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Autore Discussione: Severità e celerità del presidente della Camera nel gestire il «caso Previti»  (Letto 2480 volte)
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« inserito:: Agosto 01, 2007, 11:57:07 pm »

Severità e celerità del presidente della Camera nel gestire il «caso Previti»

Il segnale di Bertinotti vale anche per i Ds «La gente deve sapere che andremo avanti così».

Una promessa sul metodo che cela anche un messaggio politico rivolto all'Aula


ROMA — La severità e la celerità con cui Fausto Bertinotti ha gestito il «caso Previti» è un segnale che il presidente della Camera ha voluto inviare anzitutto all'opinione pubblica, «perché la gente deve sapere che abbiamo operato con rigore e trasparenza e che andremo avanti così». Ma la promessa sul metodo cela anche un messaggio politico rivolto all'Aula di Montecitorio, è un modo per far capire quale sarà il metro che la terza carica dello Stato adotterà in futuro sulla stessa materia.

E siccome ieri con l'addio del deputato forzista si è chiusa un'era, non è difficile immaginare a cosa e a chi si riferisse Bertinotti. Ora che il bau-bau dei giustizialisti non c'è più, ora che a Previti — per usare le parole del socialista Angelo Piazza — «è stato riservato un trattamento spietato mai riservato a nessun altro», ora per uno strano gioco del destino sulla graticola giudiziaria ci sono i vertici dei Ds per il «caso Unipol ». E come non bastasse l'inchiesta sulla scalata alla Bnl che coinvolge il segretario e il presidente della Quercia, ieri anche Antonio Bassolino è finito nel mirino della magistratura, che ha chiesto il rinvio a giudizio del Governatore campano per lo scandalo-rifiuti. Mentre la Camera si accingeva a dimissionare Previti, Ciriaco De Mita rammentava in Transatlantico senza alcuna foga come «Antonio, ai tempi dell'inchiesta sui fondi per il terremoto in Irpinia, andava a chiedere ai magistrati di colpirmi duro. Io non farò altrettanto». Poi, dopo una delle sue proverbiali pause, l'ex segretario della Dc lasciava cadere una frase che equivale a una sentenza: «Il mondo diventa normale». È un giudizio politico, beninteso, ma dall'impatto più forte di un verdetto giudiziario, segna la fine di un'era legata a una distinzione manichea dei buoni (che stanno sempre da una parte) e dei cattivi (che stanno sempre dall'altra).
Ancora l'altro ieri Luciano Violante ripeteva che «i Ds non sono preoccupati per il caso Unipol, bensì per la tenuta del governo e per la buona riuscita del Partito democratico». Ma proprio lo stillicidio di notizie e inchieste giudiziarie che si abbatte sui maggiorenti della Quercia è una sequenza di picconate al progetto della nuova forza politica. Non a caso nessun dirigente dalla Margherita - tranne il senatore campano Antonio Polito - ha espresso solidarietà a Bassolino, che pure è uno dei «45 saggi» dell'Ulivo.

«Che il Pd porti sfiga?», si domandava ieri con umorismo nero il ministro prodiano Giulio Santagata. «Ce n'è sempre una, non si può mai star tranquilli. E certo, queste cose colpiscono il nostro elettorato che è molto sensibile all'argomento». Sensibile al punto che Tonino Di Pietro continua a toccare le corde della «questione morale». Lo ha fatto anche per spiegare il motivo della sua esclusione dalle primarie del Pd: «Non mi vogliono perché do fastidio. Soprattutto per la mia posizione sull'indulto e sulle autorizzazioni per le intercettazioni». Antonello Soro, coordinatore dei Dl, avrà valide ragioni nel definire «strumentale» la mossa dell'ex pm, «che prima dice di volersi candidare per il Pd e un minuto dopo minaccia di uscire dalla coalizione».
Ma è evidente il gioco del ministro per le Infrastrutture, che lavora al bersaglio grosso per sfiancare un Pd già alle corde. E come il leader dell'Italia dei Valori, anche gli altri «alleati» usano la stessa tattica. Bastava sentire il modo in cui Alfonso Pecoraro Scanio, capo dei Verdi e titolare dell'Ambiente, si rammaricava con fare teatrale per quanto accaduto a Bassolino: «Ah, Antonio persona onesta ». Poi la stoccata: «Ma da dieci anni gli dicevo di non fidarsi di certe persone...».

Per quanto possa apparire paradossale, il voto di ieri su Previti rischia di essere una jattura per il Pd, perché l'uscita di scena dell'ex ministro della Difesa potrebbe avere sull'Unione lo stesso effetto che ha avuto la vittoria su Berlusconi alle elezioni: come è finito il collante dell'anti-berlusconismo, così sta per finire il collante giustizialista. A Walter Veltroni, se e quando diverrà il leader del nuovo partito, toccherà navigare facendo attenzione agli scogli giudiziari. «Nasce il vero Partito democratico», sorride amaro il ds Cesare De Piccoli. Sarà una prova forse più difficile dello scontro politico con la «Cosa Rossa» che terrà la sua convention il 13 ottobre, vigilia della convention del Pd.

Nessuno farà sconti, nemmeno un vecchio amico come Fabio Mussi è disposto a concederne: «A una nostra assemblea - ha raccontato il leader di Sinistra democratica - un compagno ha fatto un'analogia tra questo periodo e quello del '92. Io penso invece che le condizioni attuali siano peggiori. Perché l'abbondanza di problemi è la stessa, ma non c'è più varietà di soluzioni per risolverli. Oggi siamo in un vicolo cieco». Pensando a quanto accade nella Quercia, Mussi si è trincerato dietro una citazione di Wittgenstein: «Ciò di cui non si può parlare è meglio tacere». Poi non è riuscito a trattenere la battuta. È stato quando gli hanno ricordato che i Ds avevano prima provato a risolvere la questione giustizia con la Bicamerale, poi avevano provato a risolvere il caso Craxi con il suo rientro in Patria, «poi ci hanno provato con la Bnl...».

Francesco Verderami
01 agosto 2007
 
da corriere.it
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