Gm e 4 alla Chrysler. "Fatemi essere chiaro, il governo americano non ha alcun interesse o intenzione a guidare la Gm - ha detto - quello che ci interessa è dare alla Gm l'opportunità di fare quei cambiamenti estremamente necessari per farla uscire dalla crisi più forte e competitiva".

La Chrysler "ha bisogno di un partner", ha quindi rimarcato la Casa Bianca Barack offrendo come si diceva la possibilità di concedere "fino a sei miliardi di dollari federali" se le due compagnie raggiungeranno un "accordo solido che protegga i consumatori americani".

Obama ha anche prospettato che cosa potrà invece succedere nel caso che non si raggiunga l'intesa con Fiat: "Se non saranno in grado di raggiungere un accordo, in assenza di altre possibili partnership, non saremo giustificati nell'investire altri soldi pubblici per mantenere Chrysler operativa".

Il presidente americano ha infatti definito la situazione in cui si trova la Chrysler "più pericolosa" di quella delle altri big dell'auto, aggiungendo "dopo un'attenta analisi" è stato stabilito che la compagnia "ha bisogno di un partner" per rimanere in vita. "Negli ultimi tempi la Chrysler ha individuato un potenziale partner, la compagnia automobilistica internazionale Fiat" ha spiegato Obama, sottolineando come la compagnia sia "pronta a trasferire la sua tecnologia di punta alla Chrysler e, dopo aver lavorato a stretto contatto con il mio team, si è impegnata a costruire nuove auto e basso consumo qui in America".

E tre ore dopo il discorso di Obama, arriva l'annuncio del Ceo di Chrysler, Bob Nardelli: la Fiat ha raggiunto un accordo di massima su una nuova partnership con la casa automobilistica statunitense. Secondo il gruppo Usa, Fiat "rafforza la capacità del gruppo Chrysler di creare e preservare posti di lavoro negli Usa".

"Chrysler - ha aggiunto il Ceo - ha costantemente affermato che l'alleanza con Fiat migliora il proprio modello di business e amplia la propria competitivita' a livello mondiale". Tuttavia, al momento ancora non è chiaro se l'accordo finale è stato totalmente raggiunto oppure se alcuni dettagli devono essere ancora discussi tra le due società.

La Fiat avrà una partecipazione di minoranza in Chrysler, con il trasferimento di tecnologie verdi. Non solo. Il Lingotto costruirà' alcuni dei suoi modelli negli Stati Uniti. Chrysler ha gia' ricevuto 4 miliardi di dollari di prestiti di emergenza dal governo americano ma ha chiesto 6 miliardi di dollari di piu'. "Anche se ci rendiamo conto che abbiamo ancora notevoli ostacoli da risolvere - ha aggiunto Nardelli - Chrysler si è impegnata a lavorare in stretta collaborazione con Fiat, per garantire il necessario sostegno delle parti interessate".

Da parte sua, l'Ad della Fiat Sergio Marchionne ha ringraziato ''pubblicamente il Presidente Obama a nome di tutto il management del Gruppo Fiat per le parole di apprezzamento che ha avuto nei confronti del lavoro fatto negli ultimi cinque anni e per il suo incoraggiamento a finalizzare una solida alleanza tra Chrysler e Fiat''.

''I colloqui con la Task Force del presidente Obama - ha rimarcato Marchionne - sono stati serrati ma leali. Siamo convinti di poter conseguire un risultato che, assegnando la giusta priorità alla restituzione dei fondi dei contribuenti, darà un futuro credibile a questo settore industriale che è cruciale per l'economia. Siamo davvero felici che Fiat possa giocare un ruolo chiave in questo importante sforzo.''

da adnkronos.com
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 31, 2009, 03:40:05 pm »

OBAMA E L’ACCORDO FIAT-CHRYSLER

La chance italiana


di Massimo Gaggi


Obama promette agli americani che l'industria dell'auto risorgerà e tornerà a essere quella che è stata nel Novecento: la culla del ceto medio e un potente strumento «dell'arsenale della nostra democrazia». Il presidente fa appello al patriottismo dei suoi cittadini, sostiene che le difficoltà attuali provocheranno una reazione che sarà il carburante di un secondo «Secolo americano », ma intanto prepara, per Detroit, una cura profondamente europea: auto più piccole e dai consumi più contenuti, quelle che Ford e General Motors producono già oggi ma solo nel Vecchio Continente; Rick Wagoner «dimissionato» e (provvisoriamente) sostituito al vertice di GM dall'ex capo della sua divisione europea, Fritz Henderson; incentivi fiscali per stimolare la domanda di vetture modellati su quelli introdotti da anni nella Ue; riconoscimento che l'intervento di un'industria europea — la Fiat — è l'ultima possibilità rimasta per far restare la Chrysler sul mercato.

È la prima volta da molto tempo che l'Italia — considerata, come il resto d'Europa, un'area in declino, davanti alla crescita prepotente dell'Asia —torna a fare notizia negli Usa in una luce positiva. Alcuni commentatori nei giorni scorsi avevano ironizzato sul «salvagente » italiano e avevano avanzato il sospetto che la Fiat volesse «comprarsi la Chrysler coi soldi dei contribuenti Usa». Obama, che pure è sensibilissimo allo stato d'animo dei «taxpayer» (ai quali si è rivolto almeno una decina di volte, nel discorso di ieri), non ha dato retta alle critiche e ha deciso di «mettere la faccia» su questa operazione: ha detto esplicitamente che la tecnologia Fiat è l'ultima speranza per Chrysler e ha promesso altri 6 miliardi di dollari di finanziamento pubblico se verrà presentato alla Casa Bianca un piano industriale credibile. Altrimenti resterà solo la via del fallimento.

In ogni caso ci saranno molte lacrime e molto sangue: Obama ha avvertito che si potrebbe passare attraverso le procedure della bancarotta anche nel caso di salvataggio di due gruppi di Detroit. Per l'America è un altro terremoto: l'ennesimo dall'inizio di questa lunghissima crisi. I liberisti «senza se e senza ma» del fronte conservatore accusano di nuovo Obama di aver imboccato la «strada europea del socialismo ». Europa sì, come detto. E anche una certa dose di dirigismo. Ma qui il socialismo c'entra poco: Obama non vuole restare sepolto sotto le macerie dell'auto e, davanti all'inadeguatezza dei piani presentati, ha deciso di entrare in campo in prima persona, con tutti i rischi che ciò comporta. Lo ha fatto servendosi di un banchiere d'affari, Steve Rattner, e non di un burocrate, e ha assicurato che il governo non ha alcuna intenzione di mettersi a gestire la GM.

Alcuni consiglieri lo avevano invitato a non esporsi troppo: non li ha ascoltati convinto, come ha detto ieri brutalmente, che l'industria dell'auto sia ormai «arrivata alla fine della strada». Per questo il presidente ha preteso la testa di Wagoner. Il capo del gruppo simbolo dell'industrializzazione americana cacciato non per scelta aziendale, ma per un'imposizione della Casa Bianca. Fino a ieri sembrava possibile solo a Mosca, a Pechino o nelle capitali europee più stataliste. Ora avviene anche a Washington. E' uno shock, ma Obama vuole evitare che GM e Chrysler divengano per lui quello che per l'immagine di Bush è stato il disastro del dopo uragano Katrina. Vuole salvare i due gruppi, ma non può ignorare i sondaggi secondo i quali un'ampia maggioranza degli americani è contraria a tenere in vita con le sovvenzioni questo disastrato settore industriale.

In questi anni Wagoner non è stato certo con le mani in mano: ha ristrutturato il gruppo per tre volte, ha chiuso decine di impianti. Ma la realtà del mercato è cambiata ancor più rapidamente. In autunno il primo passo falso: convocato dal Congresso, il manager si era presentato a Washington senza un piano, spiegando ai parlamentari che non c'erano alternative all'erogazione dei fondi pubblici, se la politica non voleva trovarsi a dover fare i conti col crollo di Detroit e con altre centinaia di migliaia di disoccupati. Allora si era salvato cambiando completamente registro in un nuovo «round» parlamentare, dopo la reazione furibonda dell'opinione pubblica. Ha cambiato linea, ma la sua tendenza a sottovalutare i problemi è rimasta la stessa: il nuovo piano della GM è costruito sull'ipotesi che da qui a due anni il mercato Usa assorba 14,3 milioni di vetture, il 50 per cento in più dei livelli attuali. Firmando quel documento, Wagoner ha firmato la sua condanna.

31 marzo 2009
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 31, 2009, 03:58:02 pm »

ECONOMIA     

Vanno avanti le trattative per trovare un partner europeo

La crisi dell'auto potrebbe approdare anche al G20 di Londra

A Torino l'orgoglio del Lingotto "Salveremo posti anche negli Usa"

di SALVATORE TROPEA
 

TORINO - Un quarto di secolo dopo il suo ritiro dal mercato dell'auto americano la Fiat viene riposizionata tra i protagonisti di questo mercato nientemeno che dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama con un giudizio così lusinghiero sul suo "impressionante turnaround" che neppure le più fantasiose e rosee previsioni del Lingotto avrebbero saputo azzardare. "Un grande regalo di Obama" sussurra qualcuno. "Il riconoscimento delle nostre capacità" dicono altri.

Per tutti a Torino è il semaforo verde da parte della Casa Bianca verso l'accordo annunciato il 19 gennaio e che tra un mese potrebbe trasformarsi definitivamente nella nascita di un colosso dell'auto italo-americano da 4 milioni di vetture all'anno. La notizia della svolta, destinata a rivoluzionare l'industria mondiale dell'auto devastata dalla crisi, arriva in Italia intorno alle 12, ora americana, di ieri. Per il Lingotto è una sorpresa, non tanto per i contenuti riferiti all'alleanza quanto per il riconoscimento dei risultati eccezionali degli ultimi cinque anni. Parole di apprezzamento e di incoraggiamento a finalizzare una solida alleanza con Chrysler alle quali Sergio Marchionne risponde, ringraziando pubblicamente il presidente Obama a nome di tutto il management del Gruppo Fiat. "Siamo fermamente convinti" dice l'ad del Lingotto "che le tecnologie ecologiche e le piattaforme per vetture medio-piccole sviluppate da Fiat giocheranno un ruolo fondamentale nel ricostruire uno stretto rapporto tra i marchi del Gruppo Chrysler e i consumatori americani".

Marchionne immaginava questa carta a suo favore giocata da Obama? Forse. Si limita a far presente questa alleanza oltre che a rafforzare la solidità finanziaria dell'azienda americana e salvaguardare posti di lavoro negli Stati Uniti "riuscirà ad accelerare in modo significativo gli sforzi per produrre veicoli a basso consumo, portando quindi a un più rapido rimborso dei fondi pubblici messi a disposizione dalla società americana". Dopo di che restituisce la cortesia alla Casa Bianca ricordando che "i colloqui con la task force del presidente Obama sono stati serrati ma leali". E aggiunge un messaggio: "Siamo convinti di poter conseguire un risultato che, assegnando la giusta priorità alla restituzione dei fondi dei contribuenti, darà un futuro credibile a questo settore industriale che è cruciale per l'economia". "Siamo davvero felici che Fiat possa giocare un ruolo chiave in questo importante sforzo". Si conclude così la dichiarazione di Marchionne che viene affidata alle agenzie intorno alle 19 di ieri, al termine di un pomeriggio che lo ha visto impegnato in colloqui con i collaboratori che seguono il capitolo Chrysler e telefonate con il presidente Luca di Montezemolo e il vice, John Elkann, attualmente in America. A quell'ora ha chiuso anche la Borsa che non sembra aver recepito il messaggio dagli Usa avendo "punito" il titolo Fiat con un calo di oltre un 9 per cento e una chiusura a quota 4,77.

Ma in quella che al Lingotto ricorderanno come una giornata memorabile l'attenzione più che su Piazza Affari è concentrata su Washington. Adesso in casa Fiat hanno trenta giorni per chiudere con la Chrysler e sessanta per capire che cosa succederà in GM e come sarà ridisegnata l'industria dell'auto negli Usa e nel mondo. Marchionne lo aveva anticipato all'assemblea degli azionisti di venerdì scorso quando, anche se a Torino non lo ammettono, aveva già qualche sentore su come sarebbero andate le cose in America. Ora ha la certezza nel senso che sa che l'epicentro della grande risacca dell'auto sono gli Stati Uniti. E certo ai vertici Fiat non dispiace di essere su questa scena. A Torino sanno che la mossa di Obama è importante per affrontare il nodo della sovraccapacità produttiva che imporrà presto un ridimensionamento del numero dei players.

E anche per i colloqui con altri interlocutori che continuano ad andare avanti, con particolare attenzione al versante francese dove i contatti con la Peugeot proseguono. E forse ora possono prendere una direzione diversa e meno problematica per i torinesi . Nel mondo si producono 94 milioni di vetture: ce ne sono almeno 30 in più, come risultato di una capacità produttiva di un terzo superiore alla domanda del mercato. Questo vuol dire che o si riduce drasticamente il numero dei competitor o si procede a fusioni e ristrutturazioni. Con una novità: il delicato processo vedrà sulla scena attori nuovi, ovvero i governi che hanno un ruolo importante nel finanziare la lotta alla crisi.

Questo vale per gli Stati Uniti ma anche per l'Europa dove già qualche governo ha preso decisioni autonome, come ha fatto Sarkozy. E' uno squilibrio che la Fiat continua a sottolineare indipendentemente dalla partita americana. Quando i vertici del Lingotto ripetono che gli aiuti devono essere dati in modo da non creare ingiuste posizioni di favore di fatto chiamano in causa il governo italiano. Anche se lo fanno indicando come decisiva una politica mirata a livello europeo. Che però sinora non si è vista. E che potrebbe riproporsi se, come dice qualcuno a Torino, la crisi dell'auto sarà portata al tavolo del G20.

(31 marzo 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 31, 2009, 04:00:05 pm »

31/3/2009 (7:15) - RETROSCENA

La svolta Usa dopo il viaggio di Marchionne
 
"Siamo felici di poter giocare un ruolo chiave nel rilancio"

VANNI CORNERO
TORINO


Questa alleanza non solo permetterà a Chrysler di rafforzare la propria solidità finanziaria, ma contribuirà anche a salvaguardare posti di lavoro negli Stati Uniti», così l’ad Fiat, Sergio Marchionne, incassata la benedizione della Casa Bianca, risponde con una nota nella quale ringrazia «pubblicamente il Presidente Obama a nome di tutto il management del gruppo Fiat per le parole di apprezzamento che ha avuto nei confronti del lavoro fatto negli ultimi cinque anni e per il suo incoraggiamento a finalizzare una solida alleanza tra Chrysler e Fiat». Il presidente Usa definisce la Fiat «partner ideale» per l’azienda automobilistica di Detroit e dietro questo consenso assoluto c’è l’effetto della missione di Marchionne negli Stati Uniti, un viaggio durante il quale è stato fatto tutto il possibile per assicurare buone opportunità di portare avanti l’intesa.

«I colloqui con la task force del presidente Obama - conferma l’ad del Lingotto - sono stati serrati, ma leali. Siamo convinti di poter conseguire un risultato che, assegnando la giusta priorità alla restituzione dei fondi dei contribuenti, darà un futuro credibile a questo settore industriale cruciale per l’economia. Siamo davvero felici che Fiat possa giocare un ruolo chiave in questo importante sforzo». Obama vede in Fiat, pronta a trasferire la sua tecnologia di punta alla Chrysler, la garanzia per erogare all’azienda Usa altri sei miliardi di dollari, ma chiede anche di far presto, perchè venga portato a termine in trenta giorni «un accordo solido che protegga i consumatori americani». E Marchionne assicura: «Siamo fermamente convinti che le tecnologie ecologiche e le piattaforme per vetture medio-piccole sviluppate da Fiat giocheranno un ruolo fondamentale nel ricostruire uno stretto rapporto tra i marchi del Gruppo Chrysler e i consumatori americani.

L’alleanza riuscirà ad accelerare in modo significativo gli sforzi per produrre veicoli a basso consumo, portando quindi ad un più rapido rimborso dei fondi pubblici messi a disposizione della società americana». Sui tempi, per Torino, non ci sono problemi, visto che, già venerdì scorso, all’assemblea Fiat, Marchionne aveva detto: «Noi siamo pronti, se con Chrysler sarà tutto ok potremo vedere nel 2011 la prima macchina. Il problema sono le normative sui motori che devono superare certi test in America e per questo ci vogliono almeno 24 mesi». Intanto ieri un comunicato di Chrysler annunciava il raggiungimento di un accordo con Fiat e Cerberus «su uno schema di alleanza globale, con il sostegno del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti».

Non si tratta, però del patto per il completamento dell’intesa posta da Obama come condizione per l’erogazione di nuovi aiuti federali, ma, secondo una precisazione di Chrysler, «un accordo basato sulla revisione di quello precedente, non vincolante, siglato con Fiat». Bob Nardelli, che guida il gruppo Usa, non nasconde d’altra parte che esistano «ancora notevoli ostacoli da superare». In Italia i sindacati accolgono con cautela gli annunci dall’America. Per il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, «L’intesa con Chrysler può avere un senso, ma forse non è risolutiva dei problemi che la Fiat ha in Italia». E il segretario generale della Fiom torinese, Giorgio Airaudo, avverte: «Bisogna verificare se le condizioni poste da Washington siano più impegnative di quanto immaginato. Non bisogna sottrarre risorse agli investimenti in Italia e in Europa».

da lastampa.it
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 01, 2009, 12:36:57 pm »

Fiat: Marchionne a Detroit per trattare nozze con Chrysler

 Dell'inviato Manuele Riccardi


AUBURN HILLS (MICHIGAN) - C'é il più stretto riserbo intorno alla visita che il numero uno della Fiat, Sergio Marchionne, sta facendo in queste ore negli Stati Uniti, a Detroit e a Washington, per mettere a punto i dettagli di un accordo con la Chrysler, in meno di 30 giorni. La Fiat non parla e a Detroit è impossibile ottenere una conferma di un suo incontro con l'amministratore delegato della casa automobilistica statunitense, Bob Nardelli, che secondo il Wall Street Journal potrebbe fare la fine del suo collega di Gm, Rick Wagoner, licenziato domenica dalla Casa Bianca. Difficile non vedere la sede della Chrysler: nei pressi di Auburn Hills, è l'unico grattacielo lungo l'autostrada che da Detroit, la città dell'auto del Michigan, porta a Flint, la cittadina industriale che fino a pochi anni fa era sinonimo di Gm uno dei tre colossi di motor city, ora in profonda crisi. E' un grattacielo recente, di color ocra marrone, con la stella della Chrysler nel bel mezzo della facciata.

Raggiungere l'ingresso del quartier generale non è difficile e sembra di trovarsi in una moderna cittadella, tutta in mattoni. C'é poca gente, un immenso parcheggio sotterraneo. L'atmosfera è ovattata, non si respira la crisi che sta spingendo la casa automobilistica verso il fallimento se non verrà concretizzata, in un mese, l'alleanza con la Fiat. Di Marchionne nessuna traccia all'ingresso. Il suo nome non é stato inserito nel computer, e neppure quello di Alfredo Altavilla, il responsabile per il business development, il negoziatore di punta della casa del Lingotto.

Ovviamente non significa niente, anche perché il viaggio da Torino a Detroit è stato verosimilmente deciso in tempi rapidi, dopo l'ultimatum che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha lanciato ai due colossi di Detroit che sopravvivono grazie ai fondi pubblici, Gm e Chrysler. Secondo indicazioni provenienti dall'Italia dopo Detroit Marchionne si recherà a Washington, per incontrare i responsabili della task force auto creata da Obama. Nell'accordo prospettato a gennaio la Fiat puntava al 35% della casa americana per poi prenderne eventualmente il controllo acquisendo un altro 25%.

Secondo il Wall Street Journal Casa Bianca e Tesoro Usa prevedono per la Fiat una partecipazione del 20% nella futura 'good company' che emergerà dalla inevitabile ristrutturazione. Una good company alla quale potrebbero poi essere versati fino a 6 miliardi di dollari di fondi pubblici per costruire auto più piccole e più pulite di quelle attuali, se verrà raggiunto l'accordo con la Fiat. Ma se un giorno la casa torinese deciderà di acquisire una quota superiore al 49% dovrà rimborsare tutti gli aiuti pubblici. Sempre secondo il WSJ l'amministrazione Obama intende azzerare la quota del fondo Cerberus che possiede l'80% di Chrysler e non ha intenzione di fare nuovi investimenti. Cerberus conserverebbe però la quota di controllo del braccio finanziario della casa automobilistica, Chrysler Financial. 

da ansa.it
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