Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Marzo 01, 2009, 10:37:19 am » |
|
Il leader radicale lo promosse segretario giovanissimo un rapporto complicato sopravvissuto ai divorzi politici
Il ritorno di Rutelli commuove Marco
di FILIPPO CECCARELLI
NON E' FACILE veder piangere Marco Pannella. Sul serio. Si è travestito, esaurito, dimagrito a pelle e ossa, si è incatenato, ha fumato hashish e bevuto pipì, si è fatto arrestare. Insomma, Pannella ha fatto le cose più strane e anche le meno convenienti, ma certo è difficile farlo commuovere. Ancora più difficile è capire cosa ha portato Rutelli a Chianciano: irriconoscibile e inviso alla platea del suo ex partito; e tuttavia, o forse proprio per questo indissolubilmente legato a Pannella da rapporti così complicati che per cercare di dipanarli, fino a ieri, toccava mettere in causa la mitologia, come dire l'ultima e primaria risorsa di chi scandaglia l'animo umano.
E dunque, tramandava la leggenda che in questi trent'anni Pannella-Saturno non solo non era riuscito a divorare il pupillo, ma una volta sfuggitogli con destrezza dal piatto, tra un passaggio nei verdi e la creazione dell'Arcobaleno, dal Campidoglio alla leadership del centrosinistra fino al Partito democratico, ecco, Pannella se l'era anche visto approdare dalle parti del cardinal Ruini: e marameo.
Tragitto per la verità insieme rispettato e rimosso, a cominciare dalle scelte più personali, tipo sposarsi in chiesa, nell'autunno del 1995: "Solamente il tempo - decretò in quell'occasione l'eterno leader del radicalismo italiano - dirà definitivamente se chi vorrei tuttora fosse il primo erede di Ernesto Nathan abbia abbandonato la storia e la schiera di coloro per i quali Parigi (o Roma) non vale una messa, come alcuni temono. O se vive una nuova, autentica, profonda religiosità. Difendo il diritto di sperarlo". E c'era tutto Pannella in questa lunga dichiarazione: solennità, arsenico del tipo "chi non è con me è contro di sé", spirito cavalleresco, più l'appello finale alla speranza.
Meno nobili, senz'altro, si erano mostrati i pannelliani, o ex pannelliani gelosi, come testimonia una cospicua libellistica il cui pezzo forte rimane, a firma Lucio Giunio Bruto, Cicciobello del potere, sottotitolo Francesco Rutelli politicante in carriera (Kaos, 1997).
Ma siccome la politica già da anni vive anche di sentimenti, si può aggiungere che il medesimo Rutelli, nonostante una gragnola di degnate e popolaresche messe a punto - "gli manca tensione creativa", "ha detto una stronzata", "l'ho imbeccato io quando aveva 19 anni", "andrà a sbattere il grugno" - ha proposto di nominare il suo rinnegato mentore senatore a vita: con il che in qualche modo già attenuando la favola saturnina che ieri sera ha forse conosciuto il suo inatteso scioglimento. E allora tutto può averlo spinto a salire su quel palco: la nostalgia e la piacioneria, il massimo della buona fede come il culmine della spregiudicatezza, magari ad uso Pd, o perché Casini intenda, o chissà. Tutto, davvero. Ma nulla che possa togliere al Partito radicale il riconoscimento che gli spetta: di essere stato, cioè, una grande scuola politica, tanto più nei suoi esiti più generosi e imprevedibili.
Ardente e bellissimo, Rutelli si affacciò nella vecchia, lurida e vitalissima sede di Torre Argentina poco più che adolescente. "Chi non è stato anarchico a vent'anni è un fesso" ha detto poi. Lui comunque si fece anarchico contro la famiglia e l'educazione borghese da cui proveniva. Battaglie anti-autoritarie, per lo più, anti-militariste e anti-clericali. Dopo un rapido training, Pannella lo fece segretario e in questo modo, a soli 26 anni, un miracolo anagrafico, Rutelli partecipava alle consultazioni del Quirinale. Poi rimase a lungo capogruppo alla Camera.
Ma il Pr non è un partito come tutti gli altri. Anche in questo anticipatore, è una comunità che vive anche di sentimenti possessivi, passioni brucianti e visceralità non di rado autodistruttiva. Per farla breve: alla fine degli anni ottanta Pannella disseminò i suoi talenti in vari partiti, e a Rutelli toccarono i verdi. Solo che quando il grande leader fischiò la fine della ricreazione, il figlio lì rimase, ché tra gli ambientalisti ci stava benissimo, anzi era il più bravo di tutti e proprio perché temprato alla pregiatissima scuola di Torre Argentina. Ebbe poi congrui successi e onori, ma poi anche delusioni e incertezze: il tutto occhiutamente seguito dal potenziale divoratore rimasto a bocca asciutta. Ebbene ieri sera, su quel palco, la mitologia s'è dissolta nella commozione e negli abbracci. O forse per una volta si è rivelata, tra Saturno e il suo più svelto figlietto, solo un'utile fantasticheria giornalistica, un mirabile abbaglio nel buio di quella vicenda che per pigrizia si continua a chiamare politica.
(1 marzo 2009) da repubblica.it
|