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Autore Discussione: I buchi neri della Medicina  (Letto 3539 volte)
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« inserito:: Agosto 02, 2007, 12:11:16 am »

Sul prossimo numero di Newton

I buchi neri della Medicina

Sette premi Nobel rivelano perché conosciamo tutto del Dna ma non riusciamo a sconfiggere le malattie 

 
Viviamo in media vent’anni più dei nostri bisnonni. Siamo sicuri che per questo regalo dobbiamo ringraziare la medicina? Sembra di no. Almeno questo è il parere di sette premi Nobel, massimi esperti della biologia e della fisica della vita, che Newton ha incontrato qualche settimana fa a Lindau, sulla sponda tedesca del Lago di Costanza, dove erano riuniti per il 57° Meeting internazionale dei premi Nobel. Abbiamo posto a tutti la stessa domanda. Le scienze mediche hanno fatto enormi progressi. Oggi conosciamo i meccanismi più intimi della vita, sappiamo come nascono, come funzionano e come muoiono le cellule. Abbiamo scoperto la struttura del Dna e ricostruito l’intero partrimonio genetico dell’uomo. Abbiamo medicine che ci proteggono da batteri e virus, e pillole contro ogni genere di malessere e dolore. La chirurgia è in grado di sostituire o riparare interi organi danneggiati. Eppure non riusciamo a sconfiggere le malattie. Non solo le più complesse e «moderne», come i tumori o l’Aids, ma neanche nemici storici, come la malaria o la tubercolosi. Non è una contraddizione? Le risposte, che potete leggere nelle prossime pagine, sono sorprendenti: Il frigorifero vale più di un farmaco. I medicinali si scoprono per caso, e nessuno sa come funzionano. La malaria potrebbe essere sconfitta, ma nessuno investe i capitali necessari. La salute è dei ricchi, perché le malattie dei poveri non rendono. E per salvare milioni di vite nei Paesi meno sviluppati, basterebbe un bicchiere d’acqua. Pulita.
Massimo Murianni

LA DOMANDA DI NEWTON
Negli ultimi cinquant’anni la medicina e la chirurgia hanno compiuto enormi progressi. L’aspettativa di vita dell’uomo, almeno nel mondo occidentale, è aumentata di una ventina d’anni. Eppure non abbiamo ancora vinto le battaglie contro le malattie. Né contro quelle «moderne» come i tumori, o l’Aids, né quelle contro «vecchie» malattie come la tubercolosi o la malaria. E nei paesi in via di sviluppo la mortalità infantile è ancora a livelli inaccettabili. Perché?

 
Timoty Hunt, Nobel per la medicina nel 2001 (Newton)
Leggi la risposta di Timothy Hunt,
Timothy Hunt , inglese, ha vinto il Nobel per la medicina 2001 per la scoperto delle cicline, proteine fondamentali nella regolazione del ciclo vitale delle cellule. Lavora al Cancer Research Institute, il principale centro britannico per la ricerca sul cancro.



Leggi la risposta di Manfred Eigen ,
Manfred Eigen tedesco, Ha vinto il Nobel
 
Manfred Eigen, Nobel per la chimica 1967 (Newton)
per la chimica 1967 per lo studio sulle reazioni chimiche estremamente rapide, stimolate da impulsi di energia molto brevi. Nel 1970 ha formulato una teoria chimico-fisica sull’origine della vita, che secondo la sua idea, la vita sarebbe nata spontaneamente, e sarebbe il risultato dell’organizzazione e della selezione delle informazioni contenute in catene sempre più grandi di molecole.
 
Leland Hartwell, Nobel per la medicina 2001 (Newton)
Leggi la risposta di Leland Hartwell,
Leland Hartwell americano, ha vinto il Nobel per la medicina 2001 per la scoperta delle cicline, proteine che regolano il ciclo vitale delle cellule. All’inizio dei suoi studi cercava un organismo abbastanza semplice per fare esperimenti, ma sufficientemente complesso per dare informazioni sull’uomo. Scommise sul lievito (il fungo che fa crescere il pane), contro il parere dei colleghi. Ebbe ragione e dimostrò che i processi vitali delle cellule sono gli stessi per tutti gli organismi, dal lievito all’uomo. Dirige l' Hutchinson Center di Seattle.
Leggi la risposta di Aaron Ciechanover,
Aaaron Cerchianover , israeliano, ha vinto il Nobel per la chimica 2004
 
Aaron Ciechanover, Nobel per la chimica 2004 (Newton)
per la scoperta dell'ubiquitina, una proteina che si attacca alle proteine che devono essere distrutte. Laureato all’Università di Gerusalemme e dottorato al Technion di Haifa, lavora da sempre al sistema cellula e ai suoi meccanismi fondamentali. La scoperta dell’ubiquitina ha generato moltissime applicazioni farmaceutiche. Insegna alla Facoltà di medicina del Technion di Haifa
 
Harmut Michel, tedesco, Nobel per la chimica 1988 (Newton)
Leggi la risposta di Harmut Michel,
Harmut Michel, tedesco, ha vinto il Nobel per la chimica 1988 per la determinazione della struttura del centro di reazione fotosintetica delle cellule. È riuscito ad analizzare con la diffrazione a raggi X il centro di reazione fotosintetico di un batterio. Poi si è interessato di biocombustibili. Lavora al Max Planck Institut di Francoforte.
Leggi la risposta di Edmond Fischer,
Edmond Fischer americano, ha vinto il Noberl per la medicina
 
Edmond Fischer, americano, premio Noberl per la medicina nel 1992 (Newton)
nel 1992 per la scoperta della fosfolrilazione delle proteine. La notte in cui ricevette la telefonata che gli annunciava il Nobel, Fisher svegliò la moglie: «Era completamente intontita, e disse solo “Oh”». Poi chiamò la segretaria che lo segue da una vita, e le disse: «Preparati, è successa una cosa che ti darà un sacco di lavoro extra». «Non me lo dica», rispose lei, «ha di nuovo perso i biglietti dell’aereo?
 
Craig Mello, americano, Nobel per la medicina 2006 (Newton)
Leggi la risposta di Craig Mello,
Craig Mello, americano, ha vinto il Nobel per la medicina 2006 per la scoperta del meccanismo che attiva e disattiva i geni. Insegna medicina molecolare alla Scuola di Medicina dell’Università del Massachusetts ed è scienziato senior dell’Istituto Medico Howard Hughes. In famiglia La notte fatidica, il comitato per il Nobel chiamò due volte a casa Mello. La prima telefonata fu presa dalla moglie, che riattaccò, credendo che la voce dall’accento strano che comunicava la vittoria del premio fosse uno scherzo. Nonostante questo, Craig ed Edit sono ancora sposati.

Paola Catapano
31 luglio 2007
 
da corriere.it
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Admin
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:36:43 pm »

ESTERI

In un articolo sul quotidiano GB una giornalista promuove i nostri ospedali

Racconta il ricovero del fratello: medici zelanti, esami immediati, igiene accurata

Il Times elogia la sanità italiana "Un esempio per la Gran Bretagna"

"Gli italiani considerano i loro servizi pubblici inferiori a qualunque altro"


 LONDRA - La sanità italiana rappresenta tutto quello che quella inglese dovrebbe essere ma purtroppo non è. A pensarla così non è il ministro Turco, né un dirigente dei nostri ospedali né i sempre più insoddisfatti pazienti del sistema sanitario nazionale. Ma una giornalista del Times, Rosemary Rughter, che afferma senza mezzi termini, di aver ricevuto una lezione di stile dalla sanità italiana.

In un lungo articolo pubblicato oggi sul quotidiano inglese, la cronista racconta il ricovero nell'ospedale di Todi del fratello, colto da un malore mentre si trovava in vacanza in Umbria. La racconta in un articolo-testimonianza che elogia a più non posso la sanità italiana e distrugge il mito dell'impeccabilità dei servizi pubblici inglesi.

Anche la giornalista del Times partiva da un'iniziale diffidenza. "Dentro di me - racconta - speravo piuttosto stupidamente che lo dimettessero subito. Poi per fortuna, la prudenza ha prevalso sull'istinto. Provvidenzialmente perché l'ospedale di Todi si è dimostrato tutto quello che il servizio nazionale inglese dovrebbe essere e non è". Una premessa surreale.

"Dieci secondi dopo aver bussato al Pronto soccorso, mio fratello era sottoposto a un elettrocardiogramma da due medici veloci, entrambi gentili mentre un terzo compilava la storia clinica di mio fratello". Una scena che contrasta con i racconti di molti pazienti costretti a sopportare lunghe attese fuori dai pronto soccorso di tutta Italia. E ancora: "Entro poco più di un'ora era stato sottoposto a raggi X, ultrasuoni, controlli del sangue. Era stato visto da un radiologo che aveva richiesto il consulto di un cardiologo. Gli era stata diagnosticata un'infiammazione acuta pericardiale e lo avevano sistemato in un stanza fresca e immacolata, con sue letti di cui uno vuoto, e con una splendida vista sulla città".

E infatti dopo un colloquio un medico a cui racconta che "negli ospedali di Londra non si trovava questa velocità di squadra, questa efficienza, questa accuratezza e questo buon umore", la giornalista resta meravigliata. "Gli italiani - dice - pensano automaticamente che i loro servizi pubblici sono peggiori di qualunque altro, senza parlare della sanità. L'ospedale di Todi, poi, è a costante rischio di chiusura". E dopo le note vicende del Policlinico di Roma chi crederebbe al seguito della storia: "Non c'è neanche un grammo di sporcizia nelle stanze, nei corridoi o nei bagni. L'igiene è presa così seriamente che quando viene distribuito il cibo nessuno paziente o visitatore è ammesso nel corridoio". Una dovizia e una accuratezza negli esami ("la sua cartella clinica era spessa un pollice") che fanno concludere alla giornalista del Times: "L'uomo che ho riavuto non era soltanto sopravvissuto alla sua infezione, ma era stato rassicurato sul suo stato". Soltanto un caso fortunato oppure i tanti pregiudizi sulla sanità pubblica sono un abbaglio collettivo? Se ne discuterà. Intanto gli ospedali italiani tirano un piccolo sospiro di sollievo. Oltremanica c'è chi sta peggio.

(3 agosto 2007) 

da republica.it
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