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« inserito:: Giugno 08, 2007, 05:18:23 pm » |
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CULTURA
Pene dell'inferno
di Mauro Covacich
Suscitava invidia. Provocava imbarazzo. Ora la virilità è diventata oggetto di saggi e opere. Parabola di un simbolo di potere decaduto Alzo gli occhi al cielo, sopra di me si staglia la sagoma a pancia sotto di un uomo nudo. È un pallone aerostatico di 21 metri che ripropone, ingigantite in scala, le sembianze dell'artista che l'ha realizzato. Si chiama Pawel Althamer, è già molto famoso, eppure niente di ciò che ha prodotto finora ha avuto la stessa sovraesposizione mediatica del suo enorme pene gonfiabile che fa ombra a Milano sui prati del Parco Sempione. Un pene circonciso di due metri. In effetti i commenti divertiti dei passanti vertono fondamentalmente su quello.
Ritorno con gli occhi sul libro, sto leggendo 'Storia del pene', pubblicato da Castelvecchi. L'autore si chiama David M. Friedman, un giornalista americano e che a un certo punto ha deciso di occuparsi del suo "più intimo amico", facendone un bestseller. Va detto subito che si tratta di uno studio serio, l'attraversamento di 2.500 anni di storia occidentale, di una storia cioè fallocentrica, compiuto discettando sulla mitologia, la psicoanalisi, la scienza medica e, en passant, sui mutamenti della ricezione sociale dell'oggetto in questione. Ma il punto è un altro: come siamo arrivati a scrivere una storia del pene? Quali sono le condizioni antropologiche e culturali per cui è possibile trattare il membro virile nella forma di un discorso collettivo? Perché oggi, uomini e donne, in pubblico e in privato, nella vita vissuta e in quella talkizzata in tv, non parlano che di questo? Ovvero, che è successo al pene?
Be', il pene ha vinto, penso tra me e me. Non ha vinto l'uomo, ha vinto il pene, demaschilizzandosi, perdendo il rapporto organico con il corpo a cui appartiene e diventando un oggetto intermedio, un utensile della coppia, qualcosa che sta a mezza strada tra lui e lei, e di cui entrambi hanno il diritto di parlare, e soprattutto di disporre. Dove la parola cedeva il passo al silenzio e ai suoi puntini di sospensione, proprio là ora si esprime. Anche l'emancipazione femminile, partita dai presupposti della differenza sessuale, è approdata a una meta a dir poco inaspettata: la consacrazione del membro virile come epicentro unico del discorso sulla libido. In effetti il modo più diffuso per misurare la consapevolezza sessuale di una ragazza nel mondo occidentale è quello di valutare con quale grado di libertà parla di piselli con le amiche. Siamo passati dalle battaglie contro la penetrazione degli anni Settanta, ai telefilm incentrati su donne newyorchesi che si scambiano valutazioni tecniche sugli amanti, tempi di reazione, resistenza, dimensioni, o consigli sulle marche dei vibratori.
Il membro ha perso la sua aura misteriosa, la sua funzione simbolica, diventando parte innocua del progetto demitizzante dell'educazione sessuale. Il membro ha vinto medicalizzandosi. Non a caso le sue protesi si vendono in farmacia: la Durex ha commercializzato una linea di vibratori che ha piazzato nelle farmacie delle grandi città con l'intento politico di trasformare l'immagine di uno strumento dalla forte componente trasgressiva (per non dire peccaminosa) in un anonimo generatore di benessere. Via via che il sesso è entrato nell'ottica salutista del 'più sani più belli', anche la questione femminista della differenza, penso a Luce Irigaray, è stata gradualmente soppiantata dalla compartecipazione del pene. Ecco perché è finita l'invidia del pene. Le donne non ce lo invidiano più perché ne condividono il possesso.Vanno fiere di essersi guadagnate una sessualità più fisica, più legata al piacere d'organo, mettono in conto come possibile l'esperienza del sesso per il sesso.
È una lunga marcia contro le inibizioni, iniziata nelle occupazioni universitarie degli anni Sessanta e finita nelle farmacie e sui siti Internet, a comprare membri finti, membri staccati da corpi. Gli uomini comprano bambole intere, le donne parti staccate del maschio. Su yoox.com, il sito italiano più visitato per acquisti di capi firmati, tra gli articoli in vendita spicca la categoria 'giochi da grandi': un vibratore Jimmyjane, oro 24 carati, costa 275 euro, quello in acciaio 240, quello in platino 395. Il nuovo shopping.
Anche nella comunicazione il sesso maschile è un attributo condiviso. Quante volte capita di sentire una ragazza che avverte: "Perché io sono una con le palle". Anche il dito medio è un insulto unisex, lo mostra lui, lo mostra lei, ce l'hanno entrambi. La secolarizzazione insomma ha colpito anche il pene. Forse è stata la sua fortuna, direbbe un direttore del marketing, ma certo non occorre essere laureati in sessuologia per capire che tutto ciò ha aumentato i casi di impotenza. Ricordate Astolfo che va sulla Luna in groppa all'ippogrifo per riprendere il senno di Orlando? Bene, come la magia della Luna ariostesca è stata vanificata da Galileo prima e dall'Apollo11 poi, così il miracolo dell'erezione, un corpo molle che diventa duro come l'osso a causa di un desiderio, un'escrescenza che diventa viva, quasi parlante, è stato ridicolizzato dalle prosaiche spiegazioni della divulgazione scientifica, è stato annientato dalla condivisione del sapere, dalla condivisione matura, adulta, pragmatica dell'uso dell'erezione. Una volta privato l'uomo dall'orgoglio troppo fascista dell'erezione, una volta dislocata in territorio neutro, come una faccenda sociale, paramedica, terapeutica, come un bene della coppia, è ovvio che l'esperienza personale dell'erezione è entrata in seria crisi.
Ricevo quotidianamente dai tre ai sette messaggi di spam che mi consigliano l'assunzione di Viagra o cliniche specializzate dove allungarmi il pene. Allegano anche i disegni e i grafici di miglioramento medio. 'Impotence: a cultural history' di Angus McLaren, è un altro saggio americano di grande successo. "L'unico rammarico è che non fosse lungo il doppio", dice il 'Sunday Times' (riferendosi al libro). Si va dai consigli alimentari di Plinio il vecchio alla prescrizione di Alberto Magno di masticare un pezzo di pene di lupo, cotto al forno. Ci sono i primi rimedi meccanici, gli esperimenti galvanici della fine del Settecento, quando gli impotenti venivano elettrizzati su appositi lettini (si pensava che la disfunzione erettile fosse dovuta alla scarsa 'elettricità' di un nervo). Bisognerà aspettare l'Ottocento perché un medico francese, Vincent Marie Mondat, brevetti una specie di pompa, il congestor, in grado di risucchiare il sangue nei tessuti cavernosi del pene, secondo disegni molto interessanti e fantasiosi. Le prime protesi impiantate nell'inguine risalgono agli anni '70, sono protesi di silicone, gonfiabili attraverso una pompetta nascosta nello scroto. In dieci anni se ne inserirono 250 mila.
Eppure prima il pene era qualcos'altro, era al contempo conosciuto e imperscrutabile come la superficie della Luna. Mi vengono in mente le lunghissime valutazioni dei peni dei borgatari-aguzzini fatte dal protagonista di 'Petrolio', il romanzo incompiuto e più bello di Pasolini. Penso ai criteri quasi winckelmaniani di Mapplethorpe nella ricerca del pene perfetto, ossessione estetica e quasi religiosa su cui si intrattiene anche Friedman. Ricordo l'emozione quando vidi per la prima volta il membro di mio padre. Avrò avuto quattro-cinque anni, stavamo orinando uno accanto all'altro sui rovi di una stradina di campagna e di colpo: cos'era quel coso enorme, grigio, da cui usciva la pipi? Cos'ero io vicino a mio padre, con quel mignolino fuori dalle mutande? Ecco il primo significante, direbbe Lacan, la legge del padre, un grosso pezzo di carne, simbolo dell'autorità e del linguaggio.
Ma è stato veramente bonificato, sdoganato del tutto, il pene? No, la sua immagine antica resiste ancora nell'ipocrisia delle convenzioni cinematografiche, nel cosiddetto comune senso del pudore. Lì il membro eretto rappresenta ancora la linea di confine tra il soft e l'hardcore, è ancora la barriera oltre la quale termina la nozione dell'erotismo e inizia quella del porno. Eppure forse, paradossalmente, bisognerebbe ripartire proprio dal pudore, se è vero, come dice Agostino nelle 'Confessioni', che disobbedire a Dio comportò per Adamo ed Eva due conseguenze: la vergogna della loro nudità e appetiti sessuali incontrollabili. Forse per ottenere i secondi dovremmo riappropriarci della prima.
da espressonline
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