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Autore Discussione: Dario Franceschini: «Fermiamo la corsa a mettersi in mostra» (non è altro?).  (Letto 2880 volte)
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« inserito:: Luglio 30, 2007, 05:08:07 pm »

Dario Franceschini: «Fermiamo la corsa a mettersi in mostra»

Simone Collini


C’è una «malattia» che circola nell’Unione. Si chiama «ricerca della visibilità», dice Dario Franceschini. Si manifesta nella «continua tentazione di distinguersi» e nel «costante tentativo di alzare il prezzo». Colpisce in questi giorni la sinistra radicale, che preannuncia un autunno caldo. Ma, nota il capogruppo dell’Ulivo alla Camera, non ne sono immuni altre forze del centrosinistra: «Usano lo stesso meccanismo partiti che sono sul fronte moderato». L’autunno andrà affrontato in modo diverso.

La sinistra radicale ha annunciato battaglia sul protocollo sul welfare: vede il rischio di un nuovo ‘98, onorevole Franceschini?
«In questo anno e mezzo, pur in una situazione numericamente non facile, abbiamo superato tutti i passaggi difficili. E questo perché nel centrosinistra si è sempre trovata la sintesi. Non capisco perché non dovremmo riuscirci anche in questo caso. Del resto, piaccia o non piaccia, in Italia abbiamo ancora un governo di coalizione. Quindi è necessario mettere in campo tutte le posizioni e poi giungere ad una decisione condivisa».

Ad ascoltare le diverse voci, la possibilità di una decisione condivisa sembra al momento remota, o no?
«È perché qui viene fuori la parte negativa: sugli atti, sulle leggi, si è sempre trovata un’intesa positiva, e però ogni volta si vuole condire il tutto con una ricerca della visibilità, con la voglia di distinguersi, con dichiarazioni e interviste tutte tese ad alzare costantemente il prezzo. Purtroppo mi pare che da parte della cosiddetta sinistra radicale stia avvenendo questo».

È un problema che riguarda solo questi partiti della coalizione?
«No, non riguarda solo loro. Ce ne sono anche altri che magari a turno, sul fronte moderato, usano lo stesso meccanismo, preoccupati più di distinguersi che di lavorare per difendere le soluzioni individuate. Dovremmo capire tutti che la visibilità di una mattina o il pensare che in questo modo si dà voce al pezzo di elettorato che si rappresenta di più, se pure hanno una parte positiva questa viene superata ampiamente dall’immagine negativa di tutta la coalizione, che appare indecisa e confusa. L’autunno dobbiamo affrontarlo sapendo questo: serve un confronto nelle sedi proprie, senza il bisogno di farlo sui giornali, e poi serve un’assunzione di responsabilità nel prendere delle decisioni in cui ognuno rinunci a qualcosa».

Si è detto più volte che la ricerca della visibilità era dovuta alla frammentazione e che il Partito democratico nasceva anche per risolvere questo problema: non sembra che la situazione sia molto cambiata ora che il Pd sta prendendo corpo.
«Non è così. Esiste una prova documentale del fatto che il Pd rappresenta un contributo alla semplificazione e alla stabilità di una coalizione che è articolata e affetta dalla malattia della visibilità».

E sarebbe?
«Un anno e mezzo di lavoro dei gruppi parlamentari dell’Ulivo, che sono stati un’anticipazione del Pd e il cui lavoro prevalente è stato quello di fare da baricentro e realizzare la sintesi».

Dall’interno del Pd sono anche venute esternazioni che hanno creato fibrillazioni nella coalizione: le alleanze di “nuovo conio” del manifesto di Rutelli, per esempio...
«Questo per via della mania mediatica dei retroscena: cosa c’è dietro. Io ho detto il giorno in cui è uscito il documento che ne apprezzavo i contributi riformisti e oggi continuo a essere sicuro che la frase sulle alleanze di nuovo conio è riferita a un modo diverso di costruire il centrosinistra. Sono totalmente d’accordo. E sono altrettanto certo che quello presente nel documento non è un riferimento a un’alleanza di tipo diverso».

Ne è certo.
«Basta leggere i firmatari del documento. Cioè è difficile pensare che non solo Rutelli, ma Realacci, Chiamparino, Cacciari, abbiano in mente altro che un centrosinistra più semplificato, con meno confusione, in cui prevalgano i contenuti riformisti».

Un centrosinistra più semplificato passa anche per una nuova legge elettorale?
«È evidente, quella attuale spinge alla frammentazione, incita le coalizioni a presentare più liste possibili per raggranellare un voto in più. Se l’alleanza fosse tra una grande area riformista rappresentata dal Pd, allargato in prospettiva ad altre forze confinanti, e una sinistra radicale riaggregata, sarebbe tutto più semplice».

Una nuova legge elettorale, migliore di questa, passa per il referendum?
«Il referendum non risolve i problemi».

I Ds sostengono il maggioritario con doppio turno alla francese ma sonoo disponibili a un confronto sul sistema tedesco, sul quale è possibile un ampio consenso in Parlamento: lei che dice?
«L’abbiamo anche scritto nel programma dell’Ulivo, siamo tutti per il doppio turno alla francese. Però per realismo sappiamo che non c’è una maggioranza in Parlamento per approvare una legge di questo tipo. E il sistema tedesco, che va preso nella sua completezza perché non andrebbe bene un finto modello tedesco, ha anch’esso un consenso abbastanza largo nell’Ulivo».

La strategia?
«Già da settembre dobbiamo cercare un confronto con l’opposizione e contemporaneamente fare attenzione a non spaccare la maggioranza».

Le caratteristiche che dovrà avere questa nuova legge elettorale?
«Bipolarismo, stabilità, riduzione della frammentazione».

È un punto fermo che le alleanze si decidono prima e non dopo il voto?
«Certamente».

Seguirà questa discussione ancora da capogruppo dell’Ulivo, dopo il 14 ottobre e l’ufficializzazione del ticket con Veltroni?
«Non credo proprio. È un ruolo che mi piace moltissimo ed è per questo che avevo qualche resistenza ad accettare, però si tratta di due mestieri difficili da svolgere insieme».

Veltroni continuerà a fare il sindaco di Roma.
«Ma questo è giusto. I deputati dell’Ulivo possono eleggere un altro capogruppo, il sindaco eletto da una città ha preso un impegno diretto con gli elettori. Non si possono mettere sullo stesso piano le due cose».

Fino a non molti giorni fa si temeva il plebiscito per Veltroni, ora ci sono in campo otto candidati.
«La competizione tra candidati piace ai cittadini perché li porta a essere protagonisti. È positivo che ci siano più candidature. Naturalmente mi auguro che il confronto sia civile. Concorriamo tutti allo stesso obiettivo».

La priorità sua e di Veltroni, in questo momento?
«Stiamo lavorando per far nascere in tutta Italia comitati a sostegno della candidatura di Walter in cui dentro ci siano ben mescolati Ds, Margherita, società civile».

Ben mescolati?
«È ciò che deve avvenire. E che sta avvenendo, visto che a tutte le iniziative a cui abbiamo partecipato sia insieme sia separatamente questo mescolamento lo abbiamo visto».

E però vi hanno accusato di essere i candidati degli apparati.
«La trovo una discussione un po’ stucchevole questa per cui qualcuno è candidato degli apparati e qualcuno non lo è. La cosa che sto vedendo è che c’è gran voglia di mescolarsi. Spero che lo facciano anche gli altri».

Come giudica le candidature di Pannella e Bonino?
«I radicali hanno un tasso di creatività straordinario, quando annusano i riflettori. Però credo che nessuno al mondo capirebbe che un politico appartenente a un altro partito si candidi in un partito diverso».

Prima dovrebbero dichiarare sciolto il Partito radicale?
«Ma non solo. Come abbiamo fatto per la Margherita e i Ds deve esserci un processo in cui si scioglie il proprio partito ma si condivide anche la prospettiva e i contenuti di quello nuovo. Sennò è tutto finto, è un’operazione mediatica che serve solo a far accendere per un po’ su di sé i riflettori, ma che non ha nessun senso».

Fassino sostiene che l’attacco ai Ds attraverso le intercettazioni sul caso Unipol sia dovuto al fatto che il Pd non nasce sulla liquidazione della sinistra, come qualcuno sperava: che ne pensa?
«Faccio sempre una certa fatica a decifrare cosa c’è dietro le cose per come appaiono. Quello che so è che sarebbe davvero sciocco se qualcuno dentro il Pd pensasse che il nuovo partito nasce non valorizzando tutte le risorse che ci sono nei Ds e anzi sacrificandole. È proprio l’opposto. Ognuno porta la sua storia, i suoi valori, la sua militanza, il suo radicamento».

Il leader Ds contesta anche il parallelismo proposto da un editoriale del Corsera tra il ‘92 di Tangentopoli e le vicende di oggi: secondo lei?
«Penso che abbia ragione Fassino e che siano due stagioni diverse. Sappiamo anche che la costruzione del Pd è talmente innovativa che smuove le acque un po’ stagnanti della politica italiana. Quindi ci può essere un po’ di preoccupazione ma penso che farà bene anche a chi ora è preoccupato».

Sull’ordinanza del Gip Forleo i Ds si stanno muovendo bene?
«In quell’ordinanza c’è la pretesa di emettere una sentenza preventiva. In questa vicenda si vedono tutti i contorni di una strumentalità. In più le intercettazioni le hanno lette tutti, non c’è assolutamente niente. Dopodiché, è la giunta per le Autorizzazioni che valuterà, come è giusto che faccia un organo di quel tipo, con molta serenità».

Il presidente Giovanardi propone di votare martedì.
«In tutti i precedenti tra la richiesta dell’autorizzazione e la decisione è sempre passato almeno un mese. Non si capisce perché ora vada fatto in tre giorni. Vanno guardate le carte, va dato il tempo alle persone di approfondire. Però deve decidere la giunta, che è sovrana e autonoma».



Pubblicato il: 30.07.07
Modificato il: 30.07.07 alle ore 7.49   
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