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Autore Discussione: Roberto GALULLO.  (Letto 61819 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Maggio 24, 2009, 11:24:10 am »

23/05/09


Strage di Capaci 17 anni fa: ministro Gelmini, la mafia diventi materia obbligatoria nelle scuole a partire... dal Nord

E’ salpata ieri sera da Napoli. Arriva questa mattina alle 8 nel porto di Palermo. Questa sera, quando la luce del sole lascerà il posto a quelle della città, ripartirà per riaccompagnare a casa i mille e passa studenti provenienti da ogni parte di Italia.

E’ la nave della legalità che, come ogni anno, percorre la rotta verso Palermo per ricordare che i ragazzi sono in prima linea nello lotta ai disvalori delle mafie. Un plotone di giovani che, dopo un anno passato a studiare le mappe e le tappe della legalità, arriverà con tutta la sua allegria a ricordare che 17 anni fa Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta sono morti per il loro futuro.

Tutto bene? Il futuro della lotta a Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra e chi più ne ha più ne metta è in mano ai quindicenni di oggi, adulti di domani? Vorrei che lo fosse. Ma non ci credo.

Non ci credo per due motivi: gli insegnanti, a partire dal Nord, non sono abbastanza preparati e, di conseguenza, gli studenti non sono sollecitati a capire. E ad agire e reagire.

Parto da un’esperienza personale che, alcuni mesi fa, credo di aver già accennato in un post.

 

LE “TESINE” SULLA MAFIA A SCUOLA NON SONO MATERIA D’ESAME

 

Mio figlio Nicholas ha 16 anni. Gli piace (purtroppo) Del Piero (io lo detesto) e ama informarsi su tutto, anche se spesso segue (purtroppo) Mediaset (io la detesto, ma anche la Rai in vero, salvo poche eccezioni, come del resto un’eccezione era Mentana). I giornali no, non li legge. Troppa fatica per chi fa parte del popolo di Internet e degli Mp3. Colpa nostra. Di noi genitori, intendo.

Due anni fa la sua scuola media – che segue, e meno male!, programmi sperimentali, ed è tra i migliori istituti pubblici in Italia – ha chiesto a tutti gli studenti una tesina sperimentale multimediale da discutere con la commissione esaminatrice.

I compagni di mio figlio hanno portato di tutto, nell’ambito del programma scolastico. Mio figlio no. Segue (purtroppo?) da tempo le orme del padre e si diverte un mondo a seguire percorsi e temi di legalità e tutto ciò che ha a che fare con la criminalità organizzata.

Decide di portare – e giuro che non ho avuto alcuna influenza sulla sua scelta – una tesina sulla mafia. Fa tutto da solo: sceglie gli argomenti, si documenta, studia. Viaggia con me. Conosce don Luigi Ciotti, collaboratori di giustizia, vittime di mafia. Prepara (per me) un gran bel lavoro: i suoi compagni di classe – che vivono in Lombardia come mio figlio – probabilmente neppure sanno che Buccinasco, in provincia di Milano, è in mano alla ‘ndrangheta. Lui si.

Bene: la tesi gli viene bocciata. Motivazione: la mafia non è materia di esame.

Entro (per mero impegno civile) in campo: vergognatevi, dico alla scuola. La mafia deve essere materia di esame. Anzi: di vita. Morale: la tesina viene ammessa e la commissione resta basita (non dalla bellezza, che è soggettiva, ma dalla scelta).

Basta quest’episodio per dire che tutta la scuola media e superiore è così? Non basterebbe, in teoria. Una rondine non fa primavera. Allora mi informo tra decine di coetanei amici di mio figlio: dalla Calabria alla Campania, dal Piemonte al Lazio. Nessuno – dico nessuno – ha mai affrontato il tema delle mafie in classe. E dire che di gente ne conosco. E nessuno – dico e ripeto: nessuno – ha neppure mai sentito che qualche suo amico lo avesse fatto.

Tante rondini fanno primavera? Gli scettici – e coloro i quali hanno avuto esperienza contrarie – diranno di no. Per me è…quasi un si e la mia conclusione è la seguente: le scuole medie, le superiori per non parlare dell’Università non (e ripeto non) parlano abbastanza delle mafie. E’ stata abolita l’educazione civica, volete che perdano tempo con Riina, Piromalli, Strisciuglio e Zagaria? Chi sono costoro: vade retro, Pepè, Satan e Aleppe!

E aggiungo di più: a non essere preparate sono soprattutto le scuole del Centro e del Nord. Nel Sud la mafia è pervasiva e la famiglia e la scuola debbono parlarne (ma non lo fanno abbastanza). Ma è come parlare dell’aria. E’ facile: è li. La vedi. La tocchi. La respiri. Il difficile – semmai – è farlo nelle classi dove sai che studiano i figli dei mafiosi (se lo sai, visto che i mafiosi non hanno la coppola ma giacca e cravatta). E infatti gli insegnanti che affrontano il tema si contano sulle dita di una mano (sono pronto a essere impallinato da chi mi smentirà raccontandomi un’esperienza contraria).

Nelle scuole del Nord la famiglia e la scuola non ne parlano quasi mai. O lo fanno dicendo che è roba che riguarda i terroni. I polentoni no, non hanno la mafia in casa. Non lo fanno i prefetti, non lo fanno i sindaci, volete che lo facciano gli insegnanti? Ignoranti, dico loro: la mafia è qui. Non la vedi ancora. La tocchi senza saperlo ancora. La respiri ma non lo sai ancora.

Modesta proposta al ministro dell’Istruzione Mariastella “stellina” Gelmini: che le mafie diventino materia obbligatoria di studio in tutte le scuole del regno di ogni ordine e grado. Non lo farà mai. E’ di centrodestra. Ma non lo farà mai neppure un ministro di centrosinistra. Tutti…pendono e dunque nessuno ha il baricentro sulla legalità.

 

I QUESTIONARI NELLE SCUOLE
 

E veniamo – nel giorno in cui la nave della legalità attracca a Palermo – ad un aspetto sconcertante di cui dò questa mattina conto in un servizio che ho scritto per il Sole-24 Ore online (lo trovate dunque sul sito del mio giornale, mentre sul quotidiano ho scritto un’inchiesta sullo stato della lotta alla mafia e su Radio24 oggi alle 6.45 va in onda nella trasmisione “Un abuso al giorno” la replica dell’’intervista già mandata in onda ieri a Maria Falcone; a tal proposito ricordo che tutte le puntate sono scaricabili dal sito www.radio24.it).

Alcuni mesi fa il Centro Mafiacontro di Palermo, che fa capo al senatore del Pdl Carlo Vizzini, ha diffuso 2000 questionari presso scuole siciliane, campane e lombarde.

I risultati sono agghiaccianti: per il 24% degli studenti la mafia è una risorsa o una tradizione. Soltanto uno studente su due crede che Cosa Nostra sia una danno per l’intera società. E uno su due affronta “poco o mai” con gli amici il tema della criminalità organizzata. Nel giorno del ricordo di due giudici fatti saltare per aria – Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo – la cosa che più fa male è scoprire che il 22% degli studenti intervistati ritiene che Gaetano Costa e Rocco Chinnici , magistrati uccisi dalle cosche nel 1980 e nel 1983, fossero capimafia.

“E’ un pugno nello stomaco apprenderlo”, ha spiegato al Sole 24 Ore Maria Falcone, a capo della Fondazione intitolata a suo fratello e alla moglie, che come ogni anno premierà con 10 borse di studio i laureati che si saranno distinti con tesi sulla legalità.

 

MARIA FALCONE E I PUGNI NELLO STOMACO
 

Altro che nave della legalità. Benvenga, che Dio la benedica ma qui bisognerebbe far partire verso il ministero dell’Istruzione un bastimento di insegnanti. Come diceva Gesualdo Bufalino, amato scrittore di Comiso, “la mafia sarà sconfitta da un esercito di insegnanti”.

Ne sono certo, anche passando dalla lettura dei i giornali locali del Sud. Quelli del Nord – se cercate il rapporto scuola-legalità - è quasi inutile sfogliarli (ho scritto quasi, so anche io che ci sono le eccezioni).

Come i miei più affezionati lettori sanno, sono un giornalista che ama ritagliare e mettere gli articoli da parte.Come si faceva un tempo. Sono giovane (almeno così credo). Ho 46 anni (un giovanotto dunque) ma faccio questo maledetto mestiere da 25 anni. E dopo la laurea – pur attratto per un attimo dalle sirene dell’Università – non ho avuto dubbi su quale fosse la mia strada. Coniugo dunque Internet alla forbice.

E la forbice non tradisce. Mai. Ecco cosa ho scovato dai miei ritagli, certosinamente impilati per argomento o provenienza territoriale. Sono solo alcuni esempi, sia chiaro.

Traggo dalla Gazzetta del Sud del 14 giugno 2007 a pagina 37 il seguente titolo: “Studenti della Piana favorevoli a raccomandazioni e pressioni – Il sociologo Marziale: emerge anche un concetto sbagliato di famiglia – A Taurianova sconcertante risultato di un questionario distribuito dai Lions in varie scuole”.

Il Mattino di Napoli, 17 luglio 2008: “Temi choc in classe: “Il clan ci protegge” – Le confessioni degli alunni di Miano: la camorra c’è e se qualcuno ci vuol far del male loro intervengono”

Il Mattino di Napoli (da ora in poi non vi tedio più con date e numeri): “I prof: scuola disarmata contro la camorra – Temi choc sull’invedanza dei clan, presidi e insegnanti accusano: da soli non ce la faremo mai”.

Il Mattino di Napoli: “Roberti: ormai il boss è diventato un modello – Il capo della Dda: zone fuori controllo, lo confermano i temi”.

Il Mattino di Napoli: “Don Merola: gli studenti sono affascinati dal male”.

Il Mattino di Napoli: “Uno studente su tre conosce un camorrista – I risultati choc del questionario sulla legalità”

Ora, è chiaro, che qualcuno sarebbe tentato di capovolgere i miei pensieri: “Ma lo vedi – quel qualcuno potrebbe dire – che le scuole diffondono questionari e si parla di mafie? Ma lo vedi che la scuola da sola non può compiere miracoli? Ma cosa rimproveri a noi insegnanti?”

Lo ammetto: potrei aver torto anche se potrei dire che le scuole che ne parlano sono come le mosche bianche e ribadire che parlare non basta se poi di azioni e reazioni studentesche nelle terre mangiate dalla mafie se ne vedono poche. Anzi: pochissime. Magari quando Libera organizza la giornata della memoria in memoria delle vittime di mafia. E poi? Se ne riparla tre mesi dopo con la nave della legalità. E poi? Poco, nulla, “nullissimo” (passatemi il brutto neologismo), soprattutto in alcune aree del Paese.

Sarà, avrò torto. Ma io ricordo che il 6 agosto 1980 quando fu sfigurato a morte il giudice Gaetano Costa nei parlai con i miei amici e con la mia famiglia.

Sarà, avrò torto. Ma ricordo che a 15 anni in classe leggevamo i quotidiani e commentavamo i fatti di terrorismo con gli insegnanti. E le mafie sono terrorismo: ma all’interno dello Stato a differenza delle Br e dei Nar.

Sarà, avrò torto ma ricordo che avevo 15 anni quando il professore napoletano di filosofia – poi suicidatosi per la scoperta di un cancro - nella mia scuola romana ci ricordava spesso  che la camorra mangia anche i più buoni.

Sarà, avrò torto. Ma ricordo che l’ insegnante che aveva fatto il partigiano ci insegnava il valore della Resistenza e ogni giorno ce lo ricordava.

Sarà, avrò torto. Ma non ho notizia di insegnanti che ogni giorno – al Sud, al Centro e al Nord – ricordano ai propri alunni che la nuova Resistenza è nei confronti delle mafie.

roberto.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #16 inserito:: Maggio 30, 2009, 12:00:12 pm »

29/05/09


Triplice fischio e fine del campionato: diamo un calcio alla mafia prendendo esempio dall’autogol (riparato) di Bagheria
Mancano poche ore alla fine del campionato di calcio di serie A. Ha vinto l’Inter e a me che sono romano e romanista la cosa interessa poco meno di nulla.
Non cambierei Totti con Ibrahimovic e Spalletti con Mourinho neppure se me lo ordinasse il Papa.

Detto questo ciò che mi interessa è sottolineare ciò che quasi tutti i giornali (non quelli sportivi, che sono in altre vicende affaccendate) non raccontano mai delle curve, del tifo, del para-sport e di certi amministratori pubblici.

Proprio oggi – giorno in cui scrivo questo post, venerdì 29 maggio – sul Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, il collega Luca Fazzo intitola così la sua inchiesta “Il calciomercato ultrà – Così la malavita si prende le curve d’Italia – Da Milano i criminali infilitrati negli stadi vogliono infiltrarsi in altre città – Dietro l’apparenza della passione sportiva estorsioni e spaccio di droga”.

Una bella eccezione, dunque, nell’asfittico panorama della stampa italiana, che si appassiona agli amorevoli sensi (di stima) tra Silvio e Noemi ma se ne frega delle mafie che si mangiano anche lo sport.

L’inchiesta ha il limite di partire e…fermarsi a Milano. Vediamo allora di aggiungere qualche tappa al percorso che anche quest’anno ha riservato sgradite – e ignorate dai più – sorprese. Magari se politicanti e vertici dello sport aprissero gli occhi…O è chiedere troppo per non correre il rischio di rompere un ipocrita giocattolino morente?

 

IN PRINCIPIO FU LA CURVA DEL PALERMO…
 

Partiamo da un assunto ormai chiaro ai sociologi, ai politologi e a qualche raro giornalista ma completamente ignorato dai politici-politicanti: il calcio è un veicolo attraverso il quale far passare messaggi mafiosi, esercitare proselitismo criminale e dunque raccogliere adesioni, far capire alla politica dove spira il vento o dove deve spirare.

Ricorderete: correva il 22 dicembre 2002. Alla Favorita di Palermo scendevano in campo Palermo e Ascoli. Ad un certo punto comparve uno striscione: “Uniti contro il 41 bis - Berlusconi, dimentica la Sicilia”. E mai come in questo caso la virgola era importante. Furono i boss di Brancaccio – spiegarono gli investigatori della Squadra mobile del capoluogo siciliano – a fare esporre quel monito al Presidente del consiglio. Le intercettazioni telefoniche provarono che il gesto era premeditato e i boss si vantavano dell’eco mediatica. Insomma: obiettivo raggiunto.

Qualche anno dopo – siamo ai giorni nostri – il Palermo calcio salirà agli onori della cronaca per le vivaci attenzioni che Cosa Nostra riservava alla società. In particolare era il clan Lo Piccolo a riservare e riversare il suo “amore” al Palermo. La magistratura – che sta indagando su alcune presunte compravendite di partite nel 2003 e che si avvale anche della gola profonda di un collaboratore di giustizia, Marcello Trapani, ex procuratore di giovani calciatori e già avvocato dei Lo Piccolo – continua a indagare.

Il presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, prende subito le distanze e il 29 marzo affida a Radio Anch’io sport la replica: “La mafia? Può anche essere che abbia messo gli occhi sul Palermo, ma finché ci sarà io non si avvicinerà nessuno. Sulla città e sul club e’ stato gettato qualche schizzo di fango, ma andrà via. Può essere che la mafia abbia messo gli occhi sul Palermo, ma che si sia avvicinata da quando ci sono io assolutamente no. Però sono attento ai segnali e a questa stranissima uscita dei giornali.
L’indagine della magistratura va fatta, ma questi schizzi di fango mi sembrano un segnale. Come per dire: ‘Zamparini, vai fuori dalle scatole’. Sto facendo investimenti, un centro commerciale, sto per iniziare l’iter per la costruzione del nuovo stadio…ho paura di aver disturbato qualcuno. Lasciare la presidenza? Se le cose stanno così me ne vado, ma non è detto che succeda. Speriamo che si sistemi tutto”.

Più tardi minaccerà le dimissioni. Le avete viste voi? Io no.

 

…OGGI TOCCA ALLA CURVA (RECIDIVA) DEL BARI

 

In mezzo, negli anni, tanti altri piccoli episodi – come sempre reputati minori da noi giornalisti – in cui si capiva che i tirapiedi dei mafiosi (piò meno dei quaquaraqua da accatto) continuavano a seminare proseliti negli stadi. Soprattutto in quelli di provincia. Soprattutto al Sud dove molti capicosca o prestanome sono addirittura proprietari o sponsor di squadre di calcio dove spesso fanno allevare anche i loro rampolli sperando che diventino – un giorno – dei campioni.

La Calabria – da questo punto di vista – è una miniera. I capi delle ‘ndrine si impuntano e non mollano: il calcio è cosa loro. Ricordate cosa accadde il 23 settembre 1997 a Locri, paese dominato dalle faide e dalla ‘ndrangheta? No? Ve lo rammento io: l’arbitrò chiamò tutti a raccolta. Un minuto di silenzio per la morte del boss Cosimo Cordì, ucciso qualche ora prima. E giù ad applaudire al termine!

La politica parolaia e lo sport ufficiale, anch’esso parolaio, fecero sentire le loro voci. Voci ipocrite perché lo sanno anche i sassi che un arbitro può fischiare un rigore contro un calciatore ma non può fischiare neppure un fuorigioco contro i boss. L’episodio – subìto o condiviso che fosse – non fu il primo e non fu l’unico. Andate a parlare, ad esempio, con qualche ex presidente di squadre calcistiche della provincia cosentina – come ho fatto io nel passato – e fatevi raccontare quale è stata l’offerta che non hanno potuto rifiutare per cedere la proprietà della squadra…

Bene, veniamo ai giorni nostri e alla Puglia dove – nell’indifferenza di tutti, politici parolai in testa – la Sacra corona unita sta rialzando la testa. Anche negli stadi.
Oh yes!

E’ il 23 settembre 2008 quando la curva ultrà del Bari – che torna quest’anno in serie A – espone durante il match con il Livorno il seguente e apparentemente innocuo striscione: “Marino sempre con noi”. Peccato che Marino di cognome facesse Catacchio, il pregiudicato ucciso cinque giorni prima nel corso di un regolamento di conti interno al clan al quale, secondo gli inquirenti, era affiliato: Strisciuglio.

Lo stadio – penserete voi, ingenui lettori al cui interno alberga forse il “fanciullino” pascoliano – sarà insorto! Una pioggia di fischi avrà sommerso gli ultra! Una selva di cori si sarà levata come un sol uomo “Legalità! Legalita! Abbasso la Sacra Corona Unita! Viva le Forze dell’Ordine! Abbasso gli Strisciuglio!”

Niente di tutto questi: grande applauso del settore centrale della Curva Nord. Nel resto dello stadio non volava una mosca. Per inciso: gli Strisciuglio sono ancora leader mafiosi nel Barese ed è lo stesso clan che si è visto liberare 21 picciotti coinvolti nel maxiprocesso “Eclissi”, perché l’allora giudice per l’udienza preliminare, Rosa Anna De Palo, non era riuscita a depositare la sentenza nei tempi utili. Tutti fuori ai primi di aprile. A proposito: oggi De Palo guida il Tribunale per i minori a Bari e proprio pochissimi giorni fa, il 27 maggio, il Csm ha archiviato il caso, dopo che erano stati mandati gli ispettori, perché comunque c’era un complessivo “deficit organizzativo dell’ufficio”. E bravo il Consiglio superiore della magistratura: tutti colpevoli, nessun colpevole. Ora la parola finale, per eventuali azioni disciplinari, tocca al ministro della Giustizia Angelino Alfano. 

E veniamo al 4 maggio di quest’anno. Siamo ancora al San Nicola di Bari. La squadra si gioca la certezza della promozione e gioca, ancora, con una squadra toscana: l’Empoli. Ancora in curva compare uno striscione visibile anche da Foggia: “Ciao Chelangelo”. E chi è? Era il soprannome di Michelangelo Stramaglia, il boss – secondo gli inquirenti e la magistratura -  di Valenzano, ucciso il 24 aprile 2008. Il figlio e amici di famiglia erano allo stadio: gli ultras del Bari non solo se ne sono lavate le mani dicendo che loro “non c’entravano” ma hanno tenuto a precisare “che non è inusuale che la curva renda omaggio a chi condivide la passione per i colori biancorossi”. Bene: un tifoso qualunque con il suo carico di valori, per carità!

Sarà, ma dopo che la Digos ha indagato, il questore di Bari, Giorgio Manari, ha vietato lo stadio a cinque anni per cinque…tifosi.

Se Bari chiama, Lecce risponde. In manette sono finite – con l’accusa di associazione a delinquere – 14 persone, tra cui alcuni insospettabili. Uno di loro, tanto per capire copme funzionano le curve violente, in un’intercettazione, rivolgendosi all’ex bomber del Lecce Javier Chevanton - che avrebbe telefonato al capotifoso per chiedergli addirittura di intercedere presso tifoserie di altre città per sostenere un suo amico calciatore – avrebbe detto: “Non ho problemi con la curva. La curva sono io!”

Eccolo lì il vero capo, magari coccolato e vezzeggiato come altri in tutta Italia, dal Nord a Sud passando per il Centro, dalle società calcistiche che senza di loro non possono campare. E chissenefotte guagliò, se ci sono delinquenti organizzati e mafiosi veri!

E i leccesi come hanno reagito? Abbiamo notizia solo dei più “buoni”: un centinaio sono scesi in piazza per difendere i poverini arrestati e così, tra un pianto e l’altro, c’è pure scappato qualche insulto contro il procuratore che segue il caso, Cataldo Motta. Ovviamente gli auguravano lunga vita…

Il patto è più forte se la mafia entra direttamente, ovvio, perché il vincolo si può portare – a seconda delle necessità – dentro e fuori gli stadi. Il Mattino di Napoli, il 24 gennaio 2009 a pagina 35 titolava: “Pianura, patto tra 20 ultrà e il clan Lago – Le indagini sui mercenari della guerriglia rifiuti – Il boss pagava i ribelli 150 euro per riaffermare il potere”. Chiaro!

 

BAGHERIA FA AUTOGOL MA POI VINCE LA PARTITA DELLA LEGALITA’ (SPERIAMO ANCHE IL CAMPIONATO)

 

Non bastassero capibastone, delinquenti e mafiosi veri, ci si mettono anche gli amministratori (sia ben chiaro: alcuni, proprio tra le frange violente del tifo, raccolgono voti e alimentano circuiti di illegalità).

A Bagheria, splendido comune nel palermitano, il 28 dicembre 2008, quando tutti erano più buoni perché Babbo Natale era appena passato con un carico di doni, ai consiglieri comunali Antonio Prestigiacomo (Noi per Bagheria), Domenico Aiello e al suo capogruppo del Pdl, l’architetto Giuseppe Cangialosi, evidentemente restava un “pacco” da proporre ai concittadini: intitolare lo stadio comunale a Pasquale Alfano, ex assessore e consigliere dello stesso Comune, ex presidente del Bagheria calcio ma anche fratello di Michelangelo Alfano, condannato per associazione mafiosa, morto suicida nel 2005.

Apriti cielo: la locale associazione antiracket sale sulle barricate e il sindaco Biagio Sciortino, da me sentito pochi minuti fa, dice che ormai è una storia vecchia.
“Il giovane (forse riferendosi a Cangialosi n.d.r.) neppure sapeva chi fosse il fratello di Pasquale Alfano! Era giovane quando accadde il fatto del fratello poi condannato. Due ore dopo la delibera era stata ritirata. E’ rientrato tutto, stia tranquillo”.

Io sto tranquillissimo – anche perché sto per partire e trascorrere qulche giorno in un bene confiscato a Cosa Nostra riadattato ad agriturismo, che goduria – ma come si fa, chiedo, a essere di Bagheria, fare l’amministratore e non conoscere la storia del proprio paese? E come può un intero consiglio comunale votare l’ordine del giorno all’unanimità, così come riportano le cronache locali, che hanno addirittura pubblicato il verbale della magnifica seduta “babbonatalizia”? Tutti ignoranti?
Che succede a Bagheria, perdono la memoria quando diventano consiglieri e assesori!

Tranquillo, tranquillissimo, attendo la risposta del sindaco. “Confido nella buona fede di chi l’ha fatto – spiega mentre sono talmente tranquillo che quasi quasi mi addormento – e lo stesso consigliere ha poi ritirato l’ordine del giorno. Due ore dopo era tutto finito. La mia amministrazione è in prima linea nella lotta alla mafia e abbiamo già assegnato quattro beni confiscati. Chi fa sport, e io sono un ex sportivo, ha inoltre il dovere morale di combattere contro Cosa Nostra. E così quest’anno abbiamo organizzato, Comune e associazione sportiva Principe di Rammacca,  una manifestazione che si chiama Diamo un calcio alla mafia”. Volentieri: anche due se dipendesse da me, che spedirei i boss a vita in una cella, dopo aver buttato la chiave.

La finale si disputerà a metà giugno e speriamo che il triplice fischio dell’arbitro decreti il vincitore ma idealmente – a Bagheria e in tutti gli stadi d’Italia – segni non la fine ma l’inizio della partita più importante anche dentro gli stadi: quella contro le mafie.

roberto.galullo@ilsole24ore.com

Scritto alle 15:17 |
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« Risposta #17 inserito:: Luglio 06, 2009, 09:48:41 am »

23/06/09


Crotone chiama: Napolitano dribbla, Alfano tace, Sculco risponde e il Pm Bruni continua a pulire la Calabria da compassi, mafia e…

Ci sono mille modi per far morire un Uomo: quello peggiore è il silenzio. Oppure l’indifferenza che, come dice mio padre (un ex generale dell’Esercito rigido come un bastone e loquace come un ghiro in letargo) è la maggior forma di disprezzo.

Scegliete voi: il risultato non cambia, come per la proprietà invariantiva della moltiplicazione, per cui il prodotto di due numeri non cambia, cambiando l’ordine dei fattori.

L’Uomo in questione è Pierpaolo Bruni, giovane e preparatissimo Magistrato antimafia che da diversi anni sta mettendo a ferro e fuoco le gerarchie della ‘ndrangheta crotonese e calabrese la quale, per questo, vorrebbe tanto, ma proprio tanto, che lui saltasse per aria (ne ho già scritto in questo blog l’11 maggio). Ci hanno provato – ma per sfortuna loro e della parte malata della società crotonese e calabrese – non ci sono riusciti.

Fino a che Bruni toccava la ‘ndrangheta, la disgustosa politica locale e regionale rideva e faceva pubblicamente finta di compiacersene. Quando Bruni ha cominciato – oltre a picciotti fetusi – a colpire colletti bianchi ancor più fetusi e la politica fetusissima, allora sono cominciati i guai seri. Ma lui – uno dei migliori magistrati in Italia, non una toga rossa ma semplicemente una toga – se ne fotte tre quarti come ha fatto con l’ultima operazione che, la scorsa settimana, ha scoperchiato in provincia la connivenza tra dirigenti regionali, presidi e imprese edili, unite nel cognome (Leone padre e figlio) e nella truffa ai danno dello Stato (ne ho scritto sul Sole-24Ore online giovedì 11 giugno) . Il tutto – ma guarda tu che novità in Calabria! - all’ombra di cappucci, grembiuli e compassi (del resto, questi ultimi, indispensabili per geometri e ingegneri delle imprese edili…).

Le minacce di morte – da reali che erano – sono diventate addirittura tangibili.

Ebbene – cari lettori – voi direte: lo Stato si sarà eretto come un sol uomo a difesa di quest’Uomo! Eccome no!

Toppato: l’esatto contrario. Dapprima lo Stato (anzi: lo stato) ha pensato bene di non rinnovargli l’applicazione alla Direzione distrettuale di Catanzaro e poi ha pensato bene di tacere di fronte alle proteste dei cittadini perbene. Ah stavo dimenticando un particolare trascurabile: sbadatamente lo Stato (pardon, lo stato) ha pensato bene di affidargli per un certo periodo l’inchiesta Why Not avocata a Luigi De Magistris. Lo stato si è accorto che Bruni faceva sul serio e che avrebbe voluto scavare ancora più a fondo di quanto aveva fatto il bel tenebroso volato a Strasburgo sulle ali dell’Italia dei (dis)valori.

Detto, fatto: la massopolindrangheta si è stretta a coorte e Bruni non conduce più un fico secco di quell’inchiesta che aveva acceso i riflettori su simpatici (almeno io li reputo tali, non so voi) personaggi: dai fratelli Loiero Tommaso e Agazio a Romano Prodi, da Clemente Mastella ad Antonio Saladino, dai coniugi (coniugati e complessi) Adamo a tanti altri bei nomi del castello fatato.


LA RISPOSTA DI ALFANO E QUELLA DEL CAPO DELLO STATO


Il 22 maggio (dice niente questa data? No? Allora ve lo dico io. E’ la vigilia di quel 23 maggio che nel 1992 fece saltare per aria il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta in quel di Capaci), un pugno di crotonesi volenterosi – tra cui esponenti politici e sindacalisti delle Forze dell’Ordine – hanno raccolto 110 firme da spedire (tra gli altri) al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinchè intervenga. Nel frattempo un onorevole, Angela Napoli, scrive al ministro della Giustizia Angelino Alfano, affinchè risponda da par suo e dica per quale motivo la moglie di Raffaele Vrenna, l’imprenditore condannato in primo grado proprio da Bruni per concorso esterno in associazione mafiosa, sia ancora, nella veste di segretaria, nella disponibilità dell’attuale Capo della Procura della Repubblica di Crotone, Raffaele Mazzotta, così come prima lo era del precedente – Franco Tricoli - che con una mossa da scacchi che neppure Anatoly Karpov o Garry Kimovich Kasparov, è andato a gestire proprio i beni mobili e immobili di Vrenna.

Alfano tace come una trota in carpione (e non avrei scommesso un cent sulla risposta), mentre il presidente della Repubblica cosa fa? Avete un secondo di tempo per rispondere. Tempo trascorso: risponde. E come risponde? Tempo scaduto ancor prima di partire: lavandosene le mani. Sì, proprio come Ponzio Pilato. E dire che le 110 persone che hanno sottoscritto l’appello a favore di Bruni scrivevano in un passaggio cose di questi tipo: “ ..il precedente caso verificatosi nel distretto di Catanzaro, che ha visto protagonista il dr. Luigi De Magistris ed i vertici della Procura Generale, oggi insinua dubbi e perplessità  nella società civile che ritiene il mancato rinnovo dell’applicazione del dr. Bruni un escamotage per evitare che lo stesso possa continuare a lavorare per smascherare l’intreccio ‘ndrangheta – politica che pervade la regione Calabria”. E gli stessi identici dubbi se li poneva – in un documento ufficiale – anche il consiglio direttivo dell’associazione nazionale forense di Crotone.

Più chiaro di così! Bene il Presidente Napolitano, attraverso il direttore dell’Ufficio per gli affari dell’amministrazione della Giustizia del segretariato generale della Presidenza della Repubblica, Loris D’Ambrosio, il 15 giugno risponde che non è di competenza del Capo dello Stato intervenire su certe contese. Vedere la foto della lettera spedita all’ex segretario cittadino dell’Idv, Giuseppe Trocino, per credere! Quel Trocino che nel corso della campagna elettorale per il rinnovo della Provincia di Crotone, aveva provato a sollevare il caso di Bruni ma non era stato seguito neppure dal suo capo, l’impomatato Antonio Di Pietro (si veda “Il Crotonese” di sabato 9 giugno a pagina 34). Trocino – per la cronaca – ha abbandonato quell’incarico. La foto l’ho allegata a fondo dell’articolo.

Avrebbe potuto rispondere diversamente Napolitano? A mio giudizio sì, visto che è anche a capo del Consiglio superiore della magistratura, alla quale pure la lettera era stata indirizzata. Anche perché, per la miseria, un conto è il protocollo, un conto è la vita (non solo professionale) di un Uomo che onora lo Stato in un pezzo di Italia sottratto alla sovranità della Repubblica italiana. Un Uomo, un Magistrato – lo vedrete continuando a leggere questo post – i cui destini si incrociano con i destini non solo di Crotone ma della Calabria tutta.

Vedremo se e quando – in quella veste – Napolitano risponderà o farà rispondere. Resta l’amarezza di uno Stato che non è come una catena oliata (dove ogni anello sostiene l’altro e insieme spingono la carena del ciclista verso la vittoria) ma come una catena ingrippata in cui ogni anello se ne fotte dell’altro.


CROTONE SI INCHINA A ENZO SCULCO CHE RICEVE IN VIA ROMA


Ci sono mille modi per far resuscitare un uomo (apparentemente-politicamente) morto: quello peggiore è l’ipocrisia.

L’uomo in questione è Enzo Sculco, già potentissimo padre-padrone della Margherita e del Pd crotonese, colui per il quale la ‘ndrangheta a Crotone è letteratura, oh yes! Testuale. Mister 7.209 voti è consigliere regionale calabrese del gruppo misto nonostante una condanna nel febbraio 2007 in primo grado a 7 anni e sei mesi di reclusione (ma le patrie galere non lo hanno mai visto) per una serie di graziosi reati: truffa, frode e turbativa d’asta. Per lui – di cui mi sono occupato in due post del 9 agosto e del 31 ottobre 2008 e di cui in Calabria tra i miei colleghi (?!) non si occupa nessuno tranne www.antononinomonteleone.it e, alcuni mesi fa, Antonello Caporale di Repubblica.it - è scattata anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Ad agosto 2008 però – nonostante l’imbarazzo mostrato soprattutto dai senatori del Pd Dorina Bianchi e Luigi De Sena – Crotone (che raccoglie appena 110 firme per Bruni ma che è pronta a immolarsi per Sculco) e la Calabria tutta lo invocano a gran nome e lui, come Marcello Lippi, torna senza imbarazzo, che non gli procura neppure la successiva condanna a un anno e 3 mesi di reclusione che il 3 marzo 2009 gli infligge il giudice monocratico del Tribunale di Crotone, Francesca Costa, per truffa aggravata e falso. Enzo è in buona compagnia: con lui è condannato anche il fratello Giuseppe, che si becca tre mesi in più. Il pm nel processo (aveva chiesto rispettivamente 4 anni e 1 anno e 6 mesi per i due) era Pierpaolo Bruni. L’avvocato degli Sculco ha annunciato il ricorso direttamente in Cassazione.

Ebbene, un uomo così, secondo me avrebbe dovuto ritirarsi per sempre a vita privata e invece – visto che Crotone lo invoca con tifo da stadio – è tornato alla grandissima in questa campagna elettorale che si è appena conclusa e che ha visto vincere, soprattutto grazie alle divisioni nella coalizione opposta, il candidato del Pdl, Stano Zurlo, che in foto sembra un pesce palla (calvo) con la barba.

Ma un uomo come Sculco poteva scomparire? Nossignori, poffarbacco: ha fatto le prove generali per il ritorno in grande stile – annunciato – quando e se sarà definitivamente assolto. Del resto quando Massimo D’Alema è accorso a Crotone per incoraggiare il candidato ufficiale del Pd Ubaldo Schifino (che sembra l’incrocio tra gli attori Steve Martin di “Una scatenata dozzina” e Leslie Nielsen di “Una pallottola spuntata”) lui era lì. Sotto il palco, ma voleva salire sopra. Le voci maligne che circolano in città dicono che Schifino abbia avuto più di uno scontro con Sculco ma, niente da fare: i voti sono voti e non profumano. Figuriamoci se puzzano! E i demoKratici del Pd con la Kappa – nei quali in un’intervista al Quotidiano della Calabria il 20 settembre 2008 a pagina 34 Sculco aveva dichiarato di riconoscersi – erano ufficialmente tra le formazioni politiche che appoggiavano il candidato Schifino.

Chi con Sculco si è scontrato duramente è stato l’ex presidente Sergio Iritale, che infatti non è stato ripresentato dal Pd ed ha corso, perdendo, con una lista eterogenea a sinistra. Non mi interessa il perché o il percome e non mi interessa neppure sapere se Iritale è un puro della politica come molti sostengono ricordando il suo messaggio del 14 gennaio 2005 in cui gridò all’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in visita a Crotone, che le istituzioni sono ostaggio della mafia, o se invece è una falsa verginella, come molti altri sostengono. Il dato di fatto è: Iritale fuori dai giochi.

Il ritorno di Sculco – sdoganato per metà – non va sottovalutato. A lui interessava tornare ed è tornato: quella era la sua vittoria e la base per la vittoria futura di chi in lui si riconosce. La sua sede in Via Roma a Crotone è stata ed è meta di pellegrinaggi di politici, amministratori e imprenditori. Il suo zampino è – vox populi – anche nella nomina a segretario generale di Unioncamere Calabria di Fortunato Roberto Salerno, già a capo della Camera di commercio di Crotone.

Il 6 aprile 2009 Salerno è stato prosciolto, al termine dell’udienza preliminare, dal concorso in associazione mafiosa nell’ambito dei processi – unificati – Heracles e Perseus - che vedono alla sbarra i “bei” nomi delle cosche crotonesi.

E chi è che sta conducendo queste due inchieste? Il pm Pierpaolo Bruni, ovvio.

A quanto riporta la Gazzetta del Sud del 7 aprile, Salerno è però stato rinviato a giudizio per un’altra vicenda: tentata estorsione ai danni dell’organizzatore di una fiera commerciale dal quale avrebbe preteso 10mila euro. Lo stesso procedimento nei confronti di Salerno era stato archiviato dal Gip (Giudice per le indagini preliminari) Gloria Gori ma poi riaperto dal solito Pm Pierpaolo Bruni.

Ma che spaccamarroni ‘sto Bruni al quale queste inchieste – visto che non è più applicato alla Dda – saranno sottratte! Ma guarda tu che coincidenza!


IL RITORNO IN GRANDE STILE E L’APPELLO DEL 1° LUGLIO


Il ritorno di Sculco non è da sottovalutare anche perché mentre al pm Bruni lo Stato (anzi, lo stato) risponde con il silenzio e con il pilatismo, a Sculco risponde con garbo e tatto. L’udienza in Corte d’appello, dopo la condanna in primo grado, è slittata infatti al 1° luglio. Motivo: visto che Sculco era impegnato nella campagna elettorale era meglio rinviare l’udienza onde evitare “possibili interferenze mediatiche”  in vista del ballottaggio. Un legale di parte civile, inoltre, sarebbe stato candidato al consiglio provinciale (io non ho capito chi fosse ‘sto candidato neppure chiedendolo ad altri candidati, mah!). Quale delicatezza dalla Giustizia! Quale attenzione! La libertà di stampa è diventata “interferenza mediatica”. Ragazzi, questa è la Calabria, il laboratorio di quello che diventerà l’Italia quando passerà la legge sulle intercettazioni che toglierà voce a quel po’ di voce che è rimasta ai giornalisti.

Nella Corte d’appello di Catanzaro che dovrà processare Sculco lavora Caterina Chiaravalloti, già presidente del Tribunale del riesame, attualmente consigliere della prima sezione penale. Caterina Chiaravalloti è figlia dell’ex procuratore generale della Corte d’appello di Reggio Calabria e indimenticabile Governatore, per il centrodestra, della Regione Calabria, Giuseppe Chiaravalloti.

Il 30 aprile 2009 la Procura generale di Catanzaro ha concluso le indagini preliminari dell’inchiesta Why Not. Tra i 98 indagati figura anche il padre di Caterina, Giuseppe Chiaravalloti. E’ quasi inutile ricordare che quell’inchiesta è stata portata avanti prima da De Magistris e poi Bruni (lo spaccamarroni).

Attendetevi, cari lettori, le prossime mosse (ma sicuramente sbaglierò): Bruni allontanato, Sculco vergine come una Noemi qualunque e Crotone nelle mani di un comitato ancora più forte. E magari anche una nuova faida all’interno degli industriali crotonesi che – un tempo non molto remoto - avevano Raffaele Vrenna come presidente. Il clima torbido è già partito. Un esempio? E’ un caso che Mario Cimino, dal 2006 presidente del Consorzio per lo sviluppo industriale di Crotone, ha (avrebbe) scoperto nel suo ufficio privato un sofisticato sistema di spionaggio visivo? Controllato (se fosse vero) per il suo ruolo consortile o per la sua vicinanza politica al Governatore Loiero Agazio? Per il momento si è sfogato con il pm, indovinate chi? Ma Pierpaolo Bruni!

Scommettete con me che i destini di questi uomini – Bruni, Sculco e Loiero – si incroceranno fino alle politiche regionali del 2010 per le quali Loiero si è ringalluzzito e il candidato in pectore del Pdl, il sindaco di Reggio Giuseppe Scopelliti ha accusato una battuta d’arresto al punto tale da pensare di non scendere più in campo e magari lasciare terreno all’onorevole dell'Udc Roberto Occhiuto?

Alla prossima…

roberto.galullo@ilsole24ore.com



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« Risposta #18 inserito:: Luglio 14, 2009, 11:37:58 pm »

11/07/09


Con Why Not si vola: match De Magistris-Loiero per il Governatorato calabrese? De Sena, Scopelliti e…tartarughe permettendo
Why Not non è più solo un’inchiesta e (in origine) un’impresa di servizi di Lamezia Terme ma è anche il nome del potenziale laboratorio politico in Calabria.

L’agenda delle elezioni regionali 2010 sarà dettata dall’inchiesta: per gli sviluppi attesi e per i cognomi che animano l’agone politico in vista dell’imminente battaglia che permetterà a uno e a uno solo di posare (o riposare) le nobili chiappe sulla poltrona di Governatore. Due cognomi fra tutti: Luigi De Magistris e Loiero Agazio o, se preferite, Loiero Agazio e Luigi De Magistris. Come dire il buono e il cattivo, il bene e il male. Il credibile e l’incredibile (come nel gioco, associate voi i cognomi agli aggettivi).

Due poli opposti che non possono attrarsi in natura e che se mai dovessero attrarsi sconfesserebbero in radice la natura della Politica. Immaginate con quanto affetto e amore viva Loiero Agazio l’ipotesi De Magistris che, da magistrato, lo inseguì per mari e per monti ritenendolo immischiato nella cupola affaristico-massonico-mafiosa che domina la Calabria (e non sta certo a me dire se a torto o a ragione). Fatto sta che – andato via De Magistris – Loiero Agazio, suo fratello Tommaso e allegra compagnia sono stati ancora indagati e inseguiti nella vicenda Why Not.

Lo stesso De Magistris su questo blog, da me intervistato (si veda il post del 14 giugno ma anche quello del 26 febbraio), ha definito Loiero e Mario Pirillo (di Loiero braccio destro e sinistro, volato a Strasburgo come De Magistris) “personaggi indigeribili”, riversando poi tutto il suo sdegno per le scelte del Pd in Calabria in vista della competizione europea.

L’agenda delle elezioni regionali – però – potrebbe essere dettata anche da nuovi episodi cruenti (dopo quelli che, a esempio, hanno visto coinvolto il segretario regionale dell’Udc calabrese Franco Talarico, di cui ho scritto in questo blog il 7 novembre 2008). Non è un caso che si colpisca l’Udc: non si è capito ancora da che parte questo partito stia o voglia stare.

Spero di essere smentito e di essere spernacchiato (lo accetterei volentieri, anzi con gioia) ma in Calabria, da tempo, sento puzza di sangue e tanfo nauseabondo di grandi manovre che portano – a esempio – all’isolamento di magistrati come Pierpaolo Bruni, uno di quelli che ha messo il naso anche dentro Why Not e che sta scoperchiando – nell’indifferenza dei più – le immonde schifezze della massipolindrangheta calabrese ( si vedano i post dell’11 maggio e del 23 giugno).


I POLITICI SI DIMENANO COME PESCIOLINI ALL’AMO


E’ per me incredibile vedere come si dimenano personaggi come con enormi aspirazioni come Pino Gentile (macchina da voti del Pdl ma trombato alle provinciali da Mario Oliviero, quello rimasto famoso nel mondo intero per il “mare da bere” delle coste cosentine dove si tuffano con difficoltà, e dopo aver indossato tuta da sub e scafandro, persino i “sorci”, non prima di aver fatto testamento).

E’ incredibile vedere come si muove Marco Minniti, segretario regionale del Pd calabrese, testa lucida del grande statista (non ridete) Massimo baffino D’Alema, che ora non sa come uscire alla chetichella, senza fare troppo rumore, e lasciare la patata bollente della candidatura del 2010 al gonzo (o furbo) che accetterà la sua carica.

E’ incredibile vedere come si muovono Aurelio Misiti e Antonio Di Pietro. Il primo è segretario regionale dell’Idv, partito saldamente (per ora) nelle mani dell’impomatato ex pm di Mani Pulite. Misiti, il 4 luglio 2009, dopo aver annunciato di arrivarci dimissionario, è stato confermato nel suo ruolo. Non sarà facile, però, per lui condurre le trattative in questi mesi visto che alla domanda del giornalista “Vincere con Loiero?” ha testualmente dichiarato il 27 giugno al “Quotidiano della Calabria”: “Per noi è ovvio che il Pd candidi l’uscente perchè due legislature non si negano a nessuno. Ma è evidente che deve cambiare qualcosa. Dentro l’organismo di governo, e non solo nel consiglio regionale, ci dovranno essere posti chiave per Idv che è fra i 5 partiti in Parlamento ed anche in Calabria non è più il partito piccolo di un tempo. Noi auspichiamo che il Pd stringa un’alleanza di legislatura con noi basandola su un programma chiaro, netto e condiviso e non su un programma di compromesso con le forze “nulliste” che pure esistono nel panorama politico calabrese”.

Apriti cielo! Misiti ha detto che non voleva dire quello che tutti hanno capito: cioè una gradita conferma di Loiero. Ora a me non frega nulla del Misiti-pensiero e del successivo ricorso a papà-Di Pietro per l’esegesi dello stesso. Vi domando, però, amati lettori: come interpretate voi l’affermazione “due legislature non si negano a nessuno”? Inserite la risposta in busta chiusa e spedite a Aurielio on.le Misiti c/o segreteria politica Idv, Piazzetta XXI marzo, 89024 Polistena (Rc) oppure info@aureliomisiti.it

Guardo anche incredulo alle mosse di “Sua Immacolatezza” (capirete poi il perchè), il Governatore Loiero Agazio, pronto-prontissimo a occupare la poltrona per altri 5 anni. E soffro nel vedere come si dimenano anche media locali, alcuni pesantemente tirati in ballo dalla inchiesta Why Not per l’attività di alcuni giornalisti, che sfornano falsi scoop uno dietro l’altro (l’ultimo, in ordine di tempo, una settimana fa, riguarda una cena domenicale a casa Loiero tra personaggi indagati in Why Not, di cui questo umile blog scrisse per primo, addirittura pubblicando i testi integrali il  1° febbraio 2009). Ma si dimenano anche anime nere sui blog, che agitano encicliche o discorsi deliranti per scongiurare l’ipotesi De Magistris (che da parte suo ha il solito codazzo dei fan club su Facebook e compagnia telematica cantando).

Un fatto è chiaro: a contendere a Loiero Agazio nel centrosinistra la poltrona – con eventuali primarie obbligatorie per legge regionale – tutti ma mai e poi mai De Magistris. In quel caso sarebbe rottura nello schieramento e ognuno per conto proprio a correre con le proprie forze (comprese quelle occulte).

Già il fatto che nel centrosinistra lo spauracchio sia un magistrato, la dice lunga e dovrebbe aprire gli occhi a tutti su chi sia considerato (a torto o a ragione non sta a me dirlo) il nemico politico numero 1. E la dice lunga anche sulla considerazione che nel centrosinistra – con i fatti e non a chiacchiere – si ha del lavoro dei magistrati che non guardano in faccia a nessuno.

L’ultima – almeno al momento in cui scrivo – è del deputato del Pd Enrico Letta. L’Ansa alle 7.38 del 9 luglio, da Rende (Cosenza) ha battuto il seguente take: ''Abbiamo delle regole che ci aiutano. Faremo le primarie''. Lo ha detto rispondendo ad una domanda dei giornalisti sulla ricandidatura di Agazio Loiero alla presidenza della Regione Calabria. ''Sara' una bella festa di democrazia - ha concluso - e vinceremo le prossime elezioni''

Dietro le belle feste annunciate e le grandi manovre dei tre poli – Pdl, Pd e Idv – sgambettano altri due personaggi di rango pronti a correre per dare una svolta all’amministrazione regionale: per il Pdl l’attuale sindaco di Reggio Calabria (amatissimo dai suoi concittadini) Giuseppe Scopelliti, mentre per il centrosinistra l’asso nella manica nel caso di lotte sanguinarie ridotte infine a sintesi potrebbe essere l’ex vicario della Polizia ed ex superprefetto di Reggio Calabria, attuale senatore, Luigi De Sena.

Se la questione morale ha un senso, ebbene, il senso deve esplodere in questa regione, quintessenza della cattiva amministrazione e della politica connivente con massoneria deviata, ‘ndrangheta e imprenditoria sovvenzionata da soldi pubblici.

In questa regione guardie e ladri si rincorrono come in un circuito e se uno dei due doppia l’altro non si capisce più chi rincorre chi.


L’IMMACOLATO LOIERO AGAZIO E IL COMUNICATO STAMPA RIPRESO

(CON TANTO DI FIRMA IN CALCE) DA TUTTI I GIORNALISTI LOCALI


A bocce ferme – ovviamente lo scenario è destinato a subire modifiche repentine, indotte soprattutto dalle vicende giudiziarie – la situazione è agitata come un mare in tempesta.

L’inchiesta Why Not scuote i sonni e i sogni (politici) e l’aria che tira ha spinto il pubblicista Loiero Agazio a emanare un comunicato stampa (www.regione.calabria.it) ripreso pari-pari dai giornalisti locali che poi hanno avuto anche la faccia di metterci la firma senza aggiungere altro. Evviva la libera stampa! Il Governatore sente puzza di bruciato, prende le distanze dallo schifo di Why Not e dice che il suo nome anche questa volta ne uscirà “immacolato”.

Il comunicato stampa fa riferimento all’ipotesi di corruzione a carico del Governatore-pubblicista, in concorso con l’ex vicepresidente della Giunta Nicola Adamo e con gli imprenditori Antonino Gatto e Antonino Saladino (principale indagato di Why Not). Nelle elezioni regionali del  2005 – secondo questa ipotesi – Loiero e Adamo, per ripagare la mobilitazione elettorale dei due imprenditori a loro favore e il ricevimento di 25mila euro a testa, si sarebbero adoperati per far passare un emendamento alla legge regionale 11/2006. Grazie all’emendamento, nel primo giorno utile a termini di legge, le società di Gatto (presidente di Despar) avrebbero depositato richiesta per realizzare nuovi centri commerciali (tra le altre cose a Cosenza, regno di Adamo ma questo i giornali locali non lo dicono, e Catanzaro, vasca politica nella quale nuota da sempre Loiero ma anche questo i giornali locali, reputandolo superfluo, non lo ricordano).

Ecco il testo: “Ancora una volta non si capisce come per il sottoscritto possa essere richiesto il rinvio a giudizio per una legge approvata dal consiglio regionale completamente diversa da quella per ben due volte licenziata dalla giunta. Ho già detto, al momento in cui sono stato coinvolto, anzi trascinato proditoriamente in questa storia, che questo schifo che emerge dall’inchiesta cosiddetta Why Not, non ha niente a che vedere con la mia visione della vita e della politica. Ritenevo, con la logica dei fatti, di avere ampiamente dimostrato ai procuratori che mi hanno sentito la mia estraneità totale alla vicenda che mi viene contestata e che per l’ennesima volta viene ricacciata e riproposta sui giornali. Anzi, lo ripeto per il rispetto che debbo ai calabresi, sono uscito dall’interrogatorio che io stesso avevo sollecitato senza neppure leggere le carte dell’inchiesta in quanto non ne avevo bisogno, con la convinzione nettissima, condivisa dai miei difensori. che la Procura non poteva che chiedere subito il mio proscioglimento, visto che il teorema di partenza era indimostrabile perché privo di elementi reali. Con la firma del procuratore generale rientrato a Catanzaro il giorno prima dopo una lunga assenza, invece, è avvenuto il contrario. Noto che la formulazione delle accuse nei miei confronti è stata rimodulata e riverniciata nel tentativo di dare spessore a una storia inesistente. In questi anni sono stato un bersaglio, ho dovuto sopportare per mesi e mesi il martellamento di notizie che davano conto delle tesi accusatorie. Ricordo che quando si è pronunciato un giudice terzo sono stato prosciolto da ogni accusa. Il proscioglimento disposto dal Gup, su richiesta dello stesso pm d’udienza, nella vicenda degli appalti in Sanità, è una dimostrazione plastica di quanto affermo. Non dubito che anche questa volta il mio nome ne uscirà immacolato”.



IL BRODO DI TARTARUGA DI LOIERO, I SITI AMICI E I POLITICI AGITATI


Fortuna che la Giunta Loiero ha cose serie a cui pensare, in modo da distrarre il Governatore e lasciare in dote a una regione alle prese con problemi drammatici di sopravvivenza, un futuro fatto di brodo di tartaruga assicurato per tutti. L’assessore alla Tutela dell’ambiente, Silvestro Greco (ma si fa chiamare Silvio, sapete com è, va di moda),  ha infatti annunciato al popolo gaudente che la Regione Calabria è capofila del network per la conservazione, il soccorso, il recupero e la riabilitazione delle tartarughe marine “Caretta Caretta” che sulle battigie calabresi, in particolare sulle coste ioniche, fornicano e sfornano tartarughini a raffica manco fossero conigli infoiati.

Il fratello di Silvestro-Silvio Greco, Raffaele, è presidente della cooperativa Nautilus di Vibo Valentia, che da 24 anni fornisce servizi per l’oceanografia e la gestione delle risorse ambientali.

Mentre i calabresi già pregustano il brodo di tartaruga che riempie la panza se ingurgitato a badilate, gli amici – diretti, indiretti, consapevoli o inconsapevoli - di Loiero si affacciano.

Non manca chi – con sprezzo del pericolo – ha messo in Rete persino un appello per vietare a Pm e magistrati di candidarsi in politica per i 5 anni successivi all’abbandono della toga o dall’ultima causa trattata. Un successone! Ben 38-firme-38 raccolte, incluse quelle di indagati in Why Not.  Adelante Pedro!

Certo, c’è chi si affaccia senza paura. E’ il caso di un luminare della politica calabrese: Francesco Galati, capogruppo in consiglio regionale del Nuovo Psi. Il 1° luglio alle 12.57 l’Ansa lancia un take che non lascia dubbi. “La sola ipotesi – spiega Galati – della candidatura alla presidenza della Regione dell’ex pm di Catanzaro dovrebbe fare inorridire tutti i socialisti che si sono schierati in questi anni con il centrosinistra. Messi in un angolo dal presidente Loiero che non ci ha pensato due volte a liquidare l’unico prestigioso esponente riformista della sua giunta, l’onorevole Sandro Principe, sfrattati dal Parlamento di Veltroni, ora si vorrebbe umiliare i socialisti dell’ex Sdi, oggi Ps, costringendoli a ingoiare il rospo della candidatura a presidente del magistrato che ha fatto la rivoluzione giudiziaria in Calabria solo a parole e a colpi di comunicati stampa”.

I colpi per De Magistris non mancano e c’è da giurare che – se davvero la sua candidatura prendesse piede con o senza il Pd – vedremo colpi di bazooka giornalistici che in confronto i servizi appena partiti appaiono carezze.

Come, a esempio, la lunga intervista che Panorama, a firma di Giacomo Amadori, dedica il 9 luglio all’ex presidente del Tribunale di Matera, Iside Granese,  per la quale è stata chiesta l’archiviazione dai reati ipotizzati dall’inchiesta Toghe Lucane nella quale erano incappati anche il giudice Rosa Bia, il procuratore capo di Matera Giuseppe Chieco, il procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano ed Emilio Nicola Buccico, sindaco di Matera. Nessun comitato d’affari e archiviazione richiesta per tutti e ora Granese, difesa dall’avvocato Giancarlo Pittelli, che De Magistris inseguirà invano nell’inchiesta Why Not, spara a zero contro l’ex pm.


SANITA’: TUTTI IN CARROZZA!


Cari lettori, se ne vedremo delle belle, sarò qui a raccontarvele, statene certi. Comprese le cose spassose che fanno sganasciare dal ridere. Volete saperne una? Ok…delfini curiosi, vi accontento.

Le grandi manovre contemplano anche le nomine nella sanità, visto il drammatico buco regionale che potrebbe portare il Governo a commissariare la Regione. Sanità in Calabria vuol dire valanghe di voti e clienti a vagonate e chi prova a interrompere il flusso – su cui prosperano le cosche - ci lascia la poltrona (prima di lasciarci le penne, come, a esempio successe a Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale).

Come si vede, allontanata due anni fa dalla Giunta Doris Lo Moro, che Loiero ama come un laziale può adorare Totti, tutti i problemi della sanità calabrese sono stati risolti magicamente: buco rientrato, ospedali efficienti, zero corruzione, ‘ndrangheta ammansita e pazienti che fanno a gara per rimanere in corsia perché si sentono meglio che a casa!

Loiero – tra lo sconcerto dei più – il 25 giugno ha nominato nella Commissione di esperti nientepopodimenoche Gianfranco Luzzo, già assessore alla Sanità nella magica Giunta Chiaravalloti.

Su questa nomina botte da orbi. Il 25 giugno all’agenzia Asca, un altro bel tipino fino, il capogruppo dell’Idv in consiglio regionale, Maurizio Feraudo, dichiara quanto segue: ''La nomina di Luzzo, come esperto nel Comitato per il Piano di rientro del debito sanitario, e', a dir poco sconcertante ed e' emblematico che sia stata tenuta debitamente nascosta. Questa nomina e' una vergogna pubblica sul piano dell'etica e della coerenza politica, un oltraggio spudoratamente perpetrato ai danni di quelle migliaia e migliaia di calabresi che nel 2005 hanno votato per il centrosinistra per mandare a casa anche, fra l'altro, gente come Gianfranco Luzzo, il quale - lui, proprio lui - da Assessore alla Sanita' della Giunta Chiaravalloti e' l'artefice sommo della voragine debitoria che egli ha condotto al fallimento la sanita' calabrese. E Loiero lo nomina esperto per risanare il debito che proprio lui, Gianfranco Luzzo, ha provocato e determinato'.'Se non si parlasse di cose drammaticamente serie, saremmo al cospetto della farsa piu' indegna. Ma quali inconfessabili interessi cela e persegue questo osceno inciucio Loiero-Luzzo, ratificato dal silenzio complice e connivente del Pd e del suo capogruppo in consiglio regionale e avallato, in giunta, addirittura dal voto favorevole degli assessori della sinistra radicale”.

A questo punto Luzzo si offende come un adolescente sgridato dalla mamma e rimette il mandato a Loiero che, il 9 luglio, senza colpo ferire nomina al suo posto un commercialista di Cosenza, Pasquale Vetere.

Ma non è tutto fantastico, amati lettori?

roberto.galullo@ilsole24ore.com

Scritto alle 09:36

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« Risposta #19 inserito:: Luglio 17, 2009, 10:02:26 pm »

17/07/09


Il filo rosso tra “pasticcino De Magistris” e “Pacman Bruni”/

1: evviva i paradisi fiscali, alla faccia dello scudo di Tremonti

A leggere le carte – come amo fare passandoci ore e ore con malata e pericolosa passione – dell’ultima inchiesta condotta dal Pm della Procura di Crotone Pierpaolo Bruni, la prima sensazione è di averle già lette.

Di aver già visto alcuni di quei nomi e di quei cognomi. Di aver già scorso alcune di quelle società chiamate in cause. Di aver già saputo che i capitali pubblici confluiti al Sud prendono allegramente la via dei paradisi fiscali. Di aver già ingoiato il marcio della politica stracciona della Calabria. Di aver già appreso che la massoneria domina. Di aver già imprecato contro lo strame che lì viene fatto di regole e leggi.

Non è una sensazione. E’ la realtà. A leggere quelle carte ci sono molti fili rossi che legano le inchieste dell’ex pm Luigi De Magistris – Poseidone e Why Not – a quelle di Pierpaolo Bruni. La differenza però – tra i due - è vitale. O mortale.

De Magistris aveva tirato contemporaneamente 1.000 fili in capo ai burattinai calabresi. Tirando quei fili a strascico, sono rimasti impigliati acciughe e squali. Questi ultimi hanno stracciato i fili, hanno liberato anche le acciughe e si sono pappati De Magistris. E’ quella che io chiamo la “sindrome Cordova”, il magistrato che dalla procura calabrese di Palmi aveva sparato a pallini contro la massipolindrangheta che ha risposto a pallettoni. Quegli squali, uno dopo l’altro, tornano a galla nelle inchieste di Bruni. Attenzione: non se ne sono mai andati.


L’ORGOGLIO E LA RABBIA DI DE MAGISTRIS


Non è un caso che De Magistris abbia dichiarato all’agenzia Apcom alle 11.25 del 14 luglio quanto segue: “Mi auguro che il pm Bruni, già oggetto di un tentativo di ostacolo dall'interno della magistratura dopo l'avocazione del procedimento `Why not`, non venga fermato e possa proseguire nella ricerca della verità, quella verità che ha ad oggetto comitati di affari che gestiscono le risorse pubbliche depredando l'ambiente e danneggiando la salute dei cittadini. L'inchiesta sta disvelando intrecci
criminali che avevo già individuato con l'indagine Poseidone, sottrattami illecitamente e della quale non si ha più traccia. Fui fermato proprio mentre stavo lavorando su nomi e società anche estere, in particolare lussemburghesi, che sono al centro dell'indagine del pm Bruni, e proprio mentre stavano venendo alla luce le deviazioni massoniche ed i rapporti con la criminalità organizzata in relazione all'illecita gestione dei fondi europei"


LA DIFFERENZA NEL MODO DI CONDURRE LE INCHIESTE


Bruni, però, a differenza di De Magistris, spacchetta i filoni e, come un Pacman, sta mangiando uno dopo l’altro i pesciolini che si trova di fronte. Quelli grandi li rincorre e li porta alla fine del videogioco. Lì troverà ad aspettarli il livello di gioco superiore: l’aula di un processo che, finora, a differenza di De Magistris, ha (quasi) sempre premiato gli sforzi di Bruni che, per questo, è odiato dalla politica e da molti suoi indegni colleghi, ancor prima che dalla ‘ndrangheta.

Ma andiamo con ordine. E lo farò dedicando alcuni post alla vicenda che è straordinariamente importante (più di quanto si pensi). Questo è il primo.


IL COINVOLGIMENTO DI PECORARO SCANIO


Nei giorni scorsi i giornali hanno affrontato con dignità e rispetto l’inchiesta sulla centrale elettrica e sulla filiera energetica (mai realizzata) a Scandale, che sta conducendo quel pm che ‘ndrangheta e malapolitica calabrese vorrebbe tanto mandare all’alberi pizzuti (è un espressione romanesca che vuol dire: vederlo morto).

Ampio risalto è stato dato al coinvolgimento – prontamente negato dai protagonisti – di “pezzi grossi”, quali l’ex ministro per l’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio.

Il pm Bruni – che sostengo nelle sue battaglie di civiltà giuridica e ortodossia morale, merce rara anche tra alcuni magistrati delle Dda – mi conosce e dunque sa che dico e scrivo sempre quello che penso. Ebbene, magari avrò torto, ma la parte dell’inchiesta sul coinvolgimento dell’ex ministro mi sembra un po’ debole. Come dire: un po’ troppo raccontato da voci e testimonianze a volte di terza o quarta mano.

Come ad esempio intuisco da questo passaggio della testimonianza resa il 19 marzo 2009 da Antonio Argentino a Bruni, che la verbalizza a pagina 35 del decreto di perquisizione e sequestro: “Una volta finito di cenare – si legge -  abbiamo fatto una passeggiata per raggiungere la macchina, c’era molta confusione per i festeggiamenti ed io passeggiavo in disparte con il Pastore, al quale chiesi per curiosità cosa si intendesse dire con la dicitura di cui la fax del 26.06.2006 “incarico allo studio tecnico di notevole entità da affidare su qualsiasi progetto o cantiere in corso”, chiedendo quale fosse questo studio di notevole spessore professionale al punto da affidare uno studio su un progetto di investimento del valore di 400 miliardi di vecchie lire, quale era quello della Crotone Power Development. Il Pastore, in maniera confidenziale ed accattivante, mi riferì che tale società consulenza di notevole entità faceva capo “al grande capo” il Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, oltre che allo stesso assessore Tommasi, plenipotenziario in Calabria del ministro stesso. Ancora una volta, io mi rifiutai in maniera categorica di subire tale ricatto, ed il progetto si è paralizzato. Devo aggiungere una ulteriore circostanza verificatasi nell’ottobre del 2006, quando sono stato informato dal Trebisonda, che era stato a sua volta informato dal Pastore e dal Principe, circa l’avvicinamento al gruppo Pecoraro Scanio  – Tommasi, di un avvocato romano che, a suo dire, aveva avuto un incarico da parte del socio americano diverso da Goldenhersh, affinché curasse il buon esito del progetto sostituendo la Geter, e che avrebbe pagato un milione di euro a tale gruppo Pecoraro Scanio – Tommasi. Io ho chiesto poi spiegazioni al Goldenhers, amministratore unico della Crotone Power Development, di cui io sono procuratore generale, e lo stesso ha smentito fermamente, anche se ha confermato il contatto tra tale avvocato ed il suo socio ma ignorava la vicenda del milione di euro”.

Magari, ripeto, mi sbaglio e il prosieguo dell’inchiesta, ne sono certo, lo appurerà.


ALTRO CHE RIENTRO IN PATRIA: I CAPITALI VOLANO ALL’ESTERO CHE E’ UNA BELLEZZA


Detto questo, una prima cosa che emerge, secondo l’accusa, è la facilità con la quale – grazie anche a leggi contorte e burocrazia corrotta – è possibile arricchirsi con società di comodo off shore. Altro che scudo fiscale annunciato in pompa magna dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti! Di una cosa il ministro può essere certo: i capitali volati grazie alla complicità dei politici e delle associazioni a delinquere non torneranno mai.

Secondo il pm Bruni, Giuseppe Galati (sul quale tornerò), Giuseppe Chiaravalloti (ex indimeticabile Governatore della Calabria), Annunziato Scordo e Roberto Mercuri erano tutti soci occulti delle società anonime di diritto lussemburghese Fin.Ind.Int e Fecoffee. Lorsignori avrebbero lucrato la somma di 28,6 milioni – non so se ci rendiamo conto della cifra! - come anticipazione sul prezzo totale di 38,6 milioni dalla vendita della società Eurosviluppo Elettrica, prezzo oggetto di attività di spartizione tra gli associati attraverso la cessione alla S.f.c. di Bonaldi, di pacchetti azionari della Eurosviluppo Elettrica Spa posseduti da entrambe le società anonime di diritto lussemburghese.

Ed ecco che la memoria torna a “pasticcino De Magistris”.

Mercuri, Scordo e Fecoffe sono uomini e società protagonisti che ritroviamo già nelle memorie di “pasticcino”. Così come troviamo e ritroviamo Chiaravalloti e compagnia cantando.

Prendiamo a esempio pagina 270 dell’inchiesta Why Not. “Non può non rilevarsi – si legge -  a dimostrazione degli intrecci che stanno emergendo dalla complessa attività investigativa, che il dr. Gianfranco Imperatori (nel frattempo deceduto n.d.r) è il segretario generale dell’Associazione Civita…e nel contempo è Presidente di Capitalia Luxemburg SA, Banca presente nel Consiglio della Mecofin e Banca di riferimento nell’affare Mercuri, Scordo, Mecofin SA, Fecoffee SA e Steriano Holding che ha portato alla scalata, con denaro in gran parte di provenienza illecita, della Pianimpianti da parte di persone direttamente riconducibili all’allora sottosegretario alle Attività produttive, con delega al Cipe, on. Galati (Udc) ed all’allora Presidente della giunta Regionale della Calabria Chiaravalloti (Forza Italia)”.

Eccole le stesse persone, le stesse società, le stesse alchimie estero-vestite. Senza contare – inoltre – che un caposaldo dell’inchiesta di De Magistris era l’esistenza di una loggia massonica segreta a San Marino, Stato Sovrano che fungeva anche da paradiso fiscale e luogo di reinvestimento dei capitali drenati dalla consorteria politico-mafiosa che stava scoprendo e che voleva scoperchiare.

Ma allora “pasticcino” non si è inventato le cose come dicono i suoi detrattori! Eh no! Solo che quella differenza di cui sopra – pesca a strascico o Pacman – fa la differenza!


CROTONE CHIAMA E BRESCIA RISPONDE

Bruni, a ruota, spiega che l’allegra compagnia ha indotto con “costrizione la società Asm di Brescia ed Endesa a farsi promettere il saldo di 10 milioni a oggi non ancora liquidato ma richiesto e preteso” (Asm dal 1° gennaio 2008 si è fusa con Aem Milano dando vita a “A2A”, quotata in Borsa, ndr).
Il concetto è chiaro: fuori i soldi! E questo accade ora, non 10 anni fa. Il pm Bruni scrive infatti che “i fatti sono commessi tra la provincia di Crotone e il Lussemburgo sino alla data odierna”.

Gli allegri compari avrebbero oltretutto “costretto la società Endesa e Asm, acquirenti di Eurosviluppo Elettrica, la pagamento di un prezzo superiore alla media del mercato, cosicchè in asenza delle predette indebite dazioni mai avrebbero potuto costruire una centrale nella provincia di Crotone”.

E chiaro ‘stu fattu?

No? E allora cuccatevi questa dichiarazione verbalizzata da Bruni il 29 aprile 2009. L’autore è Antonio Argentino, legale della “Anchor internazionale holdings limited”, che, come del resto l’altra gola profonda di questa inchiesta, Randy Stephen Goldenhersh, rappresentante legale della “Crotone power develpment srl”, è “dettagliato e preciso sin nei minimi particolari” (parola di Bruni). Entrambi hanno denunciato nel corso di diversi incontri in Procura di essere state vittime del “groviglio di interessi deviati politico-imprenditoriali che hanno determinato la centrale di Scandale e il relativo contratto di programma” (si veda pagina 40 dell’ordinanza). Entrambi – a fronte di palesi e reiterate richieste – hanno dichiarato di non aver mai pagato una tangente e per questo le società che rappresentano sarebbero state escluse dalla filiera energetica crotonese.

“Lo Scordo – si legge a pagina 44 dell’ordinanza che recepisce le dichiarazioni di Argentino - con sorriso sornione e confermando la mia affermazione, mi rappresentò altresì che Endesa ed Asm Brescia erano state costrette a pagare una somma di danaro esorbitante per l’acquisto delle quote della società Eurosviluppo Elettrica, comprensiva dell’autorizzazione, e che senza questo enorme esborso di danaro mai avrebbero potuto costruire una centrale nella provincia di Crotone. Ciò in quanto il sistema delle autorizzazioni per la costruzione delle centrali in Calabria era un circolo chiuso, accessibile soltanto ai soggetti ed alle società di gradimento dei politici Chiaravalloti e Galati e del relativo gruppo di potere, per come sopra riportato.


LA TESTIMONIANZA (IN)DIRETTA SULLE SOCIETA’ OFF-SHORE

Sempre Argentino ritorna sul etma dei capitali all’estero. “A tale proposito-  si legge ancora a pagina 44 dell’ordinanza -  sempre in tono amicale e nel corso di tale conversazione, gli chiesi quali fossero le modalità e i meccanismi della gestione degli interessi del Chiaravalloti e del Galati. Lo Scordo mi confidò che egli, d’intesa con tale Mercuri, oltre che con imprenditori quali Aldo Bonaldi, gestivano ed erano proprietari, anche di fatto, di società italiane ed estere nelle cui disponibilità confluivano somme di danaro o valori, indebitamente percepiti, quale corrispettivo indebito di provvedimenti ed atti amministrativi, voluti, deliberati o agevolati da Chiaravalloti e Galati e che, quindi, costituivano il prezzo dell’asservimento delle funzioni pubbliche ricoperte dal Chiaravalloti e dal Galati per scopi di arricchimento personale e di partito. Lo Scordo mi rappresentò che sia lui che Mercuri che Aldo Bonaldi, oltre che Chiaravalloti e Galati, con riferimento all’autorizzazione per la centrale di Scandale ed al contratto di programma, avevano operato ed operavano a mezzo della vendita di pacchetti azionari, fra cui quello della società Eurosviluppo Elettrica alla nuova proprietà Endesa ed Asm Brescia, realizzando enormi guadagni di cui era beneficiario il gruppo d’interesse Chiaravalloti-Galati-Scordo-Mercuri-Bonaldi, attraverso società estero-vestite (off shore). Lo Scordo faceva riferimento ai nominativi di Chiaravalloti e Galati poiché, a suo dire, le società che formalmente cedevano i pacchetti azionari della società autorizzata a costruire la centrale erano, di fatto, riconducibili e di proprietà anche di Chiaravalloti e del Galati stesso e, in ogni caso, questi ultimi, sempre a suo dire, erano beneficiari della utilità economica scaturente dalla vendita del pacchetto azionario della società autorizzata Eurosviluppo Elettrica per svariati milioni di euro. Lo Scordo, nel discutere, mi riferì anche la ragione sociale di alcune delle società estero-vestite su cui sarebbero confluite le enormi risorse finanziarie ottenute dalla vendita delle azioni della predetta Eurosviluppo Elettrica, società riconducibili a Chiaravalloti-Galati-Mercuri-Bonaldi, oltre che a sé stesso, e denominate Fin.Ind.Int. e Fecoffee. Tali ultime società erano appunto riconducibili ai cinque soggetti summenzionati, i quali erano i reali beneficiari di tutte le utilità scaturenti dalla proprietà e dalla gestione delle predette società”.

Per il momento può bastare. L’appuntamento è al prossimo post dove toccheremo altre corde sensibilissime.

1 – to be continued

da robertogalullo.blog.ilsole24ore.com
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« Risposta #20 inserito:: Luglio 28, 2009, 06:51:27 pm »

23/07/09

Il filo rosso tra i pm De Magistris e Bruni

/2: nuova P2 “divora Stato”, logge occulte e i silenzi del Grande Oriente d’Italia


Chi segue questo blog – e devo dire, ringraziando Iddio, che siete tantissimi, giorno di più anche in questi caldi giorni d'estate e ne sono felice perché chi mi segue sa che il mio unico scopo professionale è aggiungere con questo blog un anello di legalità e rompere i maroni alla criminalità organizzata - sa che nel corso di questi anni ho battuto più volte il tasto della massoneria deviata, vero e proprio collante delle peggiori schifezze che deturpano la vita economica e sociale del Paese: da Nord a Sud. Licio Gelli – ancora iperattivo, basta chiedere conferma ai magistrati della Dda di Palermo Paolo Guido e Fernando Asaro – ha fatto una gran scuola, non c’è che dire (si vedano i miei post sul processo Hiram del 15 e 19 maggio).

Se c’è – e come ti sbagli – una regione in cui il collante diventa carta moschicida della politica deviata ebbene, questa è la Calabria.

Ed ecco che il filo rosso tra “pasticcino De Magistris” e “Pacman Bruni” , che ho cominciato a raccontare con lo scorso post, trova nuovo vigore. In vero, un filo rosso che in Calabria affonda le radici nella notte dei tempi (ci sono paesi, come Filadelfia, che se ne fanno addirittura un vanto) e sul quale il “povero” Agostino Cordova, da capo della Procura di Palmi, tentò invano di fare luce (si vedano approfondimenti sul mio post del 26 febbraio).

Ma visto che fare luce sugli Illuminati è una contraddizione in termini, finì con il restare fulminato lui, il 23 febbraio 2001 con l’archiviazione del Gip Augusta Iannini (in “Bruno Vespa”, di cui è la moglie, che ha fatto una gran carriera diventando anche capo Dipartimenti degli Affari generali al ministero della Giustizia), secondo la quale Cordova aveva solo “raccolto notizie e non notizie di reato”). Una domanda vorrei fare a Cordova: ma in 800 faldoni quante notizie aveva raccolto? E chi credeva di essere: un bibliotecario? Un feticista di ritagli di giornali?


LA LOGGIA DI SAN MARINO E LA NUOVA P2

CHE DIVORA LO STATO DALL’INTERNO


E con lui, anni dopo, è rimasto fulminato “pasticcino De Magistris” al quale voglio istintivamente bene, anche perché lo conosco e lo apprezzo per i suoi altissimi valori e principi, e che avrebbe portato a casa l’iradiddio se solo non si fosse messo a fare pesca a strascico. Fu lui, infatti, nel silenzio poi diventato fragore, a tirare fuori dalla soffitta polverosa della legislazione italiana una legge – la 17/82, meglio nota come “Legge Anselmi” – che punisce chi, in maniera occulta, trama per interessi propri a scapito di quelli della collettività. Tentò di applicarla a una consorteria di amici che, a suo giudizio, si ritrovavano sotto il cappello della “Loggia di San Marino” (si vedano i miei 5 post del 5, 9, 12, 16 e 19 marzo).

E chi erano i personaggi che facevano parte di questa allegra banda di amiconi? A mio giudizio – come nel caso della Loggia P2 dalle cui ceneri nacque la Legge Anselmi – i veri burattinai non sono stati scoperti da De Magistris (anche perché non gli fu dati il tempo di scoprirlo), ma molti di loro li ritroviamo nelle indagini “spacchettate” da Pacman Bruni che, da bravo segugio, ne sta scoperchiando anche altri di cui vi darò conto tra poco (ma si vedano anche i 2 post sull’argomento dell’11 maggio e del 23 giugno).

Attenzione: questo è il secondo motivo per il quale sottolineo che le indagini del Pm di Crotone – al quale è stata sottratta l’applicazione alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nel silenzio di tutti, a partire dai suoi capi e che proprio ieri, 22 luglio, ha ricevuto l’ispezione ministeriale che potrebbe capovolgere il destino – sono di vitale importanza per questa sciagurata Italia e questa disgraziata regione in mano a “iocarelli”, come li chiama mia suocera. Quaquaraqua, come li chiamo io.

Le indagini di Bruni possono infatti ridare slancio anche all’emersione di quella nuova P2 che De Magistris stava scoperchiando e che – mentre io scrivo e voi leggete – sta continuando a piazzare le sue pedine all’interno dello Stato. Nei gangli vitali, quelli che voi non vi aspettate, ma che questi “iocarelli” ben conoscono: innanzitutto la Giustizia in tutte le sue declinazioni (dagli uffici alla magistratura passando per le segrete stanze della Cassazione), poi la Guardia di Finanza e le Forze dell’Ordine. Bastano poche pedine – per lo più sconosciute, “coperte e deviate” – nei posti chiave di queste amministrazioni e istituzioni (o di chi si relazione con esse) e il gioco è fatto (si vedano i miei 3 post del 9, 11 e 14 febbraio, compreso il botta e risposta con Gioacchino Genchi).


L’INDAGINE TURBOGAS CHIAMA IN CAUSA PALAZZO GIUSTINIANI


L’ultimo “videogioco” al quale lavora Pacman Pierpaolo Bruni, presentato pochi giorni fa all’Italia intera, è amichevolmente chiamato “Turbogas”. Ve l’ho presentato nello scorso post: una filiera energetica mai realizzata a Scandale (Crotone) per la quale secondo il pm volavano mazzette come gabbiani intorno a una chiatta di rifiuti. Con contorno di ministri, ex ministri, parlamentari, ex assessori, funzionari, dirigenti, ex governatori, amministratori e imprenditori che – secondo l’accusa – si sono pappati milioni di euro, in gran parte volati nei paradiso fiscali di mezzo mondo.

C’è un capitolo – straordinario e ignorato dagli approfondimenti giornalistici – che, se sarà provato in un processo, vivifica le intuizioni di De Magistris: quello dedicato a Giuseppe Chiaravalloti (indimenticabile Governatore della Calabria, ex Procuratore generale della Corte di appello di Reggio Calabria e attualmente vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali) e Giovanni Iannini (magistrato del Tar).

Entrambi negano (è bene riportarlo subito) e respingono con sdegno ogni accusa. Entrambi sono accusati da Bruni di avere “partecipato a una loggia massonica la cui finalità occulta è quella di porre in essere condotte dirette a interferire sull’esercizio delle pubbliche amministrazioni anche giudiziarie…”.

A pagina 31 del decreto di perquisizione e sequestro della Procura c’è un passaggio chiave che illumina gli Illuminati (rectius: se provato in un aula processuale, illuminerebbe le attività delle logge occulte).

Il 2 febbraio 2009, Bruni  pone alcune domande al superteste dell’accusa, Antonio Argentino (pensionato, ex consulente pro tempore di Telecom, già sentito il 29 gennaio 2003 dalla Commissione parlamentare d’indagine sull’affare Telekom  Serbia e relative ipotesi di mazzette miliardarie).

Argentino dichiara che il consulente Claudio Larussa, avvocato catanzarese, alla presenza di numerosi testimoni (tutti citati e dunque riscontrabili), gli riferì le mosse e le pressioni esercitate da Chiaravalloti (che, ribadiamo, nega ogni circostanza) sul Tar Calabria che avrebbe dovuto esprimersi sui ricorsi presentati dalle società concorrenti di Eurosviluppo Elettrica (che si aggiudicherà la commessa multimilionaria).

Ecco le precise parole di Argentino: “ …il presidente Chiaravalloti …ebbe a contattare la loggia massonica di palazzo Giustiniani per farsi consigliare un bravo avvocato amministrativista che, oltre ad avere buone conoscenza professionali, avesse le giuste entrature ed aderenze in Calabria oltre che a Roma, necessarie ed utili per condizionare il pronunciamento del Tar Calabria ed, eventualmente, del Consiglio di Stato in Roma. A seguito di tale richiesta, viene indicato al Chiaravalloti da un interlocutore di palazzo Giustiniani, contattato alla presenza del La Russa, il nominativo dell’avvocato “giusto ed adeguato”, ai fini di cui sopra, nella persona del prof. Clarizia, con studio in Roma. In realtà, sembrerebbe che il risultato voluto dal presidente Chiaravalloti sia stato ottenuto, tanto è vero che il Tar di Catanzaro per ben due volte ha rigettato i ricorsi da noi presentati. Ricordo in proposito che l’originario designato presidente del Tar che ha deciso i nostri ricorsi, è stato sostituito ed al suo posto è stato nominato il Dr. Iannini. Visto quanto ho appena riferito, esprimo timori e perplessità anche in relazione ai ricorsi al Consiglio di Stato afferenti i predetti ricorsi al Tar”.

Nessuno specifica il nome di battesimo di tal Clarizia nei cui confronti, è bene specificarlo non pende alcun capo di imputazione. A Roma  - professore e avvocato – ho trovato solo Angelo Clarizia, salernitano, professore ordinario di diritto amministrativo all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” che – in un profilo non sappiamo se ancora aggiornato - riceveva gli studenti il lunedì alle 15, dopo la lezione, nella sua stanza che, ironia della sorte, è la “P2 S43”. Angelo Clarizia ha anche un famosissimo studio legale a Roma.

Il 29 aprile 2009, ancora ascoltato dal Pm Bruni, Argentino dichiarerà: “Inoltre, come ho già riferito nel corso di precedenti verbali, il La Russa ebbe a riferirmi, nel corso delle molteplici conversazioni intervenute in quel periodo, che il giudice del Tar di Catanzaro Iannini era organico della struttura di potere facente capo al Chiaravalloti”.

Ora, se Bruni riuscirà a dimostrare che 2+2 fa 4, la sintesi che ne emergerebbe è la seguente: Chiaravalloti chiama Palazzo Giustiniani (sede del Grande Oriente d’Italia n.d.r) che muove in lungo e in largo per l’Italia le sue potenti leve e sistema le cose a favore di Chiaravalloti e dei suoi interessi. Tutto da provare, sia ben chiaro, ma il lavoro di Bruni è stato finora fatto con il cesello.

Ora, magari mi sbaglierò, ma non mi sembra che ci sia stata alcuna dichiarazione ufficiale uscita dal senno degli Illuminati di Palazzo Giustiniani. Chiedo – e vorrei tanto che la risposta potesse arrivarmi – ma il Grande Oriente d’Italia non ha proprio nulla da replicare, anche solo per dire: lungi da noi questi meschini traffici?

Attendo (inutilmente) fiducioso la risposta, magari dal Gran Maestro Gustavo Raffi che nella sua incredibile allocuzione sui costruttori di sogni possibili,  tenuta al Palacongressi di Rimini il 3 aprile 2009, dichiarò testualmente a proposito dei Fratelli: “…lavorare per progresso e il benessere dell’umanità. È, quindi, indispensabile impegnarsi a fondo per la solidarietà, per i diritti umani, per la cultura del dialogo e per una intelligente multiculturalità”.

Chiedo a Raffi: tra i sogni dei massoni che diventano realtà c’è anche quello di chiarire quanto messo a verbale da Bruni?


LE LOGGE OCCULTE FANNO I PORCI COMODI A CROTONE


Pacman Bruni, in realtà, è da tempo che sta puntando grembiulini zozzi, compassi taglienti e cappucci vergognosi. Ha capito – qualora ce ne fosse mai stata la conferma – che in quel reticolo di logge occulte e segrete, comunque non ufficiali, si muovono gli interessi degli iocarelli calabresi che trafficano e mangiano alla faccia della Calabria onesta. In quelle logge in cui non è difficile – anzi è normale – incontrare la faccia della ‘ndrangheta: non la conosci ma la riconosci.

Come, a esempio, nella vicenda Europaradiso ma – per rimanere ancorati ai giorni nostri e per dimostrare che quell’inchiesta è storia mentre la massipolindrangheta si muove continuamente e vive nel presente – come emerge nell’inchiesta che Bruni sta conducendo ai danni di un’associazione a delinquere che secondo l’accusa lucrava perfino sulle forniture alle scuole.

Ebbene, nell’inchiesta che vede imputati dirigenti scolastici, imprenditori, nel decreto di perquisizione datato 3 luglio 2009, Bruni scrive, supportato persino dalle note del Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Crotone, alle pagine 79 e 80, quanto segue: “Il sistema era così radicato da consentire a dirigenti scolastici di aggiudicare le gare, sempre nei confronti dell’impresa di Leone Giuseppe, pur in presenza di offerte più vantaggiose per la pubblica amministrazione anche in forza del vincolo associativo e della partecipazione a logge massoniche i cui componenti hanno posto in essere attività diretta ad interferire sull’esercizio di Pubbliche Amministrazioni, condotte poste in essere in particolare da Leone Luigi, Scerra Serafina e Curatola Anna, anch’esse iscritte a logge Massoniche per come si ricava dalla nota trasmessa in data 25.6.09 dalla Dda di Catanzaro, oltre che lo stesso Leone presso la cui abitazione è stato rinvenuto materiale  e documenti comprovanti la partecipazione del Pubblico dipendente ad associazione massonica”

Mi fermo qui, di carne al fuoco ne ho messa abbastanza. Il prossimo post, ancora sul vitale filo rosso tra “pasticcino” e “pacman” vi farà riflettere molto sull’amorale intreccio nel nostro Stato, visto che chiamerò in causa anche la (inutile) Commissione parlamentare antimafia.

2 – to be continued


da ilsole240re.com
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« Risposta #21 inserito:: Luglio 30, 2009, 08:52:28 am »

29/07/09


Filo rosso De Magistris-Bruni/

3: che coppia Galati-Lussana, il plurindagato (ex tutto) e la parlamentare leghista antimafia…

“Ancora oggi Galati e il suo gruppo, a detta del D’Anna, pretende il pagamento di ulteriori somme di denaro”. E’ il 19 marzo – festa del papà - quando Antonio Argentino (che come abbiamo visto nel precedente post non è solo il consulente e superteste dell’inchiesta Turbogas della Procura di Crotone ma è anche un pensionato, ex consulente pro tempore di Telecom, già sentito il 29 gennaio 2003 dalla Commissione parlamentare d’indagine sull’affare Telekom  Serbia e relative ipotesi di mazzette miliardarie) parla con il Pm Pierpaolo Bruni.

“Ancora oggi” puntualizza Argentino. “Ancora oggi” annota Bruni che, ovviamente, dovrà trovare riscontri. Pacman di km ne macina…

E’ il 29 aprile quando, di fronte allo stesso Pm Argentino dirà ancora: “…lo Scordo mi riferì che non solo le persone fisiche – politici Chiaravalloti e Galati avevano percepito guadagni e somme di danaro, per come sopra riportato, ma anche che lo stesso partito politico Udc, partito di riferimento del Galati (all’epoca ndr), veniva finanziato o sarebbe stato finanziato attraverso un sistema di consulenze. Ciò in quanto il Galati, per poter realizzare i propri interessi privati e quelli del suo gruppo, doveva avere il placet della direzione del proprio partito, placet che veniva ottenuto poiché il Galati imponeva alle società interessate alle operazioni il pagamento di somme di danaro indebite in favore delle casse del partito Udc, attraverso un sistema di consulenze fasulle”.

Non era la prima volta che Argentino rilasciava dichiarazioni sulla holding dei “due Giuseppe” Chiaravalloti-Galati (si veda il 1° post del 17 luglio), sulla quale è andato giù durissimo.

Si vedrà su questo terzo, vitale filone (dopo quelli che abbiamo già analizzato dei paradisi fiscali e della massoneria deviata) se pacman Bruni reggerà il confronto con “pasticcino De Magistris” (come l’ho soprannominato comunque con rispetto, stima e affetto e lui lo sa).

Anche Bruni, infatti, come il suo ex collega, si trova di fronte ad una coppia nella quale si era già imbattuto De Magistris nelle inchieste Poseidone e Why Not. In vero Chiaravalloti Bruni lo ha incontrato anche quando ebbe in eredità (per un breve periodo, e non poteva essere diversamente) l’inchiesta Why Not. Ora va specificato che Chiaravalloti è ancora indagato e compare tra i 106 (poi diventati, credo, 98 ma ho perso il conto) che hanno ricevuto le informazioni di garanzia a conclusione delle indagini preliminari della Procura della Repubblica di Catanzaro.

Galati, invece, ne è uscito praticamente subito. La sua posizione è stata prima stralciata e poi archiviata.


LA DIFESA DI GALATI


In una nota spedita all’agenzia di stampa Apcom, il 13 luglio, il  parlamentare del Pdl Giuseppe Galati,  respinge come "infondate" le accuse nei suoi confronti mosse a suo carico dalla Procura di Crotone nell'inchiesta sull'utilizzo dei fondi pubblici per il piano di sviluppo della città. "Sono certo che anche in questo caso le accuse che mi vengono rivolte nella loro paradossale enormità, si sgretoleranno lasciando spazio alle verità dei fatti e alla volontà popolare", dirà all’agenzia.
"Dalla lettura delle notizie di stampa - afferma Galati – circa un mio presunto coinvolgimento nell'inchiesta di Crotone, rilevo ancora una volta come, siano infondate le accuse nei miei confronti. Siamo nel campo dei teoremi e dei pregiudizi che bene ispirati vogliono modificare in direzione (non sappiamo ancora di chi), il corso della politica regionale. L'attività politico-elettorale mia e della mia componente, evidentemente non va nella direzione di alcuni interessi. Dispiace che la politicizzazione, di una parte, della magistratura voglia invertire la libera scelta dei percorsi democratici della Regione. Abbiamo sufficiente dignità e tenacia per resistere alle scelte di una parte della magistratura che ci attacca sempre con gli stessi ed identici teoremi, e che vuole negare liberi diritti politici ad alcuni e costruire alterate carriere politiche. Vale la pena di sottolineare che, non sempre la costruzione di ipotesi accusatorie fantasiose comporti un risultato politico favorevole a chi lo propone".

Per amore di cronaca abbiamo riportato la sua dichiarazione, così come per difetto giornalistico sottolineo che a essere chiamate in causa sono: la volontà popolare che lo ha eletto e la supposta macchinazione di alcune toghe che invece di pensare magari ad altro, hanno l’ardire di condurre inchieste. A me sembra di averli già sentiti da un altro queste argomentazioni ma, sicuramente, mi sbaglio.


ITALIA UNITA: PIU’ CHE GARIBALDI POTE’ GALATI


Ma  chi è ‘sto Galati? Inutile rivangare antiche e ormai consumate storie che lo videro nel 2003 al centro dell’operazione “Cleopatra”, una vicenda di sesso e cocaina. Tanta neve sciolta in acqua è passata sopra e sotto i ponti: lui stesso butta alle spalle queste vecchie vicende.

Lo fece con me, che lo intervistai per il Sole-24 Ore il 29 marzo 2008 nell’ambito di un’inchiesta che feci in vista delle elezioni politiche. Con l’etica in politica come la mettiamo – gli chiesi – visto che cinque anni fa finì in una brutta storia di cocaina e prostitute? “I calabresi sanno scegliere – mi rispose tranquillo – e sanno che non c’entro nulla con quelle vicende. Ho lavorato solo per la mia terra”. Prendo atto.

E infatti nella biografia che ha inserito nel suo sito www.giuseppegalati.it non c’è traccia. Di lui però sappiamo che: prima aveva pochi capelli, adesso ha una fetta di asfalto sulla cervice (non è il solo, mi consenta), è laureato in legge e, soprattutto è un ex: ex Dc, ex Ccd, ex Udc e ora felicemente approdato tra le braccia del Pdl che lo ha rieletto deputato con Forza Italia.

Di lui si ricordano memorabili interventi a favore della sua terra, come a esempio l’ultimo, avanzato con un’interrogazione parlamentare a risposta scritta il 2 luglio 2009, con la quale chiede conto a ben due ministri, quello dell’Interno e quello delle Infrastrutture, per quale motivo abbiano tarpato le ali (sequestrandolo) al porticciolo “Il Delfino” di Gizzeria Lido, frazione alle porte di Lamezia Terme dove Galati è di casa, essendoci uno dei suoi ristoranti preferiti “Marechiaro” del mitico Paolo Sauro.

Ma da un po’ di tempo Galati è noto anche per essere il signor Lussana.


IL MATRIMONIO TRA UN TERRONE E UNA PADANA


E si perché mentre migliaia di leghisti minacciavano di suicidarsi ingurgitando per protesta 10 chili di peperoncino essiccato di Diamante (Cosenza) e sette confezioni di ‘nduja sotto’olio con tutto il vasetto di vetro, lui il 24 settembre 2007 si sposava con la focosa parlamentare leghista Carolina Lussana da Bergamo.

Anche di lei rimangono memorabili interventi e atti, come a esempio le “Nuove disposizioni per la tutela del diritto all’oblio su internet in favore delle persone già sottoposte a indagini o imputate in un processo penale”, un progetto di legge presentato il 20 maggio 2009 sul quale sono già stati scaraventati molti fulmini. Una proposta di legge, per sua stessa definizione, che “e` finalizzata a riconoscere ai cittadini, già sottoposti a processo penale, il cosiddetto « diritto all’oblio » su internet, cioè la garanzia che – decorso un certo lasso temporale – le informazioni (immagini e dati) riguardanti i propri trascorsi giudiziari non siano più direttamente attingibili da chiunque”.

Cuor di moglie, ma vuoi vedere che questo colpo di genio l’ha avuto pensando alle vicende del marito? No, non può essere. Figurati. E’ della Lega, è intelligente per definizione.

Poi, però, guarda tu il caso, scopri che l’onorevole marito è in contenzioso con un gruppo di giornalisti e, altra casualità la sua biografia è sparita da Wikipedia dove, infatti (provare per credere) l’unico che compare è tal Vito Giuseppe Galati, altro politico calabrese passato a miglior vita 41 anni fa.


DUE DOMANDE ALL’ONOREVOLE MOGLIE

E ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA


Una domanda semplice semplice all’onorevole moglie dell’onorevole marito: ma anziché pensare a una legge sull’oblio, non sarebbe meglio promuovere una bella legge non dico sull’esuberanza, ma quantomeno sul dormiveglia. Basterebbe poco: a esempio che l’onorevole marito aggiornasse il sito anche sulle sue vicende giudiziarie. Semplice no? Forse troppo…

Ma l’onorevole Lussana è stata anche nominata dal suo partito nella Commissione parlamentare antimafia dove – ma voglio essere smentito – non mi risulta che abbia mai preso la parola. E dire che ci sono state finora ben 20 sedute in appena 8 mesi di vita.

A questo punto un’altra domanda vorrei fare. Anche a lei ma soprattutto agli altri  “49 membri 49” onorevoli membri della Commissione parlamentare antimafia. Se è vero che le colpe dei padri non debbono ricadere sui figli è altrettanto vero che le colpe degli onorevoli mariti (tutte eventuali e da accertare sia ben chiaro) non devono ricadere sulle onorevoli mogli. Mi chiedo però: non sarebbe il caso che – quando un congiunto prossimo – è indagato, per ragioni di opportunità e decoro politico, il congiunto coinvolto di riflesso presenti le dimissioni da una Commissione così delicata? Io lo farei, ma io sono solo un giornalista…E voi, cari amici di blog, vi dimettereste (lo chiedo a voi perché dubito che la coppia calabro-padana e gli onorevoli membri dell’onorevole Commissione mi rispondano)?

3 – the end (per il momento…)

 

roberto.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #22 inserito:: Agosto 20, 2009, 05:17:15 pm »

04/08/09
La lotta alle mafie dei Governi: chiacchiere e distintivo, come insegnano i casi di Gioia Tauro, Fondi e…Bardellino

Ricordate Robert De Niro nella parte di Al Capone che – nel film “Gli Intoccabili” – gridava al’agente federale Eliot Ness interpretato da Kevin Costner:  “Sei solo chiacchiere e distintivo. Solo chiacchiere e distintivo”?

Ebbene quelle frasi sputate da un ladro (mafioso) a una guardia (incorruttibile) mi sono venute in mente seguendo le ultime vicende che hanno contraddistinto da una parte la politica governativa e dall’altra i Comuni di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e Fondi (Latina). L’uno sciolto per mafia e sottoposto a vicende talmente ridicole che se non fosse stato per l’onorevole Angela Napoli non sarebbero mai venute alla luce. L’altro che avrebbe dovuto esserlo ma per le nequizie e le ipocrisie della politica è ancora lì: in piedi, mentre uomini coraggiosi dello Stato vengono lasciati soli e delegittimati.

Ma andiamo con ordine, ricordando che questi sono solo due esempi. Se ne potrebbero fare molti per mettere alla berlina le chiacchiere e i distintivi. Ho scelto questi due e non certo per capriccio. Così come chiarisco subito che – ci fosse stato un Governo di diverso colore politico – non sarebbe cambiato nulla. Basta voltarsi indietro e ricordare il nulla sotto vuoto spinto contro la pervasività delle mafie dell’Esecutivo guidato dal prevosto Romano Prodi.

 

GIOIA TAURO: TOC TOC, C’E’ NESSUNO IN COMUNE?

SI: LA ‘NDRANGHETA

 

Gioia Tauro è un paesone calabrese di 18mila abitanti: un porto straordinario che non è mai decollato e tanta, ma proprio tanta ‘ndrangheta, che respiri come l’aria pura in alta quota. Ebbene, in questo Comune, sciolto recentemente per ben due volte per infiltrazioni mafiose, così come altri 5 nelle vicinanze, non esiste più neppure la commissione prefettizia straordinaria insediata a seguito dell’ultimo scioglimento, avvenuto il  24 aprile 2008. Un commissario se ne è andato il 21 luglio 2009 per motivi personali e gli altri due si sono dimessi ufficialmente per ragioni di rispetto, ma secondo la stampa locale per: “insormontabili difficoltà sulla condizione del Comune di Gioia Tauro che scaturirebbero dalla presenza di notevoli incrostazioni nella pubblica amministrazione” e dalle “numerose resistenze interne al palazzo riscontrate nella loro azione di pulizia e di  trasparenza della macchina amministrativa”.

E la seconda commissione straordinaria che salta – per la sua totalità – in meno di un anno. Se non è un record poco ci manca.

Scusi, signor ministro dell’Interno, onorevole-sassofonista-avvocato Roberto Maroni: chi guida la “baracca”? Provare per credere: visitate il sito www.comune.gioiatuaro.rc.it e troverete che nella voce “organi di governo” la casella “commissione straordinaria” è vuota. Chi guida una nave dove è sceso persino il capitano (anzi: due capitani in meno di un anno) e che rischia di affondare in una sabbia mobile amministrativa zeppa di criminali, soprattutto alla vigilia di nuovi appalti miliardari nella Piana e traffici mondiali (anche illeciti) via mare?

Se lo è chiesto e lo ha chiesto anche il rappresentante della Commissione parlamentare antimafia, l’onorevole Napoli (ex An, comunque rimasta nel centro-destra), che ha presentato un’interpellanza che – ovviamente – è rimasta finora lettera morta (la allego a fondo pagina affinchè tutti possiate leggerla). Napoli non lo ha chiesto solo a Maroni ma anche al ministro della Giustizia “Angelino l’odo Alfano” e a Sua Onniscenza Silvio Berlusconi. Risposte: zero. Neppure le chiacchiere. Neppure il distintivo.

Ora qualcuno ci dovrà spiegare come è possibile che un Comune così importante possa restare senza guida. Un Comune oltretutto dove (vox populi) c’è chi giura che i veri mafiosi siano rimasti al proprio posto. Intoccabili, come diceva l’ex superprefetto di Reggio Calabria ed ex vicario della Polizia, il senatore Luigi De Sena (Pd), che ha sempre ricordato l’inutilità della cacciata dei politici collusi o mafiosi, senza la contemporanea cacciata dei pubblici funzionari, dirigenti e dipendenti, corrotti o criminali. Un Comune dove – allego a fine pagina lo schema ripreso pari pari dal sito comunale – i dirigenti si mettono in malattia in media 50 giorni all’anno. Aggiungete le ferie, scekerate il tutto e vedrete che un quarto di anno lavorativo se lo passano a casa. Altro che le cure del playboy Renato Brunetta, il ministro dell’efficienza provetta!

 

FONDI…DI DIGNITA’

 

E passiamo ad analizzare la tragicomica vicenda di Fondi, paesone alle porte di Latina dove (lo dicono gli investigatori, i magistrati e il prefetto Bruno Frattasi, non io che sono un umile giornalista) le mafie fanno da anni scorribande manco fossero sulle montagne russe.

Non voglio annoiarvi con la cronistoria di quanto sta accadendo a Fondi. Per questo, infatti, vi rimando alle numerose inchieste che ho scritto sul Sole-24 Ore, alle puntate su Radio24 nella mia trasmissione “Un abuso al giorno” e ai post scritti su questo blog il 28 gennaio e il 14 aprile 2009).

La sintesi è questa: la città di Fondi – e in vero l’intera provincia di Latina – ha una vita economica, amministrativa e sociale oramai dettata dall’orologio biologico della criminalità. Non passa giorno che non ci sia un attentato, un intimidazione e decine e decine di arresti, come gli ultimi clamorosi, che hanno portato all’arresto dell’ex assessore ai Lavori pubblici e di boss di ‘ndrangheta che condiziona(va)no il Mof, il Mercato ortofrutticolo che fattura un miliardo all’anno e conta oltre 120 aziende.

Ebbene, a Fondi, il prefetto, da quasi un anno ha consegnato nelle mani del sassofonista, per diletto ministro dell’Interno con un fazzoletto verde ramarro nel taschino, una copiosa produzione letteraria: circa 800 pagine con le quali si prospetta lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa.

E che fa il sassofonista-avvocato-ministro e con lui il Governo tutto? Prima nicchia (sapete com è, c’erano le elezioni europee e amministrative e in Italia, comunque, c’è sempre un’elezione), poi rimanda, poi promette lo scioglimento e infine (ma guarda tu che novità!) non mantiene.

Con la scusa – risibile – di dovere adeguare la relazione prefettizia alle nuove regole sullo scioglimento degli enti locali (sapete com è, in Italia esiste sempre il rigo 3 del comma 4 dell’articolo 7 così come modificato dall’appunto 9 del pizzino 11 del Gran Maestro 27) il Governo ha preso ancora tempo. Tutto questo ha dato il 24 luglio la possibilità al senatore Stefano Pedica (dell’Italia dei Valori) di inscenare una protesta scenografica nel corso della conferenza stampa della malcapitata ministra Mariastella stellina Gelmini.

Ora – anche ammesso e non concesso – che lo scioglimento arrivi (e sarebbe bene che si cominciasse a indagare anche su territori come Minturno, e a quanto mi risulta sta accadendo), mi domando e vi domando: ma dove sono i fatti contro le mafie? Dove sono gli interventi decisi e decisivi? Come si può – mi domando – lasciare solo e, di fatto, delegittimare il lavoro di uno tra i migliori prefetti in Italia? Come si possono ignorare le proteste, le denunce di centinaia di amministratori di ogni colore politico, di numerose associazioni antimafia e di migliaia di cittadini? Come si possono ignorare le inchieste della magistratura che hanno e stanno scoperchiando da anni il malaffare nell’area pontina? Solo chiacchiere e distintivo, ecco cos è la lotta alle mafie dei Governi, “solo chiacchiere e distintivo”.

Sapete cosa sta accadendo in questi mesi durante i quali il sindaco di Fondi, il mitico Luigi Parisella (Pdl), ha attaccato la libertà di stampa e i giornalisti, a partire da chi scrive, il quale è stato gratificato negli anni di diversi attacchi e deliranti comunicati stampa sul sito del Comune? Non ci credete? Andate su www.cittafondi.it: li troverete anche l’ultimo comunicato stampa che si intitola: “A Silvio Berlusconi”. E’ un’ode che chiama alle armi il papi-Silvio a combattere quei cattivoni del Tg1 che hanno fatto del male, vale a dire la bua (in molte parti del Nord dicono la bibi) a Fondi e al Mof. Leggetelo quel comunicato stampa (così, almeno, lo chiamano, è fantastico!)

Ve lo racconto io cosa sta succedendo a Fondi e nella provincia di Latina. Preparatevi a ridere e ricordate che è solo un fior da fiore dei più incredibili episodi.

 

LE PERLE SU FONDI E SULLA PROVINCIA DI LATINA: E VAI CON

IL TRIO DI ATTACCO FAZZONE - PALLONE – LAURO

 

La cosa più bella (vi prego di cogliere l’ironia) l’ha combinata il senatore del Pdl Claudio Fazzone, tra i ras incontrastati del territorio. Con una dichiarazione anticipata sul sito www.provincialatina.tv ha detto che «...il prefetto di Latina dopo aver fatto il suo dovere non può entrare nelle questioni politiche facendo il giro delle settechiese degli esponenti della sinistra...per questo sono sempre più determinato nel chiedere, se occorre, una commissione di inchiesta che verifichi tutti gli atti e l’iter prodotto in questa vicenda dal Prefetto di Latina e della correttezza degli interventi delle forze di sinistra veicolati sui media».

Capito? Una commissione d’inchiesta sul commissario prefettizio! E anche sulla sui giornalisti comunisti! E perché  non anche sui Ros e sulla Gdf che in questi anni in provincia di Latina stanno scovando il marcio anche sottoterra?

Fazzone nella sua crociata – scrive il quotidiano “Latina Oggi” vicino, se non erro, alle posizioni del senatore romano-pontino del centrodestra (più destra, estrema, che centro) Giuseppe Ciarrapico - non è solo. Il coordinatore regionale del Pdl, Alfredo Pallone (con ‘sto cognome o faceva l’attaccante o faceva il difensore) si è schierato nel tridente: ha attaccato la sinistra e parlato di «estraneità dell’amministrazione di Fondi dalle accuse di infiltrazioni camorristiche» ma ha anche aggiunto di attendere con serenità la decisione del Governo, che «sarà comunque quella giusta». Finora è stata giustissima, ovvio!

Persino il senatore Raffaele Lauro, ex prefetto, anche lui del Pdl, membro della Commissione parlamentare antimafia, ha detto che chiederà una apposita seduta

pubblica per esaminare gli atti già acquisiti e quelli dell’operazione Damasco che ha portato all’arresto di boss e complici.

 

SCENDE IN CAMPO ANCHE ER CIARRA

 

In questa terra di mafia che è diventato il sud pontino (Frosinone compreso) non poteva mancare l’intervento del senatore Ciarrapico, detto er Ciarra, che è si nello stesso schieramento politico ma – evidentemente – è all’opposizione interna su quel territorio.

Dunque er Ciarra dicevamo – che non conosco e, detto fra me e voi, non vorrei neppure sfiorare con una canna – sul giornale Latina Oggi, appunto, si spinge a chiedere una «commissione d’inchiesta sulle fortune patrimoniali, assai celeri peraltro, del senatore Claudio Fazzone». Forse Fazzone – prosegue Ciarrapico – “dovrebbe precisare gli abusi edilizi della sua villa di Fondi, tutta abusiva e fare l’inventario delle proprietà immobiliari della moglie. A meno che anche queste proprietà non siano frutto di omonimia”.

Ma vi rendete conto chi ha chiesto la commissione d’inchiesta sui beni patrimoniali di un collega di partito? Er Ciarra, insegnante-imprenditore, che di incontri ravvicinati  con la Giustizia e con i creditori ne ha avuti non pochi e per il quale, come ricordava il Sole-24 Ore a maggio “l'ufficiale giudiziario si è presentato nella sua residenza dichiarata, cioè nel capannone accanto alla tipografia di "Ciociaria Oggi", scoprendovi però una sola stanza con brandina, tavolo, piccolo armadio e comodino”. Niente di pignorabile, insomma. Anzi, le parti civili avvertono che «Ciarrapico ha fatto annullare per motivi procedurali perfino quest'ultimo tentativo di esecuzione forzata». Di qui la soluzione finale: bloccare un quinto del suo nuovo reddito di parlamentare a favore dei creditori. Sarà stato fatto? Quali sono stati gli eventuali sviluppi? Non è dato sapere. Almeno: io non lo so. C’è qualcuno che lo sa? Me lo scriva. Magari lo stesso senatore-insegnante-imprenditore.

 

E VAI CON LA RICHIESTA MILIONARIA DI…BARDELLINO

 

In questo territorio martoriato - in cui intanto il Comune di Fondi naviga a vista, secondo le accuse dell’opposizione – accade che  Ernesto Bardellino presenti ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. “Colui – svela Latina Oggi - che sempre è stato identificato dagli inquirenti quale boss della camorra appartenente al clan dei casalesi ha deciso di chiedere allo Stato italiano cento milioni”.

A comunicare la decisione sono stati i suoi avvocati di fiducia, Pasquale Cardillo Cupo e Guglielmo Raso, che hanno spiegato il motivo del ricorso per la vicenda della confisca dei beni eseguita nei confronti dell’assistito da parte del Tribunale di Latina.

Questa misura di prevenzione di carattere patrimoniale, secondo i due principi del foro, in base alla vigente normativa è applicabile a quei soggetti  sospettati di appartenenza ad associazioni per delinquere di stampo mafioso o camorristico.

«Tale condizione, tuttavia, non è assolutamente ravvisabile – hanno spiegato gli avvocati – nei confronti di Ernesto Bardellino, posto che è stato assolto da tutti i tribunali di Italia dal reato di cui all'articolo 416 bis ed è privo di qualsiasi carico pendente. Non è mai stato condannato per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, come provato da sentenze assolutorie coperte dal giudicato che affermano altresì la lecita provenienza dei suoi beni patrimoniali, come affermato dalla Corte di Appello di Roma in una delle ultime pronunce di merito in cui si dava testualmente atto che la società di sua proprietà, la Tirreno Sud Srl, non era altro che ‘il frutto di una normale e onesta attività imprenditoriale’. Tuttavia, nonostante ciò Ernesto Bardellino è da anni sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza».

Molti dei beni patrimoniali di Bardellino sono finiti nelle mani dello Stato ma secondo i legali sarebbe stata commessa «una grave lesione della convenzione internazionale dei diritti dell'uomo». E pur riconoscendo (bontà loro!) l’operato della Giustizia italiana, ritengono che «le preminenti esigenze di tutela dei diritti umani impongono che della vicenda venga investita la Corte europea di Strasburgo, alla quale è stato richiesto di voler condannare lo Stato italiano a corrispondere ad Ernesto Bardellino un risarcimento danni pari a 100 milioni di euro, per la perdita del suo patrimonio e per i danni conseguenti ad una decisione contraria alla convenzione europea sui diritti umani, in particolare a quella sull'inviolabilità del diritto di proprietà».

Insomma, mentre c’è chi fa chiacchiere e mostra il distintivo, Bardellino & C. fanno i fatti.

Bene, bravi, bis. Così si fa. Che lo Stato e il Governo imparino la lezione! Ma, forse, l’hanno già imparata, come dimostrano i casi di Gioia Tauro e Fondi. O no?

roberto.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #23 inserito:: Agosto 20, 2009, 05:19:28 pm »

19/08/09


San Marino ribalta il tavolo delle rogatorie con l’Italia: attacca su Niki Aprile Gatti ma rincula e tace su De Magistris perchè...
Devo ammetterlo: a seguire su www.giornale.sm la conferenza stampa del Congresso di Stato (cioè il Governo) della Repubblica di San Marino mi sono commosso come un vitello.

Lacrime copiose scorrevano il 17 agosto sul mio viso di cronista nel sentire e vedere – mentre ancora godevo qualche giorno di riposo nella mia Umbria – il pacchetto di mischia governativo sanmarinese mentre elogiava il proprio operato, spernacchiava il Governo precedente e tirava le orecchie all’Italia.


IL MORBO DI ARCORE COMPIE UNA STRAGE A SAN MARINO!


Il tutto condito da simpatici e ironici intermezzi, come quando nel corso della conferenza stampa Antonella Mularoni, segretario di Stato per gli Affari esteri, simpatica come un’ostrica chiusa, ha affermato che “la stampa locale non mette mai in rilievo le cose positive” che accadono nella Repubblica del Titano. Cribbio! Questa frase – mi consenta – ricorda le affermazioni di un politico nostrano che afferma che la Tv di Stato è l’unica al mondo ad attaccare l’operato di un Esecutivo. Magari mi sbaglio e forse la Mularoni neppure lo conosce.

Il morbo di Arcore deve essere contagioso (non per niente gli scalcagnati scienziati del Pd non sono riusciti ancora a trovare un antidoto) se è in grado persino di colpire con virulenza sospetta Gabriele Gatti, segretario di Stato per le Finanze e il bilancio di San Marino che, con un sorriso attraente quanto quello di un coyote, ha affermato che “esiste una responsabilità morale di chi dice o riproduce fesserie. Per il futuro è bene che pensiamo a tutelarci perché abbiamo sbagliato ma abbiamo pagato un prezzo fin troppo alto”. Ci consenta Gatti: anche queste simpatiche frasi in Italia le abbiamo sentite profferire più volte, non immaginavamo che anche lì da voi la libertà di stampa fosse così amata! Evviva: mal comune mezzo gaudio! Giornalisti di Italia e San Marino uniamoci! Propongo un bel gemellaggio nel nome della lotta e – lo sapete – come diciamo noi romani chi non si unisce nella lotta è ‘n gran fijo de na...pagnotta!

La stampa nazionale e internazionale nell’ultimo mese (e, da ultimo, i  miei colleghi del Sole 24 Ore Antonio Criscione e Lionello Mancini il 15 e il 18 agosto) hanno messo in evidenza alcune recenti polemiche che hanno investito i cosiddetti paradisi fiscali (compreso San Marino), ma il pacchetto di mischia sammarinese se ne è dunque fregato tre quarti delle critiche e ha ribaltato con abilità il quadro accusatorio, diffamatorio e dubbioso che alimenta le segreterie politiche di mezzo mondo.

In questo post non mi soffermerò tanto sugli aspetti economici, finanziari e tributari quanto sulla legalità e sui rapporti tra la Giustizia dei due Paesi, argomenti a me cari tanto da averne scritto su questo blog in cinque occasioni (si vedano i post dal 5 al 19 marzo 2009) e averne parlato anche su Radio24 nella mia trasmissione quotidiana “Un abuso al giorno”.


LA ROGATORIA SU NIKI APRILE GATTI E LA MASSIMA TRASPARENZA SULLE ROGATORIE...


Augusto Casali, segretario di Stato per la Giustizia e l’informazione, che per l’occasione ha anche messo una cravatta che lo rende ancor più somigliante all’ex allenatore dell’Inter Eugenio Bersellini, ha affermato che “non capisce tutto questo accanimento mediatico contro San Marino e il Governo. San Marino sembra diventato l’ombelico del mondo e sembra quasi che l’Italia abbia fatto lo scudo fiscale per San Marino ma l’impresa criminale più forte al mondo non ce l’ha San Marino”. Per dare dimostrazione di trasparenza cristallina, Casali, alias Bersellini, alias (per la bisogna) Jovanotti,  ha ricordato le iniziative in favore della celerità della Giustizia, come “l’aumento del numero dei magistrati”. Non solo: non c’ stata una sola rogatoria dall’Italia che non sia stata evasa. “Diversamente – ha aggiunto – non possiamo dire la stessa cosa dell’Italia. Stiamo infatti credo ancora aspettando l’esito della rogatoria che abbiamo chiesto noi sulla vicenda di Niki Aprile Gatti”.

Per chi non lo ricordasse, Niki Aprile Gatti, è un giovane abruzzese che lavorava a San Marino in qualità di socio e dipendente di alcune imprese, che è stato arrestato dalla Polizia italiana in relazione a sospette truffe del numero 899 e trovato morto il 24 giugno 2008 nel carcere toscano di Sollicciano.

Per la Giustizia italiana si trattò di suicidio ma tante e tali sono le anomalie di quella morte che la mamma di Niki Aprile Gatti, Ornella Gemini, e comitati spontanei si stanno battendo contro l’ennesima archiviazione del caso (si veda www.nikiaprilegatti.blogspot.com oppure si ascoltino le puntate su www.radio24.it scaricabili dall’archivio di “Un abuso al giorno” dei giorni 1,2 e 3 aprile 2009). 

La madre esulta per questa notizia e si chiede giustamente, quando arriverà la risposta del Tribunale italiano competente: quello di Firenze. Noi siamo con lei e aspettiamo le risposte da Firenze e da Roma, vero ministro della Giustizia Angelino l’odo Alfano?

Anche il segretario di Stato Gabriele Gatti è intervenuto con forza sul tema delle rogatorie, affermando che questo “è un problema che riguarda il Tribunale di San Marino e non la politica. Un Tribunale che ha sempre lavorato bene e che ha persino ricevuto degli attestati per questo. Anche alcuni procuratori italiani stanno dando atto di quel che stiamo facendo. Da quando c’è questo Governo – a differenza di quanto accadeva nel Governo passato – non c’è mai stata un’intromissione da parte della politica sammarinese. Per quanto riguarda le collaborazioni e lo scambio di informazioni non abbiamo nulla da temere e da nascondere. Né sul riciclaggio, né sulla criminalità organizzata e sui reati correlati”.

Per non perdere l’occasione di fare bella figura, sul tema delle rogatorie è intervenuto anche Marco Arzilli, segretario di Stato per l’Industria di San Marino. In realtà l’arzillo Arzilli si è mantenuto sul vago ma chi ha orecchie per intendere…

“Qualsiasi Governo – ha affermato – non potrà prescindere da quanto fatto da questo Governo. In precedenza c’erano pratiche che venivano dimenticate per anni nei cassetti. Noi abbiamo tolto la polvere anche alle vecchie pratiche che rimanevano nei cassetti del precedente Governo sammarinese”.


…E LE ROGATORIE DI DE MAGISTRIS DELL’INCHIESTA WHY NOT?


Ci fa piacere, ovviamente, che la Repubblica di San Marino si batta per le rogatorie internazionali e altrettanto, vivo piacere desta la notizia che come “simbolo” sia stato preso quello dello strano omicidio-suicidio del giovane Aprile Gatti.

Il morbo di Arcore, però, probabilmente quando attacca cancella alcuni files vitali dalla memoria dei governanti.

Sarebbe bello, a esempio, sapere che fine ha fatto la rogatoria dell’ex pm Luigi De Magistris in relazione alla cosiddetta “Loggia di San Marino”, una loggia massonica deviata all’interno della quale – secondo il neo eurodeputato - operava una cabina di regia che faceva fare affari d’oro in Calabria (e non solo) grazia alle cospicue quote di finanziamento europeo destinate a finanziare lo sviluppo.

Ormai nessuno ricorda più che De Magistris avanzò subito richiesta di rogatoria internazionale per scavare a fondo sulla società Pragmata, con sede a San Marino, e su Piero Scarpellini, vicino-vicino all’ex premier Romano Prodi. A rivelarlo fu Fiorenzo Stolfi, ex segretario di Stato degli Affari esteri, in un’intervista pubblicata da  "Opinione.it. L’Opinione delle libertà", puntualmente riportata il 24 luglio 2007 (e mai smentita) dal sito sanmarinese www.libertas.sm.
Le rogatorie sono partite certamente dalla Procura della Repubblica di Catanzaro e indirizzate a San Marino – dirà Stolfi – che seraficamente aggiungerà: “credo che saranno evase nel minor tempo possibile. Non abbiamo alcunché da nascondere”.

Stolfi, sullo stesso sito, il 16 febbraio, si rimangerà tutto.

Ecco cosa dirà: “al di là di quanto appreso dalla stampa non sappiamo nulla. Neanche dell’esistenza o meno di rogatorie. Possiamo solo dire, come già fatto a suo tempo quando filtrarono le prime informazioni sull’inchiesta Why not, che siamo a disposizione. Se la Procura avesse bisogno di informazioni ci sono tutti gli strumenti utili per ottenerle come ad esempio le rogatorie”.

De Magistris il 9 ottobre 2008 dichiarerà ai colleghi di Salerno, autori del famoso decreto di sequestro nei confronti della Procura di Catanzaro. “…il filone investigativo che stavo seguendo al momento della illecita avocazione da parte del dr, Favi della Procura generale di Catanzaro conduceva da Macrì, attraverso un reticolo di società, direttamente all’entourage del Presidente Prodi. Avevo anche preso contatti in quei giorni per procedere a una rogatoria presso la Repubblica di San Marino”.

La domanda che posi nel post del post del 5 marzo 2009 fu: che fine hanno fatto le richieste di rogatoria?

Anche perché con un telex spedito il 15 luglio 2008, non potendo svolgere accertamenti a San Marino, la Procura di Catanzaro chiederà a un collegio di 6 consulenti torinesi di effettuare accertamenti su alcune società chiamate in causa dai testi di accusa.


MA CHE STRANO: AVEVO CERCATO LA RISPOSTA MA…

…E ALLORA RIPROPONGO LA STESSA DOMANDA


Il 3 dicembre 2008 San Marino dirà bye bye a Stolfi ed ecco arrivare Antonella Mularoni, di Alleanza Popolare (Stolfi era del Partito socialista).

Nei primi giorni di marzo 2009 cominciai a tempestare di telefonate la suddetta e a inviare anche una mail per sapere che fine avesse fatto la richiesta di rogatoria di De Magistris.

Mularoni non rispose mai e la sua segretaria alla fine mi dettò testualmente: “Gli obblighi istituzionali del Segretario sono solo nei confronti dei cittadini sanmarinesi e non delle testate italiane”. Strano, quelle stesse testate italiane alle quali ora tengono…eccome!

Ricordate amici? Tutto vero e tutto scritto sul mio post del 9 marzo. Andatevelo a rileggere please!

Io non sono bravo in politichese ma una cosa mi sembra chiara anche perché ci sono i filmati televisivi che – a meno che non siano stati sabotati – parlano chiaro: il Governo sanmarinese in pieno agosto ci ha informato che ha tolto la polvere da tutte le vecchie pratiche, che è trasparente come acqua sorgiva di montagna e ci ha anche informato che il Governo precedente – cattivone cattivone – insabbiava le pratiche.

Allora egregio Esecutivo sanmarinese, visto che la prima volta mi avete chiuso il telefono in faccia e vi siete negati per giorni e considerato che strombazzate trasparenza e sprizzate cristallinità da ogni poro governativo, richiedo con la stessa educazione: “Che fine ha fatto la richiesta di rogatoria internazionale di De Magistris sull’allegra banda per lui esistente, di potenziali massoni affaristi e criminali?” E ancora: “Sareste disposti ad accogliere ed evadere una nuova richiesta della Procura di Catanzaro?”

Ve lo chiedo anche perché nella vostra conferenza stampa di metà agosto non vi siete limitati a propagandare trasparenza e ribaltare il tavolo delle rogatorie ma avete anche affermato che San Marino è pronta a fare il suo dovere nella lotta alla criminalità organizzata. Lo avete fatto attraverso le voci ufficiali (e registrate) di Gabriele Gatti che mi ha commosso fino ai singulti (“…siamo pronti contro la malavita organizzata che non è penetrata dentro San Marino ma che ha o ha avuto propaggini…”) e di Antonella Mularoni che mi ha straziato il cuor (“abbiamo la gendarmeria che fa i controlli e abbiamo varato il censimento per sapere chi c’è e cosa fa a San Marino…”).

Ed allora, cari governanti amici vicini-vicini di San Marino, fate di tutto per agevolare il lavoro di chi nella magistratura ha scoperchiato uno dei pentoloni più nauseabondi della politica calabrese e italiana tutta. Altrimenti potrebbe sorgere il sospetto che attaccate l'Italia sulle rogatorie solo per difendervi da qualche pratica "scottante" rimasta nei cassetti. Magari laggiù dove non pensavate che fosse insabbiata, scostando meglio quelle penne dai cassetti, potreste trovare la pratica di De Magistris. Guardate meglio, via! Come cittadino italiano ve ne sarò grato a vita e – giuro – sono disposto anche a tifare nella motoGp per il sammarinese Alex De Angelis…tanto Valentino Rossi ha già il titolo in tasca!

roberto.galullo@ilsole24ore.com

Scritto alle 09:14


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« Risposta #24 inserito:: Settembre 02, 2009, 11:16:52 pm »

01/09/09


Domanda a Tremonti e Mularoni: come si possono firmare accordi prima della riforma sammarinese sulle licenze?


Lo confesso: sono un teletifoso sfegatato di www.giornale.sm e l’idea che potessero cancellare o mai più registrare e poi mandare in onda determinati avvenimenti, per qualche secondo mi ha tolto il respiro. Da quando scrivo sul blog di vicende sammarinesi (e sono mesi…) anche un giorno di astensione mi provoca ansia, nausea e mal di stomaco e guardate che esagero ma non poi troppo. Per chi scrive di San Marino è indispensabile la sua visione, che produce assuefazione. E questo, da integerrimo professionista quale sono, lo scrivo sul serio. Mai più senza!

Quando – dopo qualche ora in cui è apparso un enorme schermo televisivo che annunciava la decisione di astenersi dalle videoregistrazioni governative – ho rivisto apparire il faccione di Giulio Tremonti e la faccina dolce di Antonella Mularoni (è lesa maestà definirla così?) ho tirato un sospiro di sollievo. Fiuuuuu…scampato pericolo ragazzi!

Alla visione dei filmati della tv panamo-sammarinese debbo infatti riconoscenza a vita per alcune cose che ho scritto recentemente e debbo anche i simpatici rimbrotti di molti di voi, amati lettori sammarinesi del blog. Siete stati voi, infatti, a cogliermi in fallo quando non ho notato il riferimento alla vicenda Licenzopoli fatto dal Segretario di Stato all’Industria Marco Arzilli (lo definivo arzillo, che mi sembra anche un complimento ma qualche simpaticone ha creduto di vedere in ciò non ironia e bonomia come sempre nelle mie frasi ma anche qui lesa maestà ad uno Stato sovrano. Meschineddi, per non urtare la loro suscettibilità non potrò più definirlo arzillo. Peccato, mi mancherà questo aggettivo e dovrò inventarne anche qui, come per Mularoni, uno sovranamente neutro. O Arzilli mi può autorizzare a riusarlo? Qualcuno può intercedere per me anche con la Mularoni visto che non mi vuole parlare? Perché non mi parlano? Perché sono italiano, piccolo e nero? Ma via siamo vicini-vicini e fra un po’ ancor più amici!.

Dopo la visione, quel filmato mi è rimasto in testa, così come quello con l’intervista ad Antonella Mularoni, segretario di Stato per gli Affari esteri, mandato in onda da www.giornale.sm il 21 agosto. Un’intervista effettuata da Marco Severini. Lo ricordate? Quel tizio totalmente scagionato da qualunque accusa nella vicenda Licenzopoli, la cui sentenza ha invece lasciato il segno al punto che anche il collega del Corriere della Sera, Marco Gerevini, il 29 agosto ne ha scritto.

È stato Severini a intervistare la Mularoni – non so dove, anche se gliel’ho ufficialmente chiesto più volte: a San Marino o a Panama?, boh – e del resto egli ufficialmente risulta dallo stesso sito: “Procuratore per la Repubblica di San Marino esclusivamente per raccolta pubblicitaria ed interviste in loco” della testata di proprietà di “Giornale group s.a., Panama city, Panama”. Il direttore chi è? Sono curioso e mi appello a lui: può scrivermi? Vorrei fargli qualche domanda. Dimenticavo una curiosità: se digitate www.giornale.sm, in alto sul banner in realtà il link diventa ww.giornale.ms. E anche facendo il contrario, cioè digitando giornale.ms si apre il sito.

Quell’intervista, dicevo, mi è rimasta nella zucca e mi sono abbeverato, il 29 agosto alle 16.30 circa, alla visione delle pillole di conferenza stampa tenute dal duo di coppia Tremonti-Mularoni in occasione dell’incontro tenuto a margine del meeting di Cl a Rimini.

Per tre giorni e tre notti quelle tre interviste mi sono rimaste nella zucca e non riuscivo a capire perché e quale fosse il nesso. Maledetta Panama, ho pensato, sei sicuramente tu con il tuo paradisiaco ed evasore fluido fiscale a togliermi la ragione.

Poi, finalmente, ho visto…la luce. Benedetta sia tu Panama, e con te anche i cappelli a cui ha dato il nome e chissenefrega del paradisiaco ed evasore fluido fiscale che tante anime pie porta in tentazione.

La firma, ecco cosa mi ha illuminato! La firma degli accordi in materia finanziaria e fiscale. E poi la riforma dei controlli sulle licenze a San Marino. Questione di date, ecco cosa non tornano, le date!

Santa Panama, protettrice dei giornalisti senz’anima, sia lode a te! Firma e riforma, che Italia e San Marino trovino presto la giusta forma!


LA RIFORMA DEI CONTROLLI: FORSE ENTRO L’ANNO


Dunque ricapitoliamo. Il segretario di Stato all’industria Arzilli il 17 agosto in conferenza stampa dichiara: “Il nostro Paese non poteva andare avanti senza controlli. Sarebbe andato a finire contro un muro. C’è bisogno di pulizia ed ecco perché ci chiediamo chi siamo, cosa facciamo e questo è un lavoro che continuerà. Licenzopoli è una questione interna, ci stiamo muovendo e speriamo di ottenere risultati. Noi si risponde subito alle pratiche, mentre prima c’erano pratiche che venivano dimenticate nei cassetti per anni”. E lo stesso Arzilli dichiara il 30 giugno 2009 al Resto del Carlino: «Abbiamo trovato un ufficio in difficoltà, privo di un indirizzo preciso, noi siamo intervenuti per dare chiarezza. E ora che abbiamo raddrizzato la legge di bilancio speriamo entro l’anno di realizzare una legge ex novo sulle licenze, per evitare fenomeni che diano spazio a dubbi sulla serietà delle nostre aziende».

Ora, io sono un bambino e un giornalista di modestissime capacità ma arrivo a capire – correggetemi se sbaglio – che San Marino spera (repeat, please: spera) di realizzare una nuova (ripeto: nuova) legge (reload: legge) sulle licenze entro il 2010. E perché lo dice? Perché la cosiddetta sentenza Licenzopoli (si veda il mio post del 27 agosto) aveva svelato incredibili buchi nella maglie dei controlli burocratici. Voragini, in cui affondavano sistemi telematici fallati, archivi inconsultabili e speranze di cogliere le residenze fasulle o molteplici, riposte nella memoria dei dirigenti zelanti (oh yeah, proprio così).  Una dirigente delle quali – lo annotiamo per la cronaca e per soddisfare le segnalazioni di tanti lettori, quella al Servizio Tributario della Repubblica di San Marino – è la moglie di Marco Severini, assolto, ripeto, completamente dall’accusa di truffa e varie amenità nei confronti di imprenditori e che per questo ha chiesto anche un risarcimento. Severini ci tiene a dire che mi “ dovevo informare adeguatamente in quanto non c'è traccia nel suo articolo del Blog, che i 5.000.000 di euro sono stati richiesti per la ingiusta detenzione. Probabilmente lei non lo sapeva nemmeno sino a che non gliel'ho detto io. In quanto figura da quello che c'è scritto sul blog che oltre ad avere commesso un illecito (secondo la sua versione) ora voglio anche i soldi di risarcimento”. Lui ci tiene e io glielo faccio dire (ma smentisco ovviamente la sua interpretazione di fantasia della mia versione)…

Ma andiamo avanti.


LA FIRMA (O QUASI) DEGLI ACCORDI ENTRO IL 20 SETTEMBRE


Antonella Mularoni, intervistata da Severini, il 21 agosto dichiara dunque: “E’ imminente la firma del trattato con l’Italia. Incontreremo Tremonti venerdì (il 28 agosto n.d.r.) e domenica (30 agosto n.d.r.) Frattini al meeting. Definiremo anche sul piano tecnico i dettagli per arrivare a settembre alla firma degli accordi. Riteniamo che ci siano tutte le condizioni per concludere. La data dovrebbe essere metà settembre. Il G20 si riunirà il 20 settembre e penso che per quella data firmeremo gli accordi o almeno come prefattura siamo apposto”.

L’intervista, ringraziando la mia Santa Panama, la protettrice dei giornalisti che sono una sagoma, è ancora visibile su www.giornale.sm. O ms.

Mularoni, per la cronaca, ha poi spiegato, su domanda di Severini, “che gli attacchi a San Marino sono alimentati dalla sinistra…ho l’impressione che l’opposizione disperata di San Marino sia disposta a tutto. Il sospetto, essendo già successo nel passato, è che mandi alla stampa documenti riservati, anche di altri organi”.

Sempre per la cronaca e lo giuro sulla mia Santa Panama, protettrice del giornalista che spasima, non sapevo neppure chi cavolo fosse all’opposizione di San Marino, non ho mai ricevuto documenti riservati e non sono di sinistra (di questa sinistra soprattutto, che fa ridere anche i polli!). Però, se volete mandarmeli da destra, dal centro o da sinistra, da su o da giù, da San Marino o da Viggiù, la mia mail la conoscete. Giuro che mi iscrivo anche al Partito comunista di Panama se mi mandate documenti interessanti di cui scrivere! Magari anche alla Democrazia cristiana del Kosovo: sono disposto a tutto! Del resto molti di voi, nel blog commentano già con interessanti spunti…


LA CONFERENZA STAMPA DEL DUO DI COPPIA AL COMANDO


Faccio una cosa bellissima: riporto il contenuto della conferenza stampa del ministro per l’Economia italiano e del Segretario di Stato sammarinese indovinate un po’ da dove? Ma dal sito panamo-sammarinese! Ve l’avevo detto o no che non posso fare senza! Ecco il contenuto preceduto da un titolo roboante: “Si firma!!!!Storico accordo con l’Italia, tutto il resto sono chiacchiere da bar!...Guarda il video!”.

Ecco il contenuto della notizia: “ Nonostante quello che tutti dicono, molti in malafede ed interessati, un dato è certo si firma con l’Italia. Ne danno l’annuncio quest’oggi il Ministro Tremonti, Il Segretario Gatti e il Segretario Mularoni in conferenza stampa quest’oggi al Meeting di Rimini. Mai nessuno prima ad ora era riuscito nell’impresa di mettere per iscritto un accordo così importante, con l’eccezione di quello del 1953 e del 1939.

L’ultimo, così importante, in ordine di tempo risale al 1953. E nessuno può dire nulla in tal proposito, ne l’opposizione che sembra - leggendo quanto dichiarato nel loro comunicato stampa - un disastro, ne tantomeno certa informazione che disinforma più che informare e che domani farà quello che sa far meglio ovvero disinformare, in maniera scientifica, perniciosa ed interessata.

Il Ministro Tremonti dopo ben 45 minuti di incontro riservato con la delegazione sammarinese è uscito in conferenza stampa dicendosi onorato di un incontro con il Governo sammarinese,

Se non vi siete persi tra “quest’oggi” (che poi è una tautologia perché “oggi” viene dal latino hoc die e quindi “questo” è pleonastico e sbagliato) e negli scioglilingua tipo “l’informazione che disinforma più che informare…”, questa è la dichiarazione testuale di Tremonti: ”Sono convinto della trasparenza e della buona volontà e disponibilità da parte del governo sammarinese di venire in contro alle esigenze legali ed erariali della Repubblica Italiana su tantissimi temi e per questo ci impegniamo a firmare un trattato con San Marino, che si deve e si può fare in parallelo con il moneyval o in corrispondenza in tempi i più brevi possibili. Sono convinto che la Repubblica di San Marino avrà un ottimo risultato in termini di standing e legalità. Sono convinto che un equivalente effetto positivo ci sarà anche per la Repubblica Italiana in modo che voi possiate festeggiare il vs. 1709esimo e noi il nostro 150esimo anno della fondazione della Repubblica”.

Tremonti aveva detto a margine una marea di altre cose sulla necessità di un cambio di marcia di San Marino, ma pazienza.

Sicuramente ha riassunto male il mio carissimo e bravissimo amico Paolo Rubino che per l’Ansa aveva così battuto: (ANSA) - RIMINI, 28 AGO - Un trattato in materia fiscale con San Marino potrebbe essere firmato ''nel piu' breve tempo possibile''. Una riunione ''tecnico operativa'' ci sara' nella prima meta' di settembre. Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, dopo un incontro con i segretari di Stato del Titano alle Finanze, Gabriele Gatti, e agli Esteri, Antonella Mularoni. Ma il ministro, che ha elencato una serie di dati che mostrano incongruenze e sarebbero il segno di situazioni da chiarire, ha sottolineato che il trattato dovra' tener conto delle particolarita' dei rapporti che San Marino ha con l'Italia, unico paese confinante, e che hanno quindi per noi caratteristiche uniche rispetto agli altri Paesi a tassazione agevolata.(ANSA). RUB

Il “comunista” Rubino ha dettato più tardi: (ANSA) - RIMINI, 28 AGO - L'incontro e' durato circa mezz'ora, a margine del Meeting di Rimini. Subito dopo, in un incontro con i giornalisti, il ministro Tremonti ha parlato di ''interesse allo sviluppo di rapporti di amicizia'' ma anche di dati economici e fiscali che, sembra aver lasciato intendere, potrebbero indicare anomalie che appaiono non giustificate in rapporto al numero di abitanti''. Per esempio - ha detto il ministro - ''il contante servito da Eurosistem tramite Bankitalia e' un po' elevato, un miliardo di euro nel 2008''. Un valore in proporzione ''venti volte superiore alla media italiana''. Poi i dati sui depositi, incongruenti pur ''considerando la propensione al risparmio'' nella Repubblica del Titano: una media di 229.698 euro a San Marino, 13.559 in Italia. Le auto ''premium'': il 20% a San Marino, il 9 in Italia. Gli 8mila italiani a vario titolo residenti a San Marino: soggiorni, residenze, ''se non e' zuppa e' pan bagnato - ha detto Tremonti - Abbiamo l'impressione che c'e' chi non paga le tasse ne qui ne la': se non le paga da loro la cosa ci lascia freddi, se non lo fa da noi qualcosa si deve fare''. Quindi il dato sulle imprese: 3.680, di cui 800 commerciali e duemila nei servizi: pur ''non sottovalutando la vocazione imprenditoriale'' a San Marino, dice Tremonti, sembrano ''un po' troppe'' considerando il numero di abitanti che comprende ''vecchi e bambini''. Sull'Iva, poi, bisogna arginare ''meccanismi di frode carosello che potrebbero avere un certo rilievo''. Cosi' il trattato in materia fiscale su cui si sta trattando deve recepire lo schema dell'Ocse per i rapporti con i paesi a tassazione agevolata ma ''dovra' anche contenere una serie di meccanismi - dice Tremonti - che consentano di monitorare e ridurre questi fenomeni''.(ANSA) RUB-FLB


UNA DOMANDA PER IL BENE DEI DUE PAESI


Debbo confessarvi che – specialmente dopo le numerose mail di affetto giuntemi da quel Paese – ho sempre più in simpatia San Marino. Il mio Paese lo amo alla follia e dunque, per il bene di entrambi, faccio una domanda semplice semplice al Governo italiano, al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al ministro dell’Economia Giulio Tremonti e a San Marino tutta: dal segretario di Stato Mularoni in poi. Maggioranza e opposizione (a proposito: ho visto che, come in Italia, l’opposizione arranca…che ne dice l’opposizione sammarinese della riforma delle licenze? E cosa ne pensa?).

Ma davvero le ratifiche agli accordi – secondo il vostro parere – possono precedere la riforma delle licenze a San Marino dopo tutto quello che la sentenza Licenzopoli ha svelato?

Davvero un passo così importante (previsto per settembre secondo i governanti sammarinesi) può essere compiuto prima che le falle telematiche, la catena dei controlli, la scoperta delle connivenze, l’individuazione dei colpevoli (ricordiamo che San Marino ha anche istituito una Commissione d’inchiesta per svelare le eventuali omissioni o responsabilità) giunga a compimento (tutti passi attesi con la riforma legislativa possibilmente entro l’anno ma non certo a settembre a sentire le dichiarazioni ufficiali)? E i contenuti della riforma quali saranno? Non lo sa nessuno ma un dato è certo: saranno vitali per un cambio di passo nei rapporti tra i due Paesi.

Capisco proco di diplomazia e politica bilaterale o multilaterale ma a me sembrerebbe come accordarsi per una gita in macchina senza avere controllato la scadenza dell’assicurazione o mettersi d’accordo su una ricerca scientifica senza garantirsi di avere i laboratori. O, peggio, stringersi la mano, senza assicurarsi che nessuno dei due abbia batteri da trasmettere alla salute dell’altro.

Non scrivo con le mie parole ma riporto quelle del collega Gerevini che conclude il suo bell’articolo – che da conto tra le tante cose, lui tapino, del ruolo svolto nello svelare lo scandalo dall’”Informazione di San Marino”, che testualmente definisce “battagliero e assai diffuso quotidiano sammarinese” -  scrivendo: “…la legge c’è ma non può essere applicata perché manca l’archivio e chi commette reato violandola se la cava perché è come se la legge non ci fosse. A San Marino ignorantia legis excusat”.

Berlusconi, Tremonti, Mularoni, Gatti, italiani e sammarinesi: per il bene dei due Paesi si possono davvero firmare gli accordi senza aver prima l’approvazione e il contenuto della legge di riforma della legge 165/2003 sul rilascio delle licenze? Davvero – come ha dichiarato il segretario di Stato all’Industria Arzilli  nella conferenza stampa del 17 agosto – la questione Licenzopoli può essere liquidata “come una questione interna a San Marino”? Interna?

Visto che ormai la querela è un’arma adottata in moltissimi casi per cercare di tappare la bocca ai giornalisti, addirittura quando essi pongono semplici domande per il bene della collettività, rischio, e con orgoglio. Mi piacerebbe che qualcuno mi rispondesse, a partire dai politici sammarinesi. Per loro la mia penna è affettuosamente in servizio permanente effettivo. Viva l’Italia a viva San Marino (non piangete come cammelli tunisini, please!)

roberto.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #25 inserito:: Settembre 10, 2009, 05:44:27 pm »

06/09/09


Falcone muore ogni giorno allo Zen di Palermo nell’indifferenza dei “polidrilli”. E lo Stato? E’ un grande preside
Ho più volte scritto e detto nei mezzi che ringraziando Iddio il Sole-24 Ore mi mette (per ora) a disposizione (giornale, Radio24 e blog), che i giornalisti non sono più in grado di cercare e trovare notizie.

Non credo di essere più bravo degli altri in una categoria composta in buona parte da mediocri che non studiano e non osano, pidocchi raccomandati e viscidi lacchè, ma credo ancora e sempre nei valori. E il valore sociale di una notizia guida sempre il mio modesto istinto.

Trovare notizie, oltretutto, è scomodo. Espone. Sempre. Espone nei confronti di gente malata di protagonismo, di gente malata tout court e di quelli che io chiamo “gli impuniti”, categoria molto più pericolosa dei politicanti intoccabili o dei mafiosi (che spesso sono la stessa cosa) che vanno avanti a colpi di minacce, deliri di onnipotenza e querele.

Gli impuniti sono persone marce dentro. Come le mele apparentemente ingolosiscono e inducono in tentazione. Poi li mordi senza paura come deve fare ciascun giornalista degno di questo nome e loro risalgono magicamente sull’albero del potere che si nutre di una linfa mortale, fatta di disvalori.

Oggi vi voglio parlare di una storia di quelle che non si raccontano perché tanto fa più notizia il culo della Rodriguez, le tette della Ventura o la prestanza del tronista Vitaliano.

Una storia drammatica (e uso il termine a ragione) che domani e dopodomani (lunedì 7 e martedì 8 settembre 2009) potrete anche ascoltare dalla viva voce dei protagonisti nel mio programma “Un abuso al giorno” in onda su Radio24 alle 6.45 e in replica alle 20.45 (chi vuole può comunque scaricare anche successivamente l’ascolto andando nell’archivio del sito www.radio24.it).


LA SCUOLA FALCONE DISTRUTTA NEL SILENZIO


Ricorderete la parata di politici coccodrilli (quelli che piangono lacrime di ipocrisia dopo aver divorato o irriso la preda che spacciano per amica) che hanno fatto bella mostra nell’anniversario della morte del giudice Giovanni Falcone. Ne scrissi su questo blog il 23 maggio (in occasione del 17esimo anniversario), invitando il ministro dell’Istruzione Mariastella stellina Gelmini a rendere obbligatorio fin dalla scuola elementare lo studio della legalità. Forte anche di un a ricerca shock del Centro Mafiacontro di Palermo secondo la quale per il 24% degli studenti la mafia è tradizione. Soltanto uno su due crede che Cosa Nostra sia un danno per l’intera società. Uno su due, infine, affronta “poco o mai” con gli amici il tema della criminalità organizzata. Anche questa una notizia passata in cavalleria. Tanto una sola lacrima di un “polidrillo”, il politico-coccodrillo, è in grado di affogare qualunque notizia scomoda.

Ebbene avevo ragione a criticare quell’ennesima, inutile parata.


I “POLIDRILLI” SE NE FREGANO DELLA SCUOLA FALCONE


Dove sono i “polidrilli” di fronte allo scempio quotidiano ai danni della scuola “Giovanni Falcone” nel quartiere Zen di Palermo? Negli ultimi anni si è perso il conto degli atti di vandalismo, senza contare la sfida continua che attende i professori ogni santo giorno che si alzano dal letto e si recano in un istituto scolastico in uno dei quartieri più difficili d’Italia, dove Cosa Nostra non solo la vedi: la respiri a ogni angolo.

Un mese fa, in quella scuola, in quel quartiere, il salto di qualità con una serie di raid scientificamente pianificati. Palestra distrutta e un incendio a due aule che le ha annientate, danneggiandone altre sette. A gennaio altri raid, continue intimidazioni ogni giorno e a maggio (un mese ancora una volta scientificamente scelto dai quaquaraqua di Cosa Nostra) furti e persino spari a raffica contro aule e palestre.

Non bisogna solo abbattere una scuola che porta il nome del giudice Falcone, non bisogna solo intimidire, non bisogna solo riaffermare che lo Stato lì sono le cosche. Nossignori. Bisogna innanzitutto allontanare il sapere e la formazione, ciò che la scuola rappresenta. Lo aveva capito e urlato il grande scrittore siciliano Gesualdo Bufalino, che amava ripetere che la mafia si sconfigge con un esercito di insegnanti.

Alla testa degli insegnanti di questa scuola c’è un Uomo, un preside coraggioso, Domenico Di Fatta, impegnato con la sua squadra a strappare i bambini dalla strada e dalle mani dei mafiosi. Impresa disperata. Quest’Uomo non è solo un preside è anche l’unico (ripeto: l’unico) rappresentante dello Stato allo Zen di Palermo. Non esiste una caserma dei Carabinieri, un avamposto della Polizia (magari anche un camper attrezzato), che so un ufficio del Corpo forestale dello Stato o una stanza per la Guardia di Finanza. E la polizia municipale? “Ha tanto da fare e fa quel che può” dice l’assessore Grisasi. Ma ne siamo davvero convinti? Insomma: zero, zero, zero. Solo una scuola e il suo preside. Il preside e il suo corpo docente. Grande Italia no? Solo chiacchiere, neppure il distintivo.

Per Di Fatta gli ultimi episodi sono pianificati a tavolino. “E’ strano – dirà dai microfoni di Radio24 – che alcuni giorni prima degli ultimi raid, le telecamere di sorveglianza siano state oscurate e danneggiate. L’ultima registrazione risale all’8 giugno. No, questa volta vogliono far chiudere la scuola”.


E IL COMUNE? PROMETTE, PROMETTE E PROMETTE…


Il silenzio della politica nazionale è imbarazzante. Soltanto Sonia Alfano, europarlamentare dell’Italia dei valori (Idv) ha alzato la voce da tempo e, conoscendola, non ho dubbio che urlerà la sua rabbia anche a Bruxelles. Il neo assessore all’Edilizia scolastica e istruzione, Francesca Grisasi, non ha fatto in tempo a insediarsi (in settimana) che già si trova questa grana immensa. Una sfida vitale per chi vuole distinguersi nella giungla della politica parolaia. “Ho già contattato il preside – afferma – e il nostro appoggio non mancherà”. Il tempo sarà galantuomo, anche perché alcuni mesi fa il Comune aveva detto di non avere un euro in cassa. Dai politici locali parole, parole, parole. E gesti a effetto, come l’acquisto di vernici, rulli e pennelli per ridipingere alcune aule. Nel frattempo a resistere sono in pochi nel quartiere, tra i quali si distingue il Movimento Z.E.N, acronimo che sta per “Zona Energie Nuove”.


L’IMPEGNO DI MARIA FALCONE E LA SCUOLA DI ERICE


Ad alzare la voce e a urlare la sua rabbia c’è la sorella del giudice, Maria Falcone, che recentemente ha chiesto e, credo, ottenuto dallo Stato uno stanziamento straordinario di 50mila euro.

Ma le risorse finanziarie servono a poco se il fuoco di Cosa Nostra cova e divampa. E ne sa qualcosa il sindaco di Erice, Giacomo Tranchida che di fronte all’incendio doloso che ha distrutto nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2009 la scuola dedicata a Salvatore e Giuseppe Asta ha gridato: “Bestie, bestie, bestie”.

La scuola è alla memoria dei gemellini di 6 anni trucidati dal tritolo mafioso assieme alla mamma, Barbara Rizzo, il 2 aprile 1985 quando Cosa Nostra voleva eliminare il giudice Carlo Palermo, piazzando un’auto imbottita di tritolo sulla strada di Pizzolungo, percorsa dal magistrato che da meno di 50 giorni lavorava nella Procura di Trapani.

Il rogo è stato spento, la comunità di Erice ha reagito stancamente. Proprio come la politica nazionale: Governo e opposizione che si riempiono la bocca di belle parole e fanno poco. O nulla.

roberto.galullo@ilsole24ore.com

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« Risposta #26 inserito:: Settembre 14, 2009, 05:38:25 pm »

09/09/09


Primarie di Calabria: le ‘ndrine varcano i seggi ed entrano nell’urna? E la Toscana svela che la privacy nel voto…
Non bastassero i problemi che, atavicamente, la Calabria si trascina, il Consiglio regionale ha pensato bene (all’unanimità o quasi) di aggiungerne uno. Il 25 agosto, infatti, nel silenzio dei media (eccezion fatta per il Sole-24 Ore che ne ha anticipato i contenuti il 16 luglio e il 14 agosto 2009 e pochi altri media, soprattutto locali), è entrata in vigore la legge sulle primarie per l’elezione del candidato Governatore.


Di questa legge parlo anche nella mia trasmissione “Un abuso al giorno” in onda su Radio 24 alle 6.45 i giorni 9, 10 e 11 settembre (in podcast sul sito www.radio24.it, nell’archivio della trasmissione, dopo pochi giorni è possibile scaricare le puntate e ascoltarle).

Sorvoliamo sull’opportunità del consiglio regionale di concentrarsi – tra i mille problemi che restano e resteranno sul tappeto calabrese, dall’occupazione all’ambiente, dalla sanità alla pervasività della ‘ndrangheta – su un tema come le primarie e concentriamoci invece sugli aspetti a dir poco inquietanti e tutti collegati: privacy, segretezza del voto e condizionamenti mafiosi.

Legge che – vale la pena di sottolinearlo, a testimonianza che in Calabria destra, centro e sinistra sono categorie puramente virtuali – è stata approvata con il solo voto contrario di Michelangelo Tripodi (Gruppo Misto) e Maurizio Feraudo (Italia dei Valori). Da notare però che quest’ultimo politico è stato però sottoposto a un fuoco amico incrociato dei suoi stessi colleghi di partito che a momenti lo linciavano per la sua opposizione in consiglio.


AVANTI POPOLO. TANTO PAGA MAMMA REGIONE


Il meccanismo della legge è semplice e si svolge tutto in un solo giorno. Alla Regione il compito di scrutinare i voti e comunicare i risultati; ai partiti il dovere di rispettarne (teoricamente) l’esito al momento della composizione delle liste da presentare alle elezioni.

I partiti non saranno obbligati espressamente allo svolgimento delle primarie ma se non procederanno all’istituzione dei seggi e alla scelta di concorrere con le primarie, perderanno il diritto al rimborso che ha un tetto: 100mila euro. Ergo…

A pagare sarà infatti mamma Regione che ha contemplato la copertura finanziaria: 600mila euro che serviranno anche per l’allestimento di uno o più seggi in tutti i Comuni e per il pagamento del personale addetto. Soddisfatti per le primarie e persino rimborsati.


LE COSCHE FAN CUCU’, LE COSCHE E POCO PIU'


Il paradosso potenzialmente devastante è nel comma 1 dell'articolo 9 della legge prevede che l'elettore, al momento del voto, si presenti al seggio e chieda al presidente o vicepresidente del seggio «la scheda della lista, o della coalizione di liste, per la quale intende votare», previa esibizione di un documento di identità valido (comma 3). La scheda, dopo essere stata votata, sarà introdotta «nell'urna riservata alle schede della lista per la quale l'elettore ha espresso il voto» (comma 4). Anche se il comma 6 vieta «qualsiasi registrazione o annotazione della scheda richiesta dall'elettore», la segretezza del voto di fatto sarà una chimera. Segretezza che verrebbe meno a maggior ragione per quanti – a esempio magistrati o appartenenti alle Forze dell'Ordine e, perché no, giornalisti – volessero votare ma sarebbero di fatto impossibilitati visto che il loro status impedisce di rendere palesi le proprie preferenze politiche. “Queste categorie – ribatte il costituzionalista Andrea Morrone, dell'Università Alma Mater di Bologna e consulente della Regione – farebbe bene ad astenersi e comunque è un’ipocrisia, visto che la magistratura è divisa per correnti che si rifanno a posizioni politiche e spesso partitiche”.





LA DURISSIMA POSIZIONE DEI MAGISTRATI ANTIMAFIA






«Praticamente il cittadino è costretto a rendere pubblica la sua opzione di schieramento politico in contrasto con la segretezza del voto sancita dalla Costituzione – ribatte il sostituto procuratore nazionale antimafia Alberto Cisterna – e a rimanere segreto è solo il nome del candidato per il quale si esprime la preferenza».

La porta resterebbe dunque spalancata per i padroni delle tessere e per i condizionatori del voto che in Calabria spesso coincidono. «In contesti caratterizzati dalla presenza invasiva di associazioni mafiose – afferma ad esempio il sostituto procuratore nazionale antimafia Vincenzo Macrì – il cui potere di condizionamento elettorale è stato accertato in molte indagini penali condotte dalle Direzioni distrettuali antimafia di Catanzaro e Reggio Calabria, come sarà possibile per il singolo elettore esprimere, senza la copertura del segreto, una scelta difforme da quelle dettate, imposte, o suggerite dalle associazioni, i cui esponenti usano presiedere i seggi per meglio controllare l'andamento delle elezioni?». «I partiti calabresi – aggiunge Cisterna – sono chiamati a scelte coraggiose selezionando, tra le tante persone perbene di cui dispongono, i migliori ossia gli onesti e i capaci. Solo così la 'ndrangheta eviterà la campagna elettorale del 2010 e si eviteranno pellegrinaggi in Aspromonte e quanto altro, da qualche decennio, segna una parte non indifferente della vita politica della Calabria».



LA RISPOSTA DEL  “PADRE PUTATIVO” DELLA LEGGE






Domande e riflessioni pesanti in terra di ‘ndrangheta, che non hanno mancato di sollevare la risposta indignata del presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Bova (Pd), che orgogliosamente rivendica la paternità e l’idea della legge. « Dopo l’approvazione, il 6 agosto – dichiara Bova - della legge regionale sulle primarie per i candidati alla carica di presidente della Giunta, alcune autorevoli personalità calabresi hanno manifestato qualche perplessità in merito ad una supposta violazione del principio di segretezza del voto, quale sancito dall’articolo 48 della Costituzione. Si tratta di un problema che è stato già oggetto di attenta valutazione da parte di valenti giuristi che hanno escluso un siffatto profilo di incostituzionalità. Infatti, la proposta di legge approvata dal Consiglio regionale, come del resto tutte le altre forme di svolgimento delle primarie, rappresenta un metodo democratico e ordinato di dichiarazione pubblica della propria appartenenza politica e del proprio impegno diretto nella scelta dei candidati. Nulla a che vedere con il voto in occasione delle elezioni. La partecipazione alle primarie è una delle espressioni, forse la più alta, di cittadinanza attiva in politica, come lo sono la sottoscrizione delle candidature, l’accettazione delle funzioni di rappresentante di un candidato o di una lista o la stessa iscrizione ad un partito politico. Ovviamente nulla impedisce, a chi non vuole esporsi, di non partecipare, trattandosi di un’opportunità di partecipazione aggiuntiva che l’ordinamento mette a disposizione dei cittadini. Insomma, un “di più” di democrazia.  E questo, secondo noi e i costituzionalisti che ci hanno assistito, non riguarda in alcun modo il diritto – dovere di voto sancito dal secondo  comma dell’articolo 48 della Costituzione. Infatti non si tratta di un voto per eleggere qualcuno nelle istituzioni, ma di un procedimento pubblico e formale per la selezione dei candidati».





LA TOSCANA SVELA CHE LA PRIVACY E' UN PROBLEMA




Dopo l’uscita dei miei servizi sul Sole-24 Ore e a Radio24, ho avuto la graditissima sorpresa di ricevere una mail di Antonio Floridia, responsabile dell’Ufficio elettorale della Regione Toscana, che un gran contributo diede alla legge toscana sulle primarie, la 25/2004, fino al 6 agosto prima e unica in Italia, presa poi a esempio (secondo le dichiarazioni dei politici calabresi) dalla Regione Calabria.

Floridia interviene su un punto focale: la privacy e fa anche riferimento a un suo pregevolissimo studio.

“La versione originaria della legge toscana- scrive Floridia - riproduceva sostanzialmente la soluzione ora prevista dalla legge calabrese, a proposito di schede e segretezza del voto. A quel tempo, però, per via informali, l'allora Garante per la privacy Rodotà ci fece sapere che forse c'erano problemi..e, di corsa, furono introdotte delle modifiche. Cinque anni fa, in effetti, eravamo perplessi anche noi...ma si accettò il consiglio di Rodotà per motivi pratici...la macchina organizzativa era già in moto e, soprattutto, erano un solo partito, i Ds, a fare le primarie, e quindi faceva poca differenza la soluzione della scheda unica o della scheda separata da richiedere...Però, la questione di principio resta.
Spero di fare cosa gradita inviandole un mio saggio in cui si affronta, tra l'altro, questo tema (pp. 11-15): in sostanza, le primarie sono una forma di partecipazione politica, aperta, pubblica e visibile e per esse non possono valere le stesse garanzie di segretezza del voto che valgono per le elezioni "normali". Perché? perché nella segretezza del voto il partito perderebbe ogni possibilità di controllo sugli elettori che partecipano...Nel mio lavoro cito anche alcune sentenze della Corte suprema americana, in materia di primarie, che mostrano come, quanto meno, la questione è aperta e controversa. Sarà quindi interessante vedere se, dopo la legge calabrese, si riaprirà la questione...anche eventualmente sollecitando un pronunciamento della Corte Costituzionale”.



ASPETTANDO LA RISPOSTA DEL GARANTE E DELLA CONSULTA…


E in attesa di capire se il Garante per la privacy (il cui vicepresidente è l’ex Governatore della Regione Calabria, Giuseppe Chiaravalloti) è stato contattato anche informalmente o lo sarà e in attesa di sapere se la Corte Costituzionale

sarà adita o meno, è importante sottolineare un’ultima cosa. Il rischio di infiltrazioni e condizionamenti, all’interno e all’esterno del seggio elettorale, secondo molti osservatori con questa legge raddoppia. Oltre al rischio nelle elezioni primarie – come abbiamo descritto – c’è quello vero, reale e più volte conclamato durante lo svolgimento delle vere e proprie elezioni amministrative che, ricordiamolo, in Calabria come in altre Regioni, sarà nel 2010.
Se qualcuno pensa che il problema delle elezioni primarie per il candidato Governatore fosse il primo nella lista dell’agenda politica calabrese alzi la mano. E mi mandi, magari, un commento…

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« Risposta #27 inserito:: Settembre 15, 2009, 12:07:35 am »

13/09/09

Esclusivo/1

Sanità calabrese al collasso: il giallo dell’accordo di ferragosto sui crediti delle case di cura


In Calabria i giorni che precedono ferragosto sono giorni di mangiate pantagrueliche. Il 15 poi è l’apoteosi: con i parenti che arrivano da tutto il mondo, pinete, battigie, case e persino carcasse di automobili arrugginite sono un pullulare di peperoni arrostiti, melanzane e vino a fiumi. Le sbronze non si contano e anche le panze cantano.
Fino alla settimana successiva.

Fumi del cibo e dell’alcol che – verosimilmente – si sono tenuti lontani da Cosenza.

Mentre la Giunta della Regione Calabria, neppure 72 ore fa, ha approvato un piano che non si è neppure avuto il coraggio di chiamare di “rientro” dal deficit sanitario ma più prosaicamente “Piano di riqualificazione e riorganizzazione sanitario”, Cosenza si era già portata avanti. Sobria come una pulzella, l’Azienda sanitaria ospedaliera (Asp) di Cosenza, il 17 agosto ha firmato la transazione dei crediti pregressi delle case di cura. Un accordo che farà scuola. O che, invece, diventerà carta straccia.

Il 20 agosto – protocollo n. 22154 – l’Assessorato alla Tutela della salute e politiche sanitarie, ha ricevuto la gioiosa notizia. L’assessorato fa direttamente capo al Governatore Loiero Agazio che ha trattenuto per sé la delega.


IL DEBITO MISTERIOSO DELLA SANITA’ CALABRESE


Cosenza del resto, è sempre stata il salotto buono della Calabria. Lì i salotti partoriscono miracoli a grappoli. Intanto la Regione non sa neppure quale sia il deficit sanitario che la sta portando sull’orlo del baratro.

In un documento firmato dai tre segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil del comparto regionale sanitario (Alfredo Iorno, Natale Pace e Raffaele Gentile) l’11 settembre (all’indomani delle 85 pagine del Piano spedite a Roma e che rimandano a un successivo elaborato da produrre entro 90 giorni), il trio scrive: “…non si ha notizia del lavoro di ricognizione del debito da parte di Kpmg, profumatamente pagato dai calabresi…non possiamo accettare che il quadro complessivo del debito emerso continui a restare un mistero, alimentando il sospetto che la mancanza di dati contabili non ne consenta la sua esatta quantificazione…”

Questo mentre – e basta leggere le cronache nazionali – in Calabria si continua a morire di episodi di presunta malasanità. Il condizionale è d’obbligo.


L’ASP DI COSENZA QUADRA I CONTI E ARRIVA

LA TRANSAZIONE



Mentre la sanità calabrese è al collasso e mentre i 42 ospedali a inizio legislatura di Loiero Agazio che dovevano diventare 12 sono ancora tutti lì, l’Asp di Cosenza e il suo direttore generale Franco Petramala, uomo vicinissimo a Loiero, transigono con i privati.

A quest’uomo i conti sanitari stanno talmente a cuore che mentre i concittadini preparano i bagordi e svuotano le panze in attesa di riempirle oltremisura, alla presenza del presidente nazionale delle aziende di spedalità privata (Aiop), Enzo Paolini, chiude il contenzioso dal 2000 al 2007.

Se non leggo male l’accordo raggiunto, che porta le firme di Petramala, Paolini, e Pasquale Autolitano (Anaste) sul credito complessivamente preteso di 73, 219 milioni, la transazione è stata chiusa a 39,2 milioni (più gli interessi, se, non ho capito male).

Un successo che fa giustamente gridare di giubilo Petramala che scrive nella lettera in capo a Loiero: “…il raggiungimento di un accordo siffatto, chiaro e definitivo per quanto riguarda gli anni di riferimento e il contenzioso pregresso, contribuisce, secondo noi, a realizzare lo spirito e le indicazioni della citata delibera regionale ai fini di una corretta e non equivoca individuazione delle voci del piano di rientro relative al comparto della sanità privata”.

Bene, bravo, bis, Ma la domanda che vorrei porre a questo punto alla Giunta regionale – forse all’oscuro di questa prima transazione, forse no – è la seguente: questo accordo ha le basi giuridiche e legislative per essere siglato?

Scusate se sono un rompimaroni, ma vorrei segnalarvi quanto segue cari assessori regionali, dirigenti sanitari, consiglieri calabresi, parlamentari calabresi e Governo nazionale. Seguitemi please. Vorrei che qualcuno mi rispondesse.


IL VERBALE DI TRANSAZIONE DI COSENZA E GLI EXTRABUDGET


Nel verbale di transazione firmato a Cosenza, tra i “visto che” e i “premesso che”, si legge che: “…agli atti risulta che già nel 2006 era stata siglata dal direttore generale dell’epoca, dott. Giovambattista Aquino una transazione che, redatta di pugno dal consulente giuridico dell’Assessore Doris Lo Moro, prof. Avv. Carlo Mazzù dell’Università di Messina, conduceva al riconoscimento, a titolo di indebito arricchimento, degli importi inerenti prestazioni extrabudget riportate in allegata tabella ridotti del 15,50%”.

Ma il prof. Mazzù – che ho avuto il piacere di conoscere personalmente alcuni anni fa nel corso di un’ìnchiesta condotta a Palmi – aveva davvero fatto quella scelta?


IL COMUNICATO STAMPA UFFICIALE DELLA GIUNTA REGIONALE


La mia debole memoria ha avuto bisogno, ancora una volta, di scartabellare tra i comunicati stampa della Giunta della Regione Calabria. Finita la spulciatura ho trovato ciò che la mia vecchia memoria baluginava: un comunicato siglato p.g. del 27 ottobre 2006. Titolo secco come una punizione di Totti: “Il Presidente Loiero e l’assessore Lo Moro hanno incontrato una delegazione dell’Aiop”.

Svolgimento: “…l’assessore Lo Moro ha ripercorso i termini della trattativa escludendo che per il pregresso si possa arrivare a pagare i fuori budget dato che una sentenza del Consiglio di Stato, in seduta plenaria, toglie ogni possibilità di accettare le spese non previste”.

Ma come? Possibile che l’assessore e Loiero Agazio dicano una cosa – cioè: care case di cura private toglietevi dalla capa i fuori budget perché è illegittimo – e l’esimio prof Mazzù da Messina dica il contrario? E per dinci e anche per bacco, scriva questo di “suo pugno”?



LA RACCOMANDATA CON RICEVUTA DI RITORNO


 DA MESSINA A CATANZARO


Una lettera raccomandata con R/R spedita il 25 ottobre da Messina. Mittente Mazzù, destinatario Lo Moro conterrebbe più o meno queste affermazioni: “…nessun procedimento transattivo si è mai perfezionato…proprio perché il procedimento è stato interrotto su disposizione del direttore generale dell’assessorato, inviata a seguito di mia segnalazione delle decisione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n 8/2006…che eliminava in radice la possibilità di transigere sugli importi extrabudget”.


IL CARTEGGIO D’AMOR LO MORO – LOIERO AGAZIO


Ma allora anche Mazzù era sobrio! Ma allora chi ha autorizzato il pagamento dei debiti extrabudget? Babbo Natale, il legislatore regionale, Gianni e Pinotto? Chi? Ditemelo, di grazia! E si perché delle due l’una: o ha ragione Petramala a transigere anche sui debiti extrabudget – che complessivamente in Calabria per il solo periodo 200/2005 non sono inferiori a 200 milioni – e dunque a ruota tutte le Asl e Asp calabresi sono legittimamente autorizzate a farlo, oppure hanno ragione il duo di piccioncini innamorati Lo Moro-Loiero, con Mazzù a reggere il moccolo.

Illuminante può essere una lettera del 29 ottobre 2007 in cui Lo Moro scriveva a Loiero Agazio: “…in quella sede l’Aiop aveva preso atto della posizione assunta dall’Assessorato che non riteneva più possibile cercare una soluzione transattiva sugli importi extrabudget a seguito della decisione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n.8/2006”.

Tutto chiaro? No? Ancora qualche dubbio? E allora seguite anche il prossimo post – in linea da giovedì 17 settembre - sulle fantasmagoriche avventure del deficit sanitario calabrese e ne scoprirete delle belle… anche sulla cacciata dell’assessore Lo Moro. Io, nel frattempo, attendo risposte ai miei dubbi.

Roberto.galullo@ilsole24ore.com

1/ to be continued


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« Risposta #28 inserito:: Settembre 16, 2009, 03:45:13 pm »

Stop nel '95 per la nave dei veleni

di Roberto Galullo


Cento milioni o, se preferite, al cambio odierno poco più di 50mila euro. Fu questa la cifra rifiutata dal ministero della Giustizia nel '95, allora retto da Filippo Mancuso, alla Procura di Reggio Calabria che stava indagando sull'affondamento a largo delle coste calabresi di alcune navi dei veleni. Con quella cifra si sarebbe potuto rintracciare le navi affondate nel Mediterraneo con il loro carico di morte, che ora potrebbe tornare a galla con il rinvenimento della Cunsky a largo delle coste di Cetraro (Cosenza).

La rivelazione è di Francesco Neri, titolare nei primi anni Novanta dell'inchiesta, passata poi nel '96 alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio per il coinvolgimento presunto (all'epoca ma poi dimostrato) delle cosche reggine.

Neri non ha raccontato questa notizia neppure quando fu audito in Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti in trasferta a Cosenza il 18 gennaio 2005. In quell'occasione si limitò a dire: «Avevo chiesto già alla Nasa di aiutarmi nella ricerca, per cui con determinati satelliti saremmo riusciti a trovare le navi. Invece, il collega, giustamente, anche perché vi erano problemi in termini di soldi, si è rivolto all'Anpa ma l'Anpa non ha trovato la nave Rigel».
Oggi Neri, fiaccato dalle minacce e chiamato a deporre davanti al Gip di Cosenza il 14 ottobre – dopo l'archiviazione dell'inchiesta sull'altra nave dei veleni Jolly Rosso, a causa di una denuncia presentata nei suoi confronti dall'armatore Ignazio Messina –, vuota il sacco. «Avevo già contattato in quei mesi i tecnici della Nasa – racconta al Sole 24 Ore – che mi dissero che con un loro satellite sarebbe stato tecnicamente possibile risalire alla posizione esatta della nave Rigel e delle altre delle quali sospettavamo l'affondamento. In tutto una trentina. Anche i Lloyd, la compagnia di assicurazione inglese, aveva tutto l'interesse a risalire alla verità. E anche l'Imo, l'Istituto dell'Onu che si occupa della sicurezza della navigazione, che avevo provveduto a contattare, ci disse che l'unica nave nel mondo che era affondata quel giorno era proprio la Rigel. Quindi, l'Istituto aveva avuto contezza dell'affondamento della Rigel".

Neri ricorda anche i particolari. «Fu proprio il mio diretto superiore a Reggio, Francesco Scuderi – continua nel filo del racconto – a prendere contatti con il ministero. Prima fece l'iradiddio per essere ascoltato e poi inoltrò la richiesta».
Desolante il risultato. «Quelle risorse con le quali avremmo potuto scoprire allora quello che sta venendo a galla oggi e molto di più – afferma il magistrato calabrese – furono negate senza una spiegazione. O meglio le motivazioni sono coperte da segreto e non posso svelarle certo a lei. Ma il rifiuto è agli atti, ben custodito, perché non vorrei che scomparisse come è successo con altri documenti».

Quando l'indagine passò nelle mani della Direzione distrettuale antimafia, il sostituto procuratore Alberto Cisterna ottenne dal ministero dell'Ambiente l'autorizzazione incondizionata a cercare la nave. Cercate pure, fu l'ordine, paghiamo noi. Ed in effetti per due settimane la Impresub di Trento, una società specializzata, scandagliò i fondali nel '97.
Il risultato fu nullo «perché le coordinate dichiarate per l'affondamento erano false e la stessa Impresub – ricorda oggi Cisterna – se ne rese subito conto». Le operazioni andarono avanti e ancora oggi nessuno sa quanti soldi furono spesi a fronte dei 5 miliardi di lire messi a disposizione per il recupero della nave. Molti, molti di più dei 100 milioni chiesti e negati, secondo Neri, nel '95 dal governo Dini. Resta un'ultima cosa da segnalare. Il braccio operativo del ministero era l'Anpa, l'Agenzia nazionale per l'ambiente. Ebbene, proprio su quell'Agenzia, nella seduta in Commissione del 2005, parlando della Rigel, Neri aveva rilasciato una frase sibillina: «L'Anpa era un pochino sospetta in questa vicenda». E, proseguì Neri rivolgendosi al presidente della Commissione Paolo Russo: «Lei sa, e forse qualcuno glielo avrà accennato, i rapporti tra la Nucleco (la società per l'eco ingegneria nucleare, ndr), Anpa e Comerio (Giorgio, un faccendiere, ndr). Voglio dire, è come affidare le pecore al lupo, secondo me».
E tra pecore e lupi, di terra e di mare, ancora molti sono i risvolti oscuri che nei prossimi mesi potrebbero vedere la luce.

16 settembre 2009
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« Risposta #29 inserito:: Settembre 17, 2009, 05:01:44 pm »

14/09/09

Esclusivo/2

Sanità calabrese al collasso: l’ex consulente sbugiarda l’Asp di Cosenza e scrive infuriato a Loiero
Dovevo saperlo. Dovevo saperlo che sbagliavo a darvi appuntamento a giovedì 17 settembre per una nuova puntata della tragicommedia sui fantasmagorici debiti sanitari della Regione Calabria.

Beninteso: quell’appuntamento resta (vi devo raccontare notizie inedite su Doris Lo Moro, magistrato integerrimo che avuto anni fa la folle idea di accettare l’assessorato regionale alla Salute).

Intanto, però, vi dico che il post di domenica sera sulla transazione raggiunta dall’Asp di Cosenza con l’Aiop (spedalità privata) sui crediti 2000-2007, compresi quelli extrabudget, ha sollevato un vespaio.

A essersi infuriato come un muflone sardo è stato per primo Carlo Mazzù, che letto sul blog che l’Asp aveva pronunciato il suo nome invano, ha preso carta penna e calamaio e ha scritto - a quanto mi risulta - una lettera a Loiero Agazio, Governatore calabro e a Franco Petramala, capo supremo dell’Asp di Cosenza e uomo vicino-vicino al Loiero Agazio che, dunque, lettera a lui diretta o meno, ha saputo della sfuriata del professore universitario di Messina, ex consulente di Lo Moro.

Alle 12.35 di oggi Mazzù ha scritto anche al mio umile indirizzo di posta elettronica. Potrete leggere di seguito la lettera – durissima sulla improvvida sua chiamata in causa – ma intanto è bene dire subito le cose che questa lettera svela:

1)     il verbale di transazione mette in bocca a Mazzù l’esatto opposto del suo pensiero e del parere che aveva messo nelle mani dell’ex assessore Lo Moro e del presidente Loiero Agazio;

2)     successivamente alla decisione del Consiglio di Stato del 2006, tutte le Asl (debitamente avvertite dalla Regione stessa, si badi bene) hanno annullato ogni delibera transattiva oppure hanno resistito in giudizio alle pretese    dell’Aiop (tanto che l’Asl 1 di Paola è ancora in giudizio);

3)     La Giunta regionale ha addirittura mandato alla Gazzetta ufficiale regionale (Bur) la delibera 169 dell’8 marzo 2007 (Bur n. 7 del 7 aprile 2007), in cui al punto 11 esclude  espressamente il diritto al riconoscimento dell’   extrabudget menzionando proprio la decisione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato;

4)     Nella coda della lettera il veleno di Mazzù che non vuole scandagliare i motivi della decisione assunta dall’Asp di Cosenza e che soprattutto chiama in causa il coraggio e il senso di responsabilità della Regione che potrebbe essere chiamata a decidere sulle transizioni.

5)     Il quinto punto mi fa sorridere perché se un giornalista deve supplire all’assenza della politica e delle amministrazioni, state freschi in Calabria!  Comunque a Mazzù il grazie di cuore per le belle parole spese nei miei       confronti. E proprio il richiamo alla delibera nel Bur ha acceso nella mia labile memoria un altro tassello fondamentale di questa storia.



LA DELIBERA

DELLA

GIUNTA REGIONALE: OPS!


Avevo dimenticato il particolare della delibera con la quale la Giunta al punto 11 stabiliva che della remunerazione extrabudget non se ne parlava neppure. Non mi credete? E allora beccatevi la riproduzione originale tratta dal Bur


DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE

8 marzo 2007, n. 169

Programmazione S.S.R. – Ripartizione fondi anno 2007.


LA GIUNTA REGIONALE


Premesso:


  “omissis”

A voti unanimi e palesi

DELIBERA

Per quanto espresso in premessa che qui si intende integralmente ripetuto e confermato:


“omissis”


11. Di stabilire che per l’anno 2007 ove le prestazioni di assistenza ospedaliera, di assistenza specialistica ambulatoriale e residenziale e semiresidenziale, non danno diritto ad alcuna remunerazione nel caso dovessero superare i limiti massimi di spesa rispettivamente stabiliti con il presente provvedimento per ciascuna azienda sanitaria ai sensi della sentenza del Consiglio di Stato Adunanza Plenaria n. 8/2006.


“omissis”


26. Di pubblicare il presente provvedimento sul BUR della Regione Calabria.

Il Segretario                  Il Presidente

F.to: Durante               F.to: Loiero


Avete visto chi aveva firmato? Il segretario regionale Nicola Durante e Loiero Agazio. Più di cosi! Ed ora leggetevi la lettera imbufalita di Mazzù che – più o meno nelle stesse forme e contenuti – è stata spedita a Petramala e al Governatore che trattiene per sé la delega alla Sanità.



LETTERA DI FUOCO DEL PROFESSOR MAZZU’ CONTRO L’ASP


Egregio Dottore,

ho letto il Suo articolo sulla transazione tra

la Regione Calabria

(nella specie, l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza) e l’Aiop e l’Anaste di Cosenza.

Ritengo utile contribuire a stabilire la verità storica dei fatti, anche perché ho avuto la netta impressione che il mio nome sia stato evocato strumentalmente nella recente proposta di transazione, predisposta dalle parti direttamente, senza che io ne abbia saputo mai nulla e dalla quale, come Lei ha ben compreso, ho fondate ragioni per prendere le distanze.

Innanzitutto, La informo che io in atto sono difensore dell’Asp di Cosenza in alcuni giudizi iniziati prima della unificazione delle singole Asl, promossi da alcune case di cura contro l’ex Asl n. 1 di Paola.

Appare quanto meno strano che l’Asp di Cosenza, che ha sempre avuto notizia e relazione scritta sullo stato del contenzioso, transiga accogliendo una tesi decisamente da me contrastata negli atti difensivi, in linea con quanto espresso con nota inviata all’assessorato alla Salute, da Lei citata nell’articolo.

Ancor più anomalo è il fatto che si sia trattata la transazione, senza preventivamente – non dico chiedermi un parere in proposito – ma, almeno, darmene notizia; viceversa, è stato menzionato a sproposito il mio nome, come materiale estensore di una bozza di transazione mai perfezionata, forse per accreditare l’idea che ci sia una continuità tra quella trattativa e quest’ultima, quasi un avallo da parte mia, che non c’è assolutamente per le ragioni che appresso esplicito.

Come Lei ha ben compreso, la prima trattativa si è interrotta perché – dopo la pubblicazione della decisione n.8 del 2006 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, avvenuta in pendenza della trattativa – era venuto meno l’elemento essenziale della transazione, cioè l’incertezza sulla lite.

Infatti, quella decisione poneva fine ad una fase di giudicati contrastanti, ragione per la quale il Cga della Sicilia (investito di una vicenda analoga) aveva devoluto la decisione all’adunanza plenaria, per dire una parola definitiva ed evitare il contrasto tra giudicati dei diversi Tar italiani.

Per tale motivo, ho tempestivamente dato notizia ufficiale della novità così rilevante e preclusiva per la prosecuzione della trattativa; l’assessorato alla Salute, con nota del direttore generale pro tempore ha dato direttive a tutte le Asl di non transigere e di revocare eventuali atti predisposti nelle more.

Successivamente alcune case di cura aderenti all’Aiop hanno impugnato la revoca e la direttiva regionale ed hanno avviato i giudizi, ancora pendenti, nei quali l’ex Asl n. 1 di Paola si è costituita, resistendo e sostenendo che nessuna transazione si era perfezionata.

La posizione negativa relativa al pagamento del cosiddetto extrabudget è stata successivamente formalizzata anche dalla Giunta regionale che, nel dettare le regole per l’anno 2007, ha adottato la del. n. 169 dell’8 marzo 2007 (in Bur n. 7 del 7 aprile 2007), in cui al punto 11 del deliberato si esclude  espressamente il diritto al riconoscimento dell’extrabudget menzionando proprio la decisione n. 8 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Questi sono i fatti, rispetto ai quali ribadisco il mio ruolo professionale di assoluta coerenza con la corretta applicazione della legge e della giurisprudenza in materia.

Non spetta a me sindacare il merito della vicenda, né scandagliare le ragioni che inducono oggi l’Asp di Cosenza e, forse quanto, prima la Giunta regionale a decidere di transigere ed a quali condizioni.

Nel ringraziarLa per l’accenno positivo all’incontro di Palmi, Le porgo cordiali saluti e resto a Sua disposizione per quant’altro occorra, manifestandoLe il mio vivo apprezzamento per la coraggiosa attività informativa che Lei conduce su aspetti tanto delicati della vita calabrese.

Messina, 14 settembre 2009


Prof.Avv. Carlo Mazzù


A questo punto – lettori curiosi esattamente come il delfino della pubblicità – vi do appuntamento a giovedì come promesso ma non escludo che domani sia nuovamente costretto a scrivere una nuova ed esilarante puntata delle “Fantasmagoriche avventure del deficit sanitario calabrese”.

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