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Autore Discussione: Miraggio Calabria, 27 ore in treno... incubo da Torino a Villa San Giovanni.  (Letto 2594 volte)
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« inserito:: Agosto 02, 2007, 12:15:58 am »

1/8/2007 (8:13) - IL CASO

Miraggio Calabria, 27 ore in treno
 
Il viaggio per le vacanze si è trasformato in un'odissea senza fine

Freni surriscaldati, incubo da Torino a Villa San Giovanni.

Nove ore di ritardo e nemmeno un servizio bar a bordo

ANDREA ROSSI


TORINO
Salire su un treno a Torino, direzione Villa San Giovanni, estremità della Calabria, è un’impresa da 27 ore. Una sorta di cavalcata a passo di lumaca per le rotaie d’Italia, in cui si fa esperienza di un vasto campionario di sofferenze e privazioni: caldo, fame, rabbia, sete, rassegnazione.

Domenica sera, stazione di Torino Porta Nuova. Il treno è l’Espresso delle 19,50. Non c’è che da scegliere: carrozze semplici, vagoni letto e servizio auto. Le operazioni d’«imbarco» sono complesse. Arrivi alla stazione e ti dirigi a un ingresso laterale. Lì abbandoni la vettura a un addetto di Trenitalia, compili un modulo. «E verifichi lo stato di salute della macchina: righe, bolli, danneggiamenti pregressi. Tutto registrato. Meglio cautelarsi: non si sa mai come la macchina arriverà a destinazione», spiega la Silvana Di Natale, una di quelle persone che si è sobbarcata il calvario. Solo la settimana scorsa, cinque vetture caricate sullo stesso treno sono arrivate a Villa San Giovanni zeppe di ammaccature. Due le ipotesi: la caduta di un lastrone o lo scherzo di qualche vandalo che si è divertito a lanciare sassi sulla carrozza.

Portarsi l’auto appresso, su quel treno che solca l’Italia, costa 200 euro. Versato l’obolo, si sale in carrozza. Tre fermate appena per arrivare a destinazione: Genova, Lamezia Terme e Villa San Giovanni. C’è da viaggiare tutta la notte e la mattina successiva. Arrivo previsto alle 11 del mattino. Succede invece che, a quell’ora, il convoglio non è nemmeno approdato a Lamezia Terme, ed è in ritardo di tre ore sulla tebella di marcia. Il seguito è ben peggiore.

Quando la marcia riprende, verso l’ultima fermata, sono le 12,40. Ma non si percorre molta strada. Il carrozzone cammina un quarto d’ora, s’incunea nella stazione di Vibo Valentia e si blocca. «Siamo ripartiti quattro ore e mezza dopo - racconta la signora Di Natale -. E per tre ore nessuno ha saputo quale fosse il problema». S’intuiva, però, dentro quell’odore di bruciato che si levava dalle carrozze.

Freni arrostiti. Il guaio si trascina da ore. «Per tutta la notte abbiamo respirato quel puzzo. E il treno viaggiava al rallenatore. Mai una sosta, però in certi momenti si procedeva al piccolo trotto», spiega un’altra torinese, Loredana Mazzone. A Vibo Valentia l’attesa è lunga. I tecnici si affannano intorno alle carrozze. Il guaio è che dentro le carrozze si sta come si può. Niente bar, nessun servizio di ristorazione. Le scorte d’acqua, a quell’ora, sono finite. Il cibo anche. Sul vagone dei signori Di Natale c’è una signora diabetica: ha dimenticato le medicine. «Poco male, diceva la sera prima. Era sicura di arrivare a Villa San Giovanni alle 11, in tempo per trovare una farmacia». Invece il treno resta incollato ai binari. Ed è già metà pomeriggio.

Ci si aggrappa all’aria condizionata. Chi ha la fortuna di godersela. «Viaggiavamo in vagone letto - dice Fabio Padaro, un altro passeggero -: lì funzionava. Ma non in alcune carrozze di seconda classe». Viaggiatori stremati, accasciati sui sedili o aggrappati ai finestrini. Quando qualcuno comincia a dare in escandescenze, arriva da Reggio Calabria un funzionario del servizio clienti. Segue trattativa serrata con un bar. Sui vagoni arrivano bottigliette d’acqua e ghiaccioli. Niente di più. Ore 17 si riparte. Ma è un incedere lento, a strappi. Due chilometri di marcia e qualche minuto di sosta. «Ci hanno spiegato che era l’unico modo per proseguire il viaggio - racconta Fabio Padaro -. I freni di un vagone erano guasti, si surriscaldavano. Il treno doveva bloccarsi di continuo per raffreddarli».

Prima sosta vicino a Mileto, paesino di settemila abitanti. Ci si arresta in aperta campagna, con la calura che toglie il respiro. Seconda pausa forzata pochi chilometri dopo, a Rosarno Calabro. Decisione drastica: si stacca la parte di convoglio «incriminata». Guarda a caso quella che trasporta le vetture. Si perde un’altra ora. Il resto del treno riparte, stavolta spedito, verso Villa San Giovanni, dove arriva che sono le 20. Ventiquattro ore di viaggio, nove di ritardo. Qualche passeggero stremato se ne va. Restano gli altri, quelli che si erano imbarcati con auto al seguito e l’hanno lasciata lungo il tragitto. Da Villa San Giovanni si muove un treno merci, diretto a Rosarno. Si «travasano» le vetture. E quando la signora Di Natale torna in possesso dell’auto sono le 23. Ha avuto tempo di riempire i moduli all’ufficio reclami. E di arrabbiarsi un’altra volta: «Ci rimborseranno il 20% del biglietto passeggeri». E quello dell’auto? «Niente da fare. Per lo meno ci hanno trovato una sistemazione in albergo per la notte».

Il mattino dopo può cominciare l’ultima parte del viaggio: traghetto per la Sicilia. C’è chi è ancora in stazione e aspetta. Come Albina De Prato. Su quel treno della disperazione aveva caricato una moto. «È arrivata a Villa San Giovanni ieri mattina».

da lastampa.it
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