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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO - ...  (Letto 39342 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Agosto 26, 2007, 09:39:09 pm »

Il vicepresidente del Consiglio affitta una sede a Roma per i «coraggiosi»

Il Pd e le alleanze Rutelli con Veltroni

Il leader della Margherita: le coalizioni non sono a vita

No della Bindi: dobbiamo restare con questo schema 


BOLOGNA — Parlano ormai all'unisono vicepremier e segretario in pectore, delineano «maggioranze di nuovo conio» che escludono la sinistra radicale, progettano nuove linee di politica fiscale. Una corrispondenza d'amorosi sensi che segna una svolta programmatica e strategica nella campagna elettorale per le primarie e allarma gli alleati, presi in contropiede dal ritrovato feeling tra Walter Veltroni e Francesco Rutelli. «È una intesa molto profonda e molto seria» conferma il senatore Antonio Polito, tra gli ispiratori dei «coraggiosi ». Il periodo delle punzecchiature reciproche è alle spalle e ora i due, convinti che il dopo-Prodi sia già iniziato e che si rischia di tornare al voto in qualunque momento, giocano di sponda per costruire a loro immagine e somiglianza quel «partito maggioritario» che Veltroni si candida a guidare. Il sindaco lo ha scritto venerdì su Repubblica eilministro, determinato a marcare il suo profilo innovatore al punto da aver preso in affitto nel centro di Roma una sede per i suoi «coraggiosi», lo ha ribadito sulla prima pagina di Europa, sotto il titolo «Che cos'è un centrosinistra di nuovo conio». Per il primo cittadino di Roma è «una rivoluzione culturale e morale», è una «visione antimachiavellica della politica», è un Pd che pur di non arrivare alle urne «all'interno di coalizioni disomogenee sul piano programmatico» accetta il rischio di «correre da solo». L'esatto contrario dell'Unione di Prodi insomma, alla quale il nuovo tandem democratico rimprovera di aver messo su la coalizione più ampia possibile, a prescindere dalla effettiva capacità di governare il Paese.

Per cambiarla davvero, l'Italia, spinge avanti il ragionamento Rutelli, nel prossimo futuro il leader dovrà «decidere le alleanze in base al progetto in campo» e non viceversa. Con la conseguenza che gli alleati di oggi «non è detto che lo siano a vita». Fuori Diliberto e Giordano e dentro Casini? La teoria delle mani libere, anticipata mesi fa dal pamphlet di Polito Oltre il socialismo. Per un partito (liberal) democratico, insospettisce Rosy Bindi, la candidata che più ha incalzato Veltroni sul tema delle alleanze: se Giordano non tira troppo la corda si possono fare ancora «buone cose» assieme, anche perché se pure il Pd prende il 35 per cento come farà a governare da solo? «Il problema delle alleanze — avverte la ministra — ci sarà sempre ». Se non prefigura un nuovo ticket, di certo l'asse tra Veltroni e Rutelli indebolisce la posizione del numero due Dario Franceschini, portatore di una tesi opposta a quella dei «coraggiosi» per questa legislatura e per la prossima il centrosinistra deve restare quello che è. Da Malta il leader dell'Udeur Clemente Mastella plaude a Veltroni e dunque anche a Rutelli: «Solo coalizioni omogenee garantiscono governabilità». Che la rotta delle nuove alleanze sia il centro il sindaco non lo dice, come non può dire che il «ribaltamento dello schema tattico che ha dominato il bipolarismo » spiana la via al sistema tedesco, o comunque a un modello che non preveda premio di maggioranza. E mentre Veltroni prova a spostare l'attenzione sui programmi, gli inseguitori si assestano colpi bassi. Giorgio Gawronski contro Enrico Letta: «È vero che hai usato personale di Palazzo Chigi per la tua campagna elettorale? ». La smentita è secca, «illazioni calunniose ».

Monica Guerzoni
26 agosto 2007
 
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« Risposta #16 inserito:: Agosto 31, 2007, 12:03:19 am »

Finocchiaro: «Fedeltà a Prodi ma guardiamo al futuro»

Simone Collini


«Ma qualcuno pensa che con simili discussioni noi motiviamo le persone a partecipare alla fase costituente del Partito democratico?». Anna Finocchiaro non lo pensa. La polemica «incomprensibile» di Arturo Parisi nei confronti di Walter Veltroni ma anche Rosy Bindi che parla di candidatura degli apparati. Per non parlare di Rifondazione comunista che ne approfitta per sostenere che il Pd destabilizza il governo.

«La capogruppo dell’Ulivo al Senato, che alle primarie di ottobre si candiderà nella lista caratterizzata dai temi dell’innovazione (quella lanciata a fine luglio da Melandri, Realacci, associazioni giovanili ed esponenti della Cgil) è piuttosto preoccupata: «Questa doveva essere una fase attraente, durante la quale ciascun candidato segretario avrebbe naturalmente potuto mostrare la sua diversità rispetto agli altri, ma senza mai mettere in discussione la volontà e l’ambizione di ciascuno di costruire uno stesso partito».

Invece, presidente Finocchiaro?

«Assistiamo a discussioni che non rendono allettante il dibattito sul Pd. E questo non può che essere un problema se vogliamo fare un grande partito dei riformisti, aperto, plurale, che riesca a raccogliere forze che non sono esclusivamente quelle dei partiti di partenza e che abbia una vocazione maggioritaria. La discussione va fatta sui contenuti, sui progetti, non si può parlare in continuazione di due temi che considero, invece, totalmente fuori discussione».

E sarebbero?

«La fedeltà a questo governo, che è l’unico possibile e che va sostenuto in ogni modo, e il fatto che stiamo partecipando a un’operazione che è tutto tranne che la sommatoria di due partiti, e tanto meno di due apparati. Queste due questioni sono fuori discussione. Se invece continuano a rimbalzare, come è avvenuto in questi giorni, allora sì che il dibattito appare davvero tra ceti politici, da notabilato».

Possibile che la cosa sfugga a uno attento come Parisi, che se l’è presa con Veltroni perché ha detto che il suo obiettivo è consolidare e non sostituire Prodi?

«Non le ho capite le argomentazioni di Parisi. È un mio limite naturalmente, ma ho ascoltato il discorso che ha fatto a Telese e non l’ho capito».

E però se la spiega in qualche modo questa uscita?

«Quello che vedo è un limite complessivo della discussione in atto. E cioè che stiamo ragionando come se ci trovassimo in un quadro immutabile di scenari e di vincoli. Dove vincoli non necessariamente è usato in un’accezione negativa».

Che cosa vuole dire?

«Eravamo partiti da un’altra idea rispetto al Pd, e cioè che poiché non bastavamo più al paese dovevamo costruire un grande partito che avesse l’ambizione di essere maggioritario, che fosse in grado di raccogliere classi dirigenti, associazioni, personalità, che coinvolgesse milioni cittadini, un grande partito dei riformisti italiani. Questa doveva essere la nostra risposta alla crisi della politica. Ma se continuiamo a muoverci in questo quadro dei vincoli, ogni giorno ci sarà una polemica sul fatto che Veltroni vuole sostituirsi a Prodi o su Rifondazione che dice che il Pd destabilizza il governo. Quando assisto a queste discussioni rimango allibita, anche perché il nostro è il tentativo più serio, impegnativo e anche rischioso che sia stato messo in campo».

Non è che gli altri stiano del tutto fermi, dal Prc all’Udeur.

«Sì, la sinistra sta cercando di costruire la Cosa rossa, l’Udeur persegue una strategia centrista. Ma a maggior ragione ciò dimostra che questo è un passaggio politico che prelude al dopo. È il dopo che dobbiamo costruire. Come è possibile che stiamo inchiodati a una discussione che dà per immutabile lo scenario e i vincoli attuali? Mi pare che stiamo rischiando tutti di perdere un’occasione».

Insomma non è un tabù parlare di alleanze future o ipotizzare che un domani il Pd corra da solo?

«Scusi ma se si decide di liquidare due partiti, di cui uno fondato nel 1921 e l’altro con radici nobilissime, secondo lei lo si fa per fonderli insieme o per dar vita a un grande partito a vocazione maggioritaria? Se non fosse quest’ultima la ragione saremmo dei pazzi».

Però facendo simili ragionamenti oggi si mette in discussione la realtà attuale, obietta qualcuno.

«Non è così. Non si tocca né questa maggioranza né questo programma, tanto per essere chiari. E questo perché il governo Prodi garantisce in questo momento al paese il massimo possibile di equità, sviluppo, diritti, innovazione, riforme. Ma dobbiamo costruire il futuro. E sappiamo quali sono i tempi della politica. Forse qualcuno pensa che bastino uno o due anni per costruire uno scenario politico diverso? Con il Pd noi stiamo cambiando il sistema politico italiano, perché abbiamo capito che questa è una delle questioni di blocco della nostra democrazia e dello sviluppo del paese, della sua modernizzazione».

Lei guarda lontano ma ci sono problemi più immediati: Giordano si dice pronto a ridiscutere il governo se Rutelli o altri puntano a modificare il programma dell’Unione.

«Noi dobbiamo continuare a lavorare per nutrire il programma. Una discussione politica tra alleati, per di più in una situazione così difficile per il paese che ha la pressante necessità di essere rimesso in movimento, non può essere fatta a colpi di ultimatum».

Dice Giordano: dobbiamo riprendere la connessione sentimentale con il nostro popolo.

«Benissimo, un’espressione gramsciana che io amo. Ma la connessione sentimentale in questa situazione dobbiamo stabilirla col paese. Non possiamo pensare, visto che siamo al governo e non all’opposizione, di costruirla uno contro l’altro, creando ulteriori barriere, divisioni, conflitti. Spinte diverse nella coalizione ci sono e bisogna gestirle politicamente con saggezza, con prudenza, e soprattutto senza sacrificare la possibilità di un cambiamento, per tutti positivo. In queste condizioni, il tutto e subito se no me ne vado non può funzionare».

Lei si candiderà in qualche lista, il 14 ottobre?

«Sì, in quella che nasce dal manifesto “ambiente, conoscenze e lavoro”».

Perché ha scelto questa lista piuttosto che quella in cui si candideranno la maggior parte dei dirigenti dei Ds e della Margherita?

«Il Pd ha la necessità di tenere nella propria anima l’essenza moderna e positiva della sinistra italiana e noi dobbiamo disseminarci come il sale della terra».

Il sale della terra?

«È una battuta naturalmente, non voglio paragonarci a tanto. Seriamente, c’è la necessità politica che ci si mischi già nelle liste. Io voglio dare il mio contributo ad una lista che per apertura e “mescolanza” di soggetti somigli davvero molto all’idea di Pd che ho».

Ha mai pensato di candidarsi a segretario nazionale?

«Brevemente».

Pentita di non averlo fatto?

«No, perché quando Veltroni ha dato la sua disponibilità ho capito che quella era la soluzione migliore e la prospettiva più unificante».

Pubblicato il: 30.08.07
Modificato il: 30.08.07 alle ore 8.44   
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« Risposta #17 inserito:: Settembre 02, 2007, 12:07:04 pm »

Tre numeri, un programma: cento, due e zero

19 luglio 2007


L'impegno a candidarmi m'ha travolto la vita, peggio (molto peggio) di quello che m'aspettavo.

Il sindaco Veltroni in più di una riunione ha definito "velleitaria" la candidatura, manifestando la volontà di ostacolarla in ogni modo; i meccanismi elettorali del 14 ottobre sono stati costruiti affinché nessun outsider possa piazzare anche solo un membro dell'assemblea costituente che non passi il vaglio di un accordo preventivo; si voterà in tutti i comuni, nelle sezioni di partito, certo non ci sarà il Viminale a controllare; oggi nella rassegna stampa Massimo Bordin m'ha fatto pagare su Radio Radicale l'amicizia con Daniele Capezzone, invitando i media (senza motivare in alcun modo) ad ignorare la candidatura di un under 40, con brevi considerazioni ai limiti dell'insulto.

Ma abbiamo un patrimonio: noi stessi e le nostre idee.

Noi stessi. Non avete idee di quanti siamo. Avevo in mente di riproporre la metafora dei Trecento contro il milione di Persiani, a me tanto cara perché ha insita un'idea di sacrificio di pochi per una libertà futura di molti. Ma siamo molti di più, avete sommerso l'email adinolfi2007@gmail.com di disponibilità a dare una mano e c'erano anche molti over 40 a cui diamo un caldo benvenuto. Chi non l'ha fatto ieri, lo faccia oggi. Mandate una email con un cellulare, vi richiamerò io stesso o qualcuno di Generazione U che sta costruendo fattivamente l'operatività di questa battaglia, con Marco De Amicis che ha il ruolo ingrato di campaign manager (grazie Marco). A tutti chiederemo di far parte del Comitato Promotore "Si può fare": farà parte del Comitato Promotore chi si impegna a raccogliere trenta firme per la candidatura sugli appositi moduli, entro il 30 luglio. Il Comitato Promotore "Si può fare" sarà l'organismo che deciderà poi le candidature alle segreterie regionali e alle assemblee costituenti del Pd nazionale e regionali. Ci presenteremo in ogni contrada d'Italia, statene certi, a chi c'ha dato dei velleitari oggi, domani forse ci ripenserà. Dipende dalla disponibilità all'impegno di ciascuno di noi. I moduli sono scaricabili da internet, ma prima di fare autonomamente qualsiasi cosa mettetevi in qualche modo in contatto con noi, in maniera da avere le istruzioni precise. Comunque, per tutti, sabato 21 luglio alle 12.30 faremo una riunione organizzativa "fisica" per chi vuole alla libreria Montecitorio di piazza Montecitorio.

Le nostre idee. Le idee di fondo (democrazia diretta, rappresentanza generazionale, rottura degli schemi oligarchici dei partiti, sostegno al referendum elettorale) che hanno animato la candidatura sono contenute nell'appello "In nome di quel che sarà", pubblicato ieri al lancio della candidatura. Ci impegniamo però anche su delle proposte concrete su cui intendiamo orientare il partito democratico, se dovessimo vincere la competizione del 14 ottobre, quella a cui ci presentiamo da "velleitari". Le proposte si articolano su tre numeri: cento, due, zero.

Cento è la quota che consideriamo credibile per sostenere il sistema pensionistico e non avviare la generazione dei nati negli Anni Settanta e Ottanta a pensioni da fame. Quota cento significa sessant'anni di età e quaranta di contributi, sessantacinque anni di età e trentacinque di contributi, e così via, fatti salvi i lavori veramente usuranti, con parificazione dell'età tra uomini e donne, come proposto giustamente da Emma Bonino. A quota cento può diventare credibile che noi trentenni e quarantenni di oggi, dopo aver lavorato quarant'anni, possiamo andare in pensione con uno straccio di assegno che garantisca la sussistenza. Altrimenti, con l'accordo che si profila a quota 96, un'altra ipoteca pesantissima sarà messa sul nostro futuro e, dopo lo scippo del Tfr, ci ritroveremo definitivamente a vederci scippata una vecchiaia almeno vivibile.

Due è la percentuale del Pil italiano che vogliamo sia investita in ricerca scientifica, da subito, partendo dall'assegnazione di strumenti di decenza economica per i giovani ricercatori universitari, svincolandoli dal baronismo e dalla fame in cui versano oggi. Due è anche il numero della coppia, della giovane coppia, che deve essere tutelata in quanto tale se assume l'impegno ad essere un nucleo stabile di amore e lavoro comune all'interno della società, a prescindere dall'orientamento sessuale. Due sono i bisogni primari da soddisfare in questo senso: casa e lavoro. E da qui deriva lo zero.

Zero. Vogliamo zero interessi sugli interessi dei mutui per le giovani coppie che acquistano la prima casa, con risorse pubbliche che si liberano dalla ristrutturazione del welfare attraverso la proposta "quota cento", che potrà prevedere ammortizzatori sociali degni di questo nome, che trasformino la flessibilità in una condizione dell'opportunità, non nella schiavitù che è oggi per milioni di giovani lavoratori precari. Vogliamo zero vincoli all'ingresso nelle libere professioni, che devono essere libere appunto, dopo l'ottenimento dei titoli di studio per esercitarle. Vogliamo zero dubbi sul fatto che lo Stato è laico, laico, laico e lo stesso zero dubbi sul fatto che la Chiesa abbia diritto di esprimere in piena libertà le proprie opinioni, perché il partito democratico è l'occasione storica per abbattere definitivamente un anacronistico steccato. Vogliamo zero discussioni attorno al fatto che l'emergenza ambientale è una questione primaria, che se non recuperata ora nell'agenda delle priorità della politica, rischia di scaricare i suoi prezzi letali su di noi e sui nostri figli. Vogliamo zero costi della politica che dovrebbe essere costruita tutta su base volontaria, come questa candidatura e vogliamo zero caste: azzerare non solo la casta dei politici corrotti, cancellando dalla possibilità di ricandidatura i condannati con sentenze passate in giudicato, ma tutte le caste che dalle loro torri d'avorio hanno trasformato questo splendido paese in una terra del neofeudalesimo. Vogliamo zero vincoli all'accesso alla rete, alla scaricabilità di contenuti in peer to peer per l'utilizzo personale, alla diffusione della banda larga anche attraverso il WiMax, all libertà del web. Zero mafia, zero camorra, zero 'ndrangheta, zero omissis sui misteri d'Italia, zero rispetto per i terroristi, zero trame oscure, zero strapotere delle banche, zero conflitti d'interesse, zero dominio della politica sull'informazione e sulla Rai, zero umiliazioni per i consumatori, zero evasione fiscale, zero riduzione in schiavitù di bambini rom e giovani prostitute, zero disparità e conseguente parità piena della condizione femminile. Zero sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in qualsiasi forma, anche in quella moderna di un contratto co.co.pro in un call center a seicento euro al mese.

Ci batteremo per questo, per tutto questo, con nettezza e senza mediazioni possibili. Non è un libro dei sogni, anzi, non è un sogno. E' un progetto per un'Italia libera e forte.

Un progetto per titoli, che sarà riempito dalle idee di ciascuno di voi, che declinerà a suo modo ognuno dei titoli, con gli approfondimenti che riterrà di fare.

 adinolfi2007, adinolfi
da www.marioadinolfi.ilcanocchiale.it
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« Risposta #18 inserito:: Settembre 02, 2007, 03:59:48 pm »

Veltroni e Mussi a Orvieto. «Divisi ma dialoganti»
Rachele Gonnelli


Molto fair play ma una serata freddina, a Orvieto, dove per la prima volta si sono confrontati in pubblico Walter Veltroni, probabile prossimo leader del Pd, e il fondatore della Sinistra democratica, il ministro dell'Istruzione Fabio Mussi. Sul palco nell'introduzione subito si chiarisce che almeno e per la prima volta la separazione da uno stesso partito non ha dato luogo a rancori e rivalse. È uno stile. Ma per il resto - riferimenti culturali e orizzonti - restano profondamente distanti.
Mussi conferma tutte le sue perplessità dell'ultimo congresso della Quercia a Firenze sulla «fusione fredda» tra Ds e Margherita. Il sindaco di Roma conferma un'apertura al dialogo con chi non è rimasto nel Pd ma si tratta di un a priori logico . La platea poi, che è tutta a favore di Mussi, anche se applaude Veltroni in due-tre occasioni, lo fa più quando Veltroni ribadisce il suo fair play che sui contenuti del suo discorso. «Il nostro sogno - dice Veltroni - ora si sta realizzando. Il fatto che voi non ne siate protagonisti, non significa che tra la Sinistra Democratica e il Partito Democratico non ci possano essere iniziative comuni su alcuni temi. Teniamo aperto il filo del dialogo. Facciamo coesistere - ha concluso Veltroni - le nostre diverse posizioni».

Il sindaco di Roma ribadisce in ogni caso tutte le sue, senza attenuare le critiche su quelle diverse della sinistra.  Ad esempio per lui la sinistra, soprattutto quella più radicale, non ha perso «il vizio pericoloso di non assumere il tema della sicurezza dei cittadini come una priorità». Per Veltroni c'è  «un riflesso pavloviano», automatico, che «ci dice che dobbiamo essere sempre dalla parte dei più deboli e allora una anziana scippata e pestata per strada è lei la vittima? Certo - tiene a precisare - dobbiamo anche preoccuparci delle politiche sociali per evitare questi episodi, ma non possiamo chiudere gli occhi rispetto a quello che è evidente. Per aver detto questo si sono scatenati tutti contro di me. Mi ha ricordato cose che nel passato venivano su altre posizioni a difesa delle istituzioni della Repubblica. È un vecchio vizio che la sinistra non ha perduto, quello di cercare un nemico e di puntarlo con il dito, come un obiettivo».

Altro punto dolente: la partecipazione alla manifestazione del 20 ottobre. All'interno di Sinistra democratica anche Mussi ha detto che avrebbe preferito una iniziativa non di piazza per contestare i termini dell'accordo sul welfare non soddisfacenti... Non tutti all'interno di Sd lo hanno applaudito per questo. Non Cesare Salvi, convinto della manifestazione insieme a Pdci, Prc e Verdi. Mentre Gavino Angius ha speso parole persino più dure di quelle di Mussi.

Ora Veltroni rincara la dose. Ammette che il protocollo sul welfare incluso nell'accordo sulle pensioni non è il massimo. La precarietà non è una conseguenza necessaria della flessibilità, ma «è un male sociale che va contrastato e combattuto». Di più. La precarietà «è la più grande questione sociale aperta in Italia», la «più urgente». L'aveva detto anche nel discorso del Lingotto a Torino candidandosi alla guida del Pd. Ma a suo dire l'accordo sul welfare è un passo avanti. Dunque: «Perché dare questa rappresentazione - cioè una rappresentazione negativa - all'opinione pubblica?». E in ogni caso , si chiede,come definire chi manifesta contro un accordo, peraltro firmato con i sindacati, dal governo di cui si fa parte?. «Questo non va, non funziona».

Si passa alla radice della ferita. I dieci punti sbandierati come nuovo programma per le cosiddette alleanze "di nuovo conio". Questi dieci punti mettono in difficoltà la coalizione e appongono una data di scadenza al programma dell'Unione faticosamente redatto in 280 pagine?«La prossima volta - afferma Veltroni-  avremo bisogno di un programma certo, chiaro, riconoscibile. Non 280 pagine, ma poche cose su cui essere d'accordo. E poi avremo bisogno di una coalizione coesa che, il giorno dopo aver vinto le elezioni, non organizza manifestazioni uno contro l'altro». E siamo ad un altro «non va».

Certo, Veltroni vuole mantenere una porta aperta verso gli ex diessini dell'altra sponda. «Teniamo aperto un filo di dialogo». Insomma, vediamoci, «cerchiamoci».«Continuiamo ad avere voglia di conoscere le posizioni reciproche e magari facciamole coesistere. Il Partito democratico saprà spiazzare e sorprendere in tutte le direzioni. Veniamo da una storia comune. Ci siamo lasciati nel modo più corretto possibile e senza tirarci i piatti. Spero che ci rincontreremo. Io continuo a coltivare questa speranza».

La speranza, si sa,  non è mai morta. Ma certo anche nelle parole del padrone di casa all'ospite auto invitato - Veltroni ha proposto di poter parlare alla Festa di Orvieto - non c'è l'abbraccio fraterno, il ritorno a casa o altre fantastiche ipotesi di stampa degli ultimo giorni. Salutandolo Fabio Mussi può solo dire che le strade di Partito democratico e Sinistra democratica «oggi sono divise». Anche se «non sono due treni che vanno l'uno contro l'altro». Due treni che si scontrano no, però su binari che, se non sono paralleli, allora divergono.

Pubblicato il: 01.09.07
Modificato il: 01.09.07 alle ore 19.50   
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« Risposta #19 inserito:: Settembre 04, 2007, 04:22:28 pm »

LA NOTA

Pesano le ruggini nella Margherita

Dietro il dualismo tra premier e sindaco i contrasti tra Rutelli, Parisi e la Bindi

 
Il dualismo esisteva e rimane. Ma il modo in cui viene drammatizzato da alcuni ministri prodiani finisce per farlo apparire esagerato. Romano Prodi e Walter Veltroni sono costretti a convivere; e a rivendicare identità in competizione, senza tuttavia arrivare a una rottura. Per il premier, l'esigenza di sopravvivere alla nascita del Pd significa difendere il governo tenendo a bada le interpretazioni liquidatorie di alcuni alleati. Per Veltroni, si tratta di costruire la leadership incalzando in tempi medi Palazzo Chigi da posizioni più moderate di quelle dell'Unione.

Che tutto questo sia destinato a terremotare il governo è da vedersi. Semmai, il problema sono le tensioni nella Margherita. Ruggini antiche dividono Francesco Rutelli da Prodi, ma soprattutto da ministri come Arturo Parisi e Rosy Bindi. Così, quando la Bindi critica «il contrappunto giornaliero di Veltroni» a Prodi, non si capisce se ce l'abbia col sindaco di Roma, suo concorrente alla segreteria del Pd; o soprattutto con Rutelli. Né è chiaro quanto il premier sostenga l'offensiva ulivista contro Veltroni. Le schermaglie sulla riduzione delle tasse vanno inserite su questo sfondo.
Mischiano la competizione per la segreteria del Pd, e le distanze con l'estrema sinistra dell'Unione.

Prodi assume il ruolo del mediatore, oscillando fra meno tasse e meno spese. Esagera il diessino Morando quando parla di «piena sintonia» fra premier e sindaco di Roma. Ma è vero che nel Dpef si parlava di riduzione fiscale se fossero aumentate le entrate ottenute coi soldi degli evasori.
L'opposizione si dice certa che dal braccio di ferro uscirà un governo spezzato. Nella maggioranza, il socialista Boselli considera deleteria la presenza «di due premier»: l'attuale e quello, almeno nelle aspirazioni, del futuro. Ma Veltroni ha bisogno di tempo per consolidarsi, dopo l'eventuale elezione il 14 ottobre. E il premier continua a muoversi come se dovesse durare molto. Ieri, sono bastati gli applausi di alcuni turisti emiliani a Roma per fargli dire che la gente è con lui «più di quanto non si pensi».

Il messaggio prodiano è per chi, nel Pd, ritiene che il governo sia sempre più una palla al piede, se continua ad assecondare i settori comunisti dell'Unione. L'idea di un vertice che ristabilisca una tregua avalla la tesi di uno scontro destabilizzante. Palazzo Chigi non può smentirlo, ma tende a minimizzarlo: anche se la tensione è palpabile. La prospettiva che l'attuale sindaco di Roma si candidi come capo del governo incontra l'insofferenza crescente dell'ala antagonista della coalizione. Ma non è detto che per Prodi sia un male, anzi: può offrirgli margini di manovra insperati.


Massimo Franco
04 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #20 inserito:: Settembre 07, 2007, 11:19:28 pm »

Politica

Melandri: «Il Pd rafforzerà il governo Prodi»

Natalia Lombardo


Oggi Giovanna Melandri presenta il logo della lista «Con Walter: ambiente, innovazione lavoro». Ancora convalescente dalla polmonite, la ministra per lo Sport e le Politiche giovanili spiega qual è lo «spirito» che la muove nel sostenere Veltroni.

Cosa si propone la sua lista?

«Il 14 ottobre non eleggiamo solo la leadership ma l’assemblea costituente, che dovrà anche decidere il profilo, lo statuto, i valori del Pd. C’è però molta confusione: andare a votare il 14 ottobre per accendere i motori di questo partito non vuole dire iscriversi automaticamente».

Ma non è previsto nelle regole delle primarie?

«Si, ma l’interpretazione deve essere più libera, altrimenti si limita la partecipazione, come ha detto anche Enrico Letta. Valorizziamo invece il carattere inedito, in Italia e nelle democrazie occidentali, del processo costituente al quale spero partecipino milioni di cittadini».

Qual è il contributo che vuol dare la lista?

«Nel sostenere la candidatura di Veltroni proviamo ad arricchire l’offerta politica con tre temi: l’ambiente, l’innovazione sociale e culturale, il lavoro. Stiamo mettendo insieme una lista plurale, collettiva, con persone dalle esperienze più varie».

Vuol essere «di sinistra»?

«Si può dire che è una lista dell’innovazione, per rimescolare le culture, ribaltare gli schemi. Dal contenuto innovativo nel discorso del Lingotto abbiamo tirato tre fili: l’ambiente del Sì e del progetto, i temi dell’innovazione culturale e il patto generazionale, il lavoro. Ma abbiamo uno spirito cooperativo, non siamo in competizione con le altre liste. Vogliamo allargare le adesioni a chi non ha una tessera, ai giovani, le generazioni che vivono sulla pelle la rottura della sequenza: formazione, lavoro, pensione. Il governo ha fatto i passi giusti: il Protocollo sul Welfare siglato con le parti sociali, il lavoro di Damiano, sono i primi mattoni del patto generazionale al centro dell’identità progettuale del Pd».

Quali sono i nomi della lista?

«Vari, gli “ecodem”, le persone impegnate sui temi del sapere: Andrea Ranieri, il ministro Nicolais, ricercatori, professori universitari; Achille Passoni e Beniamino Lapadula della Cgil; l’esperienza on line dei mille giovani di Luca Sofri, Marco Simoni e Scalfarotto; le organizzazioni giovanili di Ds e Dl, il gruppo dei Cento passi e tanti altri».

Come Anna Finocchiaro, un nome più legato al partito.

«Sono felice che aderisccano personalità autorevolissime sul piano istituzionale come Anna, decisiva per rafforzare questa prospettiva, o come Tiziano Treu e Damiano. C’è anche la disponibilità di Santagata».

Il cantantautore De Gregori è freddino su Veltroni...

«Ognuno è libero di sostenere chi vuole. È il bello del Pd»

Quante persone hanno aderito alla lista, finora?

«La stiamo costruendo, poi nascerà sul territorio. Per fortuna i 45 hanno stabilito che il processo costituente deve partire dal basso, e di non affidare questi temi solo alla leadership».

C’è troppa competizione? Rosy Bindi è agguerrita...

«Non voglio polemizzare con Rosy, ma ha impostato la sua campagna contro la candidatura di Veltroni, quasi delegittimandola. Mi sarei aspettata un confronto maggiore sui contenuti, ma spero che questo possa ancora avvenire, il tempo c’è».

A proposito di cose «di sinistra», è giusto il pacchetto del governo sulla sicurezza?

«L’illegalità è l’illegalità. La lotta al lavoratore al nero, sfruttato, è anche il contrasto alla microcriminalità, che non può essere delegato alla destra».

A costo di fare cose «di destra»?

«Ma perché di destra? Nego che battersi contro il piccolo scippatore o l’aggressione alla minorenne sia di destra. Dietro al lavavetri c’è il racket, ma il primo lavora per dare l’80 % al racket. Vanno affrontati entrambi».

Non si parla troppo di carcere?

«Col ministro Amato abbiamo studiato pene alternative al carcere. Discutiamone, ma non vedo perché l’educazione alla legalità sia di destra. Certo, per i giovani, più che dei graffitari mi interessa trovare una soluzione seria al problema della casa per quei 4 milioni e mezzo di tra i 25 e i 35 anni che vivono con i genitori. È piombo sulle ali della loro autonomia».

Il governo è dato sempre sull’orlo del baratro. Per lei?

«L’autunno sarà decisivo per la tenuta e il consolidamento dell’Unione, ma sono convinta che il Pd rafforzerà l’azione del governo».

Rafforzerà Prodi? Si parla già di Veltroni premier ombra.

«Prodi è il presidente del Consiglio, Il varo di un partito a vocazione maggioritaria rafforza il governo, quindi anche Prodi».

Sulla Finanziaria verranno al pettine i nodi con la sinistra radicale.

«Le posizioni sono diversificate. Per me il problema non è la manifestazione del 20 ottobre, ma la difesa del protocollo sul Welfare, che in Parlamento non va modificato se non nei dettagli. Il Protocollo è molto di sinistra nelle misure per contrastare la precarietà: i limiti chiari al tempo determinato, gli ammortizzatori sociali, il cumulo delle gestioni previdenziali (chi passa da vari contratti Co.Co.Co non perde un euro), il recupero della laurea, le risorse importanti per le pensioni più basse. Poi sullo staff leasing Damiano non esclude che si possa abrogare, ma il protocollo sul Welfare va difeso».

In Parlamento sarà dura.

«Sulla Finanziaria dobbiamo scegliere, per me è fondamentale è un intervento sulla casa: la riduzione dell’Ici e, soprattutto, le detrazioni fiscali sugli affitti per gli inquilini e per i proprietari. Così sì che si riducono le tasse e non si obbligano i ragazzi a comprare casa».



Pubblicato il: 07.09.07
Modificato il: 07.09.07 alle ore 9.25   
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« Risposta #21 inserito:: Settembre 09, 2007, 07:38:21 pm »

Domenici: «Ma quali sceriffi. Noi siamo la sinistra»

Osvaldo Sabato


«Non capisco - commenta Leonardo Domenici - perché dovremmo sentirci in difficoltà per aver fatto un provvedimento che, secondo alcuni sondaggi, ottiene tra il 65 e l’80% del consenso della gente». Quel provvedimento è l’ormai famosa ordinanza sui lavavetri, firmata proprio dal sindaco di Firenze. Da giorni non fanno altro che inseguirsi polemiche e parole che sull’altare della sicurezza si sono intrecciate con quello del futuro Partito democratico. A questo proposito, Domenici, dopo aver annunciato che non si candiderà in nessun collegio fiorentino per la costituente nazionale del Pd non chiude la porta all’ipotesi di presentarsi in un’altra città «vedremo» è stata la sua risposta.

«Mi chiede se mi arrabbio se mi chiamano sindaco sceriffo - dice Domenici - È solo una falsità». «L’ordinanza non dice che va in galera chi fa il lavavetri, prevede solo una denuncia per chi non la rispetta. C’è un articolo del codice penale che lo prevede» aggiunge. E la richiesta di più poteri di polizia fatta insieme al suo collega di Bologna, Sergio Cofferati? «Questa polemica dipende dal basso grado di alfabetizzazione di una parte del nostro ceto politico, oltre che da una certa voluta esagerazione giornalistica», insiste il presidente dei sindaci italiani.

Esagerazione, o meno, la discussione sui nuovi poteri dei sindaci non potrà decollare se prima non si conoscerà il pacchetto sulla sicurezza nelle città annunciato da Palazzo Chigi. «Dovremo vedere la nostra posizione anche con quanto emergerà dalle proposte concrete del governo» osserva Domenici. Ma la questione riguarda anche la definizione dei poteri da dare ai sindaci in relazione a nuove «tipologie» o «fattispecie» di comportamenti «illegali o illeciti». «Rispetto ai quali è possibile pensare ad un’introduzione di un rilievo penale - spiega Leonardo Domenici - ma sarei contrario all’obbligatorietà di una pena carceraria».

L’ordinanza sui lavavetri fa sempre discutere. A quanto pare anche Roberto Benigni in un suo spettacolo a Prato l’avrebbe criticata.
«Veramente ieri Benigni mi ha telefonato per dirmi che era molto dispiaciuto per quanto aveva letto su Repubblica. Mi ha detto: io ho fatto solo una battuta sui lavavetri ma la mia intenzione non era assolutamente quella di criticarti, anzi nei prossimi spettacoli coglierò l’occasione per chiarire questo punto. Devo dire che la sua telefonata mi ha fatto molto piacere».

Non le farà piacere però sentire dire che il Pd sulla sicurezza propone una politica di destra?
«Questo dibattito si è gonfiato a dismisura ed ha portato molto spesso a rappresentare le posizioni in modo estremistico, a prescindere dalla conoscenza dei fatti e della situazioni concrete. In questo senso, non perché mi intervista l’Unità, credo che il fondo di oggi (ieri n.d.r.) del direttore Padellaro ci possa aiutare a ricondurre questo confronto su basi razionali e più chiare. Anche se, lo voglio sottolineare con molta chiarezza, dobbiamo chiederci perché è avvenuto tutto questo?».

Qui entra in gioco la politica.
«È del tutto evidente che questo dibattito è stato utilizzato, da qualcuno in buona fede, da qualcun altro in modo molto smaliziato, per mettere in evidenza il solco che su alcuni punti cruciali è tracciato tra una parte del centro sinistra, quella maggioritaria che si ritrova nel Partito democratico e l’ala più radicale della sinistra, che pure è presente nella stessa maggioranza di governo. Questo probabilmente è stato voluto anche da certi ambienti, che definirei politico-editoriali, che hanno interessi a mettere in evidenza queste differenze.

Lei più volte ha chiamato in causa la sinistra radicale.
«Questa componente spera di prendere un po’ di elettorato o di iscritti al Partito democratico, dicendo: ecco il partito ha tradito i valori della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale e così via. Naturalmente, io sono per far emergere le differenze, secondo me è giusto, sono però contrario a rappresentarle in modo forzato, grottesco e distorto. Non è vero che affrontando il tema della sicurezza, cercando di dare delle risposte si fa un politica di destra».

Sì, ma per il segretario nazionale del Prc, Franco Giordano, il vostro modello più che al Partito democratico guarderebbe al partito repubblicano americano.
«Stimo Giordano ma non sono d’accordo quando Rifondazione dice: voi prendete questi provvedimenti e parlate di sicurezza ma così aizzate le folle e le spingete ad essere xenofobe e reazionaria, con il risultato di radicalizzarle ancora di più a destra. Io penso che sia vero l’opposto e mi duole che una parte della sinistra faccia un’analisi sbagliata, perché sono convinto che se un cittadino vede che nessuna forza politica, autorità o istituzione dà delle risposte, tende a farsi giustizia da solo. Se dovessi individuare un punto di differenza fra l’analisi del costituendo Pd e l’ala della sinistra radicale, direi che è questa. Ma noi non stiamo facendo affatto un’operazione di destra. Vorrei sottolineare poi l’ennesimo esempio di autolesionismo del centro sinistra italiano...».

Ancora una volta il centro sinistra si fa male da solo?
«Direi di sì, perché si dimentica che una risposta del centro destra sulla sicurezza nei suoi cinque anni di governo non c’è mai stata, non hanno fatto nulla, nonostante le sollecitazioni e gli inviti degli stessi sindaci».

Ma Rifondazione insiste nel dire che da parte di certi sindaci del Pd c’è aggressività contro i deboli.
«La nostra ordinanza sui lavavetri non intende colpire gli ultimi, noi avevamo ricevuto decine di denunce contro i comportamenti aggressivi di queste persone. Qui non siamo di fronte agli ultimi. Siamo di fronte a persone che hanno atteggiamenti che dovevano essere contrastati. La mia domanda è un’altra: non riesco a capire perché dovremmo sentirci in difficoltà se prendiamo un provvedimento che, secondo certi sondaggi, riscuote fra il 65 e l’80% di consenso della gente. Anche questa è una forma di autolesionismo, che sinceramente non capisco».

Pubblicato il: 09.09.07
Modificato il: 09.09.07 alle ore 14.59   
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« Risposta #22 inserito:: Settembre 11, 2007, 06:42:00 pm »

POLITICA

I siti web dei sei candidati alla segreteria del Pd, la vera anima delle primarie

Dallo stile kennediano a quello serio-arrabbiato, i colori di Letta, la grinta di Rosy

Video e chat, sondaggi e slogan

I siti dei candidati Pd e l'effetto Grillo

La campagna per il 14 ottobre si gioca soprattutto su internet con decine di migliaia di contatti

"Solo così abbiamo potuto costruire dal basso la nostra rete, contattare persone e scambiare idee"

di CLAUDIA FUSANI


ROMA - Non hanno ancora il potere di BeppeGrillo.it ma, anche grazie a lui, hanno capito che questa è la strada: web e clic per intercettare gli umori, capire cosa vogliono i cittadini, mettersi in contatto, sollecitare critiche e cercare consenso. In una parola provare a fare politica e ad arginare la marea montante dell'antipolitica. Specie se il lavoro da fare è tanto, il tempo scarso e i soldi da spendere ancora meno.

Parliamo di primarie. Dei sei candidati segretari. E dei loro siti, vera cabina di regia di questa campagna elettorale nonostante la sopravvivenza di certe pratiche di apparato vecchie e polverose come riunioni e spartizioni di candidature per quote e correnti.

Uno è quasi kennediano, sigla "JGS", colori polvere, slogan ("Osare è di sinistra - Responsabilità e futuro"), la faccia di Jacopo G. Schettini, il candidato con la faccia da ragazzo per bene, capelli pettinati e riga da una parte. Quello di Enrico Letta è, dice lui medesimo, "come un quadro di Van Gogh", con i colori decisi, dove il giallo è giallo e il blu è blu, "colori forti per un nuovo partito". Anche il sito di Rosy Bindi, unica candidata donna, ti entra negli occhi per il colore: arancio, passione, gioia, grinta, biglietto da visita di una che ci sta provando, "Partito democratico, davvero", recita lo slogan, ha il sapore della sfida e del braccio di ferro.

I sei competitors stanno girando l'Italia tra feste dell'Unità e della Margherita, dibattiti e convegni a 36 giorni esatti dal d-day delle primarie (14 ottobre) e, scadenza tecnicamente ancora più delicata, a meno di due settimane dalla consegna delle liste. Una vera impresa, questa delle liste, perché ogni candidato deve "coprire" con propri candidati buona parte dei 475 collegi in cui è suddiviso il territorio nazionale. Ora, se per Veltroni, forse anche per Bindi e Letta, mettere insieme un numero così alto di candidati da Trento a Canicattì può essere più semplice, la cosa non è altrettanto agevole per illustri "quasi" sconosciuti come Mario Adinolfi, Jacopo Gavazzoli Schettini e Piergiorgio Gawronski. E così il web è diventato lo strumento principe per ingaggiare simpatizzanti, organizzare comitati, raccogliere fondi, far circolare idee e programmi. E se una volta - fino a un paio di anni fa - il candidato lo cercavi e lo scrutavi nel comizio in piazza o al caffè e nel dibattito in tivù, ora "il luogo" dove incontrali è - anche, soprattutto - internet. Che d'ora in poi - dopo l'evento V-day organizzato solo sul web e ignorato dai media tradizionali - nessuno potrà più dire che è solo virtuale.

Tutti nati per la campagna delle primarie. Tutti, tranne uno, quello del giornalista, blogger, under 40 Mario Adinolfi (www. marioadinolfi.it) sceso in campo in nome di quei 28 milioni di italiani che hanno meno di quaranta anni e neppure un rappresentante in parlamento. "Un genocidio politico" a cui Adinolfi vorrebbe almeno in parte porre rimedio. "Si può fare" è la parola d'ordine per "la Generazione U come under 40, come U2, come Ulivo, come Europa, come inversione a U"; si può fare, come cantava Angelo Branduardi, "puoi volere, puoi lottare, fermarti o rinunciare". Si può cambiare, o almeno ci si può provare. Da quando è diventata ufficiale la candidatura (18 luglio) il sito ha avuto più di duecentomila clic "al netto - spiegano - dei blog individuali, e quindi dei relativi contatti, che i nostri candidati hanno aperto nei vari collegi".

Difficile battere il blogger nel suo territorio di caccia, difatti il sito è forse il più interattivo, una specie di diario elettorale work in progress, la cronaca di ogni giornata in archivio, veri e propri filmati che raccontano - con ironia e sarcasmo - "la folle avventura di un candidato senza partito". E però il team Adinolfi fa i complimenti a www. scelgorosy.it , parola d'ordine "Partito democratico, davvero", con la faccia di Rosy Bindi che sorride accattivante. C'è la biografia, cliccatissima, l'organizzazione territoriale, l'agenda, il programma, il dibattito giorno per giorno, i contatti, Rosy-chat e Rosy-blog e il forum "Idee per il Pd".. "Per noi è stato ed è uno strumento straordinario e fondamentale per la costruzione dal basso della nostra rete" racconta Chiara Rinaldini, portavoce del ministro-candidato. "Il sito - aggiunge - ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con persone che non avremmo potuto altrimenti conoscere. E' stata un'informazione reciproca, in due sensi, e non solo passiva". Tramite il sito, ad esempio, è in corso il sondaggio per scegliere il nome da dare alla lista, per ora guida il gradimento "Con Rosy Bindi, democratici davvero" ma per un po' è stato in testa "No Rosy Bindi, no democratic party". E a metà settembre, il 15, ci saranno on line le primarie delle primarie, cioè la scelta di chi guiderà le liste nei vari collegi. Uno dei cavalli di battaglia del sito sono stati i documenti con la composizione nel dettaglio, di circoscrizioni, collegi e seggi, una bussola fondamentale per preparare le liste.

Anche Enrico Letta si è candidato sul web. Era il 24 luglio e su www.enricoletta.it il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ruppe gli indugi - parecchie alleanze e qualche amicizia - per dire mi candido. Se all'epoca fu criticato - messaggio fisso, troppo televisivo, poco internauta - in un mese e mezzo il sito è diventato scoppiettante, mosso, vivace, pieno di roba, col video-viaggio della campagna elettorale, il borsino delle idee, l'agenda, la bacheca, il festival di Piacenza - la due giorni che Letta dedica al programma - 45 mila contatti in un mese, critiche ("attenzione - scrive Nicola Santini - state facendo una fusione a freddo") e approvazioni ("buona l'idea di non rendere obbligatoria l'adesione al Pd e il versamento dei 5 euro il giorno delle primarie" fa sapere Antonio Tramacere).

Un po' più "serio", quasi arrabbiato, il contatto con il candidato Piergiorgio Gawronski (www. gawronski. it). L'approccio è diretto: primo piano del viso in campo azzurro, maniche di camicia e libreria, sullo sfondo il volteggio fiero di un'aquila, il candidato attacca: "L'Italia è soffocata da una classe politica che ha smarrito senza civico, etica e missione. Caro amico/a, forse ci siamo già incontrati, abbiamo chiesto insieme il rispetto della legalità, la fine degli abusi legalizzati dei politici, del mobbing contro le persone migliori...". Messaggio impegnativo, la vera politica al servizio dei cittadini contro l'antipolitica al potere, di sicuro effetto, qualche migliaio di clic.

Più dolce l'approccio di Jacopo Gavazzoli Schettini (www. jacopo-g-schettini. eu) che si presenta come l'economista etico, 42 anni, fiorentino di nascita, europeo di adozione, repubblicano di formazione politica, appassionato di tennis ("rovescio bimane, impugnatura del diritto western") e dice chi lo manda: "All'inizio rispondevo, scherzando, la maga maghella e il priorato di Sion. La verità è che c'è una generazione che ha pagato un prezzo sociale molto alto per come è stata guidata ed indebitata la Repubblica in questi ultimi trenta anni e che chiede di cambiare pagina".

Infine www. lanuovastagione. it, la corazzata web del ticket Veltroni-Franceschini. Il più cliccato, il più ricco, il più postato, tutto il partito democratico - anima, idee, persone, filmati - in una pagina web e rlativi link dai colori azzurro-verde e il sorriso di Walter che guarda lontano. Da qui, in questo mese, sono passate idee, appelli, convocazioni, adesioni, donazioni. E' passato e passerà il cuore dibattito politico. Il sindaco-candidato posta in continuazione. L'ultimo messaggio dice: "Mi vedrete poco in televisione, non voglio partecipare al tritacarne, chiunque fa questo lavoro e lo ha fatto costruendosi il consenso pezzo per pezzo, sa che questo non nasce in televisione. Noi dobbiamo smetterla di parlare con un linguaggio politichese, con la lingua di Porta a Porta...". Meglio internet, le community e i social network. Poi c'è sempre l'antico dibattito in qualche intramontabile festa di partito.

(11 settembre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #23 inserito:: Settembre 12, 2007, 06:57:27 pm »

Caro Furio, candidati con Veltroni

Massimo Brutti


Caro Furio,

Si avvicinano le elezioni del 14 ottobre per l'Assemblea Costituente del Partito democratico. In molti stiamo lavorando affinché la partecipazione al voto sia la più ampia possibile, tale da superare i confini dei due partiti promotori. L'obiettivo, se vogliamo che il Pd nasca forte, è quello di esprimere e di unire le diverse opinioni e correnti politiche riformiste: dalla sinistra ai cattolici democratici, alle tendenze liberaldemocratiche più avanzate, a settori significativi del movimento ambientalista. Un'opera non facile: per realizzarla dobbiamo avere il coraggio del pluralismo e il 14 ottobre dev'essere l'occasione per un confronto serio tra idee e proposte politicamente riconoscibili.

Un mese fa, hai deciso di ritirare la candidatura che avevi presentato per la elezione a segretario del nuovo partito. Credo che abbiano pesato in questa scelta le numerose difficoltà pratiche derivanti dal fatto di non avere alle spalle un'organizzazione in grado di sorreggerti. Eppure, non sono pochi gli elettori e i potenziali aderenti al Pd che si riconoscono nelle posizioni da te espresse in questi anni, sia con la direzione dell'Unità sia con i tuoi scritti e più recentemente nel lavoro parlamentare al Senato, entro il gruppo dell'Ulivo. Hai dato voce ad una battaglia intransigente, che molti hanno condiviso, contro i lati oscuri della politica italiana e contro il sistema di potere berlusconiano, sostenendo - se posso dire così - un'idea nobile e radicalmente democratica di democratizzazione del paese. Da qui nasce il tuo impegno per la legalità, calpestata dalla destra, e in difesa dei principi della Costituzione.

Ebbene, le ragioni che hanno guidato il tuo lavoro, quel «no» a Berlusconi che è anche «no» all'egoismo sociale e all'arroganza del potere, non possono restare fuori dalla costituzione del Partito democratico né ai margini di esso. Di conseguenza, tu non puoi restare in una posizione defilata. Ti tocca invece il compito di agire politicamente in prima persona, per promuovere le idee in cui credi e per rappresentare tutti coloro che hanno fiducia in te.

Dunque, la proposta che ti faccio è semplice. Ti chiedo di candidarti alle elezioni dell'Assemblea Costituente del Pd in una delle liste «A sinistra per Veltroni». Le stiamo creando in tutta Italia ed io sono convinto che tu - mantenendo com'è ovvio una piena autonomia - possa convergere con le linee-guida che ci ispirano. Sono le linee di una sinistra riformista, capace di superare l'usura delle vecchie forme politiche, di affermare il primato del lavoro, l'uguaglianza delle opportunità, la laicità delle leggi e dello Stato. Una sinistra che considera il legame organico con il socialismo europeo come un elemento di forza e come il punto di partenza necessario per rinnovare ed allargare il campo socialista.

Questi punti di programma sono tutti legati ad un obiettivo più generale, che riassumerei così: i riformisti devono lavorare per costruire un'Italia civile. Come ricorderai, le due parole «Italia civile» echeggiano il titolo di un vecchio libro di Norberto Bobbio: una paziente e puntuale rievocazione di figure e tendenze della cultura nazionale che si sono orientate verso il pensiero democratco, verso gli ideali dell'illuminismo, nonostante e contro le spinte regressive così forti nelle classi dirigenti italiane. Se penso ad una tradizione ideale che dev'essere nostra, mi vengono in mente proprio gli scritti di Bobbio, la cultura laica che egli ha fatto crescere e l'intreccio di valori da cui muoveva: sobrietà della politica, amore per la libertà, serietà nello studio e nel lavoro, impegno per i diritti e per la giustizia sociale. Quest'ultima idea-guida spesso nelle pagine di Bobbio veniva ricondotta alla categoria dei diritti sociali e alla domanda storica e politica di tutela e di potere che nasce dal mondo del lavoro. Oggi in particolare essa viene dall'ampia schiera dei lavoratori precari, i cui diritti sono troppo deboli ed ai quali vanno grantiti più ammortizzatori sociali, più sicurezza.

C'è in realtà una logica profonda dei diritti, che è la logica della dignità delle persone. Da non violare, altrimenti non c'è diritto ma arbitrio. Come avviene nella formula autoritaria della «tolleranza zero», per cui si vuol combattere il crimine non con regole uguali per tutti, non con processi celeri ed equi, con forze dell'ordine leali ed efficienti, al servizio delle leggi, ma con provvedimenti repressivi d'eccezione, volti contro i gruppi sociali marginali e affidati alla dicrezionalità delle autorità di polizia. Su tutto ciò l'accordo fra noi è pressoché scontato e si tratta di una condizione essenziale per lavorare insieme.

Resta una domanda: saremo in grado di ripartire da questi principi, di adeguarli al presente, di farli diventare esperienza concreta, utile al paese? Dobbiamo mettere, caro Furio, nell'opera che ci aspetta tutte le energie di cui siamo capaci. Vorrei che lo facessimo insieme, con il tuo attivo e prezioso contributo.

Pubblicato il: 12.09.07
Modificato il: 12.09.07 alle ore 13.05   
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« Risposta #24 inserito:: Settembre 13, 2007, 10:48:34 am »

13/9/2007 (7:51) - UN MESE ALLE PRIMARIE

Walter e il rebus del Professore
 
I big ds alleati fedeli, salutari i duelli con Bindi e Letta.

Resta il nodo della futura diarchia con il premier

LUCIA ANNUNZIATA


ROMA
Strappi ce ne sono stati: quello con Prodi ad esempio, e fa male. Preoccupazioni rimangono: ad esempio, «quel Beppe Grillo lì non è per nulla da sottovalutare». I colpi sotto la cintola dei concorrenti saranno ricordati. Ma almeno due preoccupazioni sono state dissolte dall'avanzare delle cose: la discesa in campo di altri candidati, a vederla oggi, è stata una operazione positiva; e, viceversa, non si sono materializzati coloro che avrebbero potuto essere i veri avversari, gli amici-nemici, i D'Alema, i Fassino, i Bersani, la cui lealtà invece ha tenuto.

A un mese esatto dalla aperture delle urne per la elezione del segretario del Partito Democratico, è tempo di un primo bilancio nell'area che tifa per il candidato Walter Veltroni. Ieri infatti, anche formalmente, le primarie hanno fatto il primo giro di boa: la presentazione delle liste dei segretari regionali ha chiuso la fase caotica della preparazione ed ha consolidato in una competizione aperta ma chiara quel fluidissimo magma di discussioni, dispetti, e tensioni, che hanno segnato il primo tempo delle primarie. In questo secondo tempo di gioco si tratterà di organizzarle in un universo politico coerente.

Da qui il bilancio che si azzarda (o, si osa?) in queste ore fra i vari gruppi dirigenti di liste e forze che si riconoscono intorno alla candidatura del sindaco di Roma. Sia chiaro, avvertono prima di ogni colloquio questi uomini e donne, con un po' di autodeprecazione (puro stile Veltroni) e tanta attenzione a proteggere il Candidato, «queste sono solo opinioni di gente come noi, gente operativa». Ma di gente operativa, come si sa, è lastricato il mondo della politica. Per cui, interessante è intanto che il bilancio ruoti intorno a un numero: un sondaggio sulle prossime elezioni primarie in Toscana - sondaggio «da prendere in maniera del tutto orientativa» premettono, vista la difficoltà di rilevare una elezione così peculiare - dà Veltroni al 77 per cento, Bindi all'11 e Letta al 7; ma soprattutto il sondaggio dice - ed è questo il numero magico - che in Toscana pensano di andare a votare 400 mila persone. Il che significa che, pur considerando la Toscana anomala per volontà di partecipazione, e riducendo a meno della metà questo numero per ognuna delle altre regioni italiane, almeno un paio di milioni di persone dovrebbero presentarsi alle urne delle primarie del Pd.

Duemilioni, dunque. Una cifra che è insieme inferiore a quella che ha votato Prodi, «ma quella affluenza ognuno sa che è irripetibile», e il magro milioncino che la zona di contestazione della candidatura Veltroni vedrebbe come la propria vera vittoria, una affermazione sminuita del sindaco romano. La tranquillità di raggiungere questa cifra è dunque sicuramente il primo risultato messo nella fila dei più.

L'altro è, come si anticipava, la chiusura delle liste per i segretari regionali - l'evento viene nei fatti salutato con un vero e proprio sospiro di sollievo nell'area pro-Veltroni, e non tanto per i nomi in sé, «che però sono tutti di tutto rispetto, e per il resto competition is competition», quanto proprio per la fine dello stato di fibrillazione, «e, francamente, di vero e proprio scontro», che ha preceduto e accompagnato la decisione. Non è sfuggito a nessuno nel vasto campo della politica che la decisione di eleggere insieme nelle stesse primarie segretari regionali e segretario nazionale «è stata una bella mina lanciataci tra i piedi». Non fosse altro perché ha tolto al segretario nazionale uno dei suoi diritti e dei suoi piu efficaci strumenti di lavoro, cioè scegliere i propri segretari regionali. «E' successo quello che avevamo previsto - dice con filosofia un ammiratore del Sindaco -: la competizione ha fatto esplodere nelle regioni tutti gli interessi e tutte le tensioni, nel segno in gran parte di interessi locali, prima ancora che dentro un progetto nazionale».

Le Primarie Atto Primo hanno trovato infatti il loro terreno più insidioso proprio sul territorio, luogo insidioso da gestire e pericoloso da penetrare. «Il caso più difficile perché rischiava di diventare il tormentone che spuntava in ogni intervista e in ogni editoriale è stato certamente quello di De Mita», e il suo disinnesco «è stato il primo segnale che tutto si stava riportando a casa». Come abbia fatto il non-tanto-giovane Walter a convincere il definitivamente non giovane De Mita pare sia un segreto di Stato, su cui si sorvola con un gesto della mano e un sorriso di apprezzamento: «Quello lì però (De Mita, si intende) è forte».

La lista dei segretari presentata ieri va dunque guardata come la mappa di un nuovo accordo nazionale, «in cui per altro, alla fine, le proporzioni fra partiti e varie anime non è distante dalla realtà, (più o meno, 10 ai Ds, 7 ai Dl, ndr) e con varie candidature civili, come quella di Emiliano, che sono reali». Il segno positivo di questa prima fase, tuttavia, non nasconde la colonna dei costi. E per un «Massimo e Piero e Pierluigi sono stati bravissimi», ci sono anche discorsi senza peli sulla lingua. Ad esempio, nei confronti di Romano Prodi. Il candidato Veltroni è sereno come sempre, ma gli uomini che tifano per lui sono ancora molto innervositi: «La candidatura di Rosy Bindi ha avuto toni che sul piano personale non avevano nessuna ragione, è stata impostata una gara che va al di là della competizione delle idee, come ci si deve aspettare nelle primarie.

Diversa è stata la storia con Letta, che soprattutto ha partecipato per esserci e per cogliere una occasione per crescere». Il nervosismo non ha a che fare con la interpretazione delle primarie, si tiene a dire: «A guardarci oggi indietro, va detto che è stato giusto che ci fossero altri candidati. La candidature unica sarebbe stata debole». E' maturato invece un problema politico: «Questo tipo di campagna elettorale di Rosy Bindi è stata organizzata, ispirata e sostenuta da Romano Prodi». Anche nei rapporti con Rutelli l'area veltroniana giudica che non tutto ha girato proprio bene: «Ma quello è un problema dentro i popolari che ha a che fare con la scelta di Franceschini, e che è arrivato sul candidato come conseguenza». La competizione dentro i popolari ha anche alimentato l'attivismo di quello che negli ambienti veltroniani è stato percepito quasi come un vero e proprio altro candidato, sia pure ombra, il ministro Fioroni. «Si è mosso in maniera incredibile: punta al posto di Marini ovviamente», si spettegola un po'.

Ma se, appunto, certi incroci bruschi ci stanno tutti, in politica, «e sono persino salutari», l'unico elemento che invece non è facilmente assorbibile fra i capi delle liste pro-Veltroni, è proprio la tensione con Romano Prodi. Aggirarla? Assorbirla? Rassicurarla? Confrontarcisi ? Ogni approccio è stato ed è perseguito. Certo, rispetto ai primi passi delle primarie, fra Palazzo Chigi e il Campidoglio si è tornati a una notevole misura di serenità. Ma il «state attenti a non fare gaffe o a dare impressioni sbagliate al Premier», rimane la prima delle quotidiane direttive nella pur enorme lista di cautele con cui il Candidato Numero Uno si muove. Una cautela che lo ha spesso salvato nella vita da molti passi falsi. Ma qui non si tratta di rapporti personali: la convivenza diarchica fra Palazzo Chigi e il Partito Democratico è un fenomeno già allo studio dei costituzionalisti di area ulivista. Per ora, a un mese dalla aperture delle urne - e questa è l'opinione strettamente di chi scrive - rimane forse l'unica questione non dipanata sulla elezione, già in dirittura di arrivo, del segretario del Partito Democratico.

da lastampa.it
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« Risposta #25 inserito:: Settembre 13, 2007, 06:47:34 pm »

A Veltroni dico Sì

Furio Colombo risponde a Massimo Brutti che ieri su l’Unità lo aveva invitato a candidarsi nella lista «Sinistra per Veltroni»

Caro Massimo,

ho letto con attenzione la tua lettera in cui mi chiedi di partecipare alla nascita del Partito democratico. Me lo chiedi in un momento in cui la divaricazione fra i cittadini e la politica (in tutti i suoi aspetti, i peggiori e anche i più nobili) appare paurosamente grande. Una parte della politica, con il suo carico di pregiudicati e di privilegi appare indesiderabile. E un’altra parte della politica appare dimessa e passiva, in preda a una strana apatia che induce a inspiegabili fasi di silenzio, mentre scosse violente spingono avanti gruppi di interessi particolari.

Per questo alla tua lettera rispondo sì. Per questo sì ci sono ragioni che desidero condividere con te, con i lettori di questo giornale, con chi sta pensando alla strana e insolita realtà di un partito che nasce da molto ma anche dal niente, o meglio da qualcosa che finora non c’era. Comincerò dalla mia prima esperienza con il Partito democratico. Ho provato un senso di estraneità quando i 45 saggi si sono riuniti, poco e in fretta e con piglio da vecchi partiti hanno dettato in pochi giorni una montagna di regole, alcune delle quali sono apparse subito inutili e astruse mentre altre davano una sensazione non amichevole di esclusione per i non addetti ai lavori, cioè per i non interni ai partiti. Ho trovato strana la decisione presa dalla segreteria tecnica al momento delle candidature, per quanto riguarda me.

Ricorderai che le 2050 firme raccolte in poche ore con l’impegno spontaneo di lettori di questo giornale e di cittadini che di loro iniziativa hanno voluto darmi una mano mentre io non potevo muovermi dal Senato, mi erano state mandate in gran parte via fax, mentre gli originali autenticati (una procedura ottocentesca che ha saltato le leggi uliviste di Bassanini) viaggiavano per posta. Ricorderai che mi sono stati chiesti «gli originali» di ogni firma «entro 48 ore». In quelle 48 ore pendeva in Senato uno dei più delicati e importanti voti di fiducia che impediva qualsiasi distrazione. Durante l’estate ho continuato a ricevere i fascicoli originali di quelle firme ormai inutili. Ma avevo già ritirato la candidatura per la sovrapposizione fra il puntiglio burocratico dei tecnici e il voto in Senato.

Perché lo racconto? Quanto al passato per ricordare che sono stato il primo a candidarmi, quando nessun nome era ancora comparso accanto a quello di Veltroni, e io temevo, anche a causa della mia esperienza americana, che queste nostre elezioni primarie restassero senza competizione e confronto (poi sono arrivati Rosy Bindi ed Enrico Letta, Mario Adinolfi e Piergiorgio Gawronsky). Quanto al futuro ci tengo a dire che mi batterò per un partito che sia nuovo e moderno a cominciare dalla caduta delle burocrazie. Mi impegnerò perché le cose accadute e vere siano più importanti delle regole stampate in piccolo, tipo contratti di assicurazione. E perché prevalga sempre quel senso comune di cui parlano persino i codici. E il buonsenso. Dirai che è poco. Ti risponderei che non è così poco, se pensi che le presenze scomode di Pannella e di Di Pietro avrebbero sollevato ondate di scontri, incontri e fatti nuovi in un partito nascente.

In questo partito i punti di riferimento fra cui il segretario dovrà muoversi e mediare non sono - per fortuna - tanto vicini. Per esempio, non sono vicini la sinistra in cui mi hai chiesto di candidarmi nella tua lista «Sinistra per Veltroni», e il nuovo culto di un riformismo di maniera che crede davvero che assomigliare agli avversari porti più voti (ottima la risposta di Fini: tra la copia e l’originale gli elettori di destra preferiranno la vera destra). Ecco dunque un altro motivo per cui mi candido (e qui entriamo, come avrebbero detto Luciano Berio e Italo Calvino, ne La vera storia): non tanto, non solo per portare la stessa presenza e la stessa impronta che hanno segnato il mio passaggio a l’Unità (ma anche il lavoro che Padellaro così tenacemente continua) e che a volte veniva definita «sinistra estrema» per non vedere il lato appassionato della opposizione a Berlusconi, alle leggi ad personam, alle leggi vergogna, alla vasta illegalità di coloro che hanno licenziato Enzo Biagi a causa di una sola parola detta da Berlusconi («criminoso») e adesso vogliono proclamare lo sciopero del canone perché è stato nominato consigliere Rai un uomo carico di esperienza e di prestigio come Fabiani.

Confermo dunque che ciò che mi sta a cuore è allargare lo spazio di presenze, lo spazio di discussione, lo spazio di idee, per dare tante porte e finestre al partito che nasce, in modo che il clima sia poco propizio all’insediarsi di luoghi comuni e di finti dogmi.

Sto parlando del materiale di gesso con cui si elevano in tutta fretta monumenti a un riformismo adattato e di maniera, un riformismo tutto piegato alle tabelle e ai rapporti degli uffici studi delle grandi multinazionali (le conosco perché ci sono stato, so che lavorano bene, ma dal loro punto di vista e di interessi che, comprensibilmente, hanno a cuore più degli interessi del mondo) molto distratte quanto a giustizia sociale e a diritti civili.

Vorrei allargare quello spazio subito, nel corso di questa campagna elettorale, sia con confronti e dibattiti con tutti i partecipanti alle primarie, rompendo l’embargo televisivo per i «nuovi entrati» Adinolfi e Gawronsky. Sia con incontri dedicati ai temi che uniscono alcuni e dividono altri, fra coloro che si interessano (e molti si appassionano) al destino del nuovo partito democratico. Ho alcuni temi da proporre a coloro con cui lavorerò in queste settimane, nella speranza di portare al voto il numero più alto possibile di cittadini.

Propongo che si dedichino alcune occasioni di incontro al problema del rapporto con gli immigrati, e con il loro lavoro improvvisato. Vorrei ricordare che quello che fa un lavavetri senza licenza e senza permesso è molto simile a ciò che facevano arrotini e lustrascarpe italiani della prima immigrazione in America.

Propongo che ci si incontri per discutere dell’impegno che il nuovo partito intende avere sulla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata; sul rapporto con il lavoro come riferimento fondamentale di uno schieramento di sinistra; sulle garanzie per l’indipendenza dei giudici e la difesa dei giornalisti (in un Paese e con un governo, per fortuna passato, in cui giudici e giornalisti venivano spiati da servizi dello Stato); sulle alleanze immaginate o immaginabili per l’identità di questo partito, in modo da non abbandonare il tema a dichiarazioni sporadiche e a volte contraddittorie; sulla politica estera per condividere con chi vorrà votarci ciò che pensiamo del nostro futuro, ciò che ci aspettiamo per il nostro Paese. Naturalmente l’Europa e lo sforzo italiano per rimetterla in moto sarà sempre un riferimento. Come lo sarà, anche per discutere, capire, spiegare, il lavoro del governo dell’Ulivo e della sua maggioranza. Quanto al Senato, in cui tutti e due lavoriamo, e che è a rischio quotidiano, propongo di discutere una domanda: la nostra maggioranza è più fragile e in pericolo sulla sinistra o non piuttosto in qualche incrinatura poco notata sulla destra dell’Unione?

Ma mi accorgo che finora ho parlato delle ragioni per dire sì alla tua lettera e di alcune proposte per partecipare. Ma c’è, naturalmente, la ragione più importante, ed è Veltroni. Merita fiducia morale, intellettuale, politica. Merita apprezzamento per il modo chiaro con cui ha nettamente separato il campo dell’azione di governo d quello della guida di partito. Merita discussione perché il dibattito con lui è sempre intorno a temi importanti e cruciali rispetto a cui non si sottrae e non si nasconde. Merita sostegno perché è in grado di contribuire a pieno titolo al cambio di stagione di cui i cittadini italiani hanno diritto.

Fare il nuovo che non c’è ancora, che non è mai venuto dopo la cosiddetta transizione, è la scommessa. La cattiva qualità della politica, la voracità dei più forti che vogliono profittare del vuoto, la spinta all’imitazione della destra (che pure ha fallito in tutto) come bizzarra garanzia per non ripetere gli errori della sinistra. Sono tante palle al piede. Per questo, per dare una mano, è meglio esserci. Perciò grazie di un invito che accetto.

Pubblicato il: 13.09.07
Modificato il: 13.09.07 alle ore 9.33   
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« Risposta #26 inserito:: Settembre 13, 2007, 10:18:21 pm »

Il Partito democratico? Senza le donne, è ancora la «casta»

Franca Bimbi


L’appartenenza ad una casta dipende dalla nascita ed essa si riproduce per meccanismi di distinzione e di segregazione noti, legittimati ed interiorizzati anche da chi si trova collocato all’ultimo gradino. Per questo, come mostra l’esperienza indiana, la democrazia pretende l’abolizione formale delle caste, mentre è molto più difficile superare i processi culturali che continuano a riprodurle di fatto. Stella e Grillo mettono in luce gli aspetti castali della politica italiana, con denunce a volte molto pertinenti a volte meno: eppure anche a loro sfugge come la discriminazione di genere sia un aspetto non secondario, effettivo ed efficace, della riproduzione castale, sia negli esempi tradizionali che nelle democrazie, dove formalmente nessuna delle due è accettabile. Le donne nella politica italiana: ancor oggi una sottocasta? Non è solo una questione di numeri ma anche di processi di rappresentanza di fatto non aperti a tutte e tutti i cittadini, di programmi declamati di cui non vengono misurati i risultati e gli effetti. Il tema meriterebbe un approfondimento speciale anche da parte del nascente partito democratico, a partire da due domande di fondo: come nasce il Pd e come potrà crescere.

Come sta nascendo il Pd? Un partito che si presenta come simbolo di innovazione riformatrice nel nuovo secolo dovrebbe superare quasi di un balzo la foto univoca al maschile che sino ad ora, più o meno, ha contraddistinto i suoi fondatori.

Si può sperare che... due rondini facciano primavera? Sarà possibile che dalla definizione di norme che prevedono il cinquanta per cento delle donne nell’assemblea nazionale e nelle cariche, nonché dalla candidatura di una donna alla segreteria nazionale, discendano sia un puntuale rispetto delle regole che un moltiplicarsi delle «buone pratiche» volontarie, di apertura alle donne, da parte delle dirigenze dei partiti, dei comitati e delle associazioni della società civile impegnati nel processo di costruzione del nuovo soggetto politico? Una pressione femminile in tale direzione esiste, forse accolta con troppa timidezza dalle donne che hanno già superato il «soffitto di cristallo» della politica: perciò la proposta del Pd ha senso se le molte voci di donna saranno presenti sin dall’inizio, considerate sempre necessarie ed altrettanto autorevoli di quelle maschili.

Ognuna di noi, per rompere i meccanismi sottocastali che ci imbriagliano, deve sentirsi un simbolo a disposizione di molte altre, impegnandosi a valorizzare i propri talenti, costruendo reti di donne che si impegnino a loro volta a competere per quello che valgono: con un patto che travalichi le rigidità degli apparati, favorendo leadership autorevoli a tutti i livelli.

Solo così avremo il primo risultato importante: molte donne non iscritte ai partiti fondatori andranno a votare il 14 ottobre. Inoltre accontentarsi del cinquanta per cento nell’assemblea nazionale, e di una candidata-simbolo alla segreteria, senza porre la questione di una forte e «meritevole» rappresentanza femminile a livello di tutte cariche del Partito, nazionali, regionali e provinciali, significa rinunciare ad una reale competizione.

Anche la quantità contribuisce a fare la qualità. Su quali contenuti potrà crescere il Pd? Ognuno lo immagina da un differente angolo di visuale. Il mio si basa su due promesse: un partito nuovo e un partito di donne e di uomini. Propongo, ovviamente, che la «novità» venga misurata sul secondo parametro. Ce ne sono sicuramente altri: tuttavia mi pare che molti indicatori e molte consolidate riflessioni convengano nel segnalare come trasformazioni sociali tra le più rilevanti degli ultimi cento anni l’accesso delle donne alla sfera pubblica, la crescita della presenza delle donne nel lavoro e in tutte le professioni, l’allargamento della cittadinanza femminile in tutte le dimensioni: diritti sociali, civili, politici. Inoltre, la cultura occidentale considera questi cambiamenti come segno distintivo del suo contributo ad un processo universale di inclusione della voce di ogni persona e di ogni gruppo sociale nella sfera pubblica.

Dunque, il tema della cittadinanza femminile e del governo anche femminile della politica non può essere considerato un accessorio per la crescita del Pd come soggetto politico all’altezza dei nodi della società del terzo millennio.

Questa prospettiva complessiva è sfuggita, al di là di qualche cenno, sia al Programma dell’Unione che al Manifesto per il Pd: dunque è uno dei terreni dove oggi un partito nuovo potrebbe costruire una egemonia riformatrice ed anti-castale per tutto il centrosinistra. Per questo mi parrebbe necessario lanciare un Tavolo programmatico delle donne, sul modello dell’iniziativa trasversale www.ledemocratiche.it. Sono e resto convinta dalle linee generali sin qui proposte da Walter Veltroni ed in particolare dai documenti confluiti nella lista numero 2.

Tuttavia mancano ancora indicazioni per un Manifesto del Pd che parli alle donne e che potrebbe nascere, appunto, da un «Tavolo delle donne per il Pd», a cui attingerebbero tutti i candidati alla segretaria nazionale. Saremmo invogliate a partecipare in moltissime, da qui sino al 14 ottobre ed anche oltre, ad un processo fondativo di democrazia-a-due, impegnato a superare i meccanismi castali e subcastali: dunque attento a promuovere i talenti femminili anche dei migranti, degli appartenenti a religioni minoritarie, delle persone GLBT.

Il Tavolo delle donne per il Pd avrebbe il compito di rileggere l’Italia al femminile (Programma dell’Unione e Manifesto per la Costituente compresi), per un partito capace di rappresentare realmente la maggioranza dei cittadini (sinché si escludono le donne, ogni partito è voce di una minoranza!) e di includere tutte le minoranze (per ora simbolicamente presenti più al maschile che al femminile). Dovrebbe produrre un «pacchetto» programmatico, che ibridi definitivamente la prospettiva Pd interpretando il «cuore» delle culture delle donne. Al centro di quest’agenda di lavoro, dal presente al futuro prossimo, porrei la riapertura di una riflessione sulla pari dignità di tutte le fedi, religiose e non religiose, in una società multiculturale che voglia ripensare criticamente il rapporto tra istituzioni religiose e democrazia anche attraverso l’ascolto della parola femminile.

Un canovaccio del percorso dovrebbe essere aperto oggi, per continuare dopo il 14 ottobre, quando inizierà davvero la costruzione del nuovo soggetto. Deve rappresentare le molteplici competenze e le reti plurali delle donne presenti in tutto il Paese. Le donne in politica sono pronte a questa sfida, rompendo le gabbie delle loro sottocaste? In un partito che vuol essere di donne e di uomini, quanti uomini «coraggiosi» accetteranno un processo verso la partecipazione paritaria per una democrazia governante, a due?

Posso prevedere le reazioni a queste riflessioni. Il problema è anche delle donne, un Tavolo nazionale dobbiamo lanciarlo noi. Tuttavia soprattutto chi ha egemonia nella parola e nelle decisioni, potere sulle risorse e sulle regole, deve anche decidere che tipo di democrazia vuole, a costo di limitare le proprie prerogative. Altrimenti la «casta» continuerà a perpeturarsi, permettendo ogni tanto l’emersione faticosa di qualche donna eccellente.

Pubblicato il: 13.09.07
Modificato il: 13.09.07 alle ore 9.25   
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« Risposta #27 inserito:: Settembre 15, 2007, 10:48:34 pm »

Anna Finocchiaro: «Antipolitica, rispondiamo con un partito vero»

Ninni Andriolo


Il Pd costituisce «la risposta più efficace all’antipolitica». Anna Finocchiaro parla delle primarie - «Si sta discutendo poco di forma-partito» - ma anche dell’ennesimo dietro-front di Berlusconi sulle riforme. La presidente dei senatori dell’Ulivo avanza anche una proposta sulla legge elettorale: «Perché non tornare al Mattarellum?»

Presidente, 49 candidature per le segreterie regionali Pd, 3 donne in lizza. Le promesse erano diverse, ricorda?

«È la conferma che la politica, così com’è stata concepita finora, non è stata capace di cogliere le potenzialità femminili. Un limite macroscopico che il Partito democratico dovrà superare subito».

Veltroni promette il 50% di dirigenti donne. Intanto l’obiettivo per i vertici delle regioni non è stato centrato. Ogni volta si rimanda la soluzione del problema all’appuntamento politico successivo, non crede?

«Il Partito democratico nasce per rinnovare. O farà questo o semplicemente non sarà. La determinazione a dare rappresentanza politica e istituzionale alle donne è una delle ragioni fondative del Pd. Il nuovo partito dovrà raccogliere la richiesta di rinnovamento che sale dal Paese e questo non si potrà fare senza il contributo determinante dei giovani e delle donne».

Non crede stia rimanendo in ombra il tema della forma partito, della democrazia interna, del modo come dovrà organizzarsi il Pd? Non ritiene che le polemiche sul “partito del leader” nascano anche da questo deficit di dibattito?

«È vero che c’è un ritardo nel dibattito e nell’elaborazione anche di tesi tra loro contrapposte. Una cosa però già la sappiamo. L’ha ripetuta Veltroni a Piazza Farnese e io voglio ribadirla: nessuno di noi vuole il partito del leader. Abbiamo preso alcuni impegni. Abbiamo detto che la vita interna del Pd, e il suo esordio con le primarie, sarebbero stati segnati da forme anche inedite di consultazione democratica. Noi vogliamo fare un partito nuovo. Ma, sia chiaro, vogliamo fare un partito. Vale la pena ripeterlo in un momento in cui i partiti vengono considerati quasi come il cancro della democrazia. Sono convinta che di fronte alla crisi della politica la risposta sia la politica. E sia quella di un partito di massa, nazionale, radicato nel territorio, profondamente democratico, capace di dare casa a culture diverse e di ospitare dentro le sue stanze ragazze e ragazze».

Secondo Ilvo Diamanti il “popolo di Grillo” è composto, in maggioranza, da elettori dell’Unione e del Pd. Giusto liquidarlo con le spallucce dell’antipolitica?

«Dentro quel popolo c’è un po’ di tutto. C’è l’antipolitica. C’è chi emette giudizi, spiegandoci che dal ‘43 a oggi non è cambiato nulla. Ma c’è anche chi chiede con forza un rinnovamento profondo. Ecco, noi, con il Pd, diamo una risposta a tutto questo. E non è una rispostina da niente, visto che abbiamo sciolto partiti, a cominciare dal mio, che contavano su centinaia di migliaia di iscritti e che sono stati protagonisti della nascita della democrazia italiana».

Presidente, la piazza di Grillo non sarà l’unica a riempirsi di qui ad ottobre. Berlusconi promette una grande manifestazione per il 13 e la sinistra dell’Unione ne mette in calendario una per il 20. Il governo reggerà agli urti contrapposti di opposizione e maggioranza?

«Farei una distinzione tra la piazza di Grillo e quella di Berlusconi. Quest’ultimo fa il suo mestiere d’oppositore. Illudendosi, però, di poter dare al governo una spallata che non ci sarà...».

A proposito, ha sentito che il Cavaliere ha detto “no” al dialogo sulle riforme?

«Berlusconi è in chiara difficoltà. Io sono impegnata al Senato che, per via dei numeri risicati che registriamo, è la postazione più favorevole per spallate che, invece, sono fallite puntualmente. Certo, non si possono escludere futuri incidenti, ma la coalizione fino adesso ha tenuto bene, malgrado i passaggi difficili che ha dovuto attraversare».

La riforma elettorale si farà o no in questa legislatura?

«La storia di questa riforma è un continuo ripetersi di stop and go. C’è sul tappeto l’ottimo lavoro svolto dal ministro Chiti, ma se non si dovesse trovare un’intesa su quello mi chiedo se non si debba tornare al vecchio Mattarellum, anche per evitare un referendum che non risolverà nulla...».

Una posizione già assunta dal ministro Parisi...

«Guardi, io faccio una proposta minima. Possiamo esplorare la possibilità di tornare al Mattarellum, sapendo che le riforme costituzionali che si stanno discutendo alla Camera imporranno alla fine una legge elettorale che dovrà tenere conto di quelle novità. Il Mattarellum era accettato sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Potrebbe costituire una base da cui ripartire».

Presidente torniamo a parlare delle piazze. Quella chiamata a protestare contro il protocollo sul Welfare è la più insidiosa per il governo?

«Per la verità oggi quella piazza mi appare un po’ sgonfiatina. Ecco, escluderei che dalle varie piazze possano derivare problemi per il governo. Anche se non dimentico questioni politiche da prendere in considerazione con attenzione...»

La Fiom ha bocciato il protocollo del governo sul Welfare. Questo non è un problemino di poco conto...

«È una posizione che ha bisogno di una soluzione politica. E questa c’è già ed è il referendum. Vedremo se lavoratori e pensionati, alla fine, decideranno che la politica più giusta da portare avanti è quella del “tutto e subito altrimenti me ne vado”. Il protocollo sul Welfare registra indubbiamente, e Guglielmo Epifani lo aveva sottolineato tempo fa, un netto miglioramento delle condizioni dei lavoratori, dei pensionati al minimo e dei ragazzi occupati in lavori precari».

Tra le “questioni politiche” sul tappeto c’è la Finanziaria. Non teme nuovi scontri tra sinistra “radicale” e riformisti ?

«Non ricordo, in venti anni di Parlamento, l’approvazione di una Finanziaria che non sia avvenuta al termine di una corsa a ostacoli lungo un percorso accidentato. Credo che varare la prossima legge di Bilancio sarà più semplice rispetto all’anno scorso, quando vennero fatte delle scelte necessarie e dolorose. Stiamo costruendo la Finanziaria, come sempre, democraticamente».

E dopo la Finanziaria? Ci sarà o no il rimpasto? Lei si è dichiarata favorevole alla riduzione di sottosegretari e ministri...

«Io ho invitato a una riflessione politica collegata alla nascita di un partito nuovo come il Pd. Questa novità non potrà non riflettersi anche a livello istituzionale e di governo. Ma sono consapevole che questo spunto di riflessione al momento non può essere accolto. Bisogna tenere la Finanziaria, infatti, al riparo da scossoni e da spifferi che possano turbarla. La mia è una valutazione politica. Se tre partiti alla fine ne fanno uno solo qualche conseguenza questo fatto dovrà pure averlo...».

Meno ministri del Pd dentro il governo, quindi?

«Secondo me dovrebbe esserci un segnale anche in questo. Un segnale alla società italiana, innanzitutto: “è così vero che siamo un partito solo che...”. Ecco non credo alla logica di trasferirci così come siamo armi e bagagli dentro il nuovo partito...».

I fatti dicono che la nascita del Pd più che stabilizzare la maggioranza crea nuove tensioni con la sinistra radicale...

«A destabilizzare il quadro politico non è la nascita del Pd in sé, ma il fatto che questa ha anche prodotto una scissione. I compagni della Sinistra democratica, che continuano a partecipare al governo, hanno la necessità di segnare politicamente il senso della scelta compiuta».

La sintesi tra Pd e sinistra “radicale” spetta a Prodi, naturalmente...

«Certo, la necessità di una direzione politica dell’Unione sempre più pressante è nelle cose. Ad essa, naturalmente, corrisponde la necessità di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Il Pd, ne sono certa, potrà contribuire fortemente al successo dell’azione di un governo che sarà in grado di ultimare al meglio il cammino dell’intera legislatura».


Pubblicato il: 15.09.07
Modificato il: 15.09.07 alle ore 13.10   
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« Risposta #28 inserito:: Settembre 16, 2007, 07:41:04 pm »

Barbara Pollastrini: «Il Pd sarà laico, liberale e di sinistra»

Andrea Carugati


«Io il Pd lo vedo così: laico, liberale e di sinistra. Riformista? Da solo quell’aggettivo non basta. Non mi pare un aggettivo adatto, è una parola che può risultare offuscata e persino ambigua». Barbara Pollastrini, ministra per i Diritti e le Pari opportunità, parla del Pd che ha in mente. E a Veltroni, che ha annunciato che il 50% del suo gruppo dirigente sarà al femminile, dice: «Avevo già deciso di sostenerlo, ma le sue parole sul nuovo partito e le pari opportunità mi hanno confermato nella scelta. Ora attendo la prova dei fatti, con spirito vigile. Vorrei che lo stesso impegno di Veltroni lo prendessero pubblicamente tutti gli uomini candidati alle segreterie regionali. Vediamo chi ci sta...».

Ministro, che opinione ha di questo periodo di costruzione del Pd?

«Non faccio numeri, ma sento che la spinta alla partecipazione al 14 ottobre sta crescendo: c’è la percezione di un atto inedito, di una fondazione corale. Ma guardo già al 15 ottobre: sarà quello il momento decisivo per far contare davvero le intelligenze e le passioni di chi avrà avuto la pazienza di mettersi in fila e votare. Subito dopo le primarie bisognerà far sentire protagoniste le persone, con assemblee nelle città, nei quartieri, discussioni pubbliche sul profilo culturale e la forma del Pd. Abbiamo inoltre bisogno di nuovi passeggeri, e penso anche ai tanti di sinistra, della storia socialista, che non abbiamo ancora conquistato. Mi auguro che l’incontro sia solo differito».

Pensa in particolare a Sd?

«Guardo con rispetto al confronto di quei compagni e compagne e non smetto di pensare a un'idea di unità».

Questo ha a che fare anche il profilo del Pd, con le sue alleanze. C’è chi pensa a un Pd libero nelle alleanze, con lo sguardo al centro, magari disposto a correre da solo. Lei da che parte sta?

«Questo non è un partito che nasce per una stagione o solo per una pur sacrosanta esigenza di governabilità, ma ha un obiettivo più ambizioso: allargare libertà, uguaglianza, cittadinanza, dare forza a parole come pace e dialogo. Insomma, servono una rotta e una identità. Partiamo da una visione, da un'ambizione maggioritaria e poi arriviamo alle alleanze, non viceversa. Detto questo, non sono d’accordo sulle maggioranze variabili: il partito deve avere un profilo culturale netto, comunicare alle persone che i princìpi non sono un elastico che si può tirare. E nella visione io ci metto anche la difesa del sistema bipolare».

Lei ha scelto Veltroni. Ma come vede la corsa della sua collega Rosy Bindi? Ha avuto toni troppo polemici?

«Competition is competition... Io comunque sono per guardare al dopo, a quando inizieremo concretamente a vivere il meticciato tra storie e provenienze diverse. Vivo come una ricchezza, come un elemento di sano dinamismo, la corsa di Rosy e di Enrico. Ho tanti amici che li sostengono. Dobbiamo abituarci a un partito che valorizzi e rispetti di più le idee e anche le persone».

Il Pd e Il Nord. Fassino apre alla Lega, lei polemizza con Penati sulle derive da evitare al Nord. Teme che il Pd insegua i temi del Carroccio?

«Il Nord è la sfida più difficile. Anche in questo caso le alleanze vengono dopo. Il punto è individuare la missione: rendere maggioritario e popolare un sentire progressista nel Nord. Per questo non bastano i tre temi cardine sicurezza, infrastrutture e fisco, che pure sono necessari. Il messaggio che deve partire dal Nord è più ampio: economia e democrazia si tengono. Non c’è crescita senza l'affermazione contestuale di diritti umani e civili. Non lo dico io. Il pil cresce di più nei Paesi dove le classi dirigenti della politica e dell'economia hanno imparato questa fondamentale novità. Non c’è un prima e un dopo tra sviluppo e autonomia della scienza o testamento biologico o misure d'urto per il lavoro alle donne (che portà con sè il diritto alla maternità), soprattutto nel Sud. Entro nel Pd con spirito battagliero sulle mie idee. Ad Assisi i cattolici-democratici hanno annunciato che entreranno nel Pd con la fierezza della loro storia. Farò altrettanto, con la fierezza di una sinistra innovativa e di un pensiero laico e liberale. Così potremo cercare una sintesi alta e una cornice di valori e di idee».

Già, ma le aperture alla Lega?

«Il concetto è lo stesso: il profilo del Pd non si deve piegare alla contingenza. Sulle regole, come sulle grandi questioni internazionali, la ricerca di maggioranze larghe è doverosa, e bene ha fatto il gruppo dell’Ulivo della Lombardia a votare con il centrodestra un documento sul federalismo fiscale. Altro sarebbe, in nome della governabilità, prescindere da valori e programmi. No, è una strada che non convince. Penso anche alla provocazione del “maiale day”: la Lega è fatta anche di queste cose, dell’omofobia, dei Gentilini, di un modo di considerare le donne o i musulmani. Io non riesco a non prenderli sul serio».

Resta da individuare un messaggio che faccia presa nel lombardo-veneto. Lei cosa propone?

«Un partito popolare. Che propone una democrazia esigente, che mette al centro la persona, la sua libertà e la sua responsabilità, che investe sulla creatività, che valorizza l'etica del lavoro e un'impresa moderna, che difende le regole, i diritti, che premia l'onestà e i meriti. Per costruire un nuovo civismo».

Poi c’è la sicurezza. Lei condivide la scelta del comune di Firenze sui lavavetri?

«La sicurezza è un tema vero, che riguarda in primo luogo le donne. I sindaci operano in una frontiera difficile, sono i più esposti. Stimo il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, parlo spesso con la mia amica Piera Capitelli, sindaca di Pavia e con sindaci della mia provincia... Ma certo, anche perché sono una donna, non sarei partita da lì. Per me la tolleranza zero ha senso se si parla di tratta di baby prostitute, di stupro, di pedofilia».

Il governo, in questa fase, è sotto attacco da più fronti: ci sono le piazze di Beppe Grillo e il no della Fiom agli accordi sul welfare. Si sta sfaldando il blocco sociale antiberlusconiano che ha fatto vincere le elezioni all’Unione?

«Questo governo ha fatto cose importanti, dal risanamento alle liberalizzazioni, dall’inizio delle riforma del welfare al prestigio dell’Italia a livello internazionale. Oggi il nostro Paese è un interlocutore sul dialogo in Medio Oriente e sulla pena di morte: non è piccola cosa. Sono convinta che molti che ora criticano questo governo, domani lo rimpiangerebbero. Perciò dobbiamo, con tenacia, consolidare questa alleanza. Quanto ai movimenti, li ho sempre ascoltati con attenzione. La questione della Fiom preoccupa. Anche il sindacato vive una transizione per allargare la sua rappresentanza. E, nel rispetto dell'autonomia, mi sento di dire che sto con gli innovatori. Non farò mai parte di quelli che dicono che il sindacato è sinonimo di conservazione, o di chi dice che si è riformisti se si critica il sindacato. Il protocollo sul welfare è un buon inizio, per lavoratori e imprese. Adesso si tratta di procedere».

Ma lei in che lista correrà per le primarie?

«Intanto, visto che è un inizio, parto dalla mia città e dalla mia gente. Lo faccio con spirito unitario. Sto scegliendo con l'obiettivo di essere utile e guardando già al dopo».

Pubblicato il: 16.09.07
Modificato il: 16.09.07 alle ore 7.16   
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« Risposta #29 inserito:: Settembre 16, 2007, 07:59:30 pm »

Pier Luigi Bersani: «Facciamo un partito di massa»

Ninni Andriolo


Ministro Bersani oggi si chiude la festa nazionale de l’Unità. Forse non sarà l’ultima, ma sicuramente sarà l’ultima organizzata dai Ds. È da nostalgici provare un po’ di solitudine?

«Le feste cresceranno perché ormai è chiaro che costituiscono l’altra faccia di internet. In un mondo che ha mille possibilità di accumulare relazioni, informazioni, ma anche solitudine, i luoghi nei quali ci si guarda in faccia, si sta assieme, si può discutere diventeranno sempre più preziosi. Non riesco a immaginare il partito che ho in testa senza grandi momenti di aggregazione popolare».

E questi continueranno a chiamarsi anche feste de l’Unità?

«Sarebbe assurdo buttar via questo nome, e credo che nella realtà nessuno possa pensarlo. Abbiamo la possibilità di arricchirlo questo nome, ma nel solco di una tradizione che ha legato la parola unità all’idea di un partito che si allarga alla presenza anche degli altri».

Un partito che "si allarga", però, è un partito che ospita. Il Pd, al contrario, è stato immaginato come una casa nuova costruita alla pari un po’ da tutti...

«Bisogna avere una grande riprogettazione comune e un rilancio. Certamente, quindi, c’è un problema di evoluzione che io vedo in una chiave di crescita».

Riprogettare significa anche riflettere sui valori fondativi del nuovo partito. Non pensa che questa discussione stia rimanendo lontana dal percorso costituente?

«Qui entriamo nel cuore del problema. Abbiamo avviato una fase costituente ma il profilo, dal punto di vista dello sforzo intellettuale e programmatico e da quello della natura che dovrà avere questo partito, è tutto da definire. E io vorrei che cominciassimo già adesso a discuterne, senza rimandare tutto a quando ci sarà l’Assemblea costituente».

E quali sarebbero i capisaldi dai quali partire?

«Se noi in una società liquida, come la definiscono i sociologi, pensassimo di fare un partito liquido mancheremmo l’obiettivo. Anzi, attenzione a non essere noi stessi un sasso scagliato da quella mano. Da una società, cioè, che si sta disunendo. Se facciamo un partito moderno la leggerezza l’abbiamo garantita perché la modernità è leggerezza. Quello che non abbiamo garantito, invece, è il radicamento forte ed efficace».

Il rischio è quello di un partito leggero che non riesce a radicarsi nella società?

«Io credo che ci sia una cosa da fare subito. Noi non possiamo consentirci di far passare troppo tempo tra l’insediamento dell’Assemblea costituente e il primo allestimento del partito. Faccio un’ipotesi. All’Assemblea si dia vita subito al partito nei territori, producendo linee guida e una data nella quale, sulla base di regole regionali, si possano convocare le unità di base, mettendo all’ordine del giorno l’elezione dei dirigenti locali e, eventualmente, quella dei delegati alle assemblee provinciali».

Una data unica su tutto il territorio nazionale?

«Sì. Farei di quell’appuntamento, rivolto a tutti quelli che andranno a votare il 14 ottobre, la giornata di nascita sul territorio del Pd e il momento dell’adesione al nuovo partito. Farei questo anche in presenza di una fase in cui a livello nazionale si discute dello Statuto vero e proprio».

Resta però il problema di un’elaborazione più compiuta su valori, programmi e organizzazione del nuovo partito...

«Dovrà essere l’Assemblea costituente, dotandosi di strumenti appropriati, a occuparsi del tipo di partito che vogliamo. A me, tuttavia, piacerebbe che fin da adesso cominciasse a circolare qualche idea».

Lei che tipo di partito vorrebbe?

«Per me tutto deve ruotare intorno al concetto di partecipazione. Questa deve essere essa stessa formazione alla politica. Se è così io credo che il nuovo partito deve avere sei caratteristiche. Deve essere, per prima cosa, un partito in cui le decisioni degli organismi vengono prese su base politico-programmatica con meccanismi che garantiscano la sintesi e, quindi, un linguaggio efficace e univoco. Quel partito, poi, deve essere presente e rintracciabile in tutti i luoghi 365 giorni all’anno. Terzo: questo partito deve essere in grado di attivare volontari della politica su iniziative e deve dotarsi, quindi, di un minimo di macchina organizzativa. Quarto, deve strutturarsi in modo da dare spazio ad aree tematiche e culturali o specialistiche. Quinto, il Pd deve promuovere assolutamente cultura politica, costruendo forme e luoghi in cui questa cultura politica possa misurarsi...»

Il sesto punto del suo elenco di priorità?

«È quello di cui parlavamo all’inizio. La necessità, cioè, di cogliere la modernità delle iniziative popolari di aggregazioni. Teniamo presente che un partito lo si fa per farlo durare almeno un secolo».

Lei pensa che il comitato dei 45 possa già oggi proporre delle mete da raggiungere?

«Con il regolamento approvato da quel comitato abbiamo avviato la navigazione. Credo adesso che sarebbe opportuno decidere un luogo dove fare il punto della rotta. Sono i 45? Sono i candidati alle primarie? È Prodi che prende l’iniziativa? A me va bene tutto, però credo che sia venuto il momento di fermarci a ragionare. Intanto per definire un minimo di messaggio da fornire agli italiani. Dobbiamo dire loro, molto semplicemente: "guardate che facciamo questa cosa perché la politica così com’è non va e noi vogliamo cambiarla e vogliamo chiedere anche agli altri di fare uno sforzo". Queste cose potrebbero essere dette con un appello lanciato dei candidati. Che dimostrerebbe, per di più, che la competizione fra loro viene fatta in amicizia. Di qui al 14 ottobre, poi, una discussione su come immaginare e regolare l’Assemblea costituente deve essere fatta».

Anche lei è convinto che il Pd rappresenterà un antidoto contro l’antipolitica?

«Io dico sempre che se c’è la febbre inutile dare la colpa al termometro...»

Non è Grillo, ovviamente, il responsabile del malessere che c’è nel Paese...

«Aggiungo, però, che bisogna evitare di dirci magari "vaffa" da soli tanto per stare nel movimento. Il rimedio all’antipolitica, secondo me, è una politica che ci metta la faccia. Una politica dei politici che si dia degli obiettivi, combatta e non si faccia raffigurare come casta. Quando dico che il Pd deve essere un partito di combattimento dico questo».

Ministro, molti leader riformisti affermano che il Pd rafforzerà il governo. Il dato di fatto, però, è che le fibrillazioni della maggioranza sono aumentate e la sinistra radicale punta il dito su un Pd acchiappa tutto...

«Se il 14 ottobre andrà a votare molta gente il 15 il governo starà meglio. E noi, definendo rapidamente il profilo e la struttura del nuovo partito, avremo la possibilità di fare delle sintesi e di consegnare al governo un pilastro coerente che darà beneficio a tutti, anche ai nostri alleati. Per questo ritengo che la forma partito deve garantire univocità di linguaggio, coltivare la partecipazione al suo interno per non scaricare sull’azione di governo le differenze. Una volta che definiremo questo credo che le stesse mediazioni con le altre componenti della maggioranza saranno enormemente semplificate. Con enorme vantaggio per un governo che possa andare avanti per l’intera legislatura».

Senza bisogno di rimpasti o di cure dimagranti per ridurre il numero dei ministri?

«Io ho detto che il governo è ottimo e abbondante. Sotto quella battuta, però, c’è un concetto. Se fossimo in condizioni cioè di fare un’azione rilevante e utile, per l’amor di Dio, facciamola. Cerchiamo, però, di non aggiungere problemi a problemi. Perché questi si evocano quando se ne ha chiara la soluzione».

Pubblicato il: 16.09.07
Modificato il: 16.09.07 alle ore 7.16   
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