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Autore Discussione: Ciancimino jr e la fine del padre «Qualcuno può averlo ucciso»  (Letto 2826 volte)
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« inserito:: Marzo 24, 2009, 10:46:35 am »

Mafia, Al processo per riciclaggio: un prestanome consuocero di un giudice antimafia

Ciancimino jr e la fine del padre «Qualcuno può averlo ucciso»

«Aveva detto: parlerò se condannate Andreotti. Morì due giorni dopo la prima sentenza»

I dubbi del figlio: «Morì a Roma, solo con la badante romena. Aveva visto il suo medico: tutto a posto. Cosa accadde?»

DAL NOSTRO INVIATO
 

BOLOGNA — Rivela l'identità del prestanome di suo padre, Vito Ciancimino, e apre un inquietante scenario sulla famiglia di un alto magistrato antimafia. Elenca i soci occulti e palesi di politici in affari con l'ex sindaco di Palermo. Racconta di tre milioni di euro come «cassa» aperta alla vigilia delle europee del 2004. E fra le pieghe di questo nuovo look da quasi pentito Massimo Ciancimino, il rampollo del defunto Don Vito, sussurra un dubbio atroce: «Qualcuno potrebbe avere ucciso mio padre». Una rivelazione choc estranea al processo d'appello per riciclaggio tenuto ieri a Bologna, ma consegnata con la copia di un verbale del '93 ai due magistrati di Palermo che lo stanno interrogando sulla «trattativa » fra Stato e mafia: «Ho sempre avuto mille dubbi. Io ero in Sicilia quando lui morì a Roma, solo con la badante rumena poi subito espulsa dall'Italia. Era uscito quella mattina da una clinica per un check-up. Aveva visto il suo medico personale. Tutto a posto. Cosa accadde nel pomeriggio e la sera nessuno lo sa...».

Forse non ha mai letto «La provincia dell'uomo» di Elias Canetti, ma Ciancimino junior fa riecheggiare la frase ripresa anche da Sciascia in epigrafe all'«Affaire Moro»: «Qualcuno è morto al momento giusto». E lo dice vagando e sospettando su questa morte finora senza sospetti: «Sì, potrebbe essere stato ucciso al momento giusto...». Dice e non dice, come da tradizione di famiglia, pronto a correggere e smentire, ma gelando i suoi eccellenti interlocutori, i pubblici ministeri Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Davanti a loro avrebbe tirato fuori un dimenticato verbale del '93 quando l'allora procuratore Caselli, con lo stesso Ingroia vicino, provò a stanare Ciancimino padre. «Foste voi a chiedergli di collaborare, di saltare il Rubicone », ricostruisce Massimo Ciancimino. E tira fuori il verbale: «Ecco la risposta di mio padre: "Quando Andreotti sarà condannato anche a un solo giorno, non disperate, verrò io a trovarvi" ».

E il figlio di Don Vito s'aggrappa al calendario: «La prima condanna di Andreotti a Perugia per il processo Pecorelli è del 17 novembre 2002. E mio padre muore alle 5 del mattino del 19». Poi, ancora più esplicito: «Quando al cinema ho visto il Divo ho pensato a tutto questo. Perché Andreotti, al di là della sua persona, forse era il simbolo che bloccava tutto...». La suggestione potrebbe prevalere e il ragazzo non sa se andare fino in fondo: «So che per rispondere ai miei dubbi bisognerebbe riesumare il cadavere, ma darei un dolore infinito a mia madre, ai miei fratelli che mi rimproverano questo e altro, "Chi te lo fa fare?" ». Ecco una pagina destinata ad alimentare una tempesta di polemiche. Come i temi rilanciati ieri a Bologna dentro e fuori l'aula. A cominciare dalla ricostruzione del «Tesoro Ciancimino» e dall'indicazione del presunto «prestanome»: «Faceva tutto Ezio Brancato, consuocero dell'alto magistrato della Direzione nazionale antimafia Giusto Sciacchitano. Finora non hanno indagato come si doveva su Brancato, nemmeno dopo il divorzio della figlia Monia...».

E dopo questo attacco contenuto anche nei verbali del suo coimputato, Gianni Lapis, ecco i riferimenti alla composizione della «Gas», il contenitore inventato da Ciancimino padre, una società venduta a un gruppo spagnolo per 112 miliardi di euro: «Oltre Lima, Calogero Pumilia e altri, nella compagine con o senza quote ufficiali c'era pure Carlo Vizzini, come mi disse mio padre». Ricordi legati agli intrighi degli anni Ottanta: «C'era dietro un mondo democristiano e un pezzo del partito socialdemocratico. Davano la copertura politica alla Gas...». E il suo avvocato Giuliano Dominici quasi lo blocca, prima dell'inizio dell'udienza, davanti a un gruppo di cronisti: «Ma ti stai zitto?».

Felice Cavallaro

24 marzo 2009
da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 26, 2009, 12:24:29 am »

«Sono sott’attacco ma nel mio partito c’è chi è contento»


di Claudia Fusani


«Posso dire che nel mio partito, in Sicilia, c’è chi non soffre per quello che mi sta accadendo». Carlo Vizzini, senatore del pdl, cammina in su e in giù nel suo ufficio di presidente della Prima Commissione. Nervoso, arrabbiato, motivato: «Io vado avanti, non ho paura e non mi fermo». Entrato in Forza Italia nel 1998 dopo gli anni bui di Tangentopoli che lo avevano travolto quando era colonna del Psdi e più volte ministro della Repubblica, da allora è sempre stato in prima fila contro la mafia.
Dieci giorni senza pace per Vizzini. Il 14 marzo l’accusa di aver «riciclato» 900mila euro di Ciancimino senior, il sindaco mafioso del sacco di Palermo, veicolata a freddo da Ciancimino jr, Massimo, già condannato per riciclaggio. Sabato 21, la testa di capretto e il messaggio “Cosa ci vuole per farti stare zitto” recapitati davanti alla sua segreteria politica nel cuore di Palermo. Due giorni fa il giovane Ciancimino di nuovo all’attacco citando accuse di morti che non possono più parlare.
Senatore, conosce la società Gas in cui, secondo il figlio , sarebbero stati soci il vecchio Ciancimino, Salvo Lima e Gianni Lapis?
«Mai avuto a che fare con la società Gas, mai con il giovane Ciancimino del cui padre sono stato il più grosso nemico».

In che modo?
«Nel 1985, quando il sacco urbanistico di Palermo era già realtà, mi candidai al consiglio comunale per mettere da parte l’allora assessore uscente del Psdi, in passato voluto all’urbanistica da Ciancimino. Curiosità: era cieco dalla nascita. Nel 1987, poi, ero ministro, avvio con Leoluca Orlando quella meravigliosa stagione che fu la Primavera. Gli uomini di Ciancimino simulavano nelle strade funerali finti degli uomini della giunta Orlando».

Massimo Ciancimino lo ha detto ai magistrati.
«L’ho querelato per calunnia. Curioso: Ciancimino prima mi rivolge un’accusa diretta; poi si corregge e tira in ballo Gianni Lapis professionista mio consulente e amico; infine riferisce il derelato di un morto, suo padre».
Lei è indagato?
«Non mi risulta».

E la testa di capretto?
«Avvertimenti. Non è la prima volta, sono arrivati anche proiettili. In questa legislatura, in questa stanza, insieme col Pd abbiamo approvato la legislazione antimafia più dura di sempre: confisca immediata dei beni, estesa anche a beni equivalenti e intestati ad eredi e prestanome. E poi il 41 bis, il carcere duro, per non essere più beffati. È stato realizzato il mio obiettivo: boss in carcere e più poveri».

Perchè dice che nel suo partito c’è chi “non soffre” nel vederla sotto attacco?
«Non è un mistero, ad esempio, che vorrei concludere la mia carriera politica facendo il sindaco nella mia città. E poi la Sicilia racconta da sempre storie di veleni nei palazzi delle istituzioni e giudiziari».

Ciancimino sta cercando di accreditarsi, in ritardo, come collaboratore?
«Benvenga se fosse utile a capire di più sulla trattativa tra mafia e stato. Io invece temo che sia usato da qualcuno che si nasconde dietro di lui per mandare messaggi. Di certo sta cercando di spegnere la mia voce e di delegittimarmi. Ma ha fallito».
cfusani@unita.it

25 marzo 2009
da unita.it
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