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« inserito:: Marzo 13, 2009, 09:11:21 am » |
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Addio a Laura Toscano - ha inventato il maresciallo Rocca di Micaela Urbano
ROMA (13 marzo) - Era abituata alla lotta. Ma l’ultima battaglia contro una brutta malattia, l’ha persa. Se ne è andata Laura Toscano, scrittrice, signora incontrastata della fiction (termine che detestava. Diceva: ma perché non li chiamiamo film per la tv?), che amava il Racconto e l’italiano puro, sperava in una innovazione del settore, detestava banalità e ripetitività, non provava grande simpatia per l’Attore, eppure aveva un debole - grande - per Gigi Proietti, Sabrina Ferilli, Giancarlo Giannini e Franco Castellano, e voleva bene a Veronica Pivetti, Violante Palcido, Enzo De Caro. Ma soprattutto ne voleva alla sua famiglia, il marito, Franco Marotta, con cui aveva iniziato un lavoro durato tutta la vita, le figlie, gli amici.
Stretta nei golfini di cachemire in inverno, nelle camicie bianche in estate, impeccabile, elegante, a prima vista poteva persino apparire snob. Ma appena iniziava a parlare capivi che era esattamente il contrario. Una gentildonna di oggi con il dono di saper portare chiunque dentro il racconto. E di riuscire a cambiare le regole, ma con garbo. Laura, che per Gigi Proietti ha inventato Il maresciallo Rocca, uno dei gioielli più preziosi della Rai. Un prodotto che tagliò i ponti con il vecchio poliziesco per sposarsi con la commedia. Laura, che ha avuto l’idea di Commesse, un delizioso modo per metttere a fuoco il mondo femminile, e per la prima volta quello gay, della middle class italiana. Laura, che con passione ha realizzato Guerra di spie, il telefilm numero uno sui Servizi Segreti. Laura, che ha dato vita alla trilogia (Angela, Lucia, Matilde), interpretata da Sabrina Ferilli, che va dalla Seconda Guerra agli Anni Sessanta.
Di recente aveva ultimato Segretarie del settimo per la Rai. E stava lavorando a «un film brillante per Mediaset». Ma quel fuoco sacro che la spingeva a fare le ore piccole davanti al computer, si stava affievolendo, perché, diceva: «Mi sembra che vada tutto alla rovescia. Bisogna avere coraggio di cambiare, ma pare che nessuno ne abbia voglia. Invece in questo momento così piatto, solo osando, dando una spallata, a costo di rinunciare a un alto ascolto, saremo in grado di realizzare prodotti innovativi. L’omologazione logora anche i prototipi e deve scomparire».
Era nata a Genova. E della sua città parlava con entusiasmo e amore, «forse perché non ci vivo più», sorrideva, «e poi oramai è Roma la mia casa». Le piaceva abitare in Prati, «un quartiere civile, dove ho scoperto tanti spunti e personaggi per le mie sceneggiature, per i romanzi». E le piaceva andare a trascorrere una serata con le amiche in un ristorantino proprio di fronte alle sue finestre. Le piaceva andare al cinema, all’Opera. Nella sua casa di Cetona dove «ogni Natale mi rompo qualcosa, prima un braccio, poi la caviglia... forse è perché non ho pace. Né in fondo la voglio avere». Con le perle al collo e i capelli perfetti, le piaceva ricordare quando era una femminista sfegatata, e urlava nelle piazze con una salopette in jeans e una delle sue bimbe in collo. Le piaceva chiacchierare, domandare, ascoltare, sapere. Tentava di adattarsi ai nuovi personaggi della tv, pur rimpiangendo quelli che c’erano fino a una decina di anni fa, che l’avevano capita e apprezzata. E se ti telefonava, diceva, «mica chiudiamo qui. Ho molto altro da raccontare. Quando ci vediamo?». Aveva conservato l’entusiasmo nonostante la vita. Perché la vita le piaceva davvero. da ilmessaggero.it
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