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Autore Discussione: L'assalto al carrello dei bolliti  (Letto 2472 volte)
Admin
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« inserito:: Marzo 24, 2009, 05:07:34 pm »

24/3/2009
 
L'assalto al carrello dei bolliti

 
MARCO BELPOLITI
 
Al culmine del Carnevale bolognese nell’Anno di Grazia 1977, trentadue anni prima degli attacchi al Cambio e a Eataly, l’assalto al cielo degli indiani metropolitani, degli autonomi e degli studenti fuorisede, colpì il carrello dei bolliti del ristorante «Cantunzein» in Piazza Verdi, nel cuore della rivolta universitaria, proprio dirimpetto alle sculture di Arnaldo Pomodoro trasformate dagli studenti in totem colorati. Secondo la leggenda, come la carrozzina della corazzata Potemkin filmata da Ejzenstejn, il veicolo a due ruote, che custodiva il meglio della gastronomia emiliana, fu spinto e rovesciato sul selciato della strada, e intorno al suo carriaggio fumante danzarono i nuovi luddisti.

Il cibo era diventato da qualche tempo il simbolo più eclatante del benessere bottegaio della grassa Bologna, quella che s’identificava con il nuovo ordine sociale, di cui il Partito comunista del sindaco Zangheri appariva il custode severo e occhiuto. «Via via la nuova polizia», urlavano gli untorelli contro la cellula giovanile comunista capitanata dal futuro sindaco Water Vitali. Perché gli espropri proletari prendevano di mira i supermercati, i ristoranti, i gourmet del centro? Perché i nuovi vagabondi, allievi del professor Camporesi, allevati a pagine e pagine del Paese della fame, dove si evocavano i cortei della Corte dei Miracoli della città felsinea nell’epoca della sua decadenza cinquecentesca, avevano preso di mira prosciutti, mortadelle, bottiglie di sangiovese e lingue salmistrate? Perché il cibo era il simbolo più lampante alla fine di quel decennio iniziato con lo shock petrolifero e l’austerity, e appariva come il retaggio non casuale di un’epoca non troppo lontana in cui la fame era la compagna più consueta dei contadini veneti e romagnoli, ovvero di tutti coloro che dopo il boom economico s’erano affacciati speranzosi sul paesaggio della società affluente e ora ragionavano in termini di spesa settimanale al supermarket, vacanze estive e nuova autovettura da acquistare. Ebbene, proprio questi e i loro figli la gelata petrolifera aveva lasciato sospesi in un'incertezza preoccupante.

Oggi che il cibo è diventato uno dei possibili obiettivi della speculazione internazionale, sostituendosi al Real Estate dell’immobiliare, torna ad essere il destinatario possibile delle nuove jacquerie. Non il cibo qualsiasi, quello in scatola, il cibo da multinazionale, magari shakerato con Ogm vari, ma il cibo di qualità, quello raffinato, per cui occorre tempo e denaro per impossessarsene. L’obiettivo dei sabotatori torinesi, eredi forse inconsapevoli dei rivoltosi della regione dell’Oise, in Francia, alla metà del XIV secolo, non sono i supermercati popular oppure le catene del cibo confezionato, i McDonald’s e i suoi succedanei più o meno americani, bensì i templi dell’alta cucina, i mercati di lusso per intenditori, i locali storici della culinaria di grande nome. Colpiscono il consumo di lusso in un momento in cui il lusso, sotto ogni forma o aspetto, è diventato di colpo odioso: dall’invidia mimetica di qualche anno fa all’odio tout court di oggi.

Una guerra di simboli? Certo, ma anche l’intuizione che nel posizionamento dei grandi beni non è tanto, o solo, l’oro o i diamanti, le Ferrari o i motoscafi d’alto bordo, a distribuire la patente della ricchezza, bensì quel bene primario che è il cibo. Nella casa dei sogni il pane fatto in casa con lieviti naturali, le marmellate di frutti raccolti nel bosco e trasformati sul fuoco a legna, gli insaccati di maiali allevati a ghiande e custoditi sul limitare di fitte selve, gli oli provenienti da oliveti in cui tutto è come una volta, dal concime alla spremitura a freddo, e altre leccornie altrimenti introvabili, sono oggetti di fantasie ambivalenti, fonte continua di odio-amore, così che il francescanesimo dell’orto, l’insalatina e il pomodoro coltivati con il sudore della fronte, la mortadella nature, appaiono più di ogni altra cosa la forma assunta dai nemici di classe. Il cibo ricercato sta diventando un affare non meno interessante di quello dei mutui e delle case, oppure dell’oro nero per cui si sono fatte e si fanno guerre in terre lontane. Il cibo è un bisogno primario, come la casa e come i vestiti. Ma è anche, secondo quanto scrivono ogni settimana gazzette e rotocalchi, il viatico sicuro per una lunga vita, che oramai è, più del piacere culinario - oppure proprio insieme a questo -, l’obiettivo a cui mirano le classi elevate della nostra società.

Ogni cosa ha un prezzo, e quello del cibo continua a salire nel borsino di casa nostra, mentre l’incerto futuro del paese della fame attanaglia oramai milioni di persone anche in occidente. Per questo, come i vagabondi bolognesi, come gli studentelli rivoltosi di quel lontano marzo di tanti anni fa, l’assalto al cielo passa per le stanze di un ristorante o per il carrello del supermercato Eataly. Un segno della crisi verso cui ci stiamo avviando a passi rapidi o la fiammata improvvisa, e quindi effimera, della sempre rinnovata sovversione giovanile? Difficile dirlo.
 
da lastampa.it
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