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Autore Discussione: Roberto GALULLO.  (Letto 61516 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Settembre 18, 2009, 11:58:04 pm »

17/09/09

Esclusivo/3 Sanità calabrese al collasso: dai carteggi con Loiero all’interpellanza al Governo dopo i servizi sul blog
Mi trovo tra Reggio e Cetraro per seguire per il Sole-24 Ore la vicenda delle navi dei veleni affondate a largo delle coste calabresi (leggete, please, il marcio che sto svelando in questi giorni insieme ad altri colleghi).

Non per questo – tra un viaggio e l’altro – posso dimenticare che vi ho dato appuntamento ad oggi per una nuova fantasmagorica avventura del deficit sanitario calabrese.

 

L’INTERPELLANZA PARLAMENTARE DI ANGELA NAPOLI

 

E  del resto come potevo dimenticarmi! Tra un viaggio a Cetraro e uno a Paola ieri mi è giunta la notizia che quella “comunista” di Angela Napoli, ha presentato un’interpellanza parlamentare a seguito di ciò che ho scritto sulla sanità calabrese su questo blog. Troppa grazia San Francesco (di Paola) e Santa Angela!

I cultori della materia possono leggere sul sito www.angelanapoli.blogspot.com l’intera interpellanza che è stata presentata addirittura a Sua Onnipotenza Silvio Berlusconi, al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e – ma questo è davvero troppo per il mio cuore già provato dalla sconfitta della Roma contro

la Juve

3 settimane orsono e relativo addio del grande Spalletti - a Sua Finanza il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Grazie, davvero troppo onorevole Napoli, per sdebitarmi le manderò l’intera collezione dei miei articoli sulla sanità calabrese dal Medioevo a oggi.

 

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

 

Ma dove eravamo rimasti prima che quella “comunista” della Napoli scomodasse il Governo? Ah già, che l’Asp di Cosenza ha effettuato una transazione sui crediti pregressi delle case di cura per il periodo 2000-2007. Compreso, nell’accordo, anche la risoluzione dei debiti extrabudget che invece – così sostengono

la Regione

, l’allora consulente Carlo Mazzù e l’ex assessore Doris Lo Moro – non dovevano essere ricompresi in virtù di una decisione plenaria del Consiglio di Stato del 2006.

Bene. Io non so chi abbia ragione, fatto sta che l’avvocato Mazzù, il 14 settembre ha spedito una lettera al Governatore Loiero Agazio, al direttore generale dell’Asp di Cosenza, Franco Petramala e al sottoscritto, smentendo di aver mai avallato qualunque scelta di transazione dopo la decisione del Consiglio di Stato.

Di più. Chiama in causa

la Regione

Calabria

stessa a comportamenti lineari e ortodossi con le scelte ratificate nel lontano 2006 e impresse a vita sulla Gazzetta Ufficiale della Regione del 2007.

Mentre tutto questo accade, ecco una parte (la sola che ho, ammesso che ve ne sia altra) del carteggio che il presidente dell’Aiop (Associazione italiana spedalità privata) Enzo Paolini ha spedito al Governatore Loiero Agazio proprio mentre infuriava la polemica sulla decisione del Consiglio di Stato.

Ovviamente, come sempre, sono pronto a ricevere in qualunque momento precisazioni, lettere, note, documenti e indicazioni utili, dalle parti coinvolte. Per mestiere racconto i fatti e per mestiere voglio raccontarli senza guardare in faccia a nessuno se non al lettore e alla mia coscienza.

 

IL CARTEGGIO DELL’AIOP

 

L’avvocato Paolini scrive a Loiero Agazio il 19 settembre 2007 (e

la Regione

protocolla la lettera il 9 ottobre con il numero 4994). Nella missiva si legge che le case di cura private calabresi e l’Aiop hanno raggiunto tra maggio e luglio 2006 l’accordo sui crediti pregressi 2001-2005. Le transazioni “curate e redatte di suo pugno” dal professor Mazzù prevedevano una serie di condizioni (pagamento dei crediti certi, dei crediti in contenzioso meno il 15,50%, nessun interesse, nessuna spesa legale). Stessa formula per tutte le Asl e via al rientro di circa 200 milioni.

 

 


LA CIRCOLARE

PIROTECNICA


 

Bene. “ A novembre 2006 il dottor Faillace, direttore generale dell’assessorato, emetteva una pirotecnica circolare con la quale…invitava i direttori generali a revocare le delibere emesse”: è quanto si legge nella missiva che ricordava come l’impugnazione di fronte al Tar del provvedimento di sospensione dell’Asl di Paola, avesse fatto rivivere le transazioni e l’ordine di pagamento.

Non solo. Il Consiglio di Stato, chiamato in causa dalla stessa Asl, aveva confermato le ragioni delle case di cura. “Ora – si legge nella missiva – non c’è più motivo di resistenza o opposizione”.

Dopo questa lettera l’ex assessore Lo Moro – che aveva ricevuto la lettera dell’Aiop per conoscenza – il 29 ottobre 2007 ribadisce che in verità l’Aiop aveva preso atto del diniego sule transazioni degli importi extrabudget, in seguito alla famosa sentenza del Consiglio di Stato del 2006.

Il professor Mazzù scrive anch’egli il 25 ottobre a Lo Moro ribadendo le stesse cose e il 7 novembre 2007 Lo Moro scrive all’allora direttore generale alla Salute della Regione, Domenico Crupi, per “lasciare traccia di quanto realmente accaduto per dovere di verità ma soprattutto per tutelare le aziende sanitarie coinvolte nella trattativa e la stessa Regione Calabria”.

 

UNA INCOMMENSURABILE BUGIARDA?

 

Il 5 novembre 2007 Paolini, in maniera trasparente e limpida, ricorda che aveva chiesto le dimissioni dell’assessore “per inefficacia e assoluta incapacità a cogliere i problemi del servizio sanitario calabrese”. E poi aggiunge riferendosi a Loiero: “E’ tutta tua la responsabilità per non avergli ritirato la delega”.

A seguire Paolini ribadisce la validità giuridica degli accordi raggiunti e invita

la Regione

al rispetto degli stessi.

Ma – in un gesto estremo di coraggio, che testimonia la forza degli argomenti di Paolini che, ricordiamolo, è un avvocato preparatissimo – Paolini stesso afferma che “ritengo sia Tuo dovere (di Loiero n.d.r.) verificare la falsità o la veridicità delle affermazioni dell’assessore (Lo Moro n.d.r.) per le quali, non trovando adeguato riscontro, mi riterrò autorizzato a definirla pubblicamente una incommensurabile bugiarda, certo di poter dimostrare in qualsiasi sede il suo inaccettabile comportamento. Scusami per la nettezza e la perentorietà ma ci sono momenti in cui occorre essere chiari e diretti”

 

BLACK OUT

 

Non ho personalmente notizia né delle eventuali risposte alle missive di Paolini da parte di Loiero Agazio, né delle eventuali e ulteriori risposte dell’ex assessore Lo Morò, né di eventuali altri chiarimenti del professor Mazzù.

Non so se e cosa sia successo – epistolarmente parlando – da inizio novembre a inizio dicembre 2007.

So solo che il 30 novembre 2007 Loiero Agazio annuncerà la sua nuova squadra di Governo che non contemplerà più Doris Lo Moro, il cui posto verrà preso da Vincenzo Spaziante.

So che il 10 dicembre 2007 Paolini scriverà a Loiero Agazio informandolo che “tutti gli associati hanno convenuto sulla sospensione” della conflittualità in virtù del nuovo assetto di Governo da Te voluto e come atto di assoluta fiducia nei Tuoi confronti, ma non è possibile andare oltre senza risposte concrete”.

So, infine, che vorrei aggiungere a questo puzzle le tessere eventualmente mancanti ma so soprattutto che bisognerebbe sapere se le transazioni, la cui strada è stata aperta dall’Asp di Cosenza, sono corrette o meno. La sanità calabrese, al lumicino eccezion fatta per i soliti e noti casi di primazia, non può attendere un minuto di più. E con essa anche i contribuenti (calabresi e italiani).

Forse il Governo – chiamato in causa dall’onorevole Napoli – fra qualche anno saprà darci una risposta.


roberto.galullo@ilsole24ore.com

3- to be continued

da ilsole24ore.com
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« Risposta #31 inserito:: Ottobre 08, 2009, 11:57:13 am »

Esclusivo/1

Non solo navi dei veleni affondate: il pentito Fonti trattò con servizi segreti, mafia e 'ndrangheta per salvare Aldo Moro
La sua parola contro il resto del mondo.

Prove: zero. Possibilità di contraddittorio: zero. Testimoni a favore: zero. Testimoni a sfavore: tutti quelli che volete, a partire dalla sua stessa vita, redenta, ancora una volta, solo sulla sua parola. Supposizioni: tante. Incroci di verità: molti.

Poco (e pochi) o nulla potranno aiutare Francesco Fonti, 61 anni da Bovalino (Reggio Calabria), uomo che ha speso una vita nella ‘ndrangheta di San Luca, la capitale della criminalità organizzata calabrese. La ‘ndrina era quella dei Romeo, che a un certo punto diventò (e vedremo come e perché) la mejo cosca der Colosseo.


FONTI, L’UOMO CHE AFFONDO’ 3 NAVI DEI VELENI


Fonti è l ‘uomo che ha guidato la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria e la Direzione

nazionale antimafia verso il ritrovamento delle navi dei veleni che, lui stesso, ha affondato (si leggano i miei servizi da Cetraro sul Sole 24 Ore del 16, 17, 18 e 20 settembre)

Oggi Fonti – che ho sentito anche questa mattina di una domenica che invece di passare in riposo passò studiando carte e lavorando – si trova senza protezione ed è stato chiamato due giorni fa dalla Procura di Paola a raccontare ciò che sa. Fonti, però, ha ribattuto che senza un nuovo programma di protezione non si muoverà di un millimetro dal Comune in cui risiede e il cui nome, qualche testa calda, ha provveduto a far trapelare dalle colonne di un giornale (noto anche per altre vicende).

Fonti ha raccontato al Sole-24 Ore, esattamente a chi vi scrive in questo momento, e al bravissimo collega dell’Espresso Riccardo Bocca fin dal 2005, i retroscena di quegli affondamenti chiamando pesantemente in causa servizi segreti e molti politici.

Tutto scritto nero su bianco in un dossier che Fonti ha consegnato nel 2003 a Enzo Macrì, grande magistrato della Dna.

Chi vi scrive in questo momento, ha avuto la possibilità di essere tra le pochissime persone a leggere le bozze del libro che Fonti ha scritto sulla storia della sua vita. Attende solo un editore che abbia il coraggio di pubblicare le “sue” micidiali verità.

Come questa, sconvolgente, che vi sto per raccontare e che non ha testimoni a favore di Fonti. La sua parola e i suoi racconti, ripeto, contro il resto del mondo.


GOVERNO, PARLAMENTO, COPASIR E COMMISSIONE ANTIMAFIA BATTETE UN COLPO


Non sta a me, a voi né giudicare nè credergli appieno. A me e a voi sta solo il dovere di ascoltare, leggere e interrogarci su questa storia che, avendo come molti di voi, una certa pratica giornalistica con le peggiori schifezze di questo maledetto Paese, ritengo personalmente degna di essere approfondita dalle Autorità competenti. A partire dal Parlamento, dal Governo, dal Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza) e dalla Commissione parlamentare antimafia. Questo è l’appello che umilmente lancio. E questa è la storia di Francesco Fonti che un giorno incontra sulla sua strada la vita di Aldo Moro. E poco dopo, come tutta Italia, incontrerà la sua morte.



FRANCESCO FONTI PROIETTATO NELL’AFFAIRE MORO


A pochi giorni di distanza dal 16 marzo 1978, giorno del sequestro dell’onorevole Moro, Fonti viene convocato dalla sua cosca, Romeo, a San Luca e gli viene detto di andare a Roma in quanto dalla Dc calabrese erano venute pressanti richieste alle cosche per attivarsi al fine della liberazione di Moro. Pressioni – ricorda Fonti - erano venute anche dalla segreteria nazionale e dal segretario Benigno Zaccagnini (morto a Ravenna il 5 novembre 1989).

Fonti andò a Roma e alloggiò all’hotel Palace di via Nazionale dove incontrò vari agenti dei servizi segreti tra i quali uno che avevo conosciuto in precedenza tramite Guido Giannettini con il nome di “Pino” (che entra anche negli affondamenti delle navi dei veleni). Incontrò un non meglio identificato “cinese” che risultava essere un uomo della banda della Magliana e diversi calabresi che abitavano a Roma.


L’INCONTRO CON ZACCAGNINI AL CAFE’ DE PARIS


Ma Fonti afferma soprattutto di aver incontrato il segretario Zaccagnini al “Café de Paris” di via Veneto che pochissime settimane fa, il 23 luglio 2009, è stato tra l’altro posto sotto sequestro perché riconducibile, secondo la Dia, la Gdf e la magistratura, alla cosca Alvaro di Sinipoli (Rc)




LE PAROLE DI ZACCAGNINI, SCHIFATO DELL’INCONTRO


Zaccagnini, che ufficialmente difese sempre la “linea della fermezza dello Stato”, nei ricordi di Fonti, era “schifato” da quell’incontro. Disse infatti Zaccagnini, secondo la ricostruzione di Fonti: “..E’ un brutto momento per la coscienza di tutto il mondo politico e non avrei mai potuto pensare che oggi potessi essere seduto davanti a lei in qualità di petulante, ma è così. Non sono mai sceso a compromessi, ma se sono venuto ad incontrarla significa che il sistema sta cambiando, faccia in modo che quella di oggi non sia stata una perdita di tempo, ma piuttosto una svolta decisiva, ci dia una mano e la Dc di cui mi faccio garante saprà sdebitarsi”.


Prima di andarsene, disse: “…non ci siamo mai incontrati se ci saranno notizie che vorrà darmi di persona lo dica all’agente Pino”.



LA RISPOSTA NELLE PAROLE DI FONTI




Fonti fu schietto e diretto, cercando però di strappare un contatto diretto con Moro: “ Dottore, ci siamo già attivati per reperire informazioni adatte e che possano servire a porre fine a questa brutta storia, sicuramente le nostre ricerche saranno fruttuose e Le saranno comunicate da me stesso”.

Fu l’unica volta, però, che i due si incontrarono, nonostante Moro dal carcere in cui era stato segregato si rivolse per lettera a Zaccagnini, implorandolo di salvarlo.



L’INCONTRO TRA FONTI E CAZORA


Fonti incontrò allora il deputato dc Benito Cazora, siciliano di nascita e romano di adozione, morto nel 1999.

Benito Cazora è stato sempre citato in relazione a due episodi: una segnalazione che ricevette con riferimento alla zona di via Gradoli indicata come "zona calda" nella quale concentrare le ricerche e la questione delle foto scattate dal meccanico Gerardo Nucci, che abitava in via Fani, subito dopo la fuga del commando, che avrebbero potuto immortalare persone riconducibili alla malavita calabrese (foto che, consegnate al magistrato Luciano Infelisi, non saranno mai più ritrovate).

Cazora fu intervistato nel giugno 1997 dalla Rivista “Area” alla quale confermò di essere stato a un passo dalla svolta e di aver informato più persone del covo in cui Moro era segregato. Già il 15 ottobre 1993, però, intervistato dal Tg2 Cazora ricordò i contatti con la malavita calabrese, la quale gli preannunciò anche il falso del ritrovamento presso il Lago della Duchessa. Molte altre volte Cazora approfondì la questione con i media. Invano.


GLI INCONTRI CON I SERVIZI SEGRETI


Fonti incontrò anche il criminale romano Domenico Balducci, pezzo da 90 della Banda della Magliana e Giuseppe Santovito, capo del Sismi dal 1978 al 1981, iscritto alla loggia P2, che aveva avuto un ruolo di primo piano nelle indagini sul sequestro Moro. Santovito è morto il 5 febbraio 1984. Balducci fu ucciso a Roma nel 1981.

Fonti incontrò anche Natale Rimi, boss palermitano di Coda Nostra (arrestato in Spagna il 19 febbraio 1992) e l’appuntato dei carabinieri Damiano Balestra, già addetto all’ambasciata Italiana di Beirut, il quale gli disse che il colonnello del Sismi Stefano Giovannone, sigla in codice G216, gli aveva raccomandato vivamente di salvare Moro a tutti i costi.



LA STORIA DI STEFANO GIOVANNONE




Il Colonnello Giovannone, iscritto ai Cavalieri di Malta, aveva ricoperto l’incarico di capocentro del Sismi a Beirut dal 1972 al 1981. Era conosciuto tra le barbe finte come “Stefano d’Arabia” o “Il Maestro”.

Aldo Moro, di cui Giovannone era un fedelissimo, in due lettere scritte durante la prigionia, aveva auspicato l’intervento del Colonnello Giovannone per risolvere la “delicata faccenda” del suo rapimento.

Nel 1985 il giudice istruttore veneziano Carlo Mastelloni fece arrestare Giovannone con l’accusa di aver favorito il traffico d’armi fra l’Olp e le Brigate rosse.
Giovannone morì poco dopo agli arresti domiciliari, come Santovito “di morte naturale”. L’inchiesta del giudice Mastelloni verrà fermata dal Governo che sulla vicenda porrà il segreto di Stato.

Nel 1995 si suicidò anche il colonnello del Sismi Mario Ferraro. Il suo codice era G219. Ferraro era stato subalterno di Giovannone, ed era stato in Somalia.


CAZORA ERA L’UNICO A VOLERE MORO LIBERO


Per Fonti l’unico che agiva veramente per la salvezza di Moro era il deputato Benito Cazora.

Il 10 aprile 1997 Cazora, a Perugia, dinanzi alla Corte di assise dove si svolgeva il processo a carico dei presunti autori dell’omicidio di Mino Pecorelli, l’ex parlamentare dc, riferendosi all’intervento della ’ndrangheta calabrese nelle ricerche della prigione brigatista dov’era rinchiuso Aldo Moro nella primavera del 1978, afferma: "…tramite l’interessamento del segretario di Aldo Moro, Sereno Freato, riuscimmo a far trasferire dal carcere dell’Asinara a quello di Rebibbia un parente di Rocco (scoprimmo che era una persona che faceva di cognome Varone ed era il fratello di Rocco)…. Mi portarono sulla Cassia, all’altezza dell’incrocio con via Gradoli, e mi dissero: ‘Questa è la zona calda’. Riportai l’informazione al questore di Roma, il quale però mi telefonò riferendomi di aver fatto controllare ‘porta a porta’ via Gradoli senza trovare traccia del covo delle Br".

Il fratello di Rocco Varone era Salvatore Varone che aveva incontrato più volte personaggi politici affermando che "…posso dare informazioni sul covo dove nascondono Aldo Moro perché i calabresi a Roma sono 400.000 e possono controllare il territorio".


IL LAVORO “SPORCO” DI FONTI A ROMA


Fonti racconta di aver soggiornato circa due settimane a Roma raccogliendo un’enorme quantità di informazioni, incontrando personalmente anche uno dei massimi esponenti di Cosa Nostra, Stefano Bontade, “il quale – scrive Fonti - non sembrava affatto un mafioso, bensì un rispettabile uomo d’affari. Solo gli occhi, chi aveva la sfrontataggine di fissarlo ed io l’ebbi, tradivano la sua crudeltà ed il suo essere il “Capo”. Con me fu molto gentile e disponibile anzi confidenziale, arrivando anche a criticare qualcuno dei “capi” della “ndrangheta, poi mi disse “ciccio queste parole le tieni per te, va bene?”

Fonti rivide Bontade (morto a Palermo il 23 aprile 1981) in altre occasioni, anche a Milano. quando gli riferì che stava entrando in società nelle televisioni private.



IL RIENTRO A SAN LUCA, IL RAPPORTO ALLA COSCA E GLI SFORZI INUTILI PER SALVARE MORO


Fonti rientrò in Calabria e fece “rapporto” a San Luca. Successivamente seppe che il suo era stato un lavoro fruttuoso ma vano in quanto erano arrivate indicazioni precise da Roma di “farci i fatti nostri”.


L’INCONTRO IN CARCERE E LE PAROLE DI MORETTI


Fonti, nelle sue peripezie nelle carceri italiane, arriva a incontrare in carcere, durante un corso di computer, Mario Moretti, che era stato condannato per l’uccisione dell’onorevole Moro. Per sua stessa ammissione aveva ucciso lui l’uomo politico.

“Notai subito – racconta Fonti – che Moretti aveva un trattamento speciale e che era libero nei movimenti, lui stesso mi disse che ogni mese riceveva un assegno dal Ministero e che gli era stata garantita a breve la semilibertà. Alla mia domanda del perché di questo trattamento: in fondo era stato condannato a parecchi ergastoli e tutti pensavamo che non avrebbe più visto la libertà. Lui rispose sornione “se non mi fanno uscire svelo tutti gli altarini, conviene a tutti i politici che io resti muto”.

Durante la detenzione Fonti non si fece mancare nulla, compresi gli affari. “Furono fatti tanti affari di smistamento di droga tra le diverse famiglie – scrive nel suo memoriale che attende ora di diventare un libro - si sono fatte delle alleanze con turchi e con qualche colombiano che abbiamo conosciuto nel carcere. Parlo di traffici per centinaia di chili che transitavano nel Milanese. Anche a Opera c’erano delle guardie che si lasciavano comprare e noi li usavamo come postini”.

Questo il racconto di un uomo – gravemente malato – che non ha nulla da guadagnare o da perdere. Un uomo solo e isolato, che magari una parte deviata dello Stato vedrebbe volentieri subito morto.

Non sarebbe il caso che qualcuno lo proteggesse subito, lo ascoltasse ufficialmente e cercasse – laddove possibile – i riscontri alla sua verità? Ma forse non interessa proprio a nessuno…


roberto.galullo@ilsole24ore.com

1. to be continued

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« Risposta #32 inserito:: Ottobre 08, 2009, 12:00:22 pm »

06/10/09

Mafia a San Marino: per il Governo è “Cosa Vecchia”, per Mularoni (Ddc) prima dibattito in Parlamento e poi rogatoria

Troppa grazia San Marino, il santo del Paradiso in terra!

Non credevo che il mio umile blog riuscisse a smuovere nientepopodimenoche il segretario di Stato alla giustizia, Augusto Casali, quello che aveva ufficialmente delegato al collega Marco Arzilli il compito di rappresentarlo nella mia trasmissione “Un abuso al giorno” in onda su Radio24. Parlavo di Licenzopoli, straordinario evento di malcostume emerso dalle brume del Titano grazie alla pervicacia dell’Informazione di San Marino.

Evidentemente la delega non funziona sempre e gliene sono davvero grato. Anzi: mi farebbe sempre piacere parlare con lui, se fosse disposto.

Come sapete, sul mio umile blog, in due umili puntate (28 settembre e ieri, 5 ottobre in cui ho approfondito il tema del riciclaggio ma di questo i politici hanno fatto finta di non accorgersi e allora invito tutti a rileggere quanto dichiara Fonti) ho raccontato le verità dell’ex santista e collaboratore di giustizia Francesco Fonti sui soldi che transitavano fino a fine anni Novanta per le banche di San Marino. Grazie a connivenze estese a tutti i livelli. L’ho raccontato con dovizia di particolari.

Bene. In qualunque Paese del mondo un Governo cercherebbe come prima cosa di sapere se le dichiarazioni (gravissime) di Fonti sono vere o sono farneticazioni. Tertium non datur. E c’è un solo modo per saperlo: una bella rogatoria e Fonti di fronte alla magistratura.

Non so come si sarebbe comportato il Governo del Titano se di mezzo non ci fosse stata l’interrogazione parlamentare (a risposta scritta che deve arrivare entro 20 giorni, si badi bene) del duo di coppia Mularoni-Lonfernini (Democratici di centro) che chiede conto di quelle dichiarazioni.

Ieri il Governo, con un comunicato stampa ha precisato: 1) le vicende risalgono addirittura agli anni Novanta (addirittura? Ma se abbiamo appena finito di bere lo champagne per brindare al 2000! E poi: Fonti racconta di “fine anni Novanta” ed è stato (ri)arrestato a inizio Duemila!); 2) certi segnali non debbono essere presi sotto gamba (evvivadio!); 3) San Marino non è un covo di mafiosi (scusi signor Casali, chi lo ha ma detto questo? A me sembra un’excusatio non petita. Le posso assicurare che se c’è un covo di mafiosi, quella è l’Italia); 4) se c’è stato qualche fenomeno malavitoso è solo perché ha trovato negli ultimi anni terreno fertile per l’inerzia (pare di capire) dei precedenti Governi.

E allora ripartiamo da qui. Come? Con un’intervista che ho fatto questa mattina di buon’ora buttando giù dalle brande Pier Marino Mularoni. L’obiettivo è quello di sempre: capire per quale dannato motivo i due Paesi debbano firmare accordi bilaterali senza dare prima garanzia totale di una bella bonifica ambientale (amministrativa, economica e finanziaria) in ambo gli amati Paesi.

Mularoni buongiorno. Mi querela se continuo a chiamarla Marin Mularon?

(Ride di gusto, scampato pericolo n.d.r.) Ma scherza? E poi siamo tutti Marin a San Marino! Certo che ha fatto un gran casino lei con i suo articoli…

Io? Sono innocente, giuro. Posso portare anche la giustificazione scritta del Signor Direttore: ho fatto solo il mio mestiere

E ci mancherebbe altro. Sa anche come farlo bene…

Troppo umano, speravo dicesse il contrario. Amo essere odiato. Ma bando alle ciance, veniamo a lei. Soddisfatto della risposta di Casali?

Innanzitutto deve rispondere all’interpellanza entro 20 giorni…

Risponda alla domanda please…

No

Meno male che non ha risposto nì o so. E perché?

Perchè se quelle sono davvero le risposte che darà anche il Governo nella risposta scritta saremo costretti a una bella  mozione parlamentare

Uh che brivido! Con la quale…

Con la quale obbligheremo il Parlamento a un dibattito sui contenuti

Obiezione respinta: Casali ha già fatto sapere che casomai sono cose vecchie. Anni Novanta, quando andavano di moda i Nirvana alla radio e Ferrara in tv. Ora siamo a X Factor in tv e in Radio ci sono io. Pensi lei che passo indietro.

Ma quali anni Novanta!

Alt. Prima che lei vada avanti un’altra cosa. Casali ha anche fatto capire che loro, che non so neppure chi siano e non mi interessa, non governavano ai tempi.

Guardi, apparte che Casali governava già all’epoca, le posso assicurare che i Governi qui hanno sempre le stesse facce…

Mal comune mezzo gaudio. Ma alla fine, come se ne esce per cercare la verità?

C’è un solo modo e su quella strada porteremo il Governo: una bella  rogatoria internazionale e Fronti di fronte a un Tribunale

Bum. Non ci credo. Da voi (e da noi) le rogatorie non hanno un gran seguito, vedi il caso De Magistris. Un’ultima cosa. Un parlamentare sammarinese mi ha raccontato la storia delle gru e un certo De Sade, un Marchese che deve saperla lunga, ha ricordato sul blog le centinaia di immobiliari nel vostro Stato, l’assenza di un piano regolatore e le migliaia di alloggi sfitti. Cos’è, una storia anni Novanta anche questa?

Lo sviluppo è stato incontrollato e non sono mancate le speculazioni. Certo è che da noi non esiste un piano regolatore dal 1992 e forse è meglio così, visto che a San Marino il piano regolatore è solo un piano delle costruzioni.

A risentirci Marin Mularon e mi raccomando, non si dimentichi, lei e tutti i politici di San Marino, di me. Anche io  mi sento solo come il nostro Presidente del Consiglio e ho bisogno di insulti, minacce, baci, lettere, mail e magari documenti su cui scrivere ancora.

E come facciamo a dimenticarci di lei…

roberto.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #33 inserito:: Novembre 17, 2009, 07:00:33 pm »

14/11/09


L’onorevole Cosentino e la camorra imprenditrice: Impregeco (e i Casalesi) contro Impregilo


L’ordinanza cautelare di 351 pagine con la quale il Giudice per le indagini preliminare (Gip) Raffaele Piccirillo, ha accolto la richiesta di arresto (impossibile fino a che non si pronuncerà la Giunta parlamentare) dell’onorevole Nicola Cosentino (Pdl) è stata analizzata in lungo e in largo dai giornali e, solo due giorni fa, anche da Annozero di Michele Santoro.

Del resto la richiesta avanzata dai pubblici ministeri Alessandro Milita e Giuseppe Narducci era troppo ghiotta di particolari sui personaggi politici, per non parlarne. Personaggi che sarebbero (il condizionale è d’obbligo) coinvolti in questa brutta storia, a partire dal sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, candidato in pectore per la presidenza della Regione Campania (per lui l’ipotesi è concorso esterno in associazione mafiosa). Vale la pena di ricordare che fino a che non ci sarà un processo le dichiarazioni rese e l’ordinanza stessa non hanno valore di prova.

E’ anche per questo che voglio spostare il tiro e tirare fuori da questa vicenda un aspetto secondo me vitale.

Molto si è parlato degli aspetti di coinvolgimento politico avallati dall’ordinanza (voti di scambio, favori elettoralistici, cene pagate per raccimolare voti, assunzioni pilotate, appalti concordati e via di questo passo, chiamata in causa di ex ministri come Mario Landolfi o parlamentari come Italo Bocchino e il senatore Gennaro Coronella) e poco si è parlato della camorra imprenditrice e della capacità di mollare cavalli e cavalieri per fare al meglio i propri affari.

A leggere bene le carte si possono trovare alcune interessanti evoluzioni dei Casalesi imprenditori (tutto, ripetiamo, deve passare al vaglio di un processo).

A conferma delle tesi dell’accusa con riguardo alla facilità con cui politica e camorra si mettevano d’accordo sul come fare al meglio affari, ecco quanto dichiara (pag.194 e seguenti) a esempio Gaetano Vassallo ai magistrati che lo interrogano: “…in poche parole l’onorevole Cosentino mi disse che si era adeguato alle scelte fatte ‘a monte’ dal clan dei casalesi che aveva deciso che il termovalorizzatore si sarebbe dovuto realizzare nel comune di Santa Maria La Fossa e che anche l’affare del Consorzio Ce4 / Eco4 era uno degli affari degli Schiavone. Egli pertanto aveva dovuto seguire tale linea e avvantaggiare solo il gruppo Schiavone nella gestione dell’affare e, di conseguenza, tenere fuori il gruppo Bidognetti, e quindi anche me.

Da quanto detto fino a ora, risulta chiaro che, a questo punto, l’affare Consorzio Ce 4/ Eco 4, nato per favorire il clan Bidognetti, era diventato un ‘affare’ del gruppo Schiavone”.


DISCARICHE A PERDERE


Finora tutti analisti hanno concordato sul fatto che la camorra lucrasse (e lucri) sull’intero ciclo dei rifiuti. Il sistema delle discariche e delle ecoballe accumulate ha fatto arricchire per generazioni i boss.

Gli analisti ciechi erano convinti, dunque, che il sistema di termovalorizzazione e il progressivo inaridimento delle discariche avrebbe prosciugato l’acqua (anzi, a munnizza) nella quale notavano (e nuotano) camorra e politica corrotta.

Nulla di più sbagliato.


IL SUPERCONSORZIO IMPREGECO E IL PUNTO DI ARRIVO

 DEI CASALESI: I TERMOVALORIZZATORI


Dalla lettura dell’ordinanza (giuro che l’ho letta dalla prima all’ultima parola) emerge una novità diversa e sconvolgente (ma solo per chi crede che la camorra sia solo bossoli e guapparia e non, invece, impresa criminale): la termovalorizzazione (e i relativi impianti) era invece il punto di arrivo della strategia degli Schiavone (con i quali, sempre secondo l’accusa, Cosentino, che nega ogni addebito, era passato armi e bagagli dopo aver prestato fianco e anima Al clan dei Bidognetti). Un punto di arrivo che può contare – secondo i teste ascoltati dai magistrati napoletani – dell’appoggio sia della destra che della sinistra, oltre che di funzionari pubblici corrotti.

Ed è per questo motivo che tutti insieme amorevolmente daranno vita al superconsorzio per la gestione del ciclo dei rifiuti Impregeco che nel 2001 accorperà il Consorzio dei rifiuti Ce4 (in mano al centrodestra casertano) e Na1 e Na3 (riferibili al centrosinistra napoletano).


L’INTERROGATORIO DI GIUSEPPE VALENTE:

IMPREGECO CONTRO FIBE, OSSIA I CASALESI CONTRO IL NORD


Il 23 febbraio Giuseppe Valente, uomo di Cosentino nel Consorzio rifiuti Ce4, che ha presieduto per circa 3 anni, davanti ai magistrati dichiarerà testualmente (pagina 48): “…attraverso Impregeco si intendeva garantire tutto il ciclo dei rifiuti, a livello regionale, e si intendeva anche garantire la fase terminale, quella della termovalorizzazione, anche se si pensava ad un sistema diverso rispetto a quello praticato da Fibe, quale ad esempio l’elettropirolisi. Faccio presente che oltre all’Impregeco – che offriva una soluzione alternativa a Fibe a livello regionale - il progetto politico di Cosentino e Ventre era anche quello di “provincializzare” i rifiuti, ossia di creare un’autonomia gestionale completa a livello provinciale, coinvolgendo tutti e quattro i Consorzi di bacino, creando dei Consorzi specializzati in determinate attività della filiera. Vi erano poi anche gli impianti propri del bacino del Consorzio Ce4, disponendo il Consorzio direttamente non solo di una discarica ma anche di un impianto di stabilizzazione e anche di vagliatura. L’impianto di stabilizzazione fu formalmente imposto da Facchi con delle ordinanze, nelle quali questi imponeva al Consorzio di acquistare dalla Icom di Milano – una società di impianti – queste strutture…”

Sempre il 23 febbraio dirà (pagina 288): il progetto di costituire l’Impregeco mi fu proposto da Facchi Giulio in termini meno espliciti e rappresentandomi i vantaggi che avrei potuto ricevere da una posizione di potere di quel tipo. Compresi agevolmente nel tempo che l’Impregeco serviva quale strumento per sostituire la Fibe ; …faccio presente che Facchi esternava continuamente, anche pubblicamente, la sua avversione rispetto a Fibe e lo stesso faceva Paolucci (Massimo, ndr), altro subcommissario di Governo…era facilmente comprensibile, osservando in modo ragionato le competenze di Impregeco, che questo ente rappresentasse un ente analogo alla Fibe, per quel che erano le sue attività. (…) gli interessi economici erano troppo rilevanti per affidarli ad una società estranea del Nord, quale era la Fibe ".

Ed ecco quanto – di sua spontanea volontà e dunque non su sollecitazione dei pm – lo stesso 23 febbraio 2009 Valente, che fa mettere a verbale: “…il reale scopo dell’Impregeco, quello di sostituire la Fibe , era chiaro a tutti coloro che stavano partecipando al progetto, ovviamente comprendendo anche i due miei referenti politici. L’Impregeco fu un ente certamente voluto da Bassolino tanto che la stesura del documento di convenzione con il quale si affidava la gestione degli impianti di tritovagliatura all’Impregeco fu redatta dallo Studio Soprano – quanto meno in modo informale – con la collaborazione di De Luca Felicio e D’Alterio Pina”..

L’idea della politica e dell’amministrazione corrotta – secondo l’accusa, d’intesa con il clan Schiavone – era dunque quella di soppiantare Fibe-Fisia Italimpianti (l’unica impresa che per contratto del 5 settembre 2001 avrebbe dovuto gestire in esclusiva l’intero ciclo integrato dei rifiuti) con il Superconsorzio che avrebbe dovuto di fatto monopolizzare l’intera regione, agevolato dal fatto che era alimentato esclusivamente con i fondi del Commissariato di Governo. Una lotta oltretutto con risvolti inquietanti: gli interessi dei Casalesi contro l’ingerenza delle imprese del Nord (il gruppo Impregilo).

Questo, secondo la ricostruzione della magistratura, con l’aiuto dell’(allora) sub-commissario bergamasco Giulio Facchi e del Governatore Antonio Bassolino.


LO SHOW MUTO DI BASSOLINO


Escusso il 13 febbraio 2009 dai magistrati sulla ordinanza n.30 del 20 gennaio 2002 che di fatto crea un sistema parallelo e concorrenziale tra il Superconsorzio e Fibe-Fisia (e dunque un inutile doppione), ‘o Governatore sostanzialmente dirà – e lo traduco con un paradosso, un’iperbole linguistica - che lui non c’era e se c’era dormiva. E se non dormiva delegava. A Facchi.

Come dire: che vulite da me, prendetevela co isso.

Testualmente Antonio Bassolino (pagina 288): “…pur prendendo visione del testo dei due documenti e leggendo il contenuto, non riesco a ricordarmi le ragioni per le quali si giunse a tale convenzione. Faccio presente che l’ordinanza n. 30 del 20 gennaio 2002, reca quattro sigle per la sottoscrizione – firme che non sono in grado di riconoscere – attraverso cui è possibile individuare coloro che hanno formato l’atto o comunque condiviso il relativo contenuto, predisponendola (…) Dalla lettura dell’atto nella quale si individua nel sub-commissario il ruolo funzionale deputato all’individuazione degli “impianti di selezione, trattamento, valorizzazione e riciclaggio dei Rsu” (art. 2 della convenzione) posso dire che certamente fu Giulio Facchi ad essere tra gli autori principali della convenzione stessa; era infatti lui il sub-commissario incaricato di tali individuazioni”.


LA CATENA DELLA CAMORRA IMPRENDITRICE

CONTRO L’ IMPRESA DEL NORD


Il Gip ricostruisce la catena della camorra imprenditrice e a pagina 310 e seguenti, richiamando le testimonianze dirette e indirette sull’indagato, scrive testualmente: “La politica di boicottaggio del sistema affidato a Fisia Italimpianti, la promozione dell’Impregeco, la monopolizzazione dei servizi di raccolta dei rifiuti obbediscono obiettivamente ad una strategia convergente con quella del clan dei casalesi e degli operatori criminali campani del settore che dovettero sentirsi penalizzati dall’esclusiva conferita agli imprenditori del Nord.

Lo dicono innanzitutto le massime di esperienza, delle quali da tempo la S.C. avalla l’utilizzo quali regole di copertura del ragionamento probatorio sui temi della criminalità organizzata. Lo dice la storia giudiziaria del clan in argomento.

Lo dice poi Vassallo (Gaetano Vassallo, uomo di fiducia del boss Francesco Bidognetti, ora collaboratore di giustizia ndr), che anche per questo è coerente e attendibile.

Lo dicono infine le pressioni militari che accompagnarono la conquista del monopolio e che indussero una serie di operatori, concorrenti degli Orsi (Sergio e Michele Orsi, imprenditori legati secondo le indagini e le dichiarazioni di alcuni pentiti ai Casalesi, di cui uno, Michele freddato il 1° giugno 2008 dal boss Giuseppe Setola davanti al Roxy bar a Casal di Principe ndr), alla ritirata: pressioni documentate in questo provvedimento, ma anche nelle altre ordinanze cautelari che si sono sopra richiamate con i relativi sostegni probatori (anche questi autonomi rispetto al collaboratore Vassallo).

Possiamo anzi affermare che proprio la coerenza dei comportamenti dell’indagato con questa strategia di interesse della criminalità organizzata insediata sul territorio a costituire il collante che tiene insieme gli elementi indiziari, di ogni natura, che si sono sopra esposti.

La disamina che segue serve ad ogni modo a rafforzare questo tassello del ragionamento. Chi pensasse che l’indagato ha promosso le iniziative sopra enunciate per mera convinzione politica o, al più, per ragioni clientelari scevre da connotazioni camorristiche, apprenderà da Dario De Simone, Carmine Schiavone, Domenico Frascogna, Domenico Bidognetti, Anna Carrino quanto siano risalenti e consolidati i debiti di gratitudine di Nicola Cosentino con la camorra casalese. E quanto dunque sia plausibile la lettura collusiva dei comportamenti finora rappresentati”.


INCONGRUENZA (APPARENTE?)


Resterebbe da capire come mai, in questo momento, l’ex sub-commissario Facchi (insieme al Governatore Bassolino) sia imputato e a processo con l’accusa di presunta truffa dei rifiuti in Campania. Paradossalmente, infatti – e lo fa notare lui stesso ai colleghi Rosaria Capacchione e Leandro Del Gaudio a pagina 33 del Mattino di Napoli del 12 novembre – Facchi sarebbe accusato di aver favorito, con il suo comportamento la Fibe, mentre nell’ordinanza viene accusato di agire contro la stessa Fibe.

Ma i magistrati Milita e Narducci non si curano proprio di questa apparente contraddizione e riportano passaggi su passaggi che smantellano l’ipotetica incongruenza.

Valente nell’interrogatorio del 23 febbraio a esempio dirà: “…era nota l’avversione dei vari Commissari per Fibe e, per quel che mi consta, era Facchi tra i principali antagonisti. Quando si parlava di Fibe si parlava come se si trattasse di un loro “nemico”…”

Di certo, secondo i magistrati campani, c’è la consapevolezza, da parte di Fibe, che la creazione del superconsorzio e la stipula della convenzione facevano parte di una strategia tesa a cacciarli dal territorio campano.


FIBE SA CHE LE E’ STATA DICHIARATA GUERRA


Vengono in soccorso anche le intercettazioni telefoniche puntualmente riportate nell’ordinanza. Tra il 9 e il 6 aprile 2002 l’(ex) amministratore delegato di Fibe (che, ricordiamolo ancora è del gruppo milanese Impregilo, tra i leader mondiali nel settore ingegneria e costruzioni), Armando Cattaneo si rivolge così a un tal avvocato Macrì, puntando ancora il dito contro Facchi: “è una lotta qui a Napoli che sappiamo che c'è Facchi che sta tentando in tutti i modi di costituire una società, un super Consorzio un qualche cosa per subentrare, no? … La società l'ha già fatta, si chiama pure Impregeco (…) non so nemmeno se...questo nome, Impre.., l'ha fatto artatamente...omissis…Impregeco è una società, è un... è una società tra i Consorsi di bacino che attualmente avrebbe lo scopo di bilanciare la tariffa tra Comuni in emergenza e Comuni non in emergenza, però è la struttura “Facchian” pronta a dire, eccola qua, no? L'ente competente...(inc)...la società dei Consorzi di bacino, a cui probabilmente pensa di mettersi a capo lui personalmente alla fine dell'emergenza, no? (...) e no ma è un problema enorme, io (inc)  mi fa una rabbia guarda perché è da settembre che ne stiamo parlando (...) e sì, sì perché poi noi, diciamo che cosa sta succedendo che tutte le nostre ehm... come dire tutte le nostre richieste affannose, ci serve per le banche eccetera, diventano punti di debolezza su cui ci colpiscono perché le sanno anche le pietre no?....omissis……...questo è il problema, quindi quando noi andiamo a... dire disperatamente “ah ci servono le cave, ci servono le discariche se no le banche eccetera” immediatamente le discariche mi costano il doppio, ma dalla sera alla mattina eh, qui c'è proprio una...una catena di gente che approfitta, che corre no? Io non...cioè...è capitato adesso per un terreno per lo stoccaggio, siamo affogati con lo stoccaggio, perché c'hanno non gradito un sito…”

Per tirarla breve, secondo l’accusa mentre i politici parolai e i politicanti credono di saperne una più del diavolo per fronteggiare le mire dell’economia criminale, in Campania i Casalesi sono già un passo avanti e non si fanno scrupoli per fare affari. Costi quel che costi. Sicuramente vite umane e la carneficina della politica. Quella con la P maiuscola però (che non c'è).


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« Risposta #34 inserito:: Gennaio 13, 2010, 11:12:51 pm »

Rosarno, una guerra tra poveri con la regia delle cosche

dal nostro inviato Roberto Galullo
   

ROSARNO - A casa ‘sti niri. A casa questi negri.
Te lo urlano in faccia appena capiscono che sei un giornalista catapultato qui per raccontare che cosa sta succedendo a Rosarno, paese della Piana reggina di Gioia Tauro, dove dettano legge le cosche Pesce e Bellocco. Nulla qui si muove che queste due famiglie non vogliano. E nulla viene tollerato o combattuto senza il loro benestare.
Oggi gli agrumeti sono desolatamente vuoti. Non c'è nessuno o quasi che raccoglie e impila. Li chiamerà, domani, i lavoratori di colore? La domanda rivolta a un piccolo proprietario agricolo che non direbbe il suo nome neppure sotto tortura, cade nel vuoto. "Oggi no, domani neppure, poi vedremo". E' chiaro che la decisione non l'ha presa lui, ma l'antistato, la ‘ndrangheta, che resta per ora alla finestra anche perché il chiasso è troppo assordante e le luci di Forze dell'ordine e media sono accecanti. No, meglio restare in disparte anche perchè la Calabria, dopo l'attentato alla Procura di Reggio, è come una spia sempre accesa sul corpo malato del Paese.

"A casa questi negri" te lo urlano anche da una macchina ferma mentre risali a piedi via Nazionale, oltre due chilometri di strada accidentata come neppure a Beirut, dove da ieri notte fino a questa mattina gli immigrati, in gran parte clandestini, chiamati qui per raccogliere arance e mandarini, hanno messo a ferro e fuoco ogni cosa che hanno trovato, armati di attrezzi rudimentali e qualche accendino. Macchine distrutte, cassonetti incendiati e bastonate a chiunque si avvicinasse alle trincee di fortuna che hanno allestito mentre la gente assisteva dai balconi. Nessuno – secondo una regia studiata a tavolino e che vedrà successivamente il secondo atto, cioè la reazione, quando i riflettori si saranno anche solo un po' abbassati – reagisce per strada alle aggressioni e alle provocazioni. Nonostante le botte piovute su donne (una incinta) e bambini che, per la ‘ndrangheta di qui, sono ancora sacri. Anche questa è una sfida che non resterà senza conseguenze. Magari passeranno mesi, anni, ma la ritorsione ci sarà e sarà dura.

Le ambulanze da ieri vanno e vengono spesso senza motivo a sirene spiegate e il capitano della Polizia che gestisce le operazioni spiega che i suoi uomini dislocati per il paese non picchiano ma vigilano. Ciò non ha impedito che due immigrati fossero gambizzati venerdì.
Il cuore dei rosarnesi, la gente di colore la chiama e la ospita – qui la Caritas svolge un ruolo fondamentale e sono parecchie le famiglie che durante la stagione della raccolta si prodigano per aiutare chi è senza nulla e nulla ha da perdere – mentre la pancia ora la respinge. A casa sti niri. A casa questi negri, anche se per 30 euro al giorno, di cui almeno 10 dati al caporale, si spezzano la schiena dalla mattina alle sei al tramonto per impilare una dietro l'altra le cassette di frutta che prendono poi la via dei mercati ortofrutticoli del nord Italia. Arance e mandarini più pregiati raggiungono ancor più celermente le piazze straniere. Traffici rigorosamente gestiti dalle cosche, senza alcuna eccezione. Trenta euro che diventano 20 dopo il taglieggiamento del caporale, spesso di colore e mandato dalle cosche, ma che diventano 15 o anche 10 dopo il versamento dell'affitto per chi li ospita in stamberghe in cui la puzza è nauseabonda anche a metri di distanza. I più disgraziati dormono in fabbriche abbandonate dove la salute è inesistente e le risse e le ubriacature sono all'ordine del giorno. Già, perché molti di questi lavoratori nord africani, sub sahariani e, in misura ridotta, dell'Est Europa, spendono la gran parte di quel che resta in tasca per bere e pagare le prostitute. Insomma i soldi che gli immigrati ricevono in una mano – direttamente o indirettamente gestiti e autorizzati dalle cosche – vengono riconsegnati con l'altra mano a chi fa della disperazione un business.
La rivolta preoccupa per la prima volta in blocco la cittadinanza, dopo almeno 25 anni in cui si ripetono le stesse identiche scene di migrazione dalla Sicilia alla Calabria e da qui alla Campania o alla Puglia, per spezzarzi braccia e schiena sui campi di pomodori, sotto gli ulivi o le piante di agrumi.

Il perché lo spiega Domenico Ventre, un omone grande e grosso che impartisce ordini a un gruppo che definisce spontaneo e che si è riunito dalle prime luci dell'alba davanti al municipio di Rosarno, sciolto per mafia e ora guidato da tre commissari prefettizi.

Ventre spiega che hanno chiesto ai commissari di ripristinare la legalità ma quando provi a chiedergli se il problema a Rosarno sono i mandarini, così come nella Palermo di Johnny Stecchino era il ciaffico, risponde facendo finta di non aver capito la domanda. "Questi – dice – hanno messo a soqquadro la città e chi è fuorilegge se ne deve andare". Il concetto è chiaro: tutti.

Poi Ventre spiega come è nato l'incidente che ha portato al dramma. "Uno di loro ha fatto pipì davanti a un'abitazione privata – spiega Ventre – e il proprietario ha reagito sparando. A pallini però, sia ben chiaro".

Come no, e' chiaro, chiarissimo, anche se gli investigatori raccontano poi che sono mesi, anni, che nel silenzio dei media le sparatorie e i pestaggi – questa volta delle cosche verso chi osa ribellarsi – sono all'ordine del giorno.

La partita a scacchi continua e le conseguenze, per gli extracomunitari, arriveranno perché se c'è una cosa che le cosche non tollerano è che qualcuno osi spezzare il silenzio dell'omertà mafiosa.

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8 gennaio 2010
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« Risposta #35 inserito:: Gennaio 25, 2010, 04:31:53 pm »

Maiolo (Pd) si gioca la candidatura in Calabria

di Roberto Galullo


Il Governatore uscente della Calabria è a colloquio con il segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani che, a meno di colpi di scena, gli confermerà la necessità di fare un passo indietro.
Una scelta necessaria anche alla luce delle figure messe in fila dal Pd nell'ultima settimana: prima la sospensione delle primarie – in cui gli antagonisti principali erano proprio Loiero e Giuseppe Bova – e poi l'annullamento in fretta e furia dell'autoconvocazione a Lamezia Terme di 1.800 dirigenti regionali del Partito democratico che si sarebbero dovuti riunire questa mattina per affrancarsi definitivamente da Loiero. A capitanare l'esercito Mario Pirillo, europarlamentare e fino a ieri intimo di Loiero.
Dopo l'incontro con Loiero in mattinata lo stesso Bersani incontrerà nel corso della Direzione nazionale i delegati calabresi del Partito democratico e, in quella occasione, saranno messi sul tavolo carte e problemi.
Le carte sono quelle dei candidati da proporre contro il favorito Beppe Scopelliti, che correrà con il Pdl e che ha appena imbarcato tra i sostenitori "I Demokratici" di Enzo Sculco, consigliere regionale uscente di Crotone per il Pd e condannato anche in secondo grado per una serie di gravi reati. Un uomo potentissimo, oltre che una vera e propria macchina da voti.
L'approdo dei "Demokratici" sull'altra sponda – che garantirà al movimento politico un nome nella lista Pdl alle regionali – ha scatenato la reazione dell'onorevole lametina del Pd Doris Lo Moro che ha rinfacciato a Scopelliti un uso ignobile della questione morale e della trasparenza. Scopelliti non ha fatto una piega e ha rintuzzato l'attacco divagando sul problema dei tre mandati consiliari con i quali si trova a fare i conti il Pd calabrese.
I nomi sul tavolo del Pd saranno quelli dell'attuale presidente della provincia di Cosenza Mario Oliverio (ma la Provincia tornerebbe dopo appena un anno alle elezioni), dell'attuale assessore all'Ambiente, lo stimato Silvestro Greco, l'attuale vicepresidente, Domenico Cersosimo, un tecnico molto accreditato, professore di economia, che in più di un'occasione ha salvato l'immagine della Regione, e il consigliere regionale Sandro Principe, figlio di Francesco, potente bandiera socialista per quasi 70 anni in Calabria, vicino a Loiero e lontano dal presidente del consiglio regionale calabrese, il settantenne Giuseppe Bova.
Sull'asse Bova-Bersani si giocheranno soprattutto le carte di Mario Maiolo, attuale assessore regionale al Lavoro e alla programmazione comunitaria. Lo stesso Bova, nei giorni scorsi, sarebbe stato convinto via mail dallo stesso Bersani a cancellare l'autoconvocazione dei 1.800 a Lamezia, con la promessa che di Loiero non sentirà più parlare. E proprio il nome di Maiolo, in queste ore in cui il traffico di telefonate e mail tra Roma e Reggio Calabria è quanto mai intenso, sta prendendo quota, anche perché sembrerebbe estremamente gradito anche ai vertici ecclesiastici.
Ma oltre ai nomi dei candidati, sul tavolo di Bersani ci saranno anche i problemi. Uno su tutti: il rapporto con l'Italia dei valori (Idv), che non riesce a capire perché il centrosinistra non si raccolga intorno al nome di Pippo Callipo, candidato Governatore del partito di Antonio Di Pietro. "Se non va bene Loiero – dichiara al Sole-24 Ore il commissario regionale Ignazio Messina – non vanno bene neppure i loierani Greco e Maiolo. Si convincano loro della necessità di stringersi intorno a Callipo".
Messina ha però mandato nei giorni scorsi il capogruppo regionale, Maurizio Feraudo, a parlare con Maiolo, che vanta un buon rapporto personale con Callipo. Callipo – dopo l'assicurazione che è svanita la possibilità che il Pd candidi l'attuale presidente di Confindustria Calabria Umberto De Rose – potrebbe accordarsi con lo stesso Maiolo sull'allargamento della coalizione di centrosinistra e sul superamento del dualismo che favorirebbe inevitabilmente il centrodestra, già avvantaggiato in ogni sondaggio. Prima, però, bisognerà che l'Idv superi il dualismo tra lo stesso Di Pietro e l'astro nascente e ingombrante Luigi De Magistris che, sul nome di Callipo, non vorrebbe proprio recedere.

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25 gennaio 2010

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« Risposta #36 inserito:: Ottobre 31, 2010, 10:34:30 pm »

30 ottobre 2010 - 10:03

Roberto GALULLO

Esclusivo/

Fantini scrive prima che la Procura di Forlì accusi: Carisp San Marino controlla Delta

Come vi avevo promesso, amati amici sammarinesi e no, ho ripreso a parlare e scrivere delle vicende del Titano che, così da vicino, toccano anche il mio Stato.

Colgo l’occasione – a seguito dei quattro articoli che ho dedicato al “memoriale Fantini” reperibili in archivio – per ringraziare l’ex ad del Gruppo Delta Paola Stanzani, i dirigenti, i funzionari e gli impiegati di quel Gruppo che hanno scritto e commentato gli articoli in questione. Lo hanno fatto con garbo, delicatezza, amore per la loro professione, per se stessi e per le loro famiglie. Quel che più mi fa piacere è che hanno capito che questo blog è luogo di notizie separate dal commento. Il ruolo di un giornalista non è facile soprattutto quando ciò di cui scrive tocca nel profondo migliaia di persone che hanno perso il lavoro o lo hanno ancora ma appeso a un filo commissariale. Per loro ho il massimo rispetto.

Torno oggi sul Sole-24 Ore, nel dorso Plus, a occuparmi di Delta e Cassa di Risparmio di San Marino. Lo faccio, anche in questo blog, approfondendo ciò che scrivo sul Sole, con una lettera, non la sola si evince, scritta di proprio pugno dall’ex ad di Carisp, Mario Fantini. Lettera che avevo in mano da mesi, ancor prima che venisse spedita, il 19 agosto di quest’anno, dall’ex segretario di Stato alle Finanze Gabriele Gatti proprio alla Procura di Forlì.

 LA LETTERA DATATA 8 MAGGIO 2008

 E’ datata 8 maggio 2008 la lettera con la quale Fantini scrive dell’”investimento nel Progetto Italia-Gruppo Delta”. E’ proprio questo l’oggetto.

La lettera, indirizzata agli allora Segretari di Stato per gli Affari esteri e Finanze, rispettivamente Fiorenzo Stolfi e Stefano Macina, è dunque antecedente all’iscrizione della Procura di Forlì di notizie di reato a carico dei vertici della stessa Carisp San Marino e del gruppo bancario Delta.

Quella lettera, scriverà di suo pugno il 19 agosto l’ex segretario di Stato alle Finanze Gabriele Gatti alla stessa Procura di Forlì, fu consegnata “a tutti i membri del consiglio Grande e Generale”.

In altre parole, l’intera classe politica era a conoscenza del Progetto Italia-Gruppo Delta che, per stessa ammissione di Fantini, andava avanti da almeno cinque anni ed era “stato presentato e condiviso con le Istituzioni del Paese, costantemente informate sugli sviluppi e sui risultati conseguiti”.

Ma perche Fantini scrive proprio nel maggio 2008? Perché di lì a poco sarebbe stato presentato un progetto riduttivo che di fatto avrebbe fatto cessare il progetto “in aperto contrasto con la strategia perseguita in questi ultimi anni”. Con le nuove regole dettate dalla Banca centrale sammarinese, da ottobre 2008 sarebbero entrati infatti in  vigore limiti severi alla concessioni di affidamenti sui singoli gruppi e alla concentrazione dei rischi, mentre la strategia fino a quel momento aveva portato Carisp a investire in Delta 115 milioni in capitale di rischio e a finanziamenti per un miliardo.

Questa innovazione, a detta di Fantini – a conoscenza di tutti i politici sammarinesi con quella lettera – non sembrava attagliarsi al Gruppo Delta “ove il presidio al rischio è di tipo organico e consente agli amministratori della Cassa  la piena consapevolezza e ogni forma di intervento per regolare i flussi”.

Per questo Fantini chiede al Governo sammarinese di trovare una soluzione che consentisse alla Carisp di proseguire il suo trend virtuoso e al sistema sammarinese di assicurare il contenimento nella concentrazione dei rischi. “E’ agevole comprendere - scrive Fantini – come sia oggi estremamente complessa, autolesionista e densa di responsabilità una modifica che sconvolga la rotta di programma e le scelte strategiche consolidate in oltre cinque anni”.

LE TRE RAGIONI PER LA DEROGA AD HOC

E per spiegare le ragioni che erano alla base della deroga richiesta e nel descrivere il rapporto tra Carisp San Marino e Gruppo Delta, Fantini scrive testualmente che “si è in presenza di una posizione di influenza dominante” nelle forme individuate dall’articolo 2 del comma 2 della legge sammarinese sulle regole del credito.

“Peraltro si ritiene che nel caso specifico – prosegue Fantini – sussista anche il secondo degli elementi per l’estensione della deroga, ovvero la sottoposizione del soggetto finanziato, e quindi di Delta, a regole di vigilanza prudenziale, tese al contenimento della concentrazione dei rischi nelle operazioni di rischio. Non dimentichiamo che il Gruppo Delta è un gruppo bancario controllato da Banca d’Italia ed è noto a tutti che il fatto di avere a monte un’istituzione sammarinese ha accentuato, anche in maniera abnorme, ogni tipo di controllo in Italia sul gruppo, controllo esteso a tutte le società facenti parte del gruppo bancario”.

Ma c’è anche un terzo motivo per i quali viene richiesta la deroga. “La terza e ultima condizione – spiega – è relativa all’esistenza di accodi di cooperazione tra Autorità di vigilanza di San Marino e del Paese in cui opera il soggetto affidato”.

 “Tale deroga – prosegue Fantini – non credo che possa essere oggetto di critica da parte di chicchessia, senza dimenticare che tenderebbe a preservare la capacità di reddito della Cassa che da anni è il maggior contribuente della Repubblica, nonostante la sensibile riduzione della quota di mercato per effetto della continua proliferazione di sportelli”.

La deroga ad hoc richiesta poteva estendersi secondo Fantini anche alle posizioni di rischio verso parti correlate “nel caso il soggetto connesso a parte correlata fosse un soggetto controllato dalla Cassa, posto che gli esponenti della Cassa e della Fondazione svolgono, nelle società del Gruppo Delta, come in altre società controllate, funzioni di indirizzo e controllo per conto della Cassa stessa; la loro presenza in quei consigli di amministrazione non è dunque espressione di interessi personali”.

Infine la stoccata, garbata e intelligente nello stile dell’uomo, rivolta alla politica sammarinese. Una stoccata – seppur diretta a Stolfi e Macina in quel momento in carica - nella quale si evince che la classe dirigente politica (e finanziaria?) sammarinese era costantemente tenuta al corrente di tutto. “Mi scuso se sono tornato in argomento – scrive infatti Fantini – ma ritengo che la questione abbia una valenza politica e di sistema che non può essere compiutamente portata alla Sua sensibilità e alla Sua attenzione, anche tenuto conto del ruolo istituzionale da Voi rivestito”.

Qualche tempo dopo la Procura di Forlì condurrà l’inchiesta proprio sulla posizione di controllo, e quindi dominante, vietata dalla legge italiana in caso di soggetti non autorizzati a operare sul territorio nazionale e Bankitalia più tardi commissarierà il Gruppo Delta.

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia nuova trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 21.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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« Risposta #37 inserito:: Novembre 12, 2010, 03:49:51 pm »

8 novembre 2010 - 11:05

Esclusivo Why Not: l’avvocato Mottola, marito del giudice che ha emesso la sentenza, interviene qui sul caso De Magistris



Egregio dr. Galullo, preliminarmente Le ricambio l'affettuoso saluto, e la informo che dopo una serie indiscriminata di attacchi mediatici alla mia azienda, fatta di persone serie ed oneste, tutti i miei collaboratori hanno deciso, con il mio consenso, di dire la propria, utilizzando non l'anonimato, ma l'indirizzo: IMPREMED.Spa @alice.it.

Se di anonimi si fosse trattato non avrebbe trovato l'indirizzo mail nei medesimi. Non si tratta, dunque, di una trappola, soprattutto nei riguardi di chi stimiamo come giornalista serio ed onesto.

Anzi, riconoscendo la sua onestà intellettuale, colgo l'occasione per invitarla ad occuparsi personalmente della vicenda processuale che ci ha visto coinvolti in passato; le metterò a disposizione tutti i provvedimenti giudiziari ed ogni altro atto ritenuto utile al fine di dimostrarle quanto pretestuose, false ed infondate siano state le accuse di De Magistris nei miei confronti e nei confronti della azienda che io rappresento.

Ritengo di essere un imprenditore serio, ed insieme ai miei soci ed ai miei collaboratori abbiamo speso tutte le energie per creare occupazione in una Calabria sempre più allo sbando; abbiamo sempre rispettato le leggi ed i lavoratori, abbiamo sempre combattuto e denunciato il malaffare, non possiamo, dunque, sopportare ulteriormente critiche da chi utilizza le parole per colpire indiscriminatamente la gente per trarne un utile personale.

Ritengo, ancora, che non bisogna fottersene delle verità, non bisogna fottersene di chi denuncia fatti come quello che sono accaduti alla mia azienda, perchè se ci sta a cuore la Calabria e vogliamo combattere la diffusa illegalità che ivi imperversa sovrana, dobbiamo farlo attraverso il rispetto delle regole, cominciando dalle piccole cose del vivere quotidiano.

Per cambiare la Calabria, occorre dare fiducia ai cittadini, rispettare le istituzioni, combattere l'illegalità con la propria condotta di vita, soprattutto occorre l'ONESTA' INTELLETTUALE in ciascuno di noi e la riscoperta di quei VALORI che De Magistris sembra aver dimenticato o, forse, non ha mai conosciuto. Un cordiale saluto.



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Avvocato Maurizio Mottola di Amato

Risposta

Egregio avvocato La ringrazio per il graditissimo intervento, così come ringrazio i circa 12mila lettori che finora hanno seguito i sei articoli dedicati alla vicenda Why Not nell’ultima settimana (si vedano servizi in archivio) Un boom davvero incredibile che testimonia l’importanza della vicemda.

Tengo però a precisare che l’anonimato è dettato dal fatto che negli interventi (oltretutto abbastanza ripetitivi) i suoi collaboratori usano solo il nome e non il cognome e che inoltre, se io non avessi cliccato sul dominio dello scrivente (scrupolo che ho sempre proprio perché non capisco chi non mette la faccia sulle opinioni che esprime) mai avrei saputo (e con me le migliaia di lettori del mio blog che non possono cliccare sugli indirizzi mail dei commentatori) che erano collaboratori suoi e dipendenti Impremed (ricordo per brevità ai lettori, rimandando all’articolo di ieri, domenica 7 novembre e ai relativi e copiosi commenti, che l’avvocato Mottola di Amato è marito del giudice Abigail Mellace che ha emesso la sentenza 32/10 e che anche nel recente passato ha avuto duri scambi di opinione con il dottor De Magistris, del quale, colgo l’occasione per dirlo a tutti, tornerò a scrivere domani. De Magistris che ha avuto anche duri scambi con lo stesso giudice Mellace con reciproca promessa di querela).

La ringrazio ancora per l’intervento, spero di avere ancora commenti dai suoi collaboratori, liberi di mettere nome e cognome per rendere ancor più visibili storie e opinioni e le garantisco che – come sto facendo da tanti anni – continuerò a seguire la vicenda Why Not con la stessa onestà intellettuale, indipendenza di giudizio e professionalità che lei mi riconosce e che sono un patrimonio irrinunciabile della mia deontologia e del mio stile di vita.

Cordiali saluti e buon lavoro a lei e ai dipendenti Impremed

Roberto Galullo

©RIPRODUZIONE RISERVATA
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2010/11/esclusivo-why-not-lavvocato-mottola-marito-del-giudice-che-ha-emesso-la-sentesnza-interviene-qui-sul.html
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« Risposta #38 inserito:: Novembre 12, 2010, 03:54:28 pm »

10 novembre 2010 - 8:33
Esclusivo/1


I pm di Forlì, Carifin e il misterioso Omega che a San Marino caricava contante a vagonate

Il bravo collega David Oddone, giornalista dell’Informazione, quotidiano di San Marino, da alcuni giorni si sta occupando di una finanziaria sammarinese i cui metodi sarebbero a dir poco non ortodossi secondo la denuncia di alcuni clienti debitori. La notizia è stata poi ripresa da tutti i media locali. E oggi, mercoledì 10 novembre, l’Informazione nel titolo di apertura dà notizia che la Banca centrale di San Marino ha avviato le procedure per la sospensione del consiglio di amministrazione della finanziaria.

Come vi dicevo alcuni post fa (si vedano in archivio i servizi sul “memoriale Fantini”), continuo da mesi ad accumulare materiale su questo Stato e, credetemi, non riesco a trovare spesso neppure il tempo di analizzarlo, tale è la mole di documentazione.

Il lavoro del collega Oddone mi ha fornito però, giocoforza, l’assist per tirare fuori dal cassetto la “coda” della rogatoria internazionale avanzata dalla Procura di Forlì sul caso Sopaf-Delta-Carisp San Marino, che il Commissario della legge sammarinese Rita Vannucci ha firmato l’8 maggio e depositato in cancelleria il 23 luglio.

Quella coda di rogatoria internazionale autorizza – in un clima di collaborazione che dovrebbe essere la regola tra i due Paesi e che invece quasi sempre non è – la Procura di Forlì e segnatamente i pm Fabio Di Vizio e Marco Forte, a una serie di accertamenti bancari su società e persone italiane sospettate, in primo luogo, di riciclaggio. Accertamenti in corso che magari testimonieranno la condotta irreprensibile, la verginità e l’immacolatezza di chi è stato chiamato in causa.

Le 31 pagine fitte di nomi e società diventano, dal punto di vista che amo trattare, (quello della potenziale o reale economia criminale e della criminalità organizzata) straordinariamente interessanti a pagina 24. Una lettura che sicuramente  - altrimenti che ottimi politici o governanti sarebbero! – non sarà sfuggita a chi, da San Marino, ancora ieri sui giornali locali diceva che tutto il mondo è paese e che la criminalità organizzata è ovunque. E che ancora oggi blatera di controlli da rafforzare. Io direi: da creare.

Verissimo che tutto il mondo è paese ma ci sono Paesi che sono…più uguali degli altri di fronte alla mafia: uno di questi è San Marino. L’altro, neppure a dirlo, è l’Italia.

Non posso infatti credere che la politica sammarinese – visto che in tutto parliamo di 30mila anime in gran parte imparentate tra di loro – non conosca i testi delle rogatorie che vivono una straordinaria contraddizione: vorrebbero difendere la riservatezza del singolo a costo di penalizzare giustizia e verità, ma in realtà ottengono lo scopo contrario, finendo in mille mani.

IL MISTERO DI OMEGA

In questa coda di rogatoria – che riguarda l’arco temporale 1° novembre 2004-5 maggio 2009 - si legge una storia straordinaria. Eccola.

Carifin viene contattata da un personaggio che si presenta in ogni occasione come Omega. L’oggetto delle telefonate è sempre ed inequivocabilmente la movimentazione di un conto corrente a lui intestato oppure a prenotazioni di denaro contante il cui ritiro doveva essere effettuato presso gli sportelli della Cassa di Risparmio di San Marino e al ritiro venivano autorizzati e delegati solo tali mister X e mister Y (nomi e cognomi li ometto volontariamente perché quel che conta è l’analisi di sistema e non il singolo caso che, ahimè, credo che sia stato tutt’altro che isolato).

La particolarità risiede nel fatto che Omega chiamava Carifin da un telefono fisso che corrisponde a un numero di Lamezia Terme (Catanzaro). Particolarmente interessanti sono due conversazioni nelle quali il misterioso Omega contattava Carifin per prenotare contante per un importo consistente, per il quale sarebbero stati necessari “più automezzi per il prelievo”.

Non so se mi spiego, capite di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di automezzi per prelevare il contante! Quanti milioni di euro entrano in automezzo? Tanti, tantissimi, incalcolabili. E poi gli automezzi saranno stati furgoncini o Tir?

A me, se entrassi in una banca, basterebbero un secchiello e una paletta con cui raccogliere gli spicci. Vi ricorda niente questa storia? No? Allora vi rinfresco io la memoria. Tempo fa, nel suo memoriale, che ho riportato fedelmente in alcuni servizi (si legga il mio libro “Economia criminale” o si veda il post del 28 settembre 2009 in archivio), il pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti parlò di furgoni che negli anni Novanta, nottetempo, entravano a San Marino e raggiungevano una banca dove, con tutta comodità, la dirigenza permetteva il carico e lo scarico di una merce preziosissima per la sopravvivenza stessa di San Marino: il denaro contante. Alla faccia del riciclaggio. Dagli anni Novanta al primo decennio del Duemila nulla sembrerebbe cambiato! Alla faccia del cambiamento strombazzato sul Titano un dì si e l’altro pure!

Ma andiamo avanti.

La consistente richiesta di denaro, la provenienza geografica e le dubbie modalità di contatto, oltre al mistero sul nome di Omega, impongono, come riconosce l’ottimo magistrato Rita Vannucci alla quale, non a caso, molti a San Marino hanno dichiarato guerra, una serie di accertamenti bancari per verificare il rispetto della normativa antiriciclaggio.

Le investigazioni riguardano anche una srl di Lamezia Terme (Catanzaro). E perché? Perché questa società per le autorità italiane e sammarinesi risulta di proprietà dal signor Y delegato al ritiro degli “automezzi”. Sigh!

Il 2 giugno il Sole-24 Ore, con un servizio di Lionello Mancini, aveva sfiorato in un passaggio il misterioso Omega, attraverso il verbale di Gianluca Ghini, direttore di Carifin. A proposito dei “calabresi” ecco cosa diceva Ghini ai magistrati forlivesi:
«Nelle intercettazioni avete sentito clienti dire: «Mi chiamo Mario Rossi», «mi chiamo Carifin numero», oppure «sono il numero 1182». È un sistema che non si usa quasi più, quindi chi lo usa è sicuramente un vecchio cliente. Come quello che telefona da una cabina pubblica di Lamezia Terme e dice: «Sono Omega, preparatemi 100mila euro». So che quello è un cliente che si fa vivo una volta o due all'anno. Capisco che può fare uno strano effetto, comprendo che la vostra preoccupazione sia la 'ndrangheta. Però su un cliente così, se ci sono temi di criticità, basta una rogatoria e rispondiamo in 20 giorni».

Altro che 100mila euro! Altro che semplice preparazione per il prelievo di…spiccioli! Alla faccia della criticità! Altro che 20 giorni per una risposta!

Siamo a fine 2010 e la Procura di Forlì è ancora li che sta tirando giù tutto l’elenco dei santi dalla A alla Z!

Per oggi ci fermiamo qui. A breve tornerò con una nuova puntata del filone.

Besitos.

1 – to be continued


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11 novembre 2010 - 8:35

Esclusivo/2

Le gang campane e le chiacchierate dei calabresi con Carifin, finanziaria di San Marino

Cari amici di blog (sempre più numerosi) ieri, sull’abbrivo di una polemica scoppiata a San Marino sul comportamento delle finanziarie, che si deve ad un’inchiesta del bravo collega dell’Informazione David Oddone (anche oggi continua a dare conto del caso Fincapital e altre tre finanziarie in crisi di liquidità), ho tirato fuori dal cassetto la coda della rogatoria internazionale sul caso Sopaf-Delta-Carisp San Marino, che il Commissario della legge Rita Vannucci ha firmato l’8 maggio e depositato in cancelleria il 23 luglio.

Una rogatoria che ha fatto il giro di diverse chiese ma che, a quanto sembra, non si posa mai nelle parrocchie politiche visto che a San Marino la reazione è sempre la stessa: sul Titano il problema è il “ciaffico”! Come a Palermo del resto.

Bene in questa “coda” di rogatoria, tra gli accertamenti autorizzati su determinati soggetti e su specifiche società italiane, oltre al caso descritto ieri su questo blog (si veda l’archivio alla data di ieri) c’è una parte che fa riferimento, e riporto testualmente, a “fatti illeciti descritti nelle annotazioni di polizia, denominate Criminalità organizzata, di cui all’allegato n.16, alla rogatoria principale (f,33305/A) e seguenti. In particolare del rapporto di Polizia giudiziaria, figurano diversi soggetti, le cui condotte sono in prosieguo esaminate”.

Ebbene a questo punto ho davanti a me due strade: riferire i nomi e i cognomi (dando un indubbio vantaggio a costoro, sui quali la Procura di Forlì sta compiendo già con enormi ostacoli accertamenti bancari e no, mettendo oltretutto in grave difficoltà la stessa Procura) oppure descrivere il fenomeno sul quale le due autorità giudiziarie (italiana e sammarinese) stanno con grande difficoltà collaborando. Difficoltà che non sorgono certo dalla volontà delle parti “tecniche” (vale a dire proprio i magistrati e i commissari della legge) ma dagli ostacoli legislativi e burocratici che la granitica Repubblica del Titano, ancora oggi fondata sull’omertà finanziaria, frappone alle inchieste.

Scelgo la seconda strada, omettendo i cognomi che comunque si trovano a pagina 19 e 20 dello stralcio di rogatoria.

TIPINI RACCOMANDABILI

Il primo soggetto sul quale la Procura di Forlì vuole vederci chiaro, conoscendo le sue “mosse” bancarie a San Marino, è già segnalato in Italia per alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, contraffazione di marchi, associazione per delinquere e ricettazione.

A San Marino è stato condannato per il reato di emissione di assegni a vuoto e ancora in Italia e coinvolto con tre campani in un procedimento penale per contraffazione di marchi. Dall’esame degli assegni, il nucleo di polizia tributaria forlivese ha rilevato numerosi assegni tratti al di sotto della soglia di non trasferibilità, che sul retro hanno la firma per girata della società di diritto sammarinese “X” (la ometto volontariamente), di cui amministratore risulta un familiare del soggetto in questione.

E’ SOLO IL PRIMO DELLA LISTA

Alle pagine 23 e 24 c’è un’altra sfilza di personaggi sui quali il commissario della legge sammarinese Rita Vannucci ha ammesso la richiesta di assistenza giudiziaria per i reati di riciclaggio e violazione della normativa antiriciclaggio, disponendo di svolgere accertamenti bancari presso la Cassa di Risparmio di San Marino e Carifin sa. In particolare – con tutta la calma di questo mondo e i mal di pancia di questa terra – a San Marino sarà possibile acquisire copia del dossier intero, estratti di conti corrente, assegni versati ed emessi, distinte di versamento e prelevamento, dati contabili e comunque documentazione relativa a ogni tipo di rapporto bancario, finanziario e fiduciario intrattenuto con la Cassa e Carifin da queste persone. Il periodo temporale? Dal 1° novembre 2004 al 5 maggio 2009.

Ma chi sono questi personaggi?

Il primo è un napoletano, segnalato più volte all’autorità giudiziaria per scommesse clandestine, esercizio abusivo, associazione per delinquere, truffa, falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e corruzione. Il secondo, anche lui napoletano, risulta segnalato per violazione della legge sugli stupefacenti.

I FRATELLI CALABRESI E LE CHIACCHIERATE CON CARIFIN

Nelle indagini della Procura di Forlì emerge che un calabrese della provincia di Catanzaro, dal suo cellulare, chiamava regolarmente e tranquillamente gli addetti Carifin per la movimentazione di un conto a lui intestato. Il fratello, circa tre anni fa, è finito “ar gabbio” (come diciamo noi romani), cioè in carcere, perché ritenuto uno dei principali responsabili di un vasto traffico di droga ma in precedenza risulta segnalato all’autorità giudiziaria italiana per agenzie di affari non autorizzate o vietate, frode commerciale, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, falsità in scrittura privata e associazione per delinquere.

I PRECEDENTI E IL PROFILO DELLE OPERAZIONI

I soggetti in questione, scriverà il magistrato Vannucci, riferendosi anche al misterioso Omega di cui ho scritto ieri, oltre ad una sfilza di soggetti imprenditoriali veneti che evidentemente sarebbero allergici allo Stato italiano e alle sue leggi, hanno precedenti penali e di polizia oppure sono soggetti in rapporti commerciali con costoro. Hanno movimentato una notevole quantità di assegni negoziati presso la Cassa di Risparmio di San Marino, con precedente girata all’incasso con la sigla “Carifin 394”. Una modalità che non può escludere a priori la volontà di traenti, emittenti, portatori e prenditori di sottrarsi a possibili verifiche antiriciclaggio.

In alcuni casi sono verificate consistenti richieste di prelievo di denaro; sono stati emessi assegni tratti da persone a proprio favore e successivamente girati una o più volte con firme non sempre identificabili.

In altri casi sono stati individuati profili anomali di operatività finanziaria riferibile a persone fisiche e giuridiche potenzialmente in contatto con ambienti della criminalità organizzata, in particolare in Campania, Calabria e Sicilia.

In un caso (descritto nel post di ieri) Carifin viene raggiunta da telefonate partite dal misterioso Omega di Lamezia Terme per un importo così…esiguo da avere la necessità di “più automezzi per il prelievo”. Sigh!

L’insieme di queste circostanze, conclude il Tribunale di San Marino, “inducono a supporre la volontà di sottrarsi a possibili verifiche antiriciclaggio e costituiscono il sintomo della verosimile provenienza delittuosa dei titoli e comunque sono indici di anomalia e rischio”.

A questo punto è quanto mai evidente e chiaro a tutti che il problema di San Marino è e resta il “ciaffico”. Di capitali e uomini.

A breve tornerò con una nuova puntata.

Besitos.

2 – to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata ieri)

r.galullo@ilsole24ore.com

 p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia nuova trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 21.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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12 novembre 2010 - 8:09

Esclusivo/3


Carifin San Marino: arriva in Procura antimafia l'ombra lunga di camorra e ‘ndrangheta


Solo ora si scopre che l’11 giugno 2010 il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso riceve dai pm forlivesi Fabio Di Vizio e Marco Forte, 57 pagine di un nuovo rapporto dall’oggetto inequivocabile: “Relazione su evidenze investigative e questioni sistematiche di interesse per il contrasto dell’utilizzazione del sistema creditizio e finanziario per fini di riciclaggio di proventi di attività illecite, anche connessi a quelle delle organizzazioni criminali”. Più chiaro di così si muore.

In questo dettagliatissimo rapporto i due pm ricordano una serie di nomi e cognomi di persone e società sulle quali vogliono indagare più a fondo, salvo magari scoprire (ed è quello che tutti ci auguriamo) la verginità e la correttezza delle operazioni e dei comportamenti.

Attenzione: tra questi nomi e queste società non rientrano quelle di cui ho scritto nei precedenti due post (si veda l’archivio di ieri e l’altro ieri), a testimonianza di quanto sia in continua evoluzione il lavoro della Procura che cammina tanto più celermente, quanto più spediti sono l’assistenza giudiziaria e l’appoggio che provengono dalle Istituzioni sammarinesi, a partire da quelle creditizie. Quella del Tribunale, in particolare del Commissario sammarinese della legge Rita Vannucci, è uno dei pochi punti fermi.


NOLA CHIAMA, SAN MARINO RISPONDE

La prima storia che i pm raccontano per filo e per segno è quello degli assegni riconducibili a Carifin, tratti da banche campane o laziali, con importi al di sotto della soglia di “non trasferibilità”. I traenti o comunque i beneficiari sono società tutte collegate direttamente o indirettamente a una società di Nola (Napoli), con ramificazioni o interessi nelle province di Catania, Verona, Benevento e Roma.

L’ammontare degli assegni per gli anni 2005, 2006 e 2008 è di 2.817 per un importo di circa 17,8 milioni. E manca il 2007!

La correlazione dei rapporti tra la finanziaria sammarinese Carifin e la holding nolana è avvalorata da numerose telefonate intercettate tra il direttore amministrativo del gruppo e il direttore generale della Carifin, Gianluca Ghini. Nelle telefonate è esplicito il riferimento agli assegni e alle modalità di negoziazione.

Una telefonata – in particolare – viene annotata e riportata dai pm forlivesi alla Procura nazionale antimafia. Quella in cui il direttore amministrativo predispone il trasferimento di una ingente somma di denaro a favore di un istituto di credito lussemburghese. “L’ipotesi di flussi finanziari gestiti attraverso modalità anomale, dubbie e poco trasparenti – si legge a pagina 8 della relazione – viene avvalorata dalla conversazione intercettata il 18 maggio 2009 alle 11.15.17 in cui l’holding nolana manifesta l’intenzione di chiudere i rapporti con Carifin” e si accorda sulla data per andare a San Marino per la definizione.

Il piano viene portato a termine e ora la Procura di Forlì è sulle tracce dei successivi passaggi e investimenti. Si badi bene: la conversazione è stata effettuata ad appena due settimane di distanza dall’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare eseguite nell’ambito dell’inchiesta Varano e potrebbe dunque rappresentare, concludono i pm di Forlì, “un ulteriore indizio di operatività anomala del Gruppo campano”. L’interrogazione della banca dati del Viminale sui vertici societari, è bene specificarlo, non ha fornito alcun precedente.


ALTRO GIRO, ALTRA STORIA

Di altro tenore, invece, la seconda storia, raccontata anch’essa con dovizia di particolari (che qui si omettono) e che riguarda 3.247 assegni Carifin (per il solo 2008) per un importo complessivo di quasi 9,4 milioni. Tutti i titoli che finiscono nel conto fiduciario Carifn provengono dalle province di Napoli e Caserta. Numerosissime sono le girate a favore di una impresa di Casoria. Il capitale sociale (pari a 5 milioni) di questa società era, all’epoca dei fatti rappresentati, suddiviso tra marito e moglie ma 100 azioni ordinarie, pari a 100mila euro, erano in mano a Carifin sa. Il presidente del collegio sindacale conversa tranquillamente in più occasioni, come è logico che sia, con il dg di Carifin

La parte che i pm forlivesi evidenziano (in grassetto) a Grasso è che la co-titolare con 2,45 milioni di capitale, ha numerosi precedenti penali tra cui reati di concorso in associazione mafiosa, concorso in estorsione e concorso in riciclaggio. E’ stata arrestata. Il marito della cugina ha precedenti, tra l’altro, per associazione mafiosa ed è stato scarcerato, per fine pena, nel 2008.

NON POTEVANO MANCARE I CALABRESI

Se in queste segnalazioni alla Procura nazionale antimafia mancassero i calabresi, vorrebbe significare che non abbiamo capito nulla della pervasività della ‘ndrangheta.

Tra i negoziatori di assegni presso la Carifin ecco comparire dunque un calabrese di Gioiosa Ionica (un paese in provincia di Reggio Calabria in cui le cosche controllano anche l’aria) che risiede nel ravennate.

Questo soggetto – stranoto alle Forze del’Ordine – ha tra l’altro a suo carico reati come  produzione e traffico di sostanze stupefacenti, porto abusivo e detenzione di armi, ricettazione, associazione di tipo mafioso, omicidio doloso e possesso ingiustificato di valori. Il tizio in questione – uno dei presunti re del narcotraffico internazionale – era noto alle Forze dell’Ordine ma evidentemente a San Marino nessuno sapeva chi fosse e quale pedigree avesse.

Che sciocco: a San Marino i giornali non si pubblicano, quelli italiani non arrivano, la tv è oscurata, la radio è criptata, i telefoni sono sotto controllo, la posta ordinaria è sottoposta a censura, le mail sono vietate e la collaborazione investigativa e giudiziaria in quel momento era stata colpita da un hacker alieno che aveva oscurato le frequenze e le onde radio. Ah dimenticavo: tutti i piccioni viaggiatori in volo tra l’Italia e San Marino (andata e ritorno) erano stati abbattuti a colpi di bazooka.

Alla prossima puntata. Passeranno solo poche ore, tranquilli, non vi lascio soli neppure per il week end nonostante il mio cuore giallorosso cominci a palpitare per l’epocale scontro con i “gobbi”.

Besitos.

3 – to be continued (la precedenti puntate, in archivio, sono state pubblicate il 10 e l’11 novembre)

r.galullo@ilsole24ore.com

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2010/11/esclusivo3-carifin-san-marino-arriva-in-procura-antimafia-lombra-lunga-di-camorra-e-ndrangheta.html
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« Risposta #39 inserito:: Novembre 15, 2010, 10:01:21 am »

15 novembre 2010 - 8:28

Vieni via con me: appunti, nomi e storie a margine della macchina del fango (ri)partita contro Roberto Saviano

ROBERTO GALULLO

In virtuale compagnia di 7.599.000 italiani (dati Auditel) ho guardato, la scorsa settimana, la prima puntata di Vieni via con me.

Ho atteso giorni per sedimentare le mie sensazioni e confrontarle con quelle degli altri. A partire da quelle dei “nobili” commentatori. Siano essi critici, giornalisti o politici.

Io non sono nobile e allora non mi avventuro in perifrasi e lo dico subito: sto (e starò) con Saviano. Senza se e senza ma. Con e senza le critiche (attenzione: critiche democratiche e civili, non melma in faccia) che gli si possono muovere. Con gli errori commessi: piccoli o grandi che essi siano stati nel suo esordio di autore tv.

La forza degli argomenti e il caleidoscopio dei valori e dei principi mandati in onda ha superato ogni cosa. Tutto si può migliorare nella vita ma per farlo bisogna avere radici che si alimentano di linfa vitale. Saviano le ha. I suoi detrattori post-televisivi no.

Alla vigilia della nuova puntata mi ritrovo dunque a riflettere con voi di una spaventosa, disgustosa, sfrontata e impunita campagna di delegittimazione contro Saviano che non attendeva null’altro che la sua faccia in tv per lanciare nuovi veleni.

SAVIANO VAI AVANTI TU CHE A ME VIEN DA RIDERE

Contro gli è stato – salvo poche e confuse eccezioni - sputato fuoco. Nemico e amico. Ma chi sono i suoi amici? Quelli di destra o quelli di sinistra? Dia retta a me Saviano: nessuno. Ma lui lo sa già, come sa che 7,6 milioni di telespettatori non sono 7,6 milioni di amici. Figuriamoci 7,6 milioni di potenziali elettori o simpatizzanti di un virtuale partito!

Volete la mia personalissima opinione? Saviano è sempre stato e sarà sempre assolutamente solo. Nessuna tra le migliaia di mani che stringe sarebbe disposta a condividere con lui forse neppure un giorno di prigionia tra sette guardie del corpo in una vera e propria vita pubblica di merda. Battergli le mani, comprare i suoi libri, testimoniargli solidarietà a parole è un conto. Essere disposti a declinare nella propria vita l’ortodossia morale di chi fa della battaglia alle mafie uno stile quotidiano, è tutt’altra cosa.

Ma la macchina del fango – attenzione – è partita da anni e anche questo Saviano lo sa bene ed infatti molti hanno interpretato la sua lezione storica su Giovanni Falcone come una lettura a futura memoria su se stesso.

Avrebbe fatto bene a dirlo senza passare attraverso messaggi subliminali? Può darsi ma la pudicizia, la delicatezza, la riservatezza e l’onore sano di un uomo (rectius: Uomo) di 30 anni che denuncia blindato ogni mafia mentre molti suoi coetanei (da Sud a Nord) vivono liberi e con pensieri diversi in testa (dalle moto alla figa passando per il calcio e un bicchiere di vino), non consentono sofismi.

LA MAIL IN CIRCUITO

Vi racconto un sofferto episodio che, credo, chiarirà come anche i migliori (a mio modesto avviso) possano sbagliare e lanciarsi nel più clamoroso degli autogol.

Martedì 26 ottobre alle 17.55, unitamente ad altri 103 destinatari (li ho contati uno per uno) ho ricevuto una mail del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato.

Per chi non lo sapesse, questo Centro il cui motore è il vulcanico Umberto Santino, da 33 anni (leggo testualmente dal sito www.centroimpastato.it), “è attivo contro la mafia e per la pace, tra memoria, ricerca e impegno civile”.

E, si badi bene: è proprio così e chi tratta di mafie sa che il Centro palermitano è un punto di riferimento vitale.

La mail che ho ricevuto (abbiamo ricevuto) ha un oggetto inequivocabile: “Saviano sfugge al confronto con il presidente del Centro Umberto Santino su Peppino Impastato”

Il 4 ottobre il Centro, attraverso il suo avvocato, ha spedito all’editore Giulio Einaudi una lettera diffida in cui si chiede la rettifica ad alcune affermazioni, secondo il Centro non veritiere, contenute nel libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano. Secondo il Centro, il libro “ignora l’attività dei familiari, del Centro e dei compagni e sostiene che il film “I cento passi” ha fatto riaprire il processo mentre c’erano già in corso due processi contro i mandanti del delitto e la Commissione parlamentare antimafia del 1998 indagava sui depistaggi”.

IL SILENZIO DELLA STAMPA

Lo stesso comunicato lamentava “il silenzio stampa di gran parte dei giornali, ad eccezione del Corriere della sera, di Liberazione, della Sicilia e di alcuni blog, il reiterato rifiuto di Saviano a confrontarsi, chiestogli, tra gli altri, da Radio Città aperta che ha mandato in onda un'intervista a Umberto Santino”.

La ragione di tale rifiuto? E’ secondo il Centro palermitano evidente: “è una fuga dalla verità, che dimostra quanto il giovane Saviano tiene a quella affermazione non veritiera, che a suo avviso sarebbe la prova più significativa dalla potenza della parola, considerata come una sorta di Logos neoplatonico e di Verbo del vangelo di Giovanni”.

“Non possiamo che prendere atto del silenzio della stampa italiana, anche di quella democratica e di sinistra, che ha creato o avallato il mito di Saviano – prosegue il comunicato stampa del Centro - e della scarsa considerazione per la verità dei fatti del giovane scrittore ormai assurto a personaggio mediatico internazionale e predicatore televisivo”.

AFFOSSATO ANCHE GOMORRA

“Abbiamo espresso solidarietà al giovane scrittore per le minacce ricevute ma già prima del successo avevamo rilevato che Gomorra – prosegue il comunicato stampa - è un romanzo che confonde fiction e realtà, molto meno utile per la comprensione della camorra di altri testi più documentati e attendibili. Avevamo anche fatto notare che nel volume “La bellezza e l'inferno” si parla di una telefonata della madre di Peppino allo scrittore, che, da quello che ci dice Felicia, la cognata di Peppino, non risulta essere stata effettuata. Nello stesso testo si parlava del funerale della madre di Peppino in termini inesatti (c'erano "molti ragazzi", non c'era il sindaco ecc.). Al funerale hanno partecipato centinaia di persone, purtroppo poche di Cinisi, non solo "ragazzi", c'erano magistrati, giornalisti, protagonisti del movimento antimafia degli ultimi decenni, il sindaco c'era e aveva proclamato, su nostra richiesta, il lutto cittadino, e il saluto laico è stato tenuto dal presidente del Centro Umberto Santino.
Anche questo, assieme a varie imprecisioni, rilevate da più d'uno, che costellano Gomorra, dimostra la superficialità di Saviano e il pochissimo conto in cui tiene l'informazione e la documentazione. Tanto, bisogna credergli sulla Parola!”

LA MEMORIA TORNA A LIVATINO

Debbo dire che ho letto con sgomento ed enorme sofferenza questa mail, della quale, alcuni giorni fa, ho anche parlato con il mio direttore Gianni Riotta.

Ma come! Parlare del “giovane Saviano” mi ha riportato immediatamente alla mente le parole dell’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga sui “giudici ragazzini”, che avevano il loro capostipite in Rosario Livatino, il cui assassinio per mano della mafia, il 21 settembre 1990, segnò per sempre la mia esistenza. In quel “ragazzino” c’era tutto il disprezzo nei confronti dei giovani.

Darti del “giovane” è spesso un modo per ammazzarti con le parole, in questo Paese che non contempla null’altro che il vecchio marciume politico e ideologico.

Ma come! Dargli poi del “predicatore televisivo”, ben sapendo che di lì a poco avrebbe esordito proprio come autore tv.

Il resto della durissima lettera non lo commento neppure perché scenderei di livello.

Ora, badate bene, non voglio dire che non ci possano essere delle affermazioni corrette da parte del Centro palermitano ma attraverso questo blog chiedo a Umberto Santino che conosco da anni: non ti rendi conto che stai delegittimando una persona che seppur criticabile (e chi non lo e?) mette la sua vita sul piatto dell’informazione, della conoscenza e della coscienza antimafia?

Non ti rendi conto che tu, con il tuo prestigio costruito finora e con il prestigio di un Centro che porta il nome di una vittima di mafia limpida, stai legittimando attraverso parole sconvenienti, durissime, magari paradossalmente contenenti elementi di ragione, chi non aspetta altro che annoverarti tra le fila dei detrattori di Saviano? Uno come te, capisci, che è invece indubitabilmente dalla parte della legalità?

Non ti rendi conto Umberto che una cosa è commettere errori di costruzione e ricostruzione all’interno di uno o più libri (quanti ne avrò commessi anche io ma sempre in buona fede) e un’altra cosa è trovarsi, per quegli errori, esposto al ludibrio e agli attacchi di chi nel frullatore mescola tutto?

Un’ultima domanda vorrei farti: ma tanti bersagli che potevi scegliere, perché Saviano? Perché?

LA PROVA DEL NOVE

Dopo quel comunicato stampa è partita una improvvisata girandola di risposte. Alcune sono giunte a tutti. Altre, suppongo, solo a Umberto Santino.

Ebbene, a leggerne una mi sono venuti i brividi. Ometto il nome per evitargli di godere nel leggersi ma costui fa espressamente riferimento alle asserite frequentazioni di Saviano con personaggi poco raccomandabili e di sue ambiguità sconcertanti.

Sono senza parole! Senza parole!

Altri hanno disapprovato. Altri, per carità di patria, hanno preferito chiudere la vicenda e non dare spazio a commenti, invitando tutti a vedersela all’interno. Ma all’interno di che? Cos’è, un processo a Saviano? Ma per quali delitti, di grazia? E’ accusato di cosa? Quali sono le ipotesi di reato? Avere commesso qualche errore di ricostruzione nei libri?  E’un Tribunale autoproclamatosi o cosa?

Vedi caro Umberto il tuo intento sarà stato anche nobile (la sete di verità su passaggi della vita di Peppino Impastato) ma come pretendi che la stampa ti segua in una denuncia la cui notizia, semmai, non sono gli eventuali errori di Saviano ma il tuo attacco frontale a un intellettuale che commetterà pure sbagli ma che è un patrimonio di valori per questa povera Italia alle prese con il bunga-bunga?

A PROPOSITO DI STAMPA

Non sto qui a tediarvi con la summa degli articoli che si sono interessati più di Saviano che dell’intera trasmissione di Fabio Fazio. (si contano sulle dita di una mano quelli positivi e del resto ricordiamo che già il 20 aprile Libero sbatteva in prima pagina “Anche per Saviano meno male che Silvio c’è”)

Con un’eccezione. La Gazzetta del Sud, voce ufficiale della Calabria e della Sicilia che non si scompongo mai, mercoledì 10 novembre a pagina 16 ha così titolato: “Torna Benigni ed è record di ascolti”.

Saviano non viene neppure nominato nel sommario, che recita: “Ma sfuma, per problemi di budget, l’ipotesi di rivederlo a Natale su Raiuno con il suo Dante”.

La foto almeno direte voi! Quella ci sara! No, la foto su due colonne è di Benigni.

L’incipit del pezzo è tutto per Benigni e il pezzo verte sulla trasmissione e sull’intervento dell’attore-intellettuale ma Saviano e il suo discorso di resistenza, impegno e valore civile appaiono un’appendice e vengono citati solo perché altrimenti non si poteva.

Insomma è palese: Saviano non interessa. Per carità, scelta legittima. O non deve interessare. Se non nell’occhiello dove viene confuso con altri e dove comunque il protagonista è Benigni: “Durante il suo show a “Vieni via con me” su Raitre con Fazio, Saviano e Abbado ha toccato picchi di 9 milioni di spettatori”.

Si spiega anche con questi distacchi se il Sud è mitridatizzato di fronte alle mafie e se la trasmissione Vieni via con me lunedì scorso ha sfondato al Nord mentre al Sud ha toccato percentuali imbarazzanti. Percentuali che si sono ribaltate analizzando i dati Auditel del Grande Fratello, in onda lo stesso giorno alla stessa ora. In questo caso calabresi, siciliani, pugliesi, campani e lucani sono stati affascinati e hanno seguito con la bava alla bocca tette, culi e siliconi.

Del resto il problema del Sud è il “ciaffico” come lo stesso Benigni mirabilmente ci spiegava nel film “Johnny Stecchino”.

Al Nord la consapevolezza e gli anticorpi antimafia hanno sempre più bisogno di essere corroborati e queste trasmissioni aiutano. In Veneto Il Gazzettino, a pagina 8 ha pensato (male) di non dedicare l’apertura di pagina alla trasmissione ma ha comunque titolato “Saviano: democrazia a rischio” (e io sono perfettamente d’accordo). Forse avrebbe dovuto osare un po’ di più l’ottimo Gazzettino, visto che a pagina III dell’edizione di Venezia titolava: “Mala del Brenta - Il Pg vuole in carcere i soci di Maniero”. Insomma, quasi 25 anni dopo la mafia del Brenta non è più un ricordo ma ancora una drammatica realtà.

IO NON MI SENTO SAVIANO MA PER FORTUNA…

Concludendo, quanto avrei desiderato che tutti i commenti, le analisi, le critiche e persino i furibondi attacchi rivolti all’autore di Gomorra si fossero comunque conclusi, parafrasando la splendida canzone di Giorgio Gaber portata martedì scorso sul palco da un ispirato Daniele Silvestri, così: “io non mi sento Saviano ma per fortuna o purtroppo lo sono”.

Nobili commentatori fate ancora in tempo a rimediare. Da domani i giornali e i media vi riospiteranno. E molti di voi faranno a gara per infangare ancora Saviano, patrimonio di valori, principi e regole in un’Italia a vostra misura, che balla il bunga-bunga.

r.galullo@ilsole24ore.com

ps. ---
pps: --

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http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2010/11/vieni-via-con-me-appunti-nomi-e-storie-a-margine-della-macchina-del-fango-ripartita-contro-roberto-saviano.html
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« Risposta #40 inserito:: Novembre 17, 2010, 06:22:10 pm »

17 novembre 2010 - 7:49

Il sindaco Michele Emiliano vieta ai mafiosi i luoghi simbolo di Bari ma c’è chi lo critica e chi si offende


Il Sud che resiste alle mafie parte anche dalle piccole cose. Come un sindaco che non ci sta a riconsegnare l’ex Punta Perotti, che ha visto nascere un ecomostro e che con lui è stata riportata alla bellezza naturale e originaria. Come un’ordinanza comunale che vieta agli uomini vicini ai clan di sostare nei luoghi simbolo della città, se creano pregiudizio per la sicurezza urbana.

Il Sud che combatte ha tante capitali: una di queste è Bari. Il Sud che non si piega, tra i tanti, ha un nome e un cognome di peso: Michele Emiliano, che di questa città è sindaco dal 2004.

Questo cinquantunenne magistrato (in aspettativa) della Direzione distrettuale antimafia di Bari, con un’ordinanza paradossale e provocatoria, frutto di un’estenuante trattativa politica e istituzionale, ha sovvertito il mondo della comunicazione e dell’informazione antimafia e ha aperto un nuovo fronte di dialogo nella lotta alla criminalità organizzata.

Emiliano, presidente anarchico, atipico, provocatore e dissacratore del Partito Democratico della Puglia, di cui è stato segretario regionale dal 2007 al 2009, quell’ordinanza l’ha fortemente voluta perché ha capito che provare a colpire i simboli e i rituali significa dire ai mafiosi che le Istituzioni conoscono il loro modo di comunicare e non hanno paura di rispondere.

Marshall McLuhan divulgò che "il mezzo è il messaggio. Il vero messaggio che ogni medium trasmette è costituito dalla natura del medium stesso. E la natura strutturale di Emiliano, in questo caso, vale un messaggio di coscienza e conoscenza alla collettività amministrata, uguale e contrario a quello che gli uomini dei clan lanciano quando si appollaiano sulle scale di una Chiesa sacra ai baresi.

Riappropriarsi dei luoghi storici dei Bari – come la zona del Castello, piazza Chiurlia, la Cattedrale e soprattutto la Basilica di San Nicola intorno ai quali, soprattutto la sera, passeggiare è un rischio – vuol dire colpire, anche solo virtualmente, i luoghi del potere mafioso visibile e sfrontato e vuol dire denunciare l’impunità invisibile ma spesso garantita.

Vuol dire prestare un’attenzione in più a una comunità di un milione di abitanti che assiste da anni a una sanguinosa guerra di mafia e che quest’estate, il giorno di Ferragosto, ha guardato sgomenta a una sparatoria sul lungomare De Tullio, proprio nelle vicinanze della Basilica. Uno sguardo di troppo verso una donna, forse qualche litigio il giorno prima tra i due pistoleros e via: prima una scazzottata e poi gli spari che hanno raggiunto tre passanti che credevano che a Bari, il sabato sera, si potesse respirare solo l’aria di mare e non anche quella della polvere da sparo.

I CONTENUTI

L’ordinanza specifica che non sarà più permesso “sostare in modo prolungato in atteggiamento di sfida, presidio o vedetta da parte di soggetti con precedenti penali, assoggettati a misure di prevenzione e comunque indiziati di stabile collegamento criminale con soggetti appartenenti alle suddette categorie di persone”.

Un’ordinanza inutile, demagogica e populista? Può darsi ma in primis per chi non sa (o fa finta di non sapere) che i mafiosi vivono innanzitutto di simboli del potere. Un mafioso può mettere nel conto il carcere, la morte ma non può e non deve mettere nel conto la sottrazione dei simboli del comando: luoghi, rituali, tradizioni e patrimoni. Compresi quelli virtuali, come gli assembramenti sulle scale di una Cattedrale e di una Basilica, dove lo sfregio del profano al sacro raggiunge l’apice.

“Il controllo mafioso del territorio – ha dichiarato Emiliano - si fa anche quando alcune persone stanno ferme in un dato luogo in atteggiamento di presidio”. Cioè di controllo.

Si badi bene che io non conosco personalmente il sindaco Emiliano: non gli ho mai stretto la mano in vita mia, lo farei più che volentieri e non ho difficoltà a schierarmi con lui nelle battaglie di civiltà morali contro le mafie. Così come non avrei difficoltà a criticarlo negativamente quando e se ci sarà occasione.

OTTIMI SERVITORI DELLO STATO

Quest’ordinanza, che resterà in vita fino alla fine dell’anno per via di quella mediazione che è l’essenza stessa della politica ma che potrà essere rinnovata, non è stata capita fino in fondo neppure da chi, per mestiere e impegno civile, è preposto a capirla o quantomeno a non farla apparire come un gioco. Perché con i simboli del potere sono innanzitutto i mafiosi a non scherzare.

Parlo ad esempio del prefetto di Bari, Carlo Schilardi, che personalmente stimo, che aggiunge il suo nome ad altri Servitori dello Stato che in altre città – Milano, Parma e Roma sono le prime che mi vengono in mente – nel recente passato hanno dato una lettura, a mio avviso, all’acqua di rose dei fenomeni mafiosi.  “Molto spesso – ha commentato Schilardi – a questo genere di provvedimenti viene dato un valore superiore al reale. La lotta alla criminalità non si fa con le carte, perché se così fosse avremmo già vinto”. Vero ma qui la carta è solo la forma, la sostanza è che ai bulli di mafia o contigui alla mafia viene detto: “tu mi sfidi e bivacchi. Io accetto la sfida e ti caccio”. Una sfida ai clan bell’e buona che colpirà dalla multa all’arresto chiunque rappresenti – per non violare giustamente le libertà costituzionali, come ha sottolineato anche l’opposizione in consiglio – una minaccia per la sicurezza.

OTTIMI RISULTATI NELLA REPRESSIONE

Avrei capito una delegittimazione di questo provvedimento se Bari e con essa le Istituzioni locali e quelle statali, fossero rimaste in questi anni inermi di fronte allo strapotere dei clan mafiosi. Ma così non è. La Polizia, le Forze dell’Ordine, la Guardia di Finanza e la magistratura hanno assestato colpi micidiali ai clan che imperversano in città: Strisciuglio, Di Cosola, Parisi, Stramaglia. Al pm Desireè Digeronimo, ottimo magistrato antimafia, continuamente minacciata, è stata rafforzata la scorta. Gli inquirenti stanno facendo un buon lavoro e il patrimonio delle cosche è stato duramente colpito con continui sequestri e confische.

Lo stesso Comune di Bari fa – in linea con quelli che sono i poteri di un’amministrazione comunale- dà importanti segni di vita, come l’istituzione dell'Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata, che si occupa di offrire un'alternativa a tutte le persone più esposte alla devianza, specialmente ai bambini e ai minori. Un ufficio che è stato ritenuto un modello positivo dalle Nazioni Unite e che viene studiato da molte città italiane e straniere.

La stessa attenzione alla legalità è costante. Proprio pochi giorni fa, l’8 novembre, la sala consiliare del Comune ha ospitato il convegno “Il governo locale nel rapporto tra crimine organizzato e sicurezza urbana: mercati, consumi e stili di vita”.

In quell’occasione Emiliano ha sottolineato quelle che sono le linee di un sentire comune tra i sindaci di qualsiasi coloro politico. “Alle città – ha detto - occorre dare mezzi giuridici e risorse economiche per rispondere a chi chiede sicurezza al sindaco, prima ancora che al questore o al prefetto. Se in una città avviene un omicidio tutti si rivolgono al sindaco chiedendo maggiore sicurezza, ignorando il fatto che la legge gli impedisce di avere un ruolo determinante in queste vicende e che, se ascolto viene dato alle sue richieste nel Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, è solo grazie alla sensibilità di questo o quel questore o prefetto”.

Sulle risorse economiche Emiliano ha infine affermato che “visto che il Governo ha ormai impedito alle amministrazioni di avvalersi del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso per l’erogazione del risarcimento dei danni riconosciuto ai comuni costituitisi parte civile nei processi di mafia, almeno allarghi le maglie del Patto di Stabilità, che danneggia soprattutto i comuni virtuosi come Bari, per un importo pari al danno subito dai clan mafiosi e riconosciuto dal giudice penale, permettendoci di continuare a investire in politiche di inclusione e prevenzione sociale, unica vera arma attualmente in mano agli enti locali per contrastare seriamente la diffusione della cultura mafiosa nei nostri territori”.

LA COMUNICAZIONE E L’INFORMAZIONE

Accennavo sopra che Emiliano ha anche sovvertito il modo di comunicare l’antimafia del dialogo e dei fatti. E per questo la stampa locale si è incazzata come un cavallo imbizzarrito. La capisco ma non approvo.

La comunicazione e l’informazione possono riuscire nel miracolo delle “convergenze parallele” come si usava dire un tempo in politichese ma se l’una (la comunicazione da parte degli amministratori) indispettisce l’altra (l’informazione dei media) forse è anche perché i giornalisti hanno perso il gusto delle notizia, hanno a lungo coltivato quello della partigianeria e hanno continuato a frequentare i salotti del potere.

Il sindaco, infatti, è stato accusato di aver diffuso la notizia sull’ordinanza in preparazione, sul suo profilo Facebook, che conta 17.075 amici e che cura personalmente la mattina di buon’ora e la sera tardi.

Ha diffuso lì l’anteprima della notizia? E allora? Qual è il problema di grazia? Chiedo ai colleghi giornalisti di Bari: è in corso una guerra polemica tra la nostra categoria e il sindaco? Su quali basi? Sulla mancanza di rispetto del sindaco nei confronti della categoria e sugli attacchi che mena un giorno sì e l’altro pure alla stampa, accusata spesso di informare male, con pregiudizio o in maniera quasi sempre distorta. Almeno questo mi pare di capire leggendo i media locali, a partire dalla storica Gazzetta del Mezzogiorno (si veda l’articolo in prima pagina di Michele Marolla di sabato 23 ottobre 2010) . Bene: rispondiamo con le armi dell’informazione libera e della schiena dritta. Gli si facciano le pulci a Emiliano (come è giusto che faccia una stampa libera), lo si critichi, lo si sproni, lo si metta nudo di fronte alle proprie responsabilità e si svelino gli errori amministrativi e politici.

Capisco che con chi non vuol dialogare (è anche questa l’accusa che viene mossa dalla stampa locale ad Emiliano) è impossibile un rapporto sereno e costruttivo ma non si invochi lo ius primae noctis sulle notizie, che ciascuno è libero di veicolare come vuole. Anche perché la comunicazione è un conto, l’informazione è un altro. E del resto la stampa locale lo ha dimostrato (a partire proprio dalla Gazzetta del Mezzogiorno) aprendo un dibattito e dando corso a una polifonia di voci su quel provvedimento in itinere. Questa è informazione.

Emiliano benedice i social network perché accendono e stimolano un contatto diretto tra chi li frequenta? What’s the problem? Chissenefrega.

A me personalmente non interessa una beata fava che Emiliano si rivolga la mattina e la sera ai baresi e a chi vuol mettersi in contatto con lui. Anzi possa dirla tutta? Sono felice! Magari lo facessero tutti gli amministratori e tutti mi politici! Ci sarebbe meno tempo per il bunga-bunga! Questo non mi impedisce e non mi ha impedito di farvi conoscere, partendo dall’ordinanza tanto discussa, una tessera importante del puzzle che al Sud resiste e lotta contro le mafie.

O no?

r.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #41 inserito:: Aprile 07, 2011, 04:43:31 pm »

Camorra sull'asse Padova-New York

Roberto Galullo


Franco Caccaro, imprenditore padovano nel settore delle macchine per triturazione dei rifiuti con la sua società Tpa, Tecnologia per l'ambiente srl, in pochi anni è diventato leader nel settore con oltre 200 dipendenti e sedi operative a Wall Street, a due passi dalla Borsa americana di New York, in Turchia, Australia, Francia e Brasile. A cavallo tra il 2005 e il 2006 la sua attività era decollata con l'ingresso d'ingenti capitali tra cui 3 milioni provenienti da due assegni della Resit, impresa di Cipriano Chianese che Caccaro giustificò con crediti personali che vantava nei confronti dell'imprenditore casertano.
Peccato che questo "miracolo" economico che corre sull'asse Caserta-Padova-New York sia stato spezzato ieri dalle Dia di Napoli e di Padova che hanno sequestrato oltre 13 milioni in beni immobili, tra cui ville di lusso, abitazioni di pregio e capannoni industriali nel Padovano. I beni sono stati sequestrati proprio a Chianese, ritenuto il re dei rifiuti del clan dei Casalesi, e al prestanome, l'imprenditore padovano.
Il Veneto è un'oasi felice ma solo per Casalesi e Cosa Nostra. Qui la mafia parla i dialetti campani e siciliani ma non ancora quelli calabresi. Ecco il punto: non ancora. «Il territorio compreso tra le le province di Verona, Padova e in parte Venezia – spiega infatti il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi – si sta pian piano trasformando.
Le indagini più recenti svelano la presenza di soggetti calabresi di matrice mafiosa in vicende di traffico d'armi e droga. Soggetti che, per di più, risultano mantenere contatti con la terra d'origine. Da qui a ipotizzare approvvigionamenti di armi, ordigni ed esplosivi delle 'ndrine calabresi in Veneto, il passo è breve».
Ci mancavano solo i calabresi e i loro sporchi traffici in una terra che da quasi 20 anni è costretta a fare i conti con la camorra. Correva il 1993 e l'allora sindaco di Codognè, Mario Gardenal, condusse una battaglia per cacciare dal suo Comune Anna Mazza, la "vedova nera" di Gennaro Moccia, camorrista di Afragola trucidato nel 1987. Mazza, confinata nel Trevigiano dallo Stato, fu rispedita al mittente. Gardenal vinse la sua battaglia ma i trevigiani (e i veneti) persero la guerra: se ne andarono i camorristi, rimase la camorra imprenditrice.
Un anno fa il presidente di Confartigianato della Marca, Mario Pozza, affermò che «in questo momento di crisi di liquidità per molte aziende c'è qualcuno a cui la liquidità non manca». E se si va a leggere il rapporto della Dia del primo semestre 2010, si scopre che «le condizioni di benessere presenti nella provincia trevigiana costituiscono un polo di attrattiva per le compagnie criminali, che investono in attività commerciali o proprietà immobiliari i proventi illeciti».

da - ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-04-07/
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« Risposta #42 inserito:: Aprile 23, 2011, 06:23:39 pm »

12 aprile 2011 - 12:46

Roberto GALULLO

Meomartini (Assolombarda): facciamo come i greci e sulla legalità valorizziamo il ruolo sociale dell’impresa

Non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte ad una platea così attenta ieri sera, 11 aprile, nel convegno “Legalità e cultura d’impresa, risorse per il territorio”, organizzato a Corsico (Milano) dalla zona ovest di Assolombarda.

Poco prima dell’incontro – nel quale ero relatore con il professor Ernesto Ugo Savona dell’Università cattolica di Milano– una voce amica mi aveva raggiunto per suggerirmi: “mi raccomando, niente allarmismo sul fenomeno, gli imprenditori sono già spaventati”.

Sapete che sono refrattario agli “inviti” e così ho risposto: “Nessun allarmismo, più grave di così…sarò didascalico nella reppresentazione della pura realtà”.

A fine incontro sono stati molti gli imprenditori che mi hanno avvicinato per chiedermi dettagli su dettagli e la mia disponibilità a nuovi incontri.

Proprio la conoscenza, dunque, attraverso la parola scritta e orale, è ciò che più di ogni altra cosa può prevenire la criminalità. Questo le mafie lo sanno e lo temono. Per questo invocano omertà. Per questo sono stato contento di aver portato la mia testimonianza davanti a una platea di imprenditori e amministratori locali del milanese, così incredibilmente attenta.

La sintesi della giornata, al di là delle rappresentazioni plastiche del professor Savona e di chi scrive, è stata quella del presidente di Assolombarda Alberto Meomartini.

Lo spunto, paradossalmente, è stata la crisi economica. “Se il nostro territorio, se il nostro Paese hanno tenuto – ha affermato – è perché si è consolidato il rapporto tra le istituzioni, imprese e sindacati. La responsabilità sociale d’impresa si declina con la capacità di creare valore. Alle imprese, nella crisi, viene riconosciuto un valore e un ruolo sociale. Questo è ciò che caratterizza anche il ruolo dell’associazionismo d’impresa, come catalizzatore di impegni sociali e imprenditoriali. Parlare di legalità è parte di questo dna”.

Non sono mancate le specifiche puntuali sui sistemi pratici per accompagnare le imprese in questo cammino, come a esempio l’avvenuta creazione del fondo antiusura o la lotta alla contraffazione, che passa anche attraverso un lavoro comune con la Guardia di finanza (presente al convegno anche con il vicecomandante della tenenza di Corsico, Rossella D’Andreano).

Soprattutto dopo l’intervento di Maria Ferrucci, sindaca (come si legge sul biglietto da visita) di Corsico, che ha richiamato la trasparenza della sua ammnistrazione e il codice etico in dirittura d’arrivo, l’appello conclusivo di Meomartini è giunto naturale. “Stiamo lavorando tutti insieme – ha detto – per difendere la civiltà del lavoro. I greci andavano in guerra tenendosi per mano. Dobbiamo fare la stessa cosa. Non c’è nulla che sia solo responsabilità altrui. Su questo si fonda il futuro delle imprese”.

r.galullo@ilsole24ore.com


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da - robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2011/04/
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« Risposta #43 inserito:: Marzo 27, 2012, 07:20:04 pm »

27 marzo 2012 - 10:03


Il Comune di Firenze cerca sollievo in bilancio ma Giunta e opposizione si scannano sulle spese di swap, politica e personale

Questa mia inchiesta è uscita sul Sole-24 Ore la scorsa settimana nella serie “I conti dei Comuni” – La ripropongo a quanti non hanno potuto leggerla sul quotidiano.



Portoghesi non sono e neppure controllori. Sono “calcolatrici umane” che contano, uno per uno, i viaggiatori della linea 1 della tramvia di Firenze. Con blitz calendarizzati e a campione il cui conteggio, che viene poi tradotto con complessi calcoli in una statistica generale, va preso sulla parola.

Solo così del resto il Comune può sapere se, a fine anno, dovrà coprire la differenza tra la copertura minima dei posti e i passeggeri che hanno effettivamente staccato il biglietto. Il contratto tra Municipio e Gest (società per il 49% del Municipio attraverso Ataf e per il 51% dei francesi Ratp) prevede infatti, già dal primo anno di gestione, un minimo garantito di circa 9,1 milioni con la devoluzione  Gest di 47 centesimi a viaggiatore.

Il 2010, anno di inaugurazione della linea 1, è stato un bagno di sangue per le casse del Comune: 1,1 milioni di penale versati nelle casse della Gest perché i viaggiatori sono stati 7,7 milioni anziché gli oltre 9 attesi. Per ogni passeggero in meno il municipio ha dovuto pagare 47 centesimi. A questi vanno aggiunti 1,9 milioni per i ritardi nella costruzione (complessivamente la linea 1 è costata circa 263 milioni, coperta da risorse comunitarie, fondi statali e mutui contratti dal Comune).

Il secondo anno è andato meglio: il minimo garantito è stato raggiunto e il ricavo di garanzia per Gest salvo ma – in una tortuosa catena di cui si fa fatica a seguire gli anelli – è stata Ataf, la società di trasporto, a versare questa volta 47 centesimi per ogni viaggiatore in più nelle casse comuni di Gest. “Nel 2010 però – dichiara il 27enne Tommaso Grassi, consigliere comunale ora in quota Sel, assolutamente favorevole alla tramvia – è cambiato il sistema di calcolo, inserendo dei fattori correttivi che rendono più semplice raggiungere la cifra di 9,1 milioni di passeggeri e il relativo equilibrio finanziario”.

La partita delle ex municipalizzate direttamente o indirettamente partecipate da Palazzo Vecchio parte da qui perché la tramvia è una tessera di uno scenario molto più ampio di mobilità e riqualificazione urbana che dovrebbe cambiare volto alla città e contemporaneamente stravolgere le voci di entrata nel bilancio, che per il 2012 è di 710 milioni.

Il sindaco Matteo Renzi vuole fare in fretta, fare cassa e cominciare a cambiare il volto della città così poi da battere, coronato dal successo locale, le praterie della politica nazionale. Si scontra però quotidianamente con una realtà più complessa. Innanzitutto l’opposizione, proprio a partire dai costi spropositati sulla prima linea della tramvia, gli sta con il fiato sul collo ora che si (ri)parla dell’avvio della linea 2 (in realtà si attende la prima pietra da gennaio 2011) il cui costo è stimato in 254 milioni. Le banche sembra che non vogliano finanziare un’impresa che sia una. Non solo. Ataf gestione srl – nella quale confluiranno le quote di Gest, mezzi e personale di Ataf – e i cui destini si intrecciano inevitabilmente con Gest è sul mercato e il bando di gara prevederebbe una base d’asta stimata in 3,6 milioni con un diritto di prelazione per Ratp (ma Ataf smentisce categoricamente l’attendibilità di questa notizia). “Al privato che acquisterà questo ramo in usufrutto – spiega Grassi – arriverà in dote un tesoro garantito per 37 anni. Ogni anno, oltre a 400 mila euro di utile per la linea 1 e un dividendo di 98mila euro, e dal secondo semestre del 2015 per le linee 2 e la futura linea 3, l’utile sarà di 700mila euro all’anno e il dividendo di 171 mila euro. E’ un regalo la vendita a 3,6 milioni. Chi vincerà si prenderà il dolce, vale a dire il guadagno e lascerà al Comune l’amaro, vale a dire le responsabilità civili e penali. Inoltre per il personale al momento non è prevista  alcuna clausola sociale di salvaguardia dei posti di lavoro”. Sono sei le aziende che hanno presentato domanda di partecipazione al bando di gara: Gtt Torino; Umbria Tpl e Mobilità Spa (Perugia); Ati (costituenda) fra Busitalia-Sita Nord srl, Cooperativa autotrasporti pratese Soc. Coop e Autoguidovie Spa (Milano); Tper Spa (Bologna); Sia Spa (Brescia, Gruppo Sab controllato dagli inglesi di Arriva); Autolinee Toscane Spa (controllata dalla francese Ratp Dev). Renzi replica: “La base d’asta non è stata ancora fissata e valuteremo al meglio”.

Tutta la partita delle attuali 20 partecipazioni societarie - per le quali complessivamente il Comune nel 2010 ha staccato un dividendo di 7,4 milioni ma nessuno sa quale siano, dicono all’unisono i capigruppo all’opposizione del Pdl Marco Stella e dell’Udc Massimo Pieri le perdite nel bilancio consolidato - è da giocare. Renzi reputa strategica solo Quadrifoglio, con i cui vertici sta ragionando sulla possibile unione con le consorelle di Prato, Pistoia ed Empoli per un unico polo entro il 2015, che magari inglobi altre realtà territoriali per un eventuale e successivo sbarco in Borsa.

Nei prossimi anni le decisioni assunte dal Comune sulle ex municipalizzate saranno il binario parallelo della riqualificazione urbanistica della città e delle relative infrastrutture e impegneranno come mai il Comune e il suo bilancio. La conferma giunge proprio da Renzi: “Siamo abbastanza fortunati perché ci sarà una bella massa di quattrini”. La Tav tra Firenze e Bologna, contestazioni a parte, lascia in dote un’una tantum di 90 milioni per il “disturbo”. Autostrade farà opere di compensazione e complessivamente porterà nelle casse municipali un valore di 20 milioni.

La partita del cuore è però la Cittadella viola che per la Giunta di Renzi deve essere a costo zero per le casse comunali che, al contrario, debbono incassare. La convenzione con lo stadio Artemio Franchi porta una miseria: un milione. “La nuova convenzione – dice Renzi – dovrà portare al Comune molto di più e magari anche opere a compensazione”. La nuova area – individuata in quella che attualmente ospita i mercati generali ed è in capo a Mercafir - è immensa: 50 ettari dei quali circa oltre la metà sarà occupata da stadio, strutture commerciali, alberghi e uffici. Nella restante parte saranno trasferiti i 36 gestori con probabili nuovi investimenti in tecnologie dell’ambiente visto che, solo per il ciclo raffreddamento/riscaldamento, Mercafir, denuncia Pieri, spende 1,2 milioni all’anno. Chi costruirà e attrezzerà quest’area? Andranno a gara 33,4 ettari ma Stella e Pieri maliziosamente fanno presente che al vecchio blocco di potere rosso della città – Pci, coop rosse e Cgil – si sta lentamente sostituendo un potere bianco guidato da Cl e coop vicine alla Compagnia delle opere.

Se la cittadella viola è cuore e anima, gli ex immobili della Giustizia e la riqualificazione di Manifattura Tabacchi rappresentano invece “attese, promesse e speranze”.

A Novoli – nella cui area ricadono anche i mercati generali, un ex stabilimento Fiat trasformato in parco urbano e il polo delle Scienze sociali dell’Università – è stato ultimato il nuovo Palazzo di Giustizia ma non sono ancora stati completati i trasferimenti di tutto il personale e i traslochi di arredi e faldoni. Per i beni immobili nel centro storico che saranno liberati si aprirà il dibattito: che farne? “Penso a una Fondazione che gestisca gare e appalti e li metta a frutto per la città e le casse del Comune” dice Renzi. Intanto una cosa è certa: grazie alla riunificazione degli uffici, gli affitti che attualmente il Comune paga per le spese della giustizia, caleranno da 8.2 a 1,2 milioni all’anno.

Promesse e speranze anche per la ex Manifattura Tabacchi, chiusa nel 2001. Il complesso - costruito dal 1932 al 1940 in via delle Cascine – è una piccola città: sei ettari sui quali sorgono 15 fabbricati, di cui alcuni di 6 piani che ricoprono circa la metà del terreno per un totale di oltre mezzo milione di metri cubi. La proprietà è divisa tra Consorzio Etruria, Baldassini e Tognozzi e Immobiliare Milano Assicurazioni (29,71% delle quote a testa) oltre a 9 altri soci che detengono al massimo il 7,59%. Tutti privati tranne la Camera di commercio di Firenze (che ha il 2%). Va da sé che l’attuale congiuntura lascia poco spazio all’immaginazione di investimenti sicuri per ridare smalto ad una parte vitale della città.

SWAP CHE DOLORI!

“Abbiamo bloccato alcuni pagamenti perché ci sono i margini sui quali lavorare e questa è la strada che bisogna percorrere fino in fondo”: Matteo Renzi è categorico sulla partita dei derivati che, finora, è stata un gioco al massacro per il Comune di Firenze come del resto per molte altre amministrazioni locali. “Se le banche confermano la volontà di chiusura dei contenziosi in corso – aggiunge il sindaco al quale non è imputabile alcun contratto – bene, altrimenti sono pronto ad andare in Tribunale”. Un’ipotesi che al momento appare remota anche alla luce delle indicazioni del Governo Monti, che sono quelle di non andare allo scontro, in questa delicata fase sociale, economica e finanziaria, con le banche internazionali.

Il Municipio negli anni ha sottoscritto 13 contratti in derivati: 12 interest rare swap e un cross currency swap. Sei sono stati annullati in autotutela dal Comune. Il totale dell’investimento è stato di 270 milioni. Il totale degli interessi – come ha calcolato il leader dell’opposizione targata centro-destra, Marco Stella che ha anche presentato un’interrogazione approdata in consiglio il 5 marzo – è stato pesantissimo. Nel 2009 sono stati 5,4 milioni, saliti a 10, 3 nel 2010 e scesi a 9,1 lo scorso anno. In totale 24,9 milioni.

“Il Comune – dichiara Stella – avrebbe pagato dal 2006 ad oggi commissioni occulte complessive alle banche per 16,4 milioni. Un vero e proprio bagno di sangue. Ma non basta. Gli oneri non dovuti sarebbero 7 milioni e il totale, in questo calcolo per difetto relativo a spese non dovute, supererebbe i 23,5 milioni”.

Il totale del costo degli swap - sommando tutte le voci – negli ultimi tre anni, secondo il Pdl, si aggira intorno ai 48,7 milioni nei quali sono ricomprese le spese sostenute per gli incarichi esterni. E anche in questo caso Stella, che passa intere giornate su contratti e delibere, ha calcolato che dal 2010 al 20 ottobre 2011 sono stati assegnati 8 incarichi esterni suddivisi tra l’avvocato Tommaso Iaquinta (sembra, per la sua rigorosa strategia, caduto poi in disgrazia agli occhi dell’amministrazione) che se ne è aggiudicati 4 per un compenso di 109.093 euro e lo studio Gregory Rowcliffe Milners di Londra che ha staccato finora parcelle per 163.972 euro. Il totale tra i due studi è di 273.065 euro. “I legali inglesi – conclude Stella – avrebbero chiesto 100mila euro per proseguire nella pratica di negoziazione e contestazione sui contratti stipulati. Il Comune, avendo inoltre rinunciato al ricorso sulla giurisdizione deve pagare i costi sostenuti dalla banche in seguito al ricorso legale. A Dexia deve 65mila euro mentre per Merryl Lynch e Ubs i costi sono ancora da quantificare”. Rinunciare alla giurisdizione, in pratica, vuol dire che i giudizi promossi dalle banche si svolgono tutti davanti all’alta Corte di Giustizia di Londra.

Una situazione finanziaria non semplice che si aggiunge ad un debito del Comune che nel 2012 è stimato in oltre 519 milioni (è come se ciascun residente gravasse un onere di 1.417 euro). Una cifra, oltretutto, in crescita, visto che la cifra del debito nel 2008 era di 480,2 milioni, salita a 495,1 nel 2010 e a 514, 9 lo scorso anno.

IMU E CITY TAX PER COMPENSARE I TAGLI AI TRASFERIMENTI

“Basta con ‘sta storia che i sindaci sono sempre pronti ad aumentare le tasse. Aspetti qualche giorno e vedrà”. Nel congedare l’inviato del Sole-24 Ore il sindaco Matteo Renzi dà appuntamento all’approvazione del bilancio di previsione 2012 che arriva il 10 marzo: 710 milioni, divisi tra 507 per la spesa corrente e 204 per gli investimenti.

''Un bilancio serio, solido e sociale – afferma Renzi – che dimostra come Firenze sia  l'unico Comune in Italia ad abbassare l'addizionale Irpef, dallo 0,3 allo 0,2, che e' la più bassa tra le grandi città''. Ora il bilancio è in consiglio comunale. ''Noi abbiamo deciso di abbassare le tasse, altri no - ha aggiunto Renzi -. Abbiamo abbassato l'Irpef e l'Imu sulla prima casa costerà ai fiorentini comunque meno rispetto all'Ici. E poi a chi ha una seconda casa, e per i negozi, non si paga lo 0,4% di Imu ma lo 0,99. E se la casa e' sfitta si paga il massimo, 1,06%: una 'minipatromonialina'. A chi ha di più chiedo di più''.

In merito all'Imu per la prima casa, la Giunta ha sottolineato che i fiorentini pagheranno meno rispetto all’Ici del 2007 (era al 6 per mille): l’aliquota passerà al 4 per mille. In bilancio e' stata inserita anche l’Imu al 7,6 per mille con rimborso del 50% per chi affitta le case a canone concordato. Solo tre giorni prima, con un comunicato, il Pdl aveva chiesto “di applicare le aliquote minime relative all’Imu per famiglie e imprese così come consentito dalla legge e di recuperare i soldi necessari azzerando consulenze ed incarichi esterni”.

L’assessore al Bilancio Claudio Fantoni ha spiegato che il Comune ha deciso di compensare i 55 milioni in meno di trasferimenti, rispetto al 2011, con 12 milioni che arriveranno dal contributo di soggiorno e con 43 milioni di maggiori introiti Imu. “Manovre obbligate anche perché il patto di stabilità – aggiunge Renzi –”.

Sulle tasse Renzi non perde occasione per dimostrare che non c’è alcun intento vessatorio. Già nella sintesi del bilancio 2011 aveva dettato la linea: “Non c’è alcun aumento delle imposte per i cittadini. Il Comune di Firenze avrebbe potuto aumentare l’addizionale Irpef applicata sul reddito dei fiorentini che oggi è allo 0,3%, ferma dal 2003. La scelta dell’amministrazione è stata quella di non gravare sulle tasche dei cittadini e di non aumentare le imposte”.

COSTI DELLA POLITICA: IL SINDACO VIAGGIA IN BUSINESS CLASS

“Auto blu? No grazie, noi siamo per l’auto verde. Da gennaio viaggio con un’auto Nissan Leaf regalataci dall’azienda giapponese. Totalmente elettrica! Abbiamo messo in vendita le quattro auto blu dell’amministrazione e nelle prossime settimane si terrà l’asta!”. Questo è quanto scriveva sul suo sito – con tanto di punti esclamativi - il sindaco Matteo Renzi il 12 febbraio per aggiornare la città e i suoi lettori sui tanti passi in avanti che l’amministrazione sta compiendo sulla strada del taglio ai costi della politica.

L’opposizione, però, non gliene fa passare una. Ancora vivace sono, a esempio, le polemiche sulle quattro trasferte intercontinentali del sindaco tra il gennaio 2010 e il settembre 2011. Per 18 giorni tra voli in business class e hotel se ne sarebbero andati oltre 29mila euro. Polemiche definite strumentali e demagogiche dalla maggioranza.

La polemica è continua e non passa giorno che non ci sia un aggiornamento. il 6 febbraio i due consiglieri del Pdl Emanuele Roselli e Francesco Torselli: “Dopo esserci sentiti accusare di essere dei bugiardi oppure di non essere in grado di leggere i dati forniti dagli uffici in risposta alla nostra interrogazione sui costi dell'amministrazione Renzi, abbiamo deciso di rivolgere oggi in aula, al sindaco, una domanda precisa, consapevoli della serietà del nostro lavoro sui costi della giunta Renzi. Abbiamo quindi chiesto se nella risposta fornitaci dagli uffici comunali vi fosse o meno scritto, come noi abbiamo denunciato, che la Giunta Domenici costava ai fiorentini 4.121.757,42 euro all'anno, mentre la Giunta Renzi costa ben 4.766.366,96 euro all'anno e la risposta affermativa finalmente è arrivata per bocca dell'assessore al personale Stefania Saccardi”.

Mentre Renzi sbandiera infatti i suoi risultati, Marco Stella, capogruppo in consiglio del Pdl tira fuori dal cassetto i costi clientelari nelle società partecipate, che rappresentano il vero tesoretto politico di ogni amministrazione pubblica locale. Nelle società (che contano complessivamente 4.428 dipendenti) i costi per le consulenze sarebbero stati, secondo i calcoli del Pdl, 5,4 milioni nel 2008 e, da lì in poi, un crescendo continuo con successiva stabilizzazione. Nel 2009 il costo è balzato a 7,9 milioni che nel 2010 sono scesi a poco più di 7,5 milioni. Il record – in tutti gli anni presi in considerazione – tocca a Toscana Energia (nel 2010 2,3 milioni) e al Gruppo Publiacqua (2,2 milioni nello stesso anno).

PERSONALE: GUERRA DI CIFRE CON L’OPPOSIZIONE

Come su quelli della politica, trovare un accordo sui costi del personale è sempre impresa ardua. Poco meno di un mese fa i consiglieri del Pd Emanuele Roselli e Francesco Torselli hanno rilanciato i temi dell’aumento e lo stesso capogruppo Marco Stella il 7 febbraio ha dichiarato: “Dal 2010 al 2013 l’amministrazione comunale ha messo in bilancio 11 milioni e 313.573 euro per incarichi professionali esterni. La giunta Renzi ha mantenuto il costume dell’era Domenici, continuando ad affidare all’esterno compiti che non si capisce perché non possano essere svolti dai circa 5.500 dipendenti comunali. I dati del bilancio sono chiari: nel 2010 sono stati spesi 4.904.946 euro, nel 2011 4.031.827, nel 2012 1.591.800 ed infine nel 2013 sono previsti incarichi per 785.000 euro per arrivare alla cifra complessiva di 11.313.573 euro”. Come se non bastasse il Pdl ha ricordato che la spesa annua dei 59 dipendenti assunti dalla Giunta Renzi dall’insediamento a oggi gravano sulle casse per 2,4 milioni all’anno. E tra i neo assunti non mancano figlie di giornalisti, mogli di consiglieri comunali, candidati di lista del Pd.

I numeri in politica sono un’opinione e così il 3 febbraio è toccato all’assessore al personale Stefania Saccardi, replicare alle dichiarazioni di consiglieri Roselli e Torselli. “I due consiglieri del Pdl ci sono ricascati – ha detto – e continuano a dare numeri sbagliati, non riescono a capire i dati, corretti, che hanno in mano e cercano di difendersi dalle precedenti figuracce. Prima di tutto un dato generale: alla fine del mandato del sindaco Leonardo Domenici i dipendenti comunali erano 5.173 mentre con il sindaco Matteo Renzi al 31 dicembre 2011 erano scesi a 4.910. Rimanendo sui numeri, il sindaco Renzi ha tre persone in segreteria, di cui una a tempo determinato e due dipendenti pubblici. Il sindaco precedente ne aveva cinque”.

Entrando nel dettaglio degli altri dati illustrati dai consiglieri del Pdl, l’assessore Saccardi ha precisato che i dipendenti assunti a chiamata diretta sono 66 a fronte dei 67 dell’amministrazione Domenici.  Sotto il capo dell’Ufficio di gabinetto, che ha assunto anche i compiti di direttore dell’Ufficio del sindaco, ci sono adesso 38 persone, mentre la direzione dell’ufficio del sindaco di Domenici ne aveva oltre 50.

 “I capisegreteria degli assessori sono al momento sette – ha sottolineato l’assessore – mentre nella precedente amministrazione erano nettamente di più visto che erano di più gli assessori. E non dimentichiamo, appunto, che la giunta precedente è stata composta da un numero di assessori quasi doppio di quella attuale: facendo un calcolo grossolano, 13 assessori arrivano a costare circa 300mila euro, e di questa cifra nei calcoli del Pdl non c’è traccia. Infine, due dirigenti citati dai consiglieri, sono personale di ruolo”.

Pensate che la partita si sia chiusa? A testimonianza del fatto che in politica i numeri sono un’opinione, i due consiglieri Morelli e Torselli hanno controreplicato di non avere avuto risposte soddisfacenti.

r.galullo@ilsole24ore.com

da - http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2012/03/il-comune-di-firenze-cerca-sollievo-in-bilancio-ma-giunta-e-opposizione-si-scannano-sulle-spese-di-swap-politica-e-personale.html
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« Risposta #44 inserito:: Maggio 22, 2012, 03:57:47 pm »

 21 maggio 2012 - 9:35

La mafia pugliese è diventata adulta e l’asse con i Balcani l’ha tolta dall’isolamento

Questo mio articolo sulla mafia pugliese è stato pubblicato sul Sole-24 Ore domenica 20 maggio nell’ambito di una serie di servizi sull’attentato a Brindisi contro la scuola Morvillo Falcone. Lo ripropongo per quanto non hanno potuto leggerlo.

Una nota, apparentemente messa per caso, nella relazione di fine 2011 della Direzione nazionale antimafia, fotografa gli ultimi sviluppi economici della mafia pugliese. “In particolare, nella provincia di Bari – si legge - è stata osservata una propensione al reimpiego di capitali provenienti da attività illecite nelle seguenti attività commerciali: distributori di carburante, ricevitorie e sale scommesse; commercio di materiale lapideo; commercio frutta e ortaggi, discoteche, società attive nel settore del trasporto merci su strada, sale giochi, video poker”.

L’intero distretto barese, connotato da un elevato sviluppo economico, da intensi scambi commerciali e rilevantissimi interessi patrimoniali, è un territorio che viene aggredito da una serie di mafie transnazionali attirate dai traffici maggiormente remunerativi. La grande frontiera è quella della internazionalizzazione: mettendo a frutto la consolidata esperienza nello stringere rapporti con gruppi delinquenziali stranieri e avvalendosi di un efficace know how maturato negli anni ‘90 in materia di commerci illeciti, i clan pugliesi sono ricomparsi sulla scena internazionale. “Hanno saputo dare vita a potenti alleanze con i più aggressivi gruppi criminali dell’area balcanica – scrive il sostituto procuratore nazionale antimafia Giovanni Russo - vere e proprie holding transnazionali in grado di interloquire, specie con riguardo ai traffici di sostanze stupefacenti, con i principali fornitori mondiali di droghe”.

Gli albanesi e i serbi-montenegrini, in particolare, costituiscono i partner privilegiati dalla mafia locale per realizzare il business principale sul territorio, dando vita a traffici di stupefacenti di dimensioni europee. E proprio questa continua tensione verso l’accaparramento di quote sempre crescenti degli spazi di illegalità a determinare, nei “poli” maggiormente segnati dalla crisi economica e dagli interventi giudiziari e preventivi, una escalation violenta nella definizione di confini e competenze.

E’ tutta la Sacra corona unita (oltre alla “Società”, che è il nome con il quale viene appellata la mafia foggiana del Gargano) a essere diventata adulta negli affari, come ricorda ancora Russo. “Ha dismesso il ruolo di soggetto del terziario mafioso – scrive il sostituto procuratore - incaricato di fornire consulenza su come introdurre sul territorio pugliese prodotti illeciti, dal tabacco alla droga, dalle armi ai clandestini, su come e dove nasconderli, su come trasportarli verso i mercati di destinazione; un terziario della malavita che, in cambio di alloggi, coperture, manodopera, basisti, autisti, si accontenta di una partecipazione agli utili o di una percentuale sui proventi illeciti. Ha acquisito consapevolezza dei propri mezzi, delle capacità operative e strategiche conseguite, del vantaggio competitivo di cui dispone rispetto ad altre organizzazioni mafiose in relazione ai contatti con i gruppi criminali balcanici. Agisce, perciò, in prima persona e non più in conto terzi; pretende il governo degli affari illeciti e non è più disposta ad accettare ruoli ausiliari e serventi”.

I business tradizionali – quasi tutti sull’asse Puglia/Paesi Balcanici, con una presenza limitata fuori regione, dove la Sacra corona unita è soppiantata da ‘ndrangheta, Casalesi e Cosa nostra alle quali fornisce spesso manovalanza e accordi al Nord Italia – sono sempre gli stessi. Accanto a droga, estorsioni e usura, traffici di esseri umani, prostituzione, contrabbando e rapine vengono però alla luce interessi sempre più spiccati verso nuovi mercati. Si fanno concreti i coinvolgimenti di ceti professionali nell’azione criminale (i cosiddetti “colletti bianchi”, in grado di offrire ai clan servizi raffinati ed entrature negli ambienti politici e amministrativi) mentre il reinvestimento e il riciclaggio dei proventi illeciti e l’acquisizione di spazi sempre più ampi nell’economia legale diventano una costante dei clan più reattivi nello sviluppare strategie di medio e lungo termine.


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da - http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2012/05/la-mafia-pugliese-%C3%A8-diventata-adulta-e-lasse-con-i-balcani-lha-tolta-dallisolamento.html
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